lunedì 18 settembre 2017

Foglio matricolare 9/2107 Parte IV

Montecatini


Dopo la vacanza a Levico Giani diventava ogni giorno più stanco.
Lui continua ad andare al lavoro.
Era un artista del gelato.
Osserva con amore la crema prendere forma, mentre la pala meccanica della macchina rimestava gli ingredienti: latte, zucchero e uova in grossi bidoni; poi effettuava un prelievo con una paletta e ne controllava la consistenza.
Nicheto lo vedeva triste e cercava di andare più spesso in gelateria finito il dopo scuola.
Non era brillante a scuola Nicheto perché lo avevano mandato alla primina e non aveva frequentato l’asilo.
Per questo aveva preso cinque in italiano dalla madre Teodosia ed aveva frignato non poco perché era certo che Giani sicuramente non sarebbe stato contento.
Temeva che la malattia si sarebbe aggravata per il dispiacere.
Giani non se la era presa molto pensando che ci sarebbe stato posto in gelateria anche per un illetterato.
Nicheto stava lì ad attendere seduto, intento a leccare un cono di crema appena fatta.
“Magna ancora che xe bon, sta solo atento a no sciopar.” diceva Giani sorridendo a quel divoratore di gelati.
Nicheto aspettava che lavorazione fosse finita per consegnare il gelato ai ristoranti della città con ‘aiuto del Marsian.

