Più occupati
ma anche più precari. Dalle tabelle pubblicate ieri dall’Istat vengono fuori
due tendenze sui giovani. La prima è che ci sono più ragazzi e ragazze al
lavoro, e questo è senza dubbio positivo. La seconda è che sta peggiorando la
qualità del lavoro, visto che a trainare la crescita sono soprattutto i
contratti a termine.
Nella fascia
d’età tra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione, cioè la percentuale di
disoccupati sul totale degli attivi, è sceso a novembre al 32,7%.
Rispetto al
mese precedente il calo è di 1,3 punti percentuali.
Ma siamo
ancora lontani dal periodo pre crisi: all’inizio del 2007 la disoccupazione
degli under 24 era poco sopra il 20%.
Segnali
positivi anche dal tasso d’occupazione, cioè la quota degli occupati sul totale
degli attivi. Sempre a novembre, rispetto al mese precedente e nella fascia
d’età tra i 15 e i 24 anni, è salito di mezzo punto percentuale. Mentre è sceso
di 0,2 punti il tasso di inattività, cioè la percentuale dei giovani che non
cercano lavoro. Fin qui la tendenza positiva. Poi c’è quella negativa. Tra
settembre e novembre è cresciuto di 85 mila unità il numero dei lavoratori
dipendenti di tutte le classi d’età. Ma quel segno più è dovuto a un boom dei
lavoratori a termine, cresciuti di 101 mila unità. Che ha più che bilanciato il
calo dei lavoratori con un contratto stabile, scesi di 16 mila unità. Se
alziamo ancora la lente di ingrandimento e consideriamo quello che è avvenuto
nell’ultimo anno le cose migliorano. Ma di poco. Rispetto al novembre 2016 i
lavoratori dipendenti sono cresciuti di quasi mezzo milione. Solo 48 mila,
però, hanno un contratto a tempo indeterminato. Tutti gli altri sono a termine.
LA bufala
Per riequilibrare
c’è solo una possibilità fare costare di più i contratti a termine.
In ogni caso
essendo contrati a tutela decrescente il licenziamento costa solo un mese di
stipendio all’anno.
Il problema è
che le imprese guadagnano poco e aumentano i periodi di chiusura.
Quindi l’occupazione
annuale è un sogno.
Si può aumentare la pressione fiscale ma non si può costringere un imprenditore a lavorare in perdita!
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