lunedì 18 settembre 2017

Foglio matricolare 9/2107 Parte III

Sbandato.


Nel marzo 1943 la "Sforzesca" era stata fatta rimpatriare e nel mese di aprile era stata sciolta.
A cosa era servita la sua discesa in campo?
Al fatto che il duce potesse essere presente al tavolo nel grande gioco dei potenti per contare di più e dove il numero dei morti era solo statistica.
Purtroppo le cose erano andate diversamente: non si era conquistato niente se non una ritirata e troppi morti.
Nel marzo 43 Giani era passato in forza al 21° reggimento battaglione Trieste in Piacenza.
Quelli erano giorni complicati.
L'otto settembre 1943 è stato uno dei soliti giorni di guerra.
Quello stesso pomeriggio il maresciallo Badoglio aveva annunciato improvvisamente da Via Asiago l'armistizio.
Solo i grandi capi sapevano quello che stava succedendo.
L'Italia udita la notizia, per un attimo, si era illusa che la guerra fosse finita davvero.
Un dubbio si era insinuato subito nella mente di Giani e dei suoi commilitoni.
I tedeschi? Cosa avrebbero fatto i tedeschi?
Difficile che rimanessero immobili a guardare senza prendere delle iniziative contro gli ex alleati.
Li aveva conosciuti i tedeschi sul fronte russo, sapeva che non mollavano mai fino alla fine e che volevano vincere da soli.
Loro non conoscevano alleati, ma solo subordinati.
Al 21° reggimento battaglione Trieste di Piacenza gli ufficiali e la truppa aspettavano ordini che non sarebbero mai arrivati.
Improvvisamente i carri armati tedeschi si erano presentati davanti alle caserme.
I tedeschi erano in assetto di guerra. Si erano piazzati nei punti strategici con le tute mimetiche, i mitra alla mano e le bombe infilate negli stivali.
Non c’era proprio da scherzare.
Chi aveva in caserma un vestito borghese era il più avvantaggiato. Lo indossava, si calava da una delle finestre degli uffici ed era libero di tentare di nascondersi o di raggiungere la propria casa dandosi alla macchia.
Giani aspettava l’occasione adatta.
La fuga dalla caserma fu una delle poche cose che aveva raccontato: “Gli amighi da fora ne dava i vestiti e noialtri scampavamo.”
Scappavano per le finestre delle cantine o degli uffici, sicché le fughe dei commilitoni continuavano a ritmo ininterrotto; tanto più che si era sparsa la voce di treni piombati pieni di militari, che partivano in direzione di Verona e forse del Brennero. I tedeschi, avevano fatto frequenti appelli dei militari italiani ed avevano avuto la certezza che il reggimento si stava sfaldando.
Gli ex alleati avevano individuato le probabili vie di fuga seguite dai fuggiaschi e avevano messo sentinelle armate all'entrata delle cantine e degli uffici.
Giani aveva trovato il modo di fuggire dalla parte dei tetti attraverso la soffitta.
Con un commilitone che si chiamava pure lui Giovanni e veniva da Rovereto era andato in soffitta e era salito sui tetti attraverso un abbaino. Quindi, quasi ventre a terra per non farsi scorgere dal basso, aveva cominciato a scendere. Arrivato in strada aveva trovato una porta chiusa.
A forza di bussare e strepitare, i vicini gli avevano aperto.
Non intendevano essere coinvolti in un’operazione che essi ritenevano troppo rischiosa e si erano lasciati convincere anche perché erano di origine trentina come il suo commilitone. I fuggiaschi avevano ottenuto qualche indumento estivo e quindi erano usciti da una porta secondaria: Erano liberi!
Si erano allontanati con molta prudenza per evitare le ronde fino alla stazione.
Il re, il principe Umberto, Badoglio, Ambrosio, Roatta, i generali si erano già messi al sicuro fuggendo verso Pescara: loro oramai non correvano nessun pericolo.
Per non ostacolare la loro fuga ingloriosa non avevano tenuto nessun contatto con gli ufficiali e la truppa abbandonandoli alla vendetta dei tedeschi.
Giani non aveva avuto dubbi sul da farsi.
