sabato 15 aprile 2017

CE. Jean-Claude Juncker. Domande

CE. Jean-Claude Juncker. Domande

Che posizione ha l’Europa in merito alla guerra contro il califfato islamico?
E su Assad? A voler essere meno generici, che posizione hanno su questi temi, uno per uno, i singoli Paesi europei?
Queste domande  sono rivolte a Jean-Claude Juncker e Federica Mogherini — per esempio — che hanno reagito all’iniziativa trumpiana con un balbettio e senza sentirsi in obbligo di rendere esplicita quale debba essere la risposta europea (o anche, ripetiamo, di qualche singolo Paese d’Europa) al lancio di bombe chimiche da parte di uno dei soggetti in combattimento. In particolare se quell’uno è Assad che proprio nel 2013 aveva preso l’impegno di distruggere l’intero arsenale di un tal genere di armi. «Dobbiamo evitare ogni ulteriore attacco», ha sentenziato il presidente della Commissione Ue. Anche se poi, bontà sua, si è sentito in dovere di fare dei distinguo tra attacchi militari e ordigni chimici sui civili.
Giriamo le domande di cui all’inizio all’ex presidente del Consiglio Enrico Letta il quale si è così pronunciato: «Non dobbiamo pensare che Trump ci abbia levato le castagne dal fuoco con il suo attacco alla Siria, al contrario ce le ha messe... La verità è che Trump se n’è infischiato dell’Europa con un pericoloso unilateralismo... Non penso che si possa provare sollievo per un’azione così unilaterale». E quale avrebbe dovuto essere la risposta non unilaterale? A quel che sappiamo l’unica contromisura presa da Bruxelles è stata quella di vietare l’ingresso al Parlamento europeo al vice ministro degli esteri di Damasco, Ayman Soussan. Efficace certo, ma non tale da creare preoccupazioni ad Assad.
Le rivolgiamo, quelle stesse domande, al generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano in Libano, il quale ha definito quella di Trump «un’azione particolarmente imprudente, un comportamento rabbioso non degno del capo del più grande e importante Paese occidentale». E cosa avrebbe dovuto fare Trump? «Meglio sarebbe stato — ha risposto il generale Angioni — se il presidente degli Stati Uniti avesse assunto la guida dei Paesi moderati e profondi fautori della pace mondiale». Ah, ecco!
E le giriamo anche al generale Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e della Difesa, che ha dichiarato di non riuscire a vedere «nessuna finalità politica all’attacco contro la base aerea siriana». Attacco che gli è parso, ha aggiunto, «soltanto un gesto punitivo». Soltanto!
Qui non si capiscono molte cose. Punto primo: come pensiamo sia possibile sconfiggere Daesh? E cosa intendiamo quando ci diciamo impegnati nella guerra all’Isis? Ad ogni evidenza dovrebbe voler dire che — a meno di mandar lì dei soldati — ai «nostri» aerei toccherà bombardare alcuni centri nevralgici finiti nelle «loro» mani. Cercando di colpire obiettivi militari e di risparmiare, tutte le volte che è possibile, i civili. Ma sapendo, a non essere ipocriti, che alla fine tra le vittime, purtroppo, si conteranno molti non combattenti e altrettanti bambini. Se poi qualcuno che in questa specifica guerra si batte dalla «nostra» parte della barricata — è il caso di Assad — disattende provocatoriamente quest’ultima consegna, dovremmo impegnarci a punirlo nei modi più ostentati, ad evitare di doverci un giorno (ma già fin d’ora) considerare corresponsabili dei suoi crimini. Ed è quello che ha fatto Trump, con un’operazione chirurgica, mirata, che, per giunta, ha causato meno di dieci vittime.
E se Trump fa una cosa giusta, come dovremmo reagire? Minimizzando, abbandonandoci a battute di spirito nell’attesa che ne faccia presto una sbagliata così da poter alzare la voce per rimetterci in pace con la nostra coscienza critica? No. A noi sembra più coraggioso quel che hanno fatto negli Stati Uniti alcuni leader repubblicani (John McCain, Lindsay Graham, Marco Rubio), gente che fino a poche ore prima a Trump non ne aveva perdonata una. Così come il capo dei senatori democratici Chuck Schumer e l’ex massimo responsabile della Cia obamiana Leon Panetta. Perfino il guru progressista del New York Times, Nicholas Kristof. Tutte persone che Trump lo hanno combattuto e combatteranno senza tentennamenti. Ma che per un giorno si sono fermate e gli hanno pubblicamente riconosciuto di essere dalla parte della ragione. Lo ha fatto addirittura Hillary Clinton. Andiamo tutti insieme a scuola da loro. Avremo chiaro che questa «guerra mondiale», anche a costo di violentare precedenti convinzioni, dovremmo seguirla senza partito preso, riconoscendo che talvolta può capitare a Putin di fare una scelta efficace e persuasiva, così come talvolta è capitato e capiterà a Trump. E un giorno, forse, capiterà all’Europa, fino ad oggi specialista nel versare ettolitri di lacrime su questo o quel misfatto e nel definire «inaccettabili» le non poche imprese criminali compiute da qualcuno dei contendenti, senza poi sentirsi in dovere di trarre le conseguenze da quella mancata accettazione. Mai, neanche una volta. Paolo Mieli. corriere.it/opinioni/2017_aprile_11



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