Giani continuava a lavorare mentre la malattia lo divorava, aveva un sorriso triste, ma non si lamentava; lui parlava, mentre affondava la paletta per prendere un campione del gelato dalla macchina, del progetto di una vacanza a Montecatini con la Cetta.
Bisognava partire prima di Pasqua perché lui doveva lavorare durante i giorni di festa e di vacanza per gli altri.
I medici affermavano che la cura delle acque avrebbe potuto giovargli.
Nicheto non intuiva il dramma che stava vivendo Giani che sapeva di partire per la sua ultima vacanza con le persone che amava e che fra poco doveva lasciare per un lungo viaggio senza ritorno.
Solo la fede in Dio e la fiducia nella Bice e Donato, cui sapeva di potere affidare la sua famigliola, poteva fargli affrontare il futuro con serenità.
Avvisata suor Teodosia assicurava Nicheto:
“Basta fare i compiti che ti assegno.” aveva detto “Divertiti con i tuoi genitori.”
Nicheto non immaginava proprio che un destino crudele voleva che questa fosse l’ultima vacanza da trascorrere con Giani.
Certamente Giani non poteva pensare che la cura delle acque proposta dai medici potesse risolvere i suoi problemi di salute.
Giani non si fidava più di guidare, aveva venduto persino la Balila per cui avevano preso il treno per raggiungere di Montecatini.
Giunti alla stazione Giani aveva deciso di fare un giro in carrozzella per cercare un albergo.
Non avevano fatto prenotazioni da Venezia; perché Montecatini era una stazione termale piena di alberghi, ma erano tutti occupati.
Avevano pernottato in un Albergo lussuoso.
I camerieri avevano una divisa splendente, erano saliti su di uno scalone imponente, regale. Le camere erano ampie e spaziose.
Il servizio era eccellente, ma Giani fatti rapidamente i conti aveva deciso che il giorno seguente bisognava trovare un altro Hotel o i giorni di vacanza si sarebbero drasticamente ridotti.
Giani aveva scelto un albergo un po’ più modesto, ma altrettanto confortevole.
Nicheto era molto contento perché vi alloggiava un intero corpo di ballo che faceva spettacoli nella cittadina termale.
A Montecatini c’era un teatro dove rappresentavano tutte le sere l’operetta con cantanti e ballerini.
Nicheto aveva garantito alle ballerine la sua presenza ad applaudire allo spettacolo.
Nicheto era contento di stare finalmente tutto il giorno con suo padre.
E’ bello stare con lui in vacanza senza l’assillo del lavoro e della scuola.
Giani aveva sempre una idea nuova per passare il tempo facendo cose piacevoli, non c’era un minuto vuoto nel programma che realizzava per l’indomani.
Era una fortuna che i medici lo avessero mandato a fare la cura delle acque a Montecatini.
Passata la mattina alle Terme per la cura, il pomeriggio Giani si inventava sempre qualcosa.
Lo stabilimento termale era alla sommità di una collina.
C’era un gran via vai di persone, tutti molto eleganti, non c’erano molti bambini, ma Nicheto non ci faceva molto caso perché era contento di stare con suo padre.
La vacanza cementava i rapporti.
Vivere insieme tutto il giorno senza avere impegni di lavoro o di scuola dava la possibilità di raccontarsi di stringere di più il legame con le persone care.
Le verdi colline che circondavano la città davano una sensazione di quiete e di benessere.
Con il torpedone erano andati a fare una scampagnata a Collodi.
Nicheto raccontava la storia di Pinocchio a Giani assicurava di non conoscerla e si fingeva interessato alle avventure del burattino.
Giocavano a chi trovava per primo la strada di uscita del labirinto nella Villa.
Nicheto aveva avuto un attimo di incertezza, ma Giani lo aveva rassicurato e gli aveva fatto trovare la strada per uscire.
La felicità sembrava lì a portata di mano vicinissima eppure così lontana per quella stupida circostanza della malattia.
Nicheto passava delle ore sperperando una fortuna nella sala giochi del casino di Montecatini raccogliendo i punti delle vincite alle varie partite con quelle macchinette mangia soldi.
Come premio di un pomeriggio intenso aveva ottenuto una bambolina di pezza vestita col costume tipico siciliano che sarebbe stata collocata poi al centro del salotto di casa a ricordo di una vacanza felice.
Alla sera c’era il caffè concerto.
Nicheto si divertiva ad ascoltare “Signorinella pallida.”.
Il cantante era bravissimo nell’interpretare questa storia così romantica.
Lui accompagnava da consumato attore la triste storia d’amore con dolci movimenti delle mani suadenti come la sua voce.
Il pubblico applaudiva calorosamente.
Gianni chiedeva sempre tutte le sere al cantante di interpretare questa canzone perché faceva piacere alla Cetta.
La Cetta seguiva e si divertiva, ma parlava poco e non commentava mai la malattia di Gianni, la ignorava.
“Podemo fermarse ancora papà xe beo star qua tuti insieme.” aveva detto Nicheto per scongiurare la imminente partenza già decisa.
Non si poteva fare durare la felicità più del breve spazio di tempo che ti era concesso?
No la vita doveva fare il suo corso.
Gli impegni di lavoro e quelli scolastici duravano molto, i momenti di intensa felicità volavano in un attimo.
“Dovemo tornar, ma femo un’altra bea vacanza vero Nicheto” Giani rassicurava Nicheto e la Cetta che avrebbero potuto trascorrere insieme altri momenti di serenità.





