giovedì 23 marzo 2017

Il condono edilizio e i diritti dei terzi.

1.      Il condono edilizio e i diritti dei terzi.


La legittimità, sotto il profilo amministrativo, del provvedimento concessorio non vale a sanare l’illecito civile conseguente al mancato rispetto della disciplina delle distanze (Francario 1991, 161).
L’autonomia della tutela civile rispetto a quella amministrativa è stata ribadita dalla dottrina.

I diritti dei terzi, eventualmente anche volti ad impedire la costruzione o ad ottenere il risarcimento dei danni, per violazione di norme urbanistiche integrative del codice civile, rimangono impregiudicati dal rilascio della concessione o della autorizzazione, sia che in esse sia apposta la clausola “salvi i diritti dei terzi” sia che essa manchi
(Mengoli 1997, 869).

La giurisprudenza è unanime nel ritenere che la l. 28 febbraio 1985, n. 47, di sanatoria delle opere edilizie abusive, esplica effetti soltanto nei rapporti tra privato costruttore e p.a. e non anche nei rapporti tra privati.
Le conseguenze delle violazioni edilizie si sviluppano su due piani ben distinti di rapporti giuridici: uno, pubblicistico, tra il soggetto costruttore e gli organi pubblici amministrativi preposti alla prevenzione e alla repressione degli illeciti, l'altro, privatistico, tra lo stesso soggetto e i titolari di diritti soggettivi che possono rimanere lesi dall'attività edificatoria del primo.
Questi due ordini di rapporti, di regola, non interferiscono tra loro, in quanto, come, da un lato, la approvazione di un progetto edilizio e la connessa concessione amministrativa in sanatoria non legittimano violazioni giuridiche a danno di terzi, così non sono di ostacolo alla conseguente azione degli interessati nella sede opportuna per accertare il mancato rispetto delle norme a tutela delle distanze.

Quando le distanze sono stabilite da fonti secondarie, quale il piano regolatore, non è consentito alle parti di derogare alla normativa speciale e l'eventuale condono edilizio ottenuto, in quanto intercorrente soltanto tra il privato costruttore e la p.a. non priva il vicino (che è terzo) del potere di pretendere l'osservanza della distanza stabilita dallo strumento urbanistico
(Cass. civ., sez. II, 28 dicembre 1999, n. 14600, GCM, 1999, 2631).

La sanatoria edilizia di cui all'art. 31, l. 28 febbraio 1985, n. 47, opera nei rapporti fra l'autore della costruzione e la pubblica amministrazione, perseguendo soltanto l'effetto di conservare l'opera costruita abusivamente e di sottrarre l'autore della relativa violazione alle sanzioni a questa conseguenti, ma non comporta una modifica della disciplina urbanistica, né, di conseguenza, fa venire meno la contrarietà della costruzione alle norme che regolano i rapporti fra privati in materia di distanze nelle costruzioni contenute nel codice civile o di questo integrative
(Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1997, n. 4438, GCM, 1997, 786).

Il fatto che il rilascio della concessione in sanatoria precluda all’amministrazione la facoltà di agire attraverso provvedimenti repressivi che sanzionano un comportamento illegittimo non impedisce al confinante di promuovere il giudizio ove sia stato pregiudicato un suo diritto in ordine alla disciplina delle distanze.

La l. 28 febbraio 1985, n. 47, cosiddetta sul condono edilizio, è volta, a tutela del pubblico interesse, a regolarizzare, in certi casi e a determinate condizioni, le violazioni edilizie; il fatto che, adempiute tali condizioni, la pubblica amministrazione non possa più applicare le misure sanzionatorie previste, non incide negativamente sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dall'attività edilizia oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1987, n. 3497, RGE, 1988, I, 78).

Del pari l’azione civile non può comportare effetti amministrativi (Fusco 1988, 2).
Il terzo non può, infatti, chiedere al comune di irrogare le sanzioni amministrative qualora sia stato richiesto ed ottenuto il condono edilizio.
Il terzo danneggiato dalla costruzione abusiva che ne abbia interesse può, però, opporsi al rilascio della concessione in sanatoria con i rimedi amministrativi, impugnando tale provvedimento.
In ogni caso l’art. 39, 2° co., l. n. 724 del 1994 pone un ulteriore limite alla facoltà di chiedere la sanatoria.

2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime, a meno che queste ultime non siano conformi e compatibili sia con lo strumento urbanistico approvato che con quello adottato, o che siano state realizzate su parti comuni
(art. 39, 2° co., l. n. 724 del 1994).

Il limite è posto, come precisa la circ. 17 giugno 1995, n. 2241, par. 2.3, a tutela dei diritti dei terzi, in relazione alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime ovvero che siano state realizzate su proprietà comuni.

