I Paradise Papers hanno aperto un vaso di Pandora
sui paradisi fiscali da cui sono emerse anche società italiane. Dall'analisi
dei documenti effettuata da Report e L'Espresso sono emersi anche i Legionari
di Cristo, che avrebbero costruito una cassaforte segreta per custodire i
propri ricavi - parliamo di oltre 300 milioni di dollari all'anno - provenienti
da scuole, università e collegi. Nel mirino sono finite due società, The
Society for Better Education e International Volunteer Services,
istituite a Bermuda nel 1992 e nel 1995 dal fondatore della potente
congregazione cattolica, il messicano Marcial Maciel Degollado, a cui poi Papa
Ratzinger ordinò di lasciare il sacerdozio. «Abbiamo riconosciuto in passato i
peccati di padre Maciel (gli abusi sessuali sui seminaristi, ndr), lo facciamo
oggi per le società offshore create sempre da lui nei paradisi fiscali...», il
commento di Chiara Lucifero, dell'ufficio stampa italiano dei Legionari di
Cristo, riportato dal Corriere della Sera. «Ma le due società sono state già
chiuse, la prima nel 2006, l'altra nel 2013», precisa invece il portavoce
dell'ufficio internazionale, padre Aaron Smith.
Dai Paradise Papers sono spuntati anche i
documenti che raccontano la storia del trust milionario della famiglia
Crociani. Bisogna partire dal 1976, anno in cui Camillo Crociani, allora
presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, viene travolto
dallo scandalo Lockheed, cioè delle tangenti pagate dalla multinazionale
americana per sistemare i suoi aerei in Italia. Prima la fuga in Svizzera, poi
in Messico, e la condanna a due anni e quattro mesi per corruzione aggravata.
Tra i beni ci sono anche i dividenti della Ciset, che
controlla Vitrociset, azienda che si occupa della gestione della sicurezza
del traffico aereo in Italia, delle rete dati della Polizia e della Banca
d'Italia, le reti periferiche di fogna dell'Agenzia delle Entrate e contratti
importanti per l'Agenzia spaziale italiana e la Nato. La società è partecipata
da Leonardo, quindi il governo vanta la golden share in caso di cessione della
società.
Vitrociset è controllata da una società domiciliata a
Curacao con un solo dollaro di capitale sociale.
Dai Paradise Papers è anche emerso come in cima alla
piramide societaria ci sia la International Future Venture & Investment
(Ifvi), paradiso fiscale e societario delle ex Antille olandesi e domiciliata a
Curacao, il cui capitale sociale ammonterebbe solo a un dollaro. La stranezza,
una delle tante, consiste nel suo essere totalmente anonima dal momento che nei
suoi registri non comparirebbe neppure il nome dei proprietari.
E poi spuntano ancora i nomi di Bonomi, che a Report spiega
di essere solo cittadino americano e svizzero ma di non avere obblighi fiscali
in Italia. In merito al suo impero, però si apprende che sopra la holding
lussemburghese BI Invest Holding ci sono The George Trust, The Budda Trust e
The 1987 settlement trust, tutti nell'isola di Jersey.
In attesa del servizio di Report sui “Paradise
Papers”, è L'Espresso a fornire i primi particolari relativi alla
lista dei nomi degli italiani coinvolti. C'è ad esempio Andrea Bonomi, il
finanziare che aveva sfidato Urbano Cairo nella corsa per l'acquisto del
Corriere. Nel dossier sui potenti che hanno messo le loro ricchezze nei
paradisi fiscali per sfuggire al fisco dei loro Paesi ci sono dunque anche
centinaia di nostri connazionali. Spunta il nome di Silvio Berlusconi, che
avrebbe fatto ricorso allo studio legale Appleby dopo aver acquistato nel 1999
uno yacht di 48 metri da Rupert Murdoch. Ma sono emersi anche i conti segreti
di Crociani e Robelli.
Il consorzio internazionale di giornalisti investigativi, è
entrato tra l'altro in possesso, in esclusiva, del database di un famoso studio
legale di Panama. Si tratta di un elenco di clienti dell'avvocato
italo-panamense Giovanni Caporaso, al cui interno ci sono centinaia di
italiani: piccoli e medi imprenditori, parenti di personaggi noti in Italia e
persone con precedenti penali, anche per mafia. Tutti hanno aperto un conto
corrente attraverso il portale Payopm.
I nomi sono usciti e fanno impressione: c'è una sfilata di
politici e vip, da Bono Vox a Nicole Kidman, passando per Shakira, Madonna, il
ministro del commercio di Donald Trump, l'uomo di fiducia del premier canadese
Justin Trudeau, il campione di Formula 1 Lewis Hamilton, l'investitore George
Soros e multinazionali come Apple, Nike e Uber.
Ci sono meccanismi particolarmente raffinati per risparmiare
sulla tasse che tutti gli altri sborsano, come l'Iva.
C'è però una precisazione doverosa da fare: non tutto ciò
che ruota attorno ai paradisi fiscali è illegale, perché la maggior parte dei
paradisi fiscali ha sottoscritto accordi con gli Stati per scambi di
informazioni e stanno adottando norme antiriciclaggio.
La maggior trasparenza pone fine dunque al segreto bancario,
per cui la vita degli evasori è davvero diventata difficile. Prendiamo, ad
esempio, Svizzera, San Marino e Lussemburgo: hanno chiuso accordi con l'Italia.
E così Panama e le Cayman. Si tratta di paradisi fiscali che non rientrano più
nelle black list. Allora è evidente che ci troviamo di fronte ad un contesto
molto complesso: deve esserci fraudolenza perché un'operazione risulti
illegale. E i mezzi per analizzare queste situazioni sono diversi. ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2017/11/12
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