Carnevale veneziano


Giani amava lavorare al salone delle feste di Cà Giustiniani perché lo trovava veramente regale.
Lui curava il servizio di ristorazione.
Il martedì grasso organizzava una grande festa in maschera per bambini: “Vien anca ti, ti pol magnar fritole in quantità.” gli aveva detto a quel golosone di Nicheto che non se lo aveva fatto ripetere due volte.
Giani attorniato da uno stuolo di camerieri era indaffaratissimo dietro un tavolone imbandito che offriva ogni ben di Dio.
Damine e paggi in costumi veneziani settecenteschi sfilavano con maghi, Zorro, streghe, orsi, leoni e personaggi dei cartoni animati per vincere il concorso.
Applausi, risate urli e strepiti di ogni sorta accompagnavano la loro sfilata.
La claque era scatenata.
Fratelli, sorelle, genitori e parenti tutti si erano radunati e si impegnavano al massimo per far vincere i propri beniamini.
Nichetto non aveva avuto il coraggio di salire sul palco. Il suo vestito datato era stato oggetto di un difficile quanto ingegnoso lavoro per allungarlo e allargarlo perché Nichetto era in crescita.
Lui si sentiva un po' stretto in quella casacca da indiano; era solo soddisfatto del copricapo di piume colorate e del tomahawk che gli davano una certa autorità.
La Cetta ci aveva lavorato sodo ed era soddisfatta della sua opera Nichetto un po' meno.
Nichetto inoltre non aveva capito bene che Gianni avrebbe dovuto lavorare tutto il tempo.
Lui avrebbe voluto trascorrere una parte della serata almeno con lui, mangiare, ricordare le vacanze di Montecatini, parlare della madre Teodosia.
La madre era rimasta molto soddisfatta del Crocifisso nuovo che Gianni aveva comprato in sostituzione di quello vecchio caduto a pezzi solo per le insistenze di Nichetto.
Lo scolaro voleva fare bella figura nel dimostrare la devozione del genitore, Giani, invece avrebbe risparmiato volentieri quei soldi.
Pazienza ne avrebbero parlato a casa a cena, perché a mezzogiorno Nichetto mangiava a scuola dalle suore di San Giuseppe dato che si fermava al doposcuola per fare i compiti.
Quello che a Nichetto dispiaceva e che stava poco un suo padre lo vedeva poco la sera perché lui tornava dopo una cena veloce al bar a lavorare e c'era sempre poco tempo per stare insieme.
Gianni in quei scarsi momenti non parlava molto vinto dalla stanchezza ed erano Nichetto e la Cetta a raccontare le cose normali tutti i giorni.