La locuzione "limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime" - contenuta nell'art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 - non può intendersi come riferita alla sola restrizione della capacità edificatoria dei suoli confinanti, ma include ogni forma di pregiudizio giuridicamente rilevante che i proprietari dei suoli limitrofi, in quanto tali, subiscono nella fruizione del bene, ivi compresa, pertanto, anche quella conseguente alla inosservanza della disciplina regolamentare in materia di distanze legali
(Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 1997, n. 1487, UA, 1998, 767, nota Ruffino).

Non possono essere sanate le opere che, in violazione alle prescrizioni urbanistiche, quali piani regolatori e forme di attuazione, e di quelle edilizie, quali i regolamenti, sono state realizzate senza tenere conto della normativa relativa alle distanze fra le costruzioni, la cui violazione dà la facoltà a chi ha subito il danno di richiedere la riduzione in pristino.
La norma è stata successivamente modificata senza porre ulteriori limiti di legittimità al rilascio della concessione in sanatoria, ma ribadendo che detto provvedimento amministrativo non può comprimere i diritti dei terzi i quali possono sempre ricorrere, anche dopo il provvedimento in sanatoria, alla giustizia ordinaria.
2. Il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi
(art. 39, 2° co., l. n. 724 del 1994, mod. art. 2, 37° co., lett. c), l. n. 662/l996).




















2.       La violazione della disciplina delle distanze e il rilascio del permesso di costruzione in sanatoria. L’interpretazione giurisprudenziale.



La giurisprudenza si è divisa sul ritenere che la violazione della disciplina delle distanze consenta o meno il rilascio della concessione, ora permesso di costruzione, in sanatoria.
Un indirizzo ritiene che la violazione delle norme sulle distanze impedisca il rilascio della concessione in sanatoria .

Le limitazioni di carattere urbanistico alle proprietà finitime, impeditive della sanatoria delle opere edilizie abusive, concernono la normativa integrativa delle previsioni del codice civile sulle distanze non solo dalle costruzioni, ma anche dai confini, la cui violazione darebbe facoltà a colui che ha subito il pregiudizio di chiedere la riduzione in pristino
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 15 ottobre 1996, n. 864, RGE, 1997, I, 108).

Un altro indirizzo ha, invece, affermato che il condono edilizio è volto a regolare i rapporti tra privato costruttore e pubblica amministrazione, ma fa sempre salvi i diritti dei terzi.
Conseguentemente i provvedimenti di concessione in sanatoria non privano i proprietari dei fondi contigui del potere di fare valere la violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni, consentendo loro di chiedere, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive o il risarcimento dei danni.
La violazione delle norme sulle distanze fra edifici non può impedire il rilascio del condono edilizio, ma i terzi posso agire in sede civile per la loro tutela.

In tema di distanze, l'art. 35 del regolamento edilizio del comune di Pistoia, il quale prescrive che "per tutte le nuove costruzioni, escluse quelle da eseguire nelle zone di completamento, dovrà essere osservata una distanza minima di m. cinque dal confine del lotto di pertinenza.
Tale distanza dovrà essere osservata anche dal confine di zona; la norma è, quindi, applicabile anche alle costruzioni compiute in zona agricola.
Né può ritenersi che il condono con il quale l'Amministrazione pubblica abbia concesso al privato di destinare ad abitazione civile la costruzione eseguita in zona agricola, determini l'urbanizzazione della porzione di area agricola occupata dall'immobile e la conseguente legittimità dell'opera eseguita sul confine con la residua superficie agricola, in applicazione di quanto disposto dagli artt. 8 delle norme di attuazione del piano regolatore generale e 39 lettera D) del regolamento edilizio comunale, per i quali "quando il confine del lotto coincide con il limite di zona, oltre il quale si trovi la zona agricola, è consentito costruire sul confine del lotto".
Il condono, infatti, inerisce al solo rapporto pubblicistico fra la amministrazione pubblica e il privato costruttore, ma non incide sui rapporti fra quest'ultimo e i vicini, i quali conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino in caso di inosservanza delle norme sulle distanze.
(Cass. civ., sez. II, 7 luglio 2000, n. 9101, GCM, 2000, 1517).

Il proprietario confinante deve, quindi, calibrare le azioni da intraprendere.
Egli non deve agire davanti alla giurisdizione amministrativa per chiedere un provvedimento di annullamento della concessione in sanatoria, ma deve citare il concessionario in sanatoria presso il giudice ordinario per chiedere la riduzione in pristino allo scopo di adeguare la posizione del fabbricato alla disciplina delle distanze.

