giovedì 23 marzo 2017

Modalità di misurazione delle distanze.

. Le distanze tra le costruzioni.


Il codice civile, in materia di distacco fra edifici, ha seguito un preciso criterio, vale a dire impedire che fra due immobili appartenenti a proprietari diversi potessero crearsi le cosiddette intercapedini dannose, vale a dire spazi decisamente ristretti, in cui si riesce difficilmente a penetrare e dove, pertanto, si possono accumulare rifiuti o annidare insetti o animali ecc.

Il codice civile ha congegnato un sistema di distanze mediante il quale questo effetto dannoso sia sempre evitato, ma nel fare ciò ha avuto cura di preservare la parità di trattamento fra proprietari vicini, sì che ciascuno debba sopportare l’identico sacrificio imposto all’altro
(Gambaro 1995, 534).

L’esigenza di prevenire la formazione di intercapedini strette ed insalubri è alla base della normativa introdotta in via generale dall’art. 873 c.c.

La norma ha, pertanto, di mira l’interesse della collettività, fissando imperativamente un distacco fra costruzioni in una misura minima (tre metri) ritenuta sufficiente a soddisfare le esigenze igieniche e di sicurezza degli abitanti. In questa prospettiva emerge con chiarezza la funzione sociale dei limiti posti al diritto di proprietà in materia di distanze fra costruzioni e la sostanziale inesattezza delle tesi che vedono in tali limiti il concretarsi di servitù.
(Galletto 1990, 464).

Per intercapedine si intende uno spazio vuoto e scoperto fra due fabbricati, esposto alle intemperie e tale da creare pericolo per l’igiene e la sicurezza dei medesimi.
L’art. 873 c.c. stabilisce una presunzione iuris o de iure di dannosità o pericolosità delle intercapedini inferiori ai tre metri, considerando lecito, peraltro, che tale misura minima possa essere aumentata nei regolamenti locali. 
Di conseguenza, nel caso che venga accertata la violazione delle distanze fra costruzioni, secondo una corretta interpretazione della norma, deve essere preclusa al giudice ogni indagine per verificare se l’intercapedine in questione rechi pregiudizio per l’igiene e la sicurezza.
E’, infatti, la stessa legge che afferma che solamente con il rispetto di determinate distanze fra costruzioni viene garantita la finalità sociale che la normativa si prefigge di conseguire.
Il meccanismo adottato in materia dal codice civile è sì sofisticato, ma anche limitato a quei settori che sono tradizionalmente considerati dal diritto privato.
E’, però, indubbio che la disciplina che detta le norme per le costruzioni deriva dai procedimenti pianificatori che rientrano nel governo del territorio.
La disciplina della proprietà è compresa nello schema della pianificazione territoriale, che prevede una serie di procedimenti che portano ad atti conformativi della proprietà dei singoli beni, come del resto determina l’art. 869 c.c.      
Nella visione tipica dei rapporti di vicinato ogni privilegio, potere ed immunità su ciascun bene attribuito dall’ordinamento al suo proprietario deve essere automaticamente attribuito al bene del suo vicino, visto che, inevitabilmente, a ogni proprietà vengono date forma e proporzioni anche in funzione di quella vicina.
La dottrina attuale scinde decisamente pubblico e privato, per cui le relazioni che riguardano la conformazione della proprietà dei singoli beni sono divise, considerando rapporti di diritto pubblico quelli che intercorrono fra il singolo privato e la p.a. e, invece, rapporti di diritto privato quelli che intercorrono fra vicini.

La ratio delle norme civilistiche è sempre stata indicata nella disciplina dei rapporti di vicinato, con la conseguenza di negare alle stesse la rilevanza pubblicistica, che si sarebbe dovuto loro riconoscere, qualora le stesse, in quanto contenute nella normazione urbanistica, fossero state ritenute poste a tutela di interessi generali
(Pagliari 1998, 298).

Da questa contrapposizione base ne nascono altre, come quella, ad esempio, fra disciplina delle costruzioni integrativa e non integrativa delle norme del codice civile, per cui vi è attrito tra le conseguenze operative che si vogliono trarre dalla divisione tra pubblico e privato e dal concetto di proprietà conformata.
La conseguenza peggiore, tuttavia, è che ogni volta viene messo in discussione il principio della parità di trattamento, mantenuta dal codice civile, che deve essere rispettato anche quando si ricorra ad altre forme tecniche di conformazione della proprietà edilizia.
I proprietari confinanti che devono costruire edifici ad una stessa distanza possono o erigerli in aderenza o distanziare i due immobili di almeno tre metri l’uno dall’altro.
Il codice non prevede l’obbligo per i proprietari di accordarsi in tal senso, ma stabilisce un meccanismo quasi automatico che permette di operare senza tale necessità.
Naturalmente i proprietari confinanti possono accordarsi di propria iniziativa.   







































4. Modalità di misurazione delle distanze.


Criterio fondamentale per la misurazione è che la distanza legale fra la costruzione ed il confine o un altro fabbricato deve essere rispettata in ogni punto della stessa costruzione.
Altro criterio è la necessità di considerare sempre gli edifici esistenti nel terreno limitrofo, anche se gli strumenti urbanistici ne prevedano la demolizione e la ricostruzione.
Fa eccezione il caso in cui sia già stato emesso un ordine di abbattimento.
Qualora esistano rientranze e sporgenze il calcolo delle distanze si fa più problematico.

Nell’ipotesi di fondi separati dal terreno di un terzo, largo meno del prescritto distacco minimo, la giurisprudenza ha negato che per il computo delle distanze occorra rendere i fondi idealmente confinanti sulla mezzeria del terreno che li separa, in quanto, invece, la distanza va calcolata dal confine che separa il terreno intermedio dall’altro fondo
(Galletto 1990, 468).

La giurisprudenza consente solo un’interpretazione tassativa delle norme sulle distanze.
Se il fabbricato non segue una linea retta la distanza prevista deve essere computata in corrispondenza delle rientranze e sporgenze del fabbricato costruito per primo, non essendo consentita una linea media che compensi rientranze e sporgenze.

Quando le norme sulle distanze devono osservarsi rispetto ad un'altra costruzione realizzata non secondo una linea retta, ma secondo una linea spezzata non è giuridicamente configurabile una distanza media rispetto alle rientranze e sporgenze della costruzione di riferimento, come effetto della compensazione tra distanze minime e massime dalla stessa.
Fattispecie relativa alla norma di cui al programma di fabbricazione del comune di Loro Piano la quale prescrive fra le costruzioni un distacco minimo di metri 10 e centimetri 40
(Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1998, n. 2975, FI, 1998, I, 2469).

Quando una costruzione sia stata realizzata non già lungo una linea retta, ma lungo una linea spezzata, ora coincidente con il confine, ora no, il vicino deve rispettare le distanze imposte dalla legge computate dalle sporgenze e rientranze dell'altrui fabbricato.
Quando tali distanze siano state osservate, non sono configurabili nuove intercapedini vietate e sussiste l'interesse del proprietario che abbia costruito per primo affinché i distacchi siano mantenuti da ciascun punto del suo edificio
(Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1993, n. 12419, GCM, 1993).


Nessun commento:

Posta un commento