lunedì 18 settembre 2017

foglio matricolare 9/2017 Parte I







FOGLIO MATRICOLARE     


INDICE













Nicheto aveva scoperto nell’Archivio di Stato di Bergamo il foglio matricolare di suo padre Giani.
Il documento confermava che Giani aveva passato la sua infanzia a Serina, dove era nato l’otto ottobre 1916, che era stato chiamato alle armi dal Distretto militare di Bergamo e che era stato richiamato nel 1940 il mese prima della dichiarazione di guerra.
Nel 1942 era stato inviato in Russia e aveva visuto la odissea della Sforzesca che era il suo battaglione.
Degli avvenimenti della guerra di Russia Giani non aveva mai voluto parlare.
Diceva solo che in Russia la guerra era stata durissima e che, tornato in Italia, lui non aveva parteggiato per nessuno.
Lui cercava solo di non fare del male.
Una grande sofferenza traspariva dal suo silenzio.
Nicheto aveva rivissuto la campagna di Russia attraverso i documenti ufficiali ed aveva potuto, ad anni di distanza, rivivere questa tragica esperienza.
Lui aveva voluto ricordare Giani che aveva perso quando era ancora troppo giovane, aveva cercato di immaginare che cosa faceva, che cosa pensava della sua famiglia, dei suoi amici e della gente comune.
L’Autore