L’Ospedale al Mare


A settembre la Cetta e Nicheto erano andati a trovare la zia Andreina, la sorella più giovane della Roma.
 “Come sta Giani.”
Si era informata la zia non nascondendo la sua preoccupazione.
“Come al solito. Speremo ben.”
Sospirava la Cetta.
Nichetto ascoltava ma non comprendeva appieno la gravità della malattia che costringeva Giani a frequenti ricoveri.
Lui quando tornava a casa diceva che non era nulla di grave.
Giani assicurava sempre i suoi che dopo quel ricovero si sarebbe rimesso e sarebbe stato finalmente bene.
Giani però era sempre più stanco, i ricoveri si facevano più frequenti.
Non andava più alla Casa di cura, aveva finalmente trovato un professore dell’Ospedale al Mare del Lido che aveva diagnosticato la sua malattia.
Quando però era riuscito a trovare l’origine del male aveva nello stesso tempo perduto anche le residue speranze: si trattava di un linfogranuloma maligno.
A questo punto si era arreso, non combatteva più.
Nichetto non riusciva a capire.
Se era stata scoperta la malattia dovevano essere tutti più contenti. Perché invece erano tutti i più tristi?
Bepi, i camerieri, Tony sbrega boche, el marzian, Zerbetto, el gobo lo zio Pasquale avevano tutti un'espressione molto triste.
Se ci fosse stato il nonno Nicola, forse sì che lui avrebbe trovato un rimedio invece se ne era andato qualche anno prima. Nichetto non se n'era nemmeno accorta di questa tragica scomparsa.
Il nonno si era messo a letto per una influenza e non si era più rialzato.
Poi gli avevano detto che il nonno era andato via per sempre e che l’avrebbe rivisto in cielo.
Nicheto non aveva capito che quella era la morte perché non aveva notato nessuna sofferenza nel volto di Nicola, che se ne era andato via serenamente senza quasi soffrire, mentre notava sempre il sorriso triste sul viso di Gianni.
L’Ospedale al Mare si affacciava sulla spiaggia del Lido.
Arrivarci da Venezia era un viaggio.
Da Rialto l’itinerario più veloce prevedeva l’imbarco da Piazza S. Marco, di fronte alle Carceri di Palazzo Ducale, sulla motonave veloce – el bateo grando - che portava al Lido.
La motonave attraccava al piazzale di S. Maria Elisabetta; da lì bisognava salire sull’autobus che ti portava all’Ospedale.
Nicheto era andato a trovare Giani con lo zio Donato.
Se non fosse stato per tutte quelle persone in camice bianco non si aveva neppure l’impressione di essere in un ospedale.
I reparti erano immersi nel verde del Lido: sembrava di essere in una delle colonie marine affacciate sul mare agli Alberoni.
A vederlo da lontano quel luogo pareva un centro di vacanza non di malattia.
Stranamente pur essendoci una spiaggia lunghissima non c’erano bambini a giocare sulla sabbia, ma persone di tutte le età che cercavano di recuperare il bene più prezioso.
Il sole e l’aria marina erano medicine portentose per ridarti la salute.
Il sole portava calore, la brezza marina energia.
Questo straordinario cocktail faceva venire voglia di vivere anche a chi stava lottando con sofferenza contro la malattia e gli passava la voglia di farla finita.
I malati in via di guarigione trascorrevano la loro convalescenza sulla spiaggia.
Sembrava che stessero trascorrendo una piacevole vacanza.
“Co ti sta megio ti va anca ti in spiaggia”.
Diceva Nicheto a Giani che faceva finta di crederci.
La bellezza dell’ambiente marino cercava invano di mascherare il dolore.
Giani era molto pallido, appariva dimagrito e stanco.
Giani non aveva paura della morte. L'aveva vista in faccia tante volte nella ritirata di Russia aveva visto il terrore negli occhi dei suoi commilitoni che non poteva far salire sul camion perché era già colmo.
Non aveva paura per lui ma aveva paura per Nicheto e per la la Cetta. Lei era una persona emotivamente instabile, una brava donna di casa, ma gestire una famiglia e dare un futuro a Nicheto era un’altra questione.
Per cui Giani preferivano parlare con loro, nei pochi giorni che pensava gli rimanessero, rassicurandoli dicendo che la sua non era una malattia grave e che sarebbero andati insieme ancora in vacanza Montecatini.
Nichetto era un bambino intelligente aveva capito che c'era qualcosa che non andava, ma preferiva come lo struzzo mettere la testa sotto la sabbia ed aspettare gli eventi.
Era contento della sua vita si trovava bene alle elementari, stava bene con gli amici del Campo San Polo, con la Cetta, con la zia Bice, con lo zio Donato, viveva una infanzia che poteva essere quasi felice.
“Ciao come va Nicheto” lo aveva salutato Giani come se spostando l’attenzione sul bambino, sulle cose che faceva, sulla scuola, sui giochi, sulla vita banale ma tranquilla di tutti i giorni, avesse potuto per un momento esorcizzare dolore e preoccupazioni.
“Varda che bela zornada che xe ancuo, se ti sta megio ti pol andar anche ti in spiaggia, te compagno mi” Nicheto indicava a Giani i degenti meno gravi che venivano accompagnati in riva al mare dai parenti.
Sembra quasi, a guardarli da lontano dalle finestre del reparto di medicina, che i malati fossero degli allegri gitanti che si deliziassero del sole tiepido di fine settembre.
“Sì, sì la prosima volta femo cussì” diceva Giani nel tentativo di illudere Nicheto con questa speranza di guarigione.
Nello stesso istante di nascosto sussurra alla la zia Bice: “Te afido Nicheto e la Ceta.”
Queste erano state le sue ultime parole.
Lo zio Donato che era un burbero era uscito dalla stanza per nascondere una lacrima.
Solo Nicheto che si ostinava a non capire restava lì a fare gli ultimi progetti di una guarigione cui non credeva più nessuno.
Era arrivato il medico di turno chiamato dall’infermiera per una difficoltà respiratoria. Gli infermieri avevano fatto uscire Nicheto dicendo che dovevano portare una bombola di ossigeno ma che non era niente di grave, avevano invitato tutti i parenti a tornare a casa che tutto era sotto controllo.
Giani era morto quella notte.
Il linfogranuloma maligno non aveva, come suo costume, perdonato.