Circolava la notizia che le prime colonne di soldati catturati dalla Wehrmacht erano state avviate alle stazioni ferroviarie con destinazione i lager tedeschi.
Lui, dopo aver buttato la divisa, aveva seguito l’istinto fuggendo in treno verso casa.
A Venezia poteva forse trovare rifugio aspettando tempi migliori.
L’unico problema era evitare i controlli della Wehrmacht che era stata spiegata a rastrellare i fuggiaschi.
I capi politici e militari italiani avevano ingannato, sorpreso e abbandonato i loro soldati dopo averli mandati a fare la guerra in condizioni tragiche.
Oltre agli equipaggiamenti e alle munizioni erano mancati persino gli ordini.
Pochi capi avevano pagato di persona per il senso dell’onore.
Per i vertici l'otto settembre era un gioco di inganni, di opportunismi, di irresponsabilità e di paura: una nera pagina di storia. Per i gregari era inevitabile lo sfascio.
Le gesta di Badoglio sono state immortalate nella loro disumana debolezza nella Badoglieide di Nuto Revelli che Giani cantava dopo la fine della guerra:
“Ti ricordi la fuga ingloriosa 
con il re, verso terre sicure?
Siete proprio due sporche figure
meritate la fucilazion.”
Era una classe dirigente strana quella di quel periodo (o è un requisito comune di chi comanda quello di nascondersi nel momento cruciale quando occorre veramente avere una guida?).
Salvo rare eccezioni chi aveva un posto di responsabilità era scappato. I capi avevano rinunciato a stare lì in prima linea quando le cose sono diventate difficili.
Si erano presi gli onori e gli oneri li avevano lasciati agli altri, ai comuni mortali, a quelli che si erano già presi i disagi di una guerra che avrebbero fatto a meno di combattere.  
Erano però pronti a ritornare a riprendersi ingiustamente i loro privilegi.
Giani nella retorica ufficiale si “sbandava” a seguito degli eventi succeduti all’armistizio del 9 settembre 1943 e conseguentemente venne conseguentemente denunciato al Tribunale speciale di guerra per non avere risposto al richiamo alle armi.
Tre sere dopo la radio annunziava la liberazione di Mussolini ad opera di paracadutisti tedeschi.
L’Italia era destinata a spaccarsi in due la situazione si stava facendo sempre più confusa.
Cosa aveva fatto Giani dopo l’otto settembre?
Sicuramente non era andato con i repubblichini, sicuramente non era andato con i partigiani.
Come tanti italiani si era eclissato confidando che la notte buia doveva prima o poi passare.
Faceva parte di quella categoria di persone che, dietro gli uomini che rischiavano la vita nella lotta quotidiana contro i tedeschi ed i fascisti, costituiva una seconda linea, estesa quanto il paese che provvedeva a sostenere, finanziare e curare tutti coloro che avevano partecipato alla lotta di liberazione. (Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, 1966).
Non faceva parte di organizzazioni, gruppi sensibili al richiamo della resistenza. All’inizio dopo l’otto settembre i “ribelli” erano poche migliaia di persone che non costituivano una forza militare, privi com’erano di un comando unificato, di direttive e di una strategia. (Indro Montanelli, Storia d’Italia, 9, 2004, 58). 
Era lì a Venezia e se ne stava nascosto, per paura che succedesse qualcosa se ne stava lontano anche dalla ragazza mora, la figlia di Nicola.
Non si faceva vedere né alla bottega di biadaiolo, che era stata di suo padre, né al Bar Florida.
Lì c’era Bepi, suo fratello, che era riuscito a non partire militare perché era di qualche anno più vecchio ed ebbe una gran fortuna a non essere arruolato nella riserva.
Lui stava dietro le quinte cercando di dare una mano come poteva alla sua famiglia, cercando di nascondersi per non finire in un campo di concentramento in Germania.
Gli alleati erano sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 44.
Nel giugno 44 i tedeschi avevano ancora il controllo di Roma. 