Serina


Perché Angelo Centofanti era andato a Serina, perché aveva lasciato la sua Venezia per recarsi in un posto così distante e così lontano dal mare?
I motivi erano contingenti. Il 28 giugno 1914, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este erede al trono d'Austria-Ungheria e la moglie Sophie Chotek von Chotkowa, recatisi a Sarajevo in visita ufficiale, erano stati uccisi da alcuni colpi di pistola sparati dal nazionalista diciannovenne serbo Gavrilo Princip.
Angelo aveva capito subito che da quel momento nulla sarebbe stato facile perché Venezia era troppo vicina al confine con l’Austria.
Vivere a Venezia sarebbe stato oltremodo complicato soprattutto se l’Italia avesse preso una posizione contraria agli imperi centrali.
Quasi un mese dopo l'assassinio di Francesco Ferdinando, l'Austria-Ungheria aveva dichiarato guerra alla Serbia, determinando l'irrimediabile acuirsi della crisi e la progressiva mobilitazione delle potenze europee.
L'Italia si poneva in uno stato di neutralità, attendendo ulteriori sviluppi della situazione. Erano cinque le potenze che ormai erano entrate in guerra: Austria-Ungheria, Germania, Russia, Regno Unito e Francia.
L’Europa era in fiamme ed i quattro cavalieri dell’Apocalisse galoppavano seminando Pestilenza, Guerra, Carestia e Morte.
Filippo Grimani, sindaco di Venezia, scriveva nel novembre 1914 che le principali attività economiche: il traffico portuale, "l'industria del forestiero" e le produzioni artistiche, poche settimane dopo l'inizio delle ostilità in Europa, avevano già subito un contraccolpo gravissimo.
Al declino del movimento commerciale si erano aggiunte le limitazioni alla libera circolazione marittima e all'esercizio della pesca.
Il pericolo delle mine vaganti aveva tenuto lontane le navi dalle coste adriatiche e gran parte del movimento di merci era stato dirottato verso il porto di Genova.
Con l'entrata in guerra dell'Italia contro l’Austria l'attività portuale era cessata completamente.
Venezia, pur non essendo direttamente coinvolta nel conflitto, in quel periodo era l'immagine della rovina: laboratori chiusi; cantieri agonizzanti; banchine inerti; operai disoccupati a centinaia per ogni categoria.
Angelo era giovane e forte.
Era nato nel 1884 a Trani, trasferitosi da giovane a Venezia per lavoro, aveva sposato una veneziana, Roma Gherardi, ed aveva già avuto un primo figlio, Giuseppe.
La Roma era una veneziana autentica nata a Castello; la sua famiglia si era trasferita in Cannaregio nel 1890 stabilendosi lì.
La vita di una famiglia di tre persone era resa difficile dalla mancanza di lavoro e per questo Angelo aveva deciso di andare altrove in cerca di fortuna.
I Gherardi erano biadaioli: nel loro negozio a Cannaregio vendevano farine, formaggi, generi alimentari, salami, prosciutti, olive.
Coll’aggravarsi della crisi il negozio lavorava sempre meno.
Quel poco che riuscivano a vendere lo davano a credito ed il misero guadagno garantiva a stento la sopravvivenza della famiglia e dell’attività.
Tali avvenimenti avevano indotto Angelo a spostarsi verso luoghi apparentemente più sicuri, lontani da Venezia troppo vicina al fronte di guerra.
La Roma piangeva: “No vogio partir, no vogio lasar Venezia e i me veci”.
Angelo era stato irremovibile: “Questa xe a to famegia. Bisogna andar per non morir tutti de fame e per no trovarse col fio in mezo a una guera che riverà presto”.
Tutti avevano paura della guerra contro l’Austria: il confine era vicino.
Questo argomento era riuscito convincere la Roma.
Angelo non capiva perché l'Italia si era alleata all'Austria che dominava il Trentino e l'Alto Adige dove vi era una maggioranza di popolazione italiana; ma questi erano i giochi della politica divertimenti che comprendevano solo i capi.
Solo loro riuscivano ad interpretare gli schemi incomprensibili alla povera gente: è questa la logica del potere.
I poveri diavoli dovevano poi andare a morire in trincea.
Angelo sapeva che con lo scoppio della guerra sarebbe stato chiamato alle armi e questo era stato il motivo in più che lo aveva spinto a tenere almeno la famiglia lontano dal fronte.
La linea del Piave era troppo vicina alla città del leone.
Angelo si era ricordato di un suo cugino che aveva una attività in provincia di Bergamo.
Antonio Centofanti aveva rilevato un piccolo bar di carattere familiare cui aveva aggiunto una cucina e utilizzava alcune stanze del suo grande appartamento sito al piano superiore dell’immobile per affittarle agli scarsi viaggiatori.
Da quando la moglie gli era morta non ce la faceva più a condurla da solo.
Antonio sentita la situazione difficile in cui si trovava Angelo lo aveva invitato a raggiungerlo a Serina; lì ci sarebbe stato un lavoro anche per lui.
Serina era una piccola cittadina di provincia e non c’era il profumo del mare di Venezia. La cittadina distava 50 km da Bergamo. I collegamenti col capoluogo di provincia erano difficili.
Nel febbraio del 1914 quando erano emigrati nel comune di Serina la Roma aveva commentato: “Qua xe proprio campagna”.
Il disgusto del cittadino veneziano per la terraferma si condensava in quell’unica parola. 
La vita risultava monotona per chi non era abituato o non voleva abituarsi ai ritmi molto rallentati dei piccoli paesi.
L’attività non consentiva grandi guadagni ed il territorio era duro ed aspro come il dialetto della sua gente.
L'economia italiana si trovava in una situazione di grave crisi, iniziata già durante la guerra e che si era protratta a lungo; il reddito nazionale netto era sceso drasticamente ed era rimasto per alcuni anni ben al di sotto del livello d'anteguerra.
A Serina era nato Giani. Lo denunciò in comune l’ostetrica Teresa Begnis che lo aveva fatto nascere in casa come si usava allora alle ore 11,30 dell’otto ottobre 1916.
Centofanti Angelo fu Giuseppe aveva allora 32 anni e Roma Gherardi ne aveva 29.
Vivevano in Via Umberto I al numero 50 dove si erano trasferiti da poco da Piazza Fontana.
Al comune non c’era andato Angelo perché al momento della nascita lui era richiamato al servizio militare.
Il momento non era propizio, la prima guerra mondiale era in corso.
Stavano infuriando le battaglie dell’Isonzo e del Pasubio e si annunciava neve per tutto l’inverno.
Giani era un bambino delicato e buono: si faceva volere bene da tutti.
La Roma lavorava alla locanda, i divertimenti erano pochi, si sopravviveva in momenti estremamente duri per tutti.
Avevano pochi rapporti anche con i parenti di Venezia perché il viaggio era lungo ed i collegamenti difficili.
Li era andati a trovare la zia Luigina una sorella della Roma che aveva confermato: “Campagna!”.
La zia era una donna energica, lavoratrice instancabile, si era fermata qualche giorno aiutando la famiglia nel lavoro; ma soprattutto la Roma aveva respirato un po’ di aria di casa.
Il desiderio di ritornare a Venezia era molto forte.



Palazzo Tintoretto.