San Michele


Nicheto non aveva mai visto la chiesa di San Silvestro così stracolma di gente.
Persone dappertutto dentro e fuori della chiesa.
Individui che la famiglia di Giani non aveva mai visto prima.
Forse quella partecipazione allo strazio dei familiari significava che Giani era stato molto amato o forse c’era solo una grande curiosità di vedere una famiglia distrutta dalla morte del suo pater in così giovane età.
Nicheto non aveva ben chiaro se la gente, che lui non conosceva, venisse al funerale per farsi vedere, per curiosare o per partecipare al dolore di chi ha perduto irrimediabilmente una persona cara.
Quel giorno la commozione era scritta nei volti di tutti i presenti alla cerimonia funebre, non si sentiva nessuno fiatare.
Il silenzio all’interno della chiesa era rotto da qualche singhiozzo.
Sentendo piangere Nicheto, che si sentiva un uomo, non riuscì a trattenere qualche lacrimuccia da femminuccia e se ne vergognò.
Fuori c’era una giornata di sole.
Nicheto era troppo piccolo per portare la bara e aveva seguito il feretro in prima fila accompagnato dagli occhi interroganti dei suoi amici dell’Oratorio cui aveva fatto un cenno di saluto. 
Non avevano mai visto prima la morte del padre di uno di loro e se ne stavano increduli e muti ad osservare.
“Ma pol morir uno cusì giovane?” sembravano chiedersi.
Gli amici del bar erano tutti in prima fila.
La zia Bice non aveva fatto andare al cimitero Nicheto, la Cetta non aveva avuto cuore di seguire la cerimonia ed era rimasta a casa.
Cice che era il secondo figlio di Leonardo aveva  preso con lui Nicheto per distrarlo da questa disgrazia.
Lui aveva due figli di poco più grandi di Nicheto che gli avevano fatto scudo nascondendo le sue lacrime.
Nicheto era andato via con loro, ma il suo cuore aveva seguito il feretro di Giani.
La cerimonia del funerale a Venezia era meno triste che negli altri comuni di terraferma.
Andare a fare una gita in motoscafo era un avvenimento per la gente normale perché il motoscafo a Venezia lo usavano solo i signori.
L’ultimo viaggio terreno era accompagnato da un corteo di motoscafi privati che portavano la salma ed i parenti a San Michele.
L’isola della laguna di fronte alle Fondamenta Nove si poteva raggiungere solo con la barca.
I veneziani andavano in motoscafo solo quando si sposavano e quando dovevano raggiungere l’ultima dimora.
Andare in motoscafo era comunque una piacevole festa.
Solcare le acque calme della Laguna seguendo i canali segnati dalle bricole che indicavano le seche mette allegria anche se la flotta di barche era destinata ad accompagnare una cerimonia funebre.
Non poteva essere triste una gita in barca anche se la destinazione era San Michele.
L’isola era il posto ideale per riposare in santa pace.
Nicheto la conosceva bene perché tutti gli anni andava il due novembre a portare i fiori al nonno Nicola alla nonna Graziella al nonno Angelo e alla nonna Roma.
I viali alberati gli davano un senso di quiete.
Il silenzio, che l’isolamento dalla terraferma accentua-va, faceva parte di un altro mondo che gli piaceva perché gli dava un senso di pace.
Nicheto aveva deciso che la laguna era la sentinella più indicata per fare da guardia all’ultimo riposo di Giani e che sarebbe andato a trovarlo il giorno dopo.



Nessun commento:

Posta un commento