La liberazione.


Il 25 aprile del 1945 dopo la resa della Germania Giani era uscito finalmente fuori all’aria libera che aveva un profumo particolare. Lui non aveva apprezzato mai così tanto l’odore di salmastro che saliva dal Canal Grande e si era messo a ballare come un forsennato per le calli e le piazze di Venezia per tutto il giorno e per tutta la notte.
Il giorno seguente di buon’ora era ritornato a lavorare al Bar Florida.
Si era messo alla macchina del gelato e aveva inventato un gelato tricolore bianco, rosso e verde usando per la prima e unica volta i coloranti.
Distribuiva il gelato alla folla degli amici, clienti e passanti che cantavano ed inneggiavano alla fine della guerra.
Giani aveva le lacrime agli occhi per le immagini di tanti morti e di tante fatiche che gli passavano veloci nella mente.
Aveva perso una guerra che tutto sommato non era la sua guerra, era una guerra di conquista che per lui non aveva avuto alcun senso.
Ora aveva solo voglia di ricominciare a vivere.






La Cetta


Giani si sposò nel 1945 con la Cetta, la ragazza mora, dell’Osteria La Madonna.
Le figlie di Nicola Bice e Cetta non scendevano mai dalla loro abitazione posta al secondo piano dello stesso fabbricato perché non stava bene che due signorine frequentassero un locale pubblico, così avevano perso l’occasione di occuparsi degli affari di famiglia. A loro avrebbero pensato i futuri mariti.
La Bice era piccolina morettina aveva l’aria sveglia e conservava un librettino dove appuntava i fatti o le sensazioni della giornata; era la più intellettuale delle due anche se la sua educazione si era fermata alle medie inferiori.
Nicola, infatti come era uso, pensava che non servisse che le ragazze studiassero.
Le Cetta era una ragazza mora di altezza normale; capelli neri corvini, gli occhi grandi marrone scuro amava legger le riviste di moda, aveva l’hobby dei vestiti che si confezionava personalmente.
Era una casalinga in cerca di marito secondo le più pure tradizioni del Sud per cui accettò volentieri la proposta di matrimonio di un pugliese ben noto in famiglia. 
Due anni dopo il matrimonio con la Cetta Giani aveva avuto un figlio che secondo la tradizione di famiglia era stato chiamato Nicola, famigliarmente Nicheto, come il nonno materno.



