venerdì 8 settembre 2017

obbligo mantenimento figlio

Il dovere al mantenimento dei figli è sancito dall'art. 30 della Costituzione, dagli artt. 147 e ss. c.c. e, indirettamente, dall’art. 315 bis, comma 1, c.c. che impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Non vi è alcuna norma nell’ordinamento che preveda che tale obbligo specifico dei genitori possa cessare con il raggiungimento della maggiore età del figlio, e, fino a poco tempo fa, al contempo, non vi era alcuna norma che espressamente prevedesse che il figlio dovesse essere mantenuto, dai genitori, oltre la maggiore età.
ll’art. 106, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha, , introdotto l’art. 337 septies che stabilisce “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, e' versato direttamente all'avente diritto…”.
Ad oggi quindi l’ordinamento stabilisce con gli artt. 147 e 315 bis che vi è un vero e proprio diritto di solidarietà che tutela un interesse fondamentale dell’individuo a ricevere un aiuto concreto nel corso della sua formazione e crescita, per ogni esigenza di vita e di formazione.
La scelta del Legislatore di individuare in capo al giudice un potere discrezionale, da esercitare a seconda delle circostanze del caso concreto, ha dato vita ad una giurisprudenza sul punto, tale da orientare le decisioni.
Il mantenimento del figlio è un obbligo che i genitori hanno in solido, e, nel loro rapporto interno, come recitano le norme di riferimento richiamate, lo ripartiscono in proporzione alle proprie sostanze patrimoniali e alla capacità lavorativa.
In base a quanto previsto dal legislatore, l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, consiste sia nelle spese ordinarie sia in quelle straordinarie e, in particolare, riguarda le spese concernenti istruzione e formazione, in quanto, per la giurisprudenza, è proprio rispetto al consolidamento da parte del figlio, di una posizione appagante a livello professionale, in considerazione del proprio percorso di studi, che si definisce il termine ultimo di corresponsione del mantenimento.
Il mantenimento quindi ha un contenuto ampio, tale da ricomprendere, nello specifico, sia le spese ordinarie della vita quotidiana (vitto, abbigliamento, ecc.) sia quelle relative all’istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze.
La lettura combinata quindi degli artt. 30 Cost., 147, 315 bis e 337 septies c.c. porta a concludere che vi è un obbligo di mantenimento dei figli che permane oltre la maggiore età e un diritto del figlio ad essere mantenuto, fino a che, completata l’istruzione, possa avere gli adeguati strumenti per realizzare la propria indipendenza economica.

