sabato 13 gennaio 2018

Impieghi stagionali e disoccupazione

Le attività stagionali sono elencate in un noto Decreto del 1963, che dovrà essere sostituito, secondo il Codice dei contratti, da un decreto del Ministero del lavoro di prossima emanazione; le attività non si esauriscono, comunque, in quelle elencate dal decreto, ma sono indicate anche all’interno dei contratti collettivi, che lasciano spazio anche a lavori stagionali molto diversi rispetto a quelli tradizionali nel turismo o nel commercio.
Per i lavoratori stagionali non deve essere applicato il limite di durata massima valido per il rapporto a tempo determinato, pari a 36 mesi (superato tale limite, eccetto casi particolari, il rapporto si intende a tempo indeterminato). Lo stabilisce il Codice dei Contratti, riferendosi sia alle attività stagionali elencate dal decreto, che a quelle regolamentate dai contratti collettivi.
Secondo il Codice dei contratti, non deve essere applicato ai lavoratori stagionali il limite numerico, pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione (o ai diversi limiti stabiliti dai singoli contratti collettivi). Le esigenze legate alla stagionalità, difatti, non si conciliano con tale “freno” alle assunzioni, pertanto una barriera simile renderebbe impossibile, o eccessivamente oneroso, lo svolgimento dell’attività.
Il datore di lavoro che assume dipendenti stagionali non è tenuto a pagare all’Inps, per questi ultimi, l’aliquota aggiuntiva Aspi (ora Naspi) dell’1,40%. La norma ha l’evidente finalità di evitare un aggravio dei costi per tali tipologie di attività, giocoforza non stabili. Per questo motivo, pur non essendo tenuto a pagare l’aliquota aggiuntiva, il datore non è tenuto a versare il ticket sul licenziamento.
Per i lavoratori stagionali è valido il diritto di precedenza, anche se ha dei limiti differenti rispetto al diritto previsto per i dipendenti a tempo indeterminato. Nel dettaglio, il diritto spetta ai dipendenti stagionali che hanno lavorato nella stessa azienda per più di tre mesi: la precedenza vale nei confronti delle nuove assunzioni a carattere stagionale.
Le ultime statistiche non solo ci consegnano un mercato del lavoro sempre più precario (o più flessibile, dipende dai punti di vista), ma anche la qualità dei nuovi posti creati lascia molto a desiderare. Ad ingrossare le fila di chi ha finalmente trovato un’occupazione sono soprattutto lavoratori inquadrati nelle qualifiche più basse, addetti alle vendite ed ai servizi personali, occupati nelle attività di noleggio, nelle agenzie di viaggio e nelle agenzie immobiliari, nei servizi di supporto alle imprese,nei trasporti e nelle attività di magazzinaggio, come nelle attività legate ai servizi di alloggio e ristorazione. Tutte professioni a cui corrispondono tra l’altro salari modesti e una produttività particolarmente bassa e tra l’altro in prospettiva potrebbero essere in gran parte automatizzabili. Come segnala il sociologo del lavoro Emilio Reynieri stando ai dati dell’ Ocse il nostro, assieme alla Grecia, è l’unico mercato europeo dove la ripresa non si è tradotta in una crescita delle qualifiche più alte (professioni intellettuali, tecnico-scientifiche e dirigenti) più spiccata rispetto a quelle basse. Ad andare per la maggiore sono soprattutto i rapporti di lavoro di tipo stagionale, i contratti a chiamata, che hanno preso il posto dei vecchi voucher (+126% in un anno), ed i contratti di somministrazione (oltre un milione nel 2017, +22%), che consentono alle imprese di prendere in affitto i lavoratori di cui hanno bisogno.  la stampa.it
Ai sensi del Titolo I del D.lgs. n. 22/2015 è disciplinato il funzionamento del sussidio di disoccupazione, più precisamente denominato Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASPI). Tale indennità ha appunto lo scopo di proteggere i lavoratori subordinati dalle conseguenze di una perdita involontaria dell'occupazione. Pertanto, nei casi in cui l'interruzione del rapporto lavorativo dipendesse invece da una decisione volontaria del lavoratore (dimissioni), l'intervento assistenziale dello Stato sarebbe meno giustificato, dal momento che - se così fosse - la collettività rischierebbe di dover sostenere anche le conseguenze di libere scelte personali, snaturando la logica dell’istituto.

La bufala
sembra evidente che se i periodi di disoccupazione sono più elevati lo stato corrisponderà una maggiore indennità di disoccupazione.
Perché allora non agevolare gli imprenditori ad aumentare i periodi di attività agendo sulla leva fiscale: più tieni aperto meno tasse paghi?

Nessun commento:

Posta un commento