Gli amici del Florida bar


Gli amici del Florida bar ritenevano Giani molto fortunato perché aveva iniziato una interessante attività economica, perché aveva sposato la figlia di Nicola e perché stava per avere un bambino.
Questo a Venezia di diceva “ciamar la nera”.
L’invidiare qualcuno perché aveva gli affari che gli giravano bene voleva dire chiamargli la sfortuna o quanto meno una sorte peggiore.
La peggior sorte era in agguato e non si fece attendere per molto.
Nichetto spesso scendeva sulla Riva del Vin con il nonno Nicola che era orgoglioso del suo nipotino.
Al nonno piaceva tenerselo in braccio e mostrarlo tronfio ai suoi cugini e agli amici che passavano a salutare.
Nichetto aveva cominciato a frequentare il bar fin da piccolissimo.
I camerieri lo vezzeggiavano chiamandolo el paronsin.
A lui non piaceva che lo chiamassero così perché non voleva sentirsi diverso dagli altri e soprattutto non voleva sentirsi invidiato.
I camerieri erano dei personaggi unici rappresentanti di quella Venezia popolare viva e vera che amava profondamente la propria città.
Agonia aveva un atteggiamento triste ma solo apparentemente perché era molto simpatico. Lui si era comprato per primo fra i conoscenti che frequentavano il Florida Bar la televisione in bianco e nero.
Nichetto andava con la Cetta a casa sua per vedere il programma lascia o raddoppia di Mike Bongiorno.
Il bello era che nessuno degli spettatori riusciva a rispondere alle domande troppo complicate, ma tutti si divertivano ed applaudivano i concorrenti che erano in grado di rispondere.
Tony sbrega boche era un tipo un po' spaccone che riteneva sicuramente di essere un palmo superiore agli altri.
Un po' spavaldo, sempre abbronzatissimo e sicuro di sé vantava le sue conquiste e inanellava le sue morose nelle collane infinite dei suoi amori.
El Marsian era il più giovane del gruppo. Magro con una faccia ossuta che dimostrava più anni di quanti in verità ne avesse era il figlio di un altro vecchio cameriere. Era addetto ai lavori più umili: doveva spazzare il pavimento del bar e portare in giro su di un carretto i bidoni di gelato nei vari ristoranti della città.
Nichetto lo accompagnava ma la fatica più grossa la faceva el Marsian.
El Gobo veniva chiamato così per il suo difetto fisico. Lui era abituato e non ci faceva caso, se si fosse arrabbiato allora si che era divertente canzonarlo.
La Lia era la cameriera più formosa che carina.
Se ne stava sempre zitta forse perché teneva che se apriva bocca le sue parole innescassero commenti salaci cui aveva difficoltà a rispondere.
Giani lavora tutto il giorno al Florida Bar.
Produce i gelati più buoni di Rialto.
Nichetto era troppo piccolo per aiutare nel lavoro Giani, ma andava spesso al bar perché aveva un amico da sfidare a carte.
Zerbetto era un commerciante di mobili che aveva negozio proprio a fianco del bar.
Alto con gli occhi furbi e due baffetti brizzolati che ispiravano fiducia era sicuramente una persona simpatica e soprattutto sapeva giocare a carte e aveva voglia di insegnare i suoi trucchi ad un bambino che andava alle elementari.
Aveva insegnato a Nichetto la briscola e la scopa così bene che il bambinetto era più bravo a vincere le partite che a fare i pensierini che gli assegnava a scuola la madre Teodosia.
Giani parlava poco, lavorava sempre; non c’era giorno di chiusura settimanale per tutta la stagione e nell’inverno quando di turisti non ce ne erano si trovava qualche impegno per non perdere il vizio di lavorare.
L’esperienza della Russia però lo aveva provato e gli aveva lasciato dentro un male che lo tormentava.
Così comincio la trafila dei ricoveri, degli accertamenti clinici e dei consulti.
Quando non lavora si ricoverava in Ospedale.
La sofferenza provata nella campagna di guerra lo ha reso sensibile alle disgrazie altrui.
Se c’era un qualche cliente che si lamentava perché gli affari andavano male lui era il suo primo cliente della giornata.
Giani aveva comperato l’Enciclopedia del ragazzo italiano da Andrea il rappresentante di libri. “Comprime na enciclopedia Giani go bisogno de lavorar” gli continuava a ripetere.
 “Povareto”, diceva Giani, riconoscendo che aveva bisogno di fare una certa produzione anche se allora Nicheto non sapeva ancora leggere "Tanto la te serve.” così giustificava il suo buon cuore.
La stanzetta nuova l’aveva fatta costruire apposta su misura da Gusso, detto anche pialla d’oro, un mitico falegname del trevigiano.
Certo che le misure le aveva prese proprio male: il mobile di ciliegio bianco era troppo grande per essere posto sul lato corto della stanza per questo, dovendolo posizionare sul lato lungo, l’estetica era violata irrimediabilmente.
Il tavolino si era dimostrato subito traballante - le gambe dovevano essere state attaccate con un po’ di colla di dubbia qualità – e non dava l’idea di una eccessiva robustezza, tanto che non sembrava in grado neanche di sostenere un modesto sussidiario delle elementari.
 “El ciama sempre i so amighi e i lo imbrogia sempre” diceva la Felicetta.
“El xe bon” ribadiva paziente.
“El xe tre volte bon” dicevano, invece, quelli più duri di cuore.


