giovedì 23 marzo 2017

Il codice civile. Le distanze

2. Il codice civile.

Le distanze da tenere fra le proprietà confinanti sono disciplinate dal codice civile nel libro III, titolo I, capitolo I, sezioni V e VI.
La dottrina comprende tale disciplina fra le norme che definiscono i rapporti di vicinato ossia i rapporti che regolano il godimento degli immobili in relazione a quelli ad essi confinanti od adiacenti.
Sostanzialmente è una disciplina che limita, nel rispetto dei diritti del confinante, le possibilità di utilizzo e di godimento del proprietario.

La disciplina dei rapporti di vicinato sancisce limiti alla proprietà fondiaria nel rispetto reciproco dei proprietari, a tutela, quindi, di interessi privati.
Le norme di vicinato possono, tuttavia, rispondere anche a finalità pubbliche, come le norme sulle istanze nelle costruzioni. Esse acquistano, allora, carattere di inderogabilità
(Bianca 1999, 227).

Nella Relazione al Codice civile del 1942 si afferma che la normativa del c.c. che disciplina le distanze fra costruzioni è determinata da due regole fondamentali, già presenti nel precedente codice del 1865: l’obbligo di rispettare fra costruzioni su fondi confinanti la distanza di tre metri o quella maggiore stabilita dai regolamenti locali e il diritto di chiedere la comunione del muro costruito dal vicino sul confine o a distanza minore della metà di quella che deve intercorrere fra costruzioni (Galletto 1990, 453).
La dottrina ha accolto con favore la collocazione data alla materia nel nuovo codice, visto che veniva accentuata la distinzione fra le limitazioni legali della proprietà e la servitù.
Non è stato tuttavia pacifico valutare se le limitazioni legali riguardanti i rapporti di vicinato, previste nel codice del 1942, siano assimilabili o meno alle servitù coattive. 
La maggioranza degli autori ribadisce che le limitazioni legali della proprietà si differenziano dalla servitù dato che il potere attribuito al proprietario del fondo confinante deriva dallo stesso diritto di proprietà e non da un diritto a sé stante.
I suddetti istituti si distinguono, inoltre, poiché i rapporti di vicinato hanno carattere statico, in quanto sono intesi a prevenire i conflitti fra più proprietari, mentre le servitù coattive hanno un carattere dinamico, in quanto hanno lo scopo di favorire un migliore sfruttamento del suolo e di accrescerne la produttività.

Le servitù rappresentano uno squilibrio tra due proprietà fondiarie, l’una delle quali (fondo servente) è unilateralmente asservita ad un’altra (fondo dominante) che dall’asservimento ritrae una utilità: da ciò segue che, in ordine a questa utilità, prevale il diritto conferito al proprietario del fondo dominante, mentre solo come elemento consequenziale deriva la limitazione della proprietà del fondo servente.
Al contrario nelle limitazioni legali della proprietà, l’elemento primario è costituito dal limite posto alla proprietà fondiaria; solo come conseguenza deriva il diritto del vicino di pretenderne l’osservanza.
(Albano 1968, 1134).

La normativa civilistica definisce, innanzitutto, il rapporto con le disposizioni fissate dai piani regolatori, stabilendo il limite di efficacia delle stesse norme del c.c., artt. 869 e ss.
L’introduzione delle esigenze pubblicistiche portate dalla pianificazione urbanistica, affermate con l’approvazione della legge urbanistica del 1942, dà un valore minimale a tale normativa; dette norme civilistiche trovano, infatti, vigore solo nel caso che la normativa di piano non disciplini diversamente il regime delle distanze, avuto riguardo alla diversa zonizzazione del territorio comunale.
Lo stesso rinvio alla disciplina delle distanze stabilita dai regolamenti edilizi locali effettuato dall’art. 873 c.c. riveste un significato minimale ai tempi di promulgazione della norma.
Il numero dei comuni con piani regolatori approvati era, infatti, allora di modesta incidenza rispetto al numero di quelli privi di strumenti urbanistici.
L’obbligatorietà di tali piani imposta anche per i comuni di minori dimensioni comporta che la normativa di cui al c.c. ha, oramai, una limitata attuazione.  
Le norme del codice civile si devono applicare, infatti, solo nel caso in cui gli strumenti urbanistici non dispongano espressamente in materia di distanze (Centofanti 2000, 169).

Le costruzioni su fondi confinanti, se non sono unite od aderenti, devono essere tenute ad una distanza non inferiore ai tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore
(art. 873 c.c.).

L’art. 872 c.c. disciplina le conseguenze delle infrazioni alla normativa sulle distanze sancita dalle norme civili e quelle, sicuramente meno gravi, relative alle violazione delle norme amministrative, anche se alcune disposizioni amministrative acquistano la stessa forza vincolante di quelle civilistiche.
La normativa civilistica articola la disciplina sulle distanze  fra le costruzioni consentendo la facoltà di esercizio dello ius aedificandi anche sul confine, ex artt. 873 ss.
L’assoluta parità delle posizioni fra i privati confinanti, cui essa si ispira, determina la possibilità per chi costruisce successivamente di rendere comune il muro realizzato sul confine.
Una dettagliata disciplina è stabilita per le distanze da tenere da pozzi, fabbriche, canali e dagli alberi, ex artt. 889 ss.
Il codice definisce poi il regime delle aperture che si possono realizzare sul fondo del vicino distinguendo fra luci, che consentono il mero passaggio di luce ed aria, e vedute, che, invece, danno la possibilità al vicino di affacciarsi sul fondo altrui, ai sensi degli artt. 900 e ss. c.c.
La dottrina afferma che esse sono delle limitazioni legali alla stessa proprietà (Gambaro 1995, 533).
Secondo la dottrina tali limitazioni hanno sicuramente ad oggetto l’interesse privato dei singoli proprietari.

La disciplina delle distanze è dettata al fine di assicurare l’armonica coesistenza della possibilità del contemporaneo esercizio di più diritti dei singoli proprietari su immobili confinanti o vicini, nonché di assicurare indirettamente bisogni elementari della vita come luce, aria ed acqua, ovvero a tutelare l’igiene delle edifici
(Messineo 1952, 265).

Altri autori considerano la normativa che regola le distanza sotto il profilo oggettivo e affermano come gli scopi primari siano quelli di impedire la costituzione di intercapedini e l'insorgere di situazioni nocive per l’igiene, di prevenire l’insorgere di incendi e di attuare una programmazione edilizia (Terzago e Terzago 2000, 165).
 Le norme di cui al c.c. in materia di distanze non sono limitative dei diritti di proprietà o di libertà in quanto rispondono a principi di generalità e regolano i rapporti di tutti i cittadini.

Le norme che regolano le distanze nelle costruzioni su fondi finitimi, in quanto dettate nell'interesse generale, non si pongono in contrasto con gli artt. 1 e 8 del Protocollo addizionale alla convenzione di salvaguardia dei  diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con l’art. 1, l. 4 agosto 1955, n. 848
(Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1999, n. 4844, GCM, 1999, 1105).


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