La sanatoria prevista dagli artt. 31 ss., l. 28 febbraio 1985, n. 47, e 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, (cosiddetto condono edilizio) inerendo al rapporto fra p.a. e privato costruttore, non ha alcuna incidenza nei rapporti fra privati, non vale a mutare la normativa in concreto applicabile e non priva il proprietario del fondo contiguo leso dalla violazione delle norme urbanistiche edilizie, del diritto di chiedere ed ottenere l'abbattimento o l'arretramento dell'opera illegittima
(Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1999, n. 2658, GCM, 1999, 640).

Ai sensi dell'art. 39, l. n. 724 del 1994, così come modificato dall’art. 2, 37° co., lett. c), l. n. 662 del 1996, la violazione delle norme in tema di distanze tra gli edifici non è causa di preclusione del condono, salvo il diritto dei proprietari dei fondi finitimi direttamente lesi dalla violazione delle distanze legali di fare valere tale violazione in sede di giurisdizione civile.
E’ legittimo il condono edilizio rilasciato in relazione ad un intervento abusivo che violi le norme sulle distanze rispetto agli edifici finitimi
(Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 1306, UA, 1999, 283, nota Bassani).

Anche a seguito dell'introduzione dell'art. 2, 37° co., lett. c), l. 23 dicembre 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, 2° co., l. 23 dicembre 1994, n. 724, il condono edilizio può essere concesso per quei fabbricati che non comportino limitazioni ai diritti dei terzi e comunque non privino il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme sulle distanze legali, del suo diritto di chiedere ed ottenere l'abbattimento delle opere illegittime
(Pret. Salerno, 20 marzo 1997, GM, 1998, 233).

E’ precluso anche il suo intervento nel processo penale che, per effetto della concessione in sanatoria, ora permesso di costruire, è destinato ad essere sospeso e successivamente ad estinguersi col rilascio del provvedimento.

La regolarizzazione di una costruzione mediante il cosiddetto condono delle violazioni di norme urbanistiche di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, esplica effetti soltanto sul piano pubblicistico precludendo alla p.a. l'applicazione delle sanzioni previste, ma non incide sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dall'attività costruttiva oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1998, n. 4355, GCM, 1998, 900).

La regolarizzazione di una costruzione mediante condono delle violazioni edilizie esplica effetto soltanto sul piano pubblicistico, precludendo alla p.a. l'applicazione delle sanzioni previste, ma non incide in alcun modo sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dall'attività costruttiva oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1995, n. 4270, GCM, 1995, 835).

Evidentemente non può derivare nessuna conseguenza processuale dal fatto che il terzo si sia attivato nella presentazione di una istanza di condono nel procedimento civile in corso tendente ad ottenere un provvedimento di adeguamento alla disciplina delle distanze.
L’eventuale rilascio di una concessione in sanatoria non acquista alcun significato giuridico nel procedimento civile per cui il giudice non ha alcuna ragione per concedere la sospensione richiesta, ex art. 44, l. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha alcuna attinenza con questo giudizio civile.

La l. 28 febbraio 1985, n. 47, di sanatoria delle opere edilizie abusive, esplica effetti soltanto nei rapporti tra privato costruttore e p.a. e non anche nei rapporti tra privati, onde il procedimento finitimo, ed avente ad oggetto la violazione delle distanze legali, non può essere sospeso, ai sensi dell'art. 44 stessa legge, per permettere al primo di presentare l'istanza di sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1987, n. 3497, RGE, 1988, I, 78).












3.      La legislazione urbanistica sopravvenuta.


La normativa edilizia applicabile in materia di distanze è quella vigente al momento di inizio dei lavori.
Il continuo evolversi della legislazione in senso restrittivo rispetto all’intervento edilizio, che deve rapportarsi di continuo agli standard urbanistici introdotti dalla normativa, comporta che la costruzione deve essere conforme alla attuale normativa di piano.

Non rileva che l'erigenda costruzione sia conforme alla concessione edilizia rilasciata in base al P.R.G. previgente perché anzi il provvedimento concessorio decade se la costruzione non è iniziata prima dell'entrata in vigore della normativa sopravvenuta e non è compiuta nel triennio successivo.
In particolare poi deve applicarsi la normativa che disciplina le distanze tra costruzioni anche se la p.a. ha ordinato la demolizione di quella già esistente, ma il relativo provvedimento è stato impugnato
(Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1999, n. 14022, GCM, 1999, 2530).