 
Angelo nel gennaio del 1921 aveva deciso che era giunto il momento di ritornare, visto che la guerra era finita e che a Venezia vi erano  condizioni di lavoro più favorevoli, per il maggior benessere della sua famiglia.
La Roma era entusiasta della notizia.
I Gherardi possedevano una vecchia casa a Cannaregio in Fondamenta dei Mori dove si era liberato un appartamento.
Quella Venezia minore piaceva molto soprattutto alla Roma; era lontana dai turisti ed era abitata solo dai veneziani.
I veneziani erano allegri, “ciacoloni”, sempre pronti a ridere e a scherzare soprattutto davanti ad un’ombra di vino bianco.
I Gherardi erano diventati proprietari di questa augusta dimora un po' decaduta, ma molto veneziana con la sua trifora al secondo piano che si affacciava al Rio della Sensa.
In quella casa aveva vissuto Jacopo Robusti, un famoso pittore veneziano del millecinquecento.
Ad Angelo piaceva la casa del Tintoretto; sapeva vagamente che Robusti era stato un famoso pittore ed aveva abitato e tenuto bottega proprio in quella casa.
Era andato a vedere le grandi tele dipinte dal Tintoretto alla Madonna dell’Orto e alla Scuola Grande di San Rocco, su pressione della Roma, ed era onorato di vivere in quella casa, ma non se ne vantava.
Ad Angelo piaceva soprattutto affacciarsi sul pergolo, che guardava sul canale, al tramonto e fissare il sole che degradava sulla striscia d’acqua del rio. Era per lui un momento magico con quella luce calda che poteva seguire lontano fino ai margini della laguna e ancora più in là verso spazi tutti da immaginare.
Gli piacevano di Venezia l’odore dei canali, le risa delle persone, la confusione dei bacari dove si fermava volentieri per bere un’ombra in compagnia degli amici, il vociare festoso dei turisti che cominciavano ad affluire in città.
Non era più solo nelle valli Bergamasche, isolato, lontano dai centri più abitati della pianura.
Angelo era entrato anche nella gestione del negozio di famiglia dei Gherardi.
Vendevano generi alimentari: farine, formaggi, salami, prosciutti, avevano poi delle olive nere buonissime.
A Giani piacevano tanto; quando andava al negozio immancabilmente se ne mangiava qualcuna tanto che la Roma lo burlava: “Ti me magni tute le olive ostrega!”.
Il negozio era sotto la casa in campo dei Mori proprio: “Casa e botega.”
Si diceva così quando il posto di lavoro era vicinissimo all’abitazione.
Quella attività aveva consentito alla famiglia di prosperare. Loro erano dei piccoli commercianti che col lavoro di una generazione avevano trovato uno spazio nella città.
La vita economica a Venezia era ripresa con la Biennale d’arte iniziata nel 30.
Grazie ai finanziamenti nazionali la città aveva acquistato un rilievo importantissimo fra le manifesta-zioni culturali dell’epoca.
Soprattutto con l’avvio della mostra del Cinema, che era nata nel 32 per iniziativa del Conte Volpi di Misurata, il creatore di Porto Marghera, le prenotazioni dei turisti al Lido avevano ripreso a salire dando impulso al turismo nella città del Leone.
Tutti erano in fermento per l’inaugurazione della Mostra del cinema che si diceva avrebbe riportato i turisti nella città del Leone.
All’oratorio della Madonna dell’Orto Giani giocava a calcio.
Il parroco era proprio bravo aveva realizzato nell’ora-torio per i ragazzi un campo di calcio che per la città era proprio una rarità.
I ragazzini potevano scatenarsi a prendere a calci il pallone tutto il santo giorno.
Angelo invece si era inserito nella banda municipale dove aveva trovato subito posto colla sua tromba.
Angelo era orgoglioso del suo strumento che la Roma teneva sempre lucido accarezzandolo tutti i giorni con una pelle di daino.
Giani andava d’accordo col fratello Bepi che era un po’ più grande di lui e sicuramente meno tranquillo.
Giuseppe aveva due passioni: le donne e le moto.
Dopo che era riuscito ad acquistare a poco prezzo una G.T., la famosa Norge che aveva compiuto l’impresa del raid a capo Nord, Bepi era sempre in giro a correre per la provincia di Venezia e aveva uno straordinario successo con le ragazze.
Giani non si preoccupava e non si faceva un cruccio se doveva supplire qualche volta anche ai suoi turni di lavoro.
Giani era buono.
“ Ti xe tre volte bon” gli diceva la Roma sottolineando che la sua generosità sconfinava  quasi nella dabbenag-gine.
Lui non si curava delle critiche ed agiva come il suo cuore gli comandava.


Il Servizio Militare.


