mercoledì 26 aprile 2017

Belfort Jordan. The Wolf of Wall Street

Belfort Jordan. The Wolf of Wall Street


L’autobiografia di Jordan Belfort, The Wolf of Wall Street, ha ispirato il film di Martin Scorsese. Leonardo DiCaprio interpreta quel medio borghese del Queens, diventato un giovane protagonista del mondo della finanza negli anni ’90. Così abile a truffare da renderlo miliardario a soli 26 anni. Quei piccoli investitori ignari, ancora oggi, ne pagano le conseguenze. 
“Non c’è nobiltà nella povertà” diceva Belfort continuamente ai suoi collaboratori fin dal 1989, quando fondò la Stratton Oakmont, la sua agenzia di brokeraggio a Long Island, New York, diventata un call center per avviare alcuni investimenti illeciti. Così illeciti da costruirci sopra una vera e propria frode.
Approfittando dell’ingenuità e dell’ignoranza, riuscì a far investire molte persone in Borsa, e così alimentando il fatturato della sua società fino a 25 milioni di dollari a semestre. Montagne di denaro poi dilapidate in droga, sesso e viaggi extralusso.
E oggi come mostra il film nel finale tiene seminari motivazionali, in cui condivide la propria esperienza, insegnando la strategia ‘Staight Line’: una tabella di marcia per concludere un buon affare finanziario; dal primo incontro alla chiusura del contratto. Per la polizia Belfort potrebbe vivere in California con la sua famiglia, mentre altri ipotizzano che sia in Australia per sfuggire alla giustizia e al pagamento di ingenti risarcimenti al governo Usa e alle 1.513 vittime dei suoi raggiri.
La dark comedy di Scorsese è diventata il bersaglio di una polemica, perché accusata di celebrare le gesta di Belfort quasi fosse un eroe.
Scorsese ha risposto alle varie accuse con un comunicato ufficiale, scrivendo: “C’è un tizio di cui vi fidate che vi ruba tutto quello che avete: se non si parla di queste cose, queste cose continueranno ad accadere”.
 “Il film è l’ennesimo tentativo maldestro di rendere simpatico e divertente un mondo di banditi. Ed è ancora più grave farlo in questo momento in cui il Paese si sta riprendendo a fatica da altri inganni di Wall Street. Ma che modello culturale rappresentate? State dalla sua parte, consacrate l’ossessione paranoica per i soldi”.
Il debito di Belfort ammonterebbe a circa 120 milioni di dollari, anche se lui ha dichiarato pubblicamente dalla sua pagina Facebook, che il governo degli Stati Uniti si sta prendendo il 100% dei suoi profitti attuali, derivanti dalla vendita del libro e dai diritti del film. Il risentimento e la sete di giustizia delle numerose vittime appare comprensibile, ma la leggenda che “il cinema rende bello il male” può considerarsi tale. Come ritiene lo stesso procuratore Joel Cohen che inchiodò il Lupo di Wall Street: “L’arte ha il diritto di esprimersi e prendersi licenze, ma appunto deve essere chiaro che è tutta finzione.” ilfattoquotidiano.it/2014/02/07.
I meccanismi adottati dalla Stratton Oakmont per fare soldi erano di diverso tipo, ma con alla base un’idea comune. In pratica Belfort e altri suoi soci compravano azioni di una società, rivendendole poi in massa a una serie di investitori poco informati o male informati da loro. In questo modo il valore delle azioni aumentava repentinamente garantendo un buon ricavo per la Stratton Oakmont grazie alle commissioni sulle vendite azionarie. Dopo poco tempo le azioni si sgonfiavano, con una inevitabile perdita per gli investitori convinti da Belfort e i suoi a comprare.
Grazie a questo sistema Stratton Oakmont si espanse rapidamente, assumendo centinaia di nuovi impiegati. Nel momento di massimo successo aveva circa mille dipendenti, quasi tutti impegnati sul fronte delle vendite. Il film racconta efficacemente la crescita della società da un capannone a una sede più consona, con un grande open space.
In diverse scene del film Belfort sale su un piccolo palco montato nella sede della società e, microfono alla mano, tiene discorsi decisamente sopra le righe per celebrare e motivare i suoi dipendenti. Anche nella realtà il broker teneva spesso discorsi motivazionali, ma erano molto più autocelebrativi rispetto al film.
Finiti gli interventi di Belfort, si tenevano spesso feste sfrenate per i risultati economici ottenuti dalla Stratton Oakmont. Scorsese rende bene quei momenti, con musica, alcolici, droghe e trovate che sono state al centro delle accuse di scarsa moralità del film nelle ultime settimane.
Una delle scene di festa più discusse è quella in cui una impiegata accetta di farsi tagliare a zero i capelli davanti agli altri colleghi, ricevendo in cambio diecimila dollari per rifarsi il seno. L’episodio è raccontato nel libro di Belfort ed è stato confermato da Porush, dicendo che fu probabilmente la cosa peggiore che fecero durante le feste.
All’inizio del film Belfort e un collega lanciano verso un bersaglio un nano, con casco e occhiali da pilota, per giocare a tiro a segno. In realtà, stando a come l’hanno sempre raccontata Belfort e il suo socio Porush, questa particolare disciplina sportiva non fu mai sperimentata.
La società assunse comunque alcuni nani per almeno una festa e in effetti in una riunione fu discussa la possibilità di usarli come proiettili umani, ma non si passò mai ai fatti. ilpost.it/2014/02/14.



Nessun commento:

Posta un commento