Il Bimbo elegante


Giani aveva più facilità rapportarsi con gli adulti che con i bambini.
A lui che aveva molto sofferto era difficile staccarsi dai suoi problemi e dalle sue angosce.
Un bambino, che cosa ne sapeva un bambino, che cosa poteva dire un bambino, che problemi poteva risolvere un bambino?
Sicuramente a Giani di preoccupazioni ne passavano per la testa lui che intuiva che il suo percorso sarebbe finito tra breve.
Cosa avrebbe lasciato a Nichetto e alla Cetta?
Giani comunque si occupava dei piccoli problemi di tutti i giorni e seguiva, seppure dal lavoro, la vita di suo figlio.
In quegli anni non c'era un gran benessere.
Il guardaroba era ridotto all’essenziale si comprava poco. 
Acquisti nei negozi posti sulle Mercerie li facevano solo i signori o il ceto medio in occasioni del tutto speciali.
Le Mercerie erano il luogo preferito per il passeggio.
La Cetta per la cresima di Nicheto aveva deciso di comperare il vestito della cerimonia alle Mercerie dal “Bimbo elegante” gestito dalla signora Nella.
Avevano appena varcato la porta d’ingresso che la signora Nella piccoletta, grassottella con le guance paffute li aveva accolti con un sorriso smagliante.
Strano, aveva pensato Nicheto, non li aveva mai visti prima e sembrava che li conoscesse da sempre.
Non sapeva il ragazzino che i negozianti dovevano essere sempre gentili con i clienti se no era meglio cambiassero mestiere.
“Voria un vestito per la cresima de sto puteo” aveva chiesto la Cetta.
“Sto principe de Galles staria proprio ben a sto bel giovinoto” aveva accennato la signora Nella sventolando sotto il naso dei clienti i suoi braccialetti d’oro e facendo tintinnare gli amuleti che pendevano dal suo polso ingioiellato.
In due secondi la signora Nella aveva inquadrato i clienti e li aveva servito proprio a puntino perché quel vestito a scacchettoni grigi piaceva veramente molto.


La Balila


Unico segno di lusso della famiglia era una Balila nera.
Per Venezia possedere una automobile era un gran lusso soprattutto se non la si usava per lavoro - ma di certo non si navigava nell’oro. La macchina era usata qualche volta la domenica.
Era sempre una gran festa andare in giro con la Balila.
Uscire dall’isola attraversando il Ponte della Libertà era sempre una emozione per Nicheto.
Il Ponte correva parallelo a quello della ferrovia cui era raccordato da una banchina.
Nicheto si divertiva ad immaginare fantasiose gare con i vari treni.
“Dai accelera che lo ciapemo quel treno!” diceva entusiasta cercando di convincere Giani a vincere la gara di velocità.
“Varda la laguna e andemo pian se no i ne da na multa.” Rispondeva Giani sorridendo.
Uscire da Venezia era come abbandonare il passato, la dolcezza dei tuoi ricordi per tuffarsi in un futuro più brutto fatto di fabbriche e di uomini vestiti tutti uguali in tuta azzurrognola da lavoro.
Era questo il progresso che però spazzava via la fadiga dei contadini della terra ferma che erano allora ricompensati dal lavoro dei campi solo con qualche fetta di polenta.
Gli stabilimenti con i loro colori tendenti al grigio intristivano l’ambiente e rendevano meno invitante lasciare la Repubblica del Leone.
Giani amava andare a passeggio in macchina per la campagna veneta a fare merenda nelle osterie.
Durante la guerra era stato camionista.
Guidare per lui non era un problema.
Gli automobilisti veneti erano sempre pronti a prendere in giro i veneziani per la loro scarsa attitudine alla guida dovuta al fatto che difficilmente usavano la macchina per lavoro.
Lo stile di guida di Giani era sicuro ed impediva commenti scherzosi.
Di solito lo scopo della gita era la ricerca delle osterie.
La sua metà preferita era da “Sporco” a Treviso una vecchia locanda dove si poteva gustare sopressa, uova sode, folpeti e baccalà fritto accompagnati da un buon bicchiere di clinton.
La Balila correva veloce nel verde del Terraglio, la strada che porta da Venezia a Treviso, in mezzo a due file ininterrotte di alberi.
Era bello respirare un po’ di profumo di erba e magari fermarsi in qualche posto in campagna a vedere, in primavera, i campi che iniziano a germogliare.
Mangiando e bevendo era facile per Giani socializzazione con gli altri clienti del locale che avevano voglia di partecipare i loro racconti o le loro barzellette per passare in compagnia le ore della festa.