Nel 34 Giani era partito militare. Era nato nell’ottobre del 1916 in piena guerra mondiale ed a diciotto anni era stato chiamato alla leva.
Lui era pieno di gioiose speranze.
Non era molto alto, ma la sua corporatura massiccia contribuiva a renderlo imbattibile a braccio di ferro.
Era giovane e forte, era di bell’aspetto, orgoglioso del suo taglio di capelli alla mascagna come usava allora; piaceva alle donne che invitava a ballare nelle feste.
A Giani piaceva molto danzare.
Lo notavano tutti alle feste nelle balere della provincia, perché da quando saliva in pista non si sedeva mai.
Non perdeva un ballo.
Continuava a girare vorticosamente nella sala a tempo di musica cambiando una ballerina dopo l’altra senza sbagliare un passo.
Il suo ballo preferito era il valzer lento, si muoveva elegantemente e teneva delicatamente la sua ballerina passando dolcemente il braccio sulla sua scapola e la guidava sicuro facendola roteare sulla pista.
Il periodo militare di addestramento non era stato così male, anche se c’erano molte tensioni nel paese e molti erano preoccupati per la furia militare di Hitler e per i fatti che accadevano in Europa.
Le persone gli volevano bene perché era disponibile con gli altri.
Lui affrontava la vita con simpatia e poi si rilassava a ballare quando non era di corvè in caserma.
La vita militare non gli risultava troppo pesante perché era abituato a lavorare in famiglia.
Il 5 maggio 1936 Badoglio era entrato ad Adis Abeba.
A Roma dal balcone di Piazza Venezia quella sera stessa Mussolini aveva annunciato al popolo italiano e al mondo intero che la guerra era finita e che la pace era ristabilita.
Mussolini aveva proclamato entusiasticamente che l’Impero era riapparso su i colli fatali di Roma fra il tripudio generale: sembrava che tutto il paese fosse fascista.
L’Italia stretta intorno al Duce dimenticava il buco finanziario rappresentato dai 12 miliardi che la guerra era costata.
Il conto di Badoglio fu anch’esso salato. Il generale aveva presentato quattro richieste:
Il titolo di duca di Adis Abeba.
Il trattamento economico di vice re a vita.
Il dono di una villa che sarebbe costata all’erario 5 milioni e che gli erano stati versati in contanti.
Solo l’ultima richiesta di promuovere a ministro plenipotenziario di seconda classe il figlio Mario era stata respinta. (Indro Montanelli, Storie d’Italia Vol  7, 2003, 411).
Le gesta africane di Badoglio erano state immortalate nelle strofe della Badoglieide di Nuto Revelli che ben rappresentano le imprese dell’illustre generale.
Giani le aveva imparate alla fine della guerra.
“Ti ricordi l'impresa d'Etiopia
e il ducato di Addis Abeba?
meritavi di prendere l'ameba
ed invece facevi i milion.”
Giani era una persona molto semplice e non capiva come mai i potenti si prendessero tutto mentre il popolo, cui restavano le briciole, applaudiva.
Del pari restava incredulo di fronte alla folla degli italiani che si proclamavano entusiasti per la conquista dell’Impero.
Non aveva idea che molti per conformismo e per incapacità di elaborare una opposizione costruttiva avevano trovato più comodo accodarsi al carro di chi appariva allora vincente.
L’opposizione era ridottissima.
Tutti erano felici per i successi di Mussolini.
Giani era di fondo una persona modesta con istruzione elementare, ma non si spiegava come potesse reggere questo fanatismo per Mussolini che perseguiva una politica imperialista costata il sangue di molti soldati italiani e di molti poveri africani.
Il popolo si accodava al leader vittorioso che incarnava la voglia di vincere che era innata in ciascuno di noi. Così tutti avevano seguito il carro del vincitore pronti ad abbandonarlo nell’ora della disfatta.
L’Europa nel frattempo assisteva ai successi di Adolf Hitler che il primo agosto 1936, aveva dato ufficialmente inizio a Berlino alle XI Olimpiadi. 
Anche lì la maggioranza dei tedeschi tifava per il Fuhrer e le minoranze critiche erano di fatto ridotte al silenzio.
Nel settembre del 36 Giani era stato congedato dal distretto di Bergamo.

Successivamente era stato richiamato alle armi nel maggio del 37 mentre l’Italia impaziente scaldava i muscoli. Il 6 novembre 1937 c’era stata l'adesione del Regno d'Italia al Comintern.
Il bel paese era desideroso di cooperare nella difesa contro le attività sovversive dei comunisti.
Tale accordo aveva dato origine al primo embrione dell'alleanza tripartita, che sarebbe stata formalizzata il 27 settembre 1940.
Nel marzo del 38 la Germania si era annessa l’Austria. Un plebiscito aveva convalidato l’Anschluss.
Fino all’agosto del 38 Giani era rimasto sotto le armi poi era stato messo in congedo illimitato.
Le cose però in Europa andavano male e lui era stato subito richiamato nel settembre del 38.
Era stato iscritto in forza alla guardia di frontiera del distretto militare di Venezia Mestre.
La ferma era finita nel 38.
Giani era felice perché finalmente sembrava che la vita ricominciasse con nuovi presupposti.
Forse non credeva proprio che la guerra fosse scongiurata davvero, però era certo che la divisa, almeno per il momento, non la indossava!

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