Il proprietario di una costruzione che intenda avanzarla in appoggio o in aderenza a quella del vicino per evitare di doverla arretrare, in conseguenza della normativa applicabile sulle distanze tra edifici, deve osservare il regolamento edilizio applicabile nella zona interessata, e vigente non già al momento della costruzione che già esiste, bensì al momento della realizzazione dell'aumento di volumetria della stessa, configurante a tal fine nuova costruzione, indipendentemente dalla sua utilizzabilità a fini abitativi
(Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1999, n. 1564, GCM, 1999, 390).

Una volta rilasciata la concessione, ora permesso di costruzione, essa non può essere revocata sulla base di nuove previsioni urbanistiche più restrittive, sempre che i lavori siano iniziati dopo il rilascio della concessione.

Le prescrizioni urbanistiche intervenute in epoca successiva al rilascio di una concessione edilizia non sono influenti ai fini della legittimità o meno della concessione stessa, poiché il riscontro di legittimità va operato con esclusivo riferimento alle prescrizioni vigenti al momento del suo rilascio (o, al più, alla data di inizio dei lavori), e non a quelle sopravvenute
(Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1999, n. 6093, GCM, 1999, 1425).

Se i lavori, già autorizzati da concessione, ora permesso di costruire, non sono iniziati, questi decadono, qualora entrino in vigore nuove previsioni urbanistiche in contrasto con le concessioni precedentemente rilasciate secondo la previsione dell’art. art. 31, 11° co., l. 17 agosto 1942, n. 1150, ripreso dal testo unico sull’edilizia.

Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio
(art. 15, 4° co., l. 6 giugno 2001, n. 380).

Non basta la semplice adozione di nuovi strumenti urbanistici o di varianti, alla quale si riconnette l’applicazione delle misure di salvaguardia con la esclusione del rilascio di nuove concessioni in difformità, ma, perché il provvedimento già emesso decada, è necessaria la loro relativa approvazione (T.A.R. Trentino Alto Adige, 1.8.1991, n. 338, T.A.R., 1991, 3487).
Se i lavori sono iniziati, devono essere ultimati nel termine perentorio di tre anni, ai sensi dell’art. 15, 2° co., l. 6 giugno 2001, n. 380.
La decadenza dei provvedimenti è stata ricollegata da alcune leggi regionali, vedi ad esempio la l. r. Lombardia n. 51/1975, allo stesso momento dell’entrata in vigore della legge, che opera in termini di salvaguardia per il rilascio di nuova concessione, mentre, per quelle già rilasciate, vigono i principi generali prima esaminati.
In teoria, può verificarsi l’ipotesi contraria che vengano approvate previsioni urbanistiche più favorevoli, anche se difficilmente è ipotizzabile che diminuiscano i valori delle distanze da imporre tra i fabbricati.
In tal caso i provvedimenti sanzionatori comunali non possono essere adottati stante la possibilità di sanare successivamente le costruzioni realizzate.

Poiché le norme edilizie operano in funzione di attuazione dell'assetto urbanistico ritenuto conforme alle esigenze attuali o future, allorché sopravvenga una nuova regolamentazione edilizia più favorevole, le costruzioni iniziate o compiute in violazione della regolamentazione edilizia in precedenza vigente devono ritenersi legittime, salva soltanto la responsabilità per danni pro tempore maturati fino all'entrata in vigore della nuova normativa
(Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 1995, n. 12458, GCM, 1995).

La disciplina urbanistica sopravvenuta non subisce variazioni qualora il proprietario preveniente abbia costruito sulla base delle possibilità afferte dalla previgente normativa civilistica.
Il principio di cosiddetta reciprocità che costituisce un caposaldo nella disciplina delle distanze fra le costruzioni, presuppone, per la sua possibilità di operare, l'esecuzione di entrambe le costruzioni sotto il vigore di una medesima normativa.
In caso, invece, di successione di normative nel tempo, anche se la sopravvenienza della nuova disciplina di uno strumento urbanistico determini una situazione svantaggiosa per il secondo costruttore, questi dovrà sempre rispettare nella sua interezza la norma in vigore.
La nuova disposizione di piano non potrà - per suo conto - invece incidere in alcun modo sulla vantaggiosa posizione già acquisita dal vicino in base alla disciplina antecedente, essendo precluso sia in via amministrativa sia in termini di tutela contenziosa un adeguamento alle nuove norme.

Qualora il proprietario di un terreno abbia costruito sul proprio fondo nel vigore della disciplina del codice civile sulle distanze osservando le relative prescrizioni, il proprietario del fondo confinante, che su di esso voglia successivamente edificare, deve rispettare per intero la distanza imposta dalle disposizioni dello strumento urbanistico sopravvenuto - piano regolatore o regolamento edilizio) senza poter vantare, per eluderla, alcun diritto acquisito in base alla normativa anteriore

(Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1998, n. 986, GI, 1998, 1559, nota Villani).

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