Levico


A marzo Giani aveva venduto la macchina perché i medici gli avevano sconsigliato di guidare visto che la salute peggiorava; per consolarsi quell'estate era andato in vacanza con la famiglia a Levico.
Per Nicheto era stato bello essere in vacanza assieme al lago.
C’era un bel fresco lontano dal caldo vento di scirocco che a Venezia faceva sudare e appiccicava i vestiti alla pelle.
La mattina si alzavano tardi e andavano in riva al lago a fare il bagno.
Nicheto aveva scoperto che l’acqua era dolce e se ne era meravigliato molto perché era abituato a fare il bagno al Lido nell’acqua salata.
C’era molta pace lungo le rive del lago dove anatre e qualche cigno si accostavano senza paura ai bagnanti in un silenzio continuo.
Allo chalet del lago c'era di sera un'orchestra che suonava.
Giani che era un eccellente ballerino ci portava la Cetta che stava seduta e lo guardava mentre lui invitava solo le ballerine più brave e roteava nel valzer con una leggerezza che contraddiceva i suoi cento chili.
Nicheto era orgoglioso di vedere Giani che divorava la pista da ballo e non perdeva un fox trot, l’ultimo ballo di moda, che cambiava sempre ballerine e che si adeguava a tutti i ritmi passando dal valzer al tango dalla beguine al rock n' roll con la massima disinvoltura.
Per Nicheto era una gioia vederlo così felice.
La Cetta era timida e non aveva voluto imparare a ballare, ma a lei piaceva stare seduta accanto alla pista a vedete i ballerini che danzavano e a sentire la musica.



Lourdes


Qualche mese prima è stato in pellegrinaggio a Lourdes.
“Xe belo Lourdes” raccontava.
“Anca se no ti guarisi te dona tanta serenità.” Pensa che ti te fa el bagno nele pisine e ti vien fora suto”
In ricordo aveva portato una effigie della Madonna in plastica di colore azzurro tenue con un gran rosario in mano che conteneva l’acqua benedetta delle piscine.
Nichetto teneva quella statuetta di plastica come una reliquia. Sembrava che la effigie gli raccontasse sempre nuovi particolari di quel viaggio.
Vedeva il fervore nella preghiera dei malati, la loro consolazione per aver partecipato alla processione e la loro speranza quando si immergevano nella fontana confidando nella guarigione. Anche se non guarivano però diceva Giani c'era un gran conforto di essere stati lì e di aver vissuto in quei luoghi.
La statuetta aveva il potere di mantenerlo in contatto con Giani rideva pensando a ciò che li faceva ridere insieme.
Sorrideva pensando a quando Giani lo aiutava a rimettere la pala del gelato e a quando prendevano in giro Zerbetto che perdeva, o faceva finta di perdere, a scopa concedendogli delle scope in maniera spudorata.
Si ricordava di quando Gianni usciva dal bar per vederlo sfrecciare sul monopattino rosso a fare il giro delle carampane: “Dai che ti bati il record!”
Gli gridava.

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