I limiti al mantenimento: l'indipendenza economica ed il completamento del percorso di formazione professionale
Il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento, ma quest’ultimo è condizionato dal raggiungimento di un'autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio.
Va richiamata, prima di tutto, sia per l’importanza della pronuncia in sé sia perché è la più recente, nell’ambito delle decisioni di merito, la statuizione della nona sezione del Tribunale di Milano, nella quale viene disposto, per la prima volta, che con il superamento di una certa età, "il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come 'figlio', bensì come adulto". Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché "l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione" (Cass. n. 18076/2014; Cass. SS.UU. n. 20448/2014). Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di Milano è, "in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee" non può protrarsi dunque "oltre la soglia dei 34 anni", età a partire dalla quale "lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non - può - più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto". Il Tribunale fornisce anche alcuni spunti interessanti in merito alla valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell'obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, asserendo che la valutazione del giudice deve essere orientata in modo da “escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani".
In relazione alle ultime pronunce della giurisprudenza di legittimità, va invece richiamata una recente pronuncia della Cassazione, (Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168) in cui viene sancito che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 cod. civ., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Quindi la giurisprudenza concentra la propria attenzione sui limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno l'obbligo del mantenimento (Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un'autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). In particolare la giurisprudenza di merito ha avuto modo di specificare che l'obbligo del genitore – separato e/o divorziato – di concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne può ritenersi estinto solo esclusivamente a seguito del comprovato raggiungimento da parte del figlio medesimo di un'effettiva e stabile indipendenza economica ovvero della sua dimostrata colposa inerzia nell'attuazione o prosecuzione di un valido percorso di formazione e/o studio. In particolare, il Tribunale di Savona ha osservato che la percezione da parte del figlio di somme di denaro di modesta entità a seguito dell'espletamento di attività lavorative saltuarie e/o "a chiamata" non può integrare il presupposto dell'indipendenza economica, atteso che gli emolumenti sono rimessi di fatto alla determinazione unilaterale del datore di lavoro” (Tribunale Savona 27 gennaio 2016).
In relazione invece ai profili che riguardano l’acquisizione di una professionalità del figlio ed una collocazione nel mondo del lavoro adeguata alle sue aspirazioni, la giurisprudenza, ritiene pacifico, già da tempo, che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). Correlativamente quindi, se il figlio coltiva delle aspirazioni e voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera, ciò non può non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). È esclusa, invece, dalla Cassazione l'attribuzione del beneficio ricondotta a "perdita di chance" perché la stessa travisa l'interpretazione dell'istituto del mantenimento che è destinato a cessare una volta raggiunto uno status di autosufficienza economica con la percezione di "un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato" (Cass. n. 20137/2013).
Si ritiene opportuno, per completezza, fare un breve cenno all’ipotesi in cui il figlio, ancora non autosufficiente economicamente, contragga matrimonio.
In tale ipotesi l’obbligo di mantenimento da parte del genitore non si interrompe in modo automatico, ma è sempre necessaria una sentenza di revisione delle condizioni di separazione/divorzio rispetto a cui il genitore ha l’onere di provare “che il figlio ha raggiunto l’indipendenza”, oppure “che è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta”. (Tribunale di Perugia, sentenza 27 luglio 2015).
Va dato conto, in ultimo, anche dell’ipotesi in cui, venute meno le circostanze poste a presupposto del mantenimento del figlio maggiorenne, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne, si verifichi la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata, non può risorgere l'obbligo "potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare" (Cass. n. 2171/2012; n. 5174/2012; n. 1585/2014).
L’ipotesi in cui l’obbligo di mantenimento venga meno per negligenza del figlio
Nell’analisi della tematica del mantenimento del figlio maggiorenne va anche ricostruito il rilevante profilo che attiene alla interruzione dell’obbligo di mantenimento quando ciò avvenga a causa di una condotta del figlio stesso. Infatti, per indirizzo costante e unanime della giurisprudenza e della dottrina, l'obbligo perdura sino a quando il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica, non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio. Per cui, è configurabile l'esonero dalla corresponsione dell'assegno, laddove, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l'autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento (nella fattispecie la Corte, con sentenza n. 1585/2014, ha escluso il diritto al mantenimento del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività lavorativa, ancorché saltuaria, e non frequentava con profitto il corso di laurea a cui risultava formalmente iscritto da più di otto anni).
Il versamento del mantenimento direttamente al figlio maggiorenne
Con l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c. (L. n. 54/2006 c.d. Legge sull’affido condiviso), il Legislatore aveva previsto che l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente fosse versato direttamente all’avente diritto.
Sul punto, la Corte di Cassazione si era pronunciata più volte chiarendo che il Giudice, laddove, sia stato richiesto il versamento diretto al figlio maggiorenne non è tenuto per legge a concederlo; la decisione è sempre affidata alla discrezionalità del Giudice e alla valutazione del caso concreto (Cass. n. 20408, 2011). Inoltre, la giurisprudenza aveva anche statuito che la madre potesse agire personalmente per ottenere il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte dell’altro genitore, in quanto titolare di un diritto proprio ad essere sostenuta economicamente nel mantenimento del figlio non economicamente indipendente, con lei convivente nella casa familiare (Cass. n. 19607/2011). Infine la Cassazione aveva stabilito che il Giudice potesse disporre il versamento diretto del mantenimento al figlio maggiorenne solo su istanza del figlio stesso, (Cass. n. 25300/2013).
Era evidente quindi che l’orientamento era volto a stabilire che il coniuge obbligato al mantenimento non può chiedere di versarlo direttamente al figlio.
La questione è stata definitivamente risolta nel 2014, con l’abrogazione dell’art. 155 quinquies c.c. (con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154); in tal modo è stato fugato ogni dubbio sulla questione, escludendo la possibilità che il genitore obbligato al mantenimento possa automaticamente, al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, iniziare a versare l’assegno direttamente allo stesso. Pertanto, attualmente solo il figlio maggiorenne può, ove lo desideri, chiedere al Giudice di disporre il versamento diretto a sé del proprio mantenimento.
Tutto ciò è, evidentemente, finalizzato ad evitare che il versamento diretto al figlio maggiorenne da parte del genitore onerato possa essere strumentalizzato per sottrarsi al proprio obbligo al mantenimento.
La legittimazione ad agire per far valere in giudizio il diritto al mantenimento
Una questione controversa in dottrina e in giurisprudenza è quella inerente il soggetto legittimato a far valere in giudizio il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento, considerato che l'art. 155-quinquies c.c. disponeva il versamento dell'assegno "all'avente diritto".
La Cassazione (Cass. n. 18844/2007; n. 23590/2010) mostrava un atteggiamento di favore riguardo all'intervento del figlio maggiorenne ma non autonomo nel giudizio (di separazione o divorzio) pendente tra i propri genitori al fine di far valere il proprio diritto al mantenimento (realizzando così un "simultaneus processus"). Va detto che, sia in vigenza del regime precedente che di quello attuale, l'orientamento maggioritario ritiene "tuttora sussistente la legittimazione del coniuge convivente ("concorrente" o "straordinaria") ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio" per richiedere il versamento dell'assegno (Cass. n. 9238/1996; Cass. n. 11320/2005; cass. n. 359/2014; Cass. n. 921/2014; Cass. n. 1805/2014).
In una recente pronuncia di merito sul punto, la giurisprudenza asserisce che “Il diritto alla separazione è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come situazione giuridico-soggettiva che realizza la personalità dell'individuo e quindi si tratta di un diritto personalissimo; anche in regime di amministrazione di sostegno, il beneficiario, può compiere atti personalissimi, poichè la misura non comporta la perdita della titolarità di tali diritti e di conseguenza neppure l'esercizio. Non è necessario disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio maggiorenne in quanto costui, pur essendo legittimato ad intervenire nel procedimento al fine di formulare in suo favore apposita domanda di riconoscimento di tale contributo nonchè di pagamento diretto dello stesso a norma dell'art. 337-septies cc, facoltà che non ha ritenuto di esercitare, non può ritenersi litisconsorte necessario bensì titolare di una legittimazione alternativa e concorrente con quella della madre”. (Tribunale Bari, sez. I, 7 ottobre 2015, n. 4205).
L'onere della prova spetta al genitore
Ai fini dell'esenzione dall'obbligo di mantenimento è necessario un provvedimento del giudice (Cass. n. 13184/2011; Tribunale di Modena 23 febbraio 2011).
L'onere probatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato dall'obbligazione ex lege, il quale deve fornire "la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest'ultimo imputabile (Cass. n. 2289/2001; Cass. n. 11828/2009).

Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858).

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