giovedì 23 marzo 2017

Gli standard in materia di distanze

1.      Gli standard.


Gli standard in materia di distanze fra i fabbricati venivano fissati successivamente dall’art. 9, d. m. 2 aprile 1968, n. 1444, che attuava le disposizioni impartite dall’art. 17, l. 765/1967.
La disciplina normativa contenuta nell'art. 9, 2° co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, mira ad evitare essenzialmente la creazione di intercapedini in grado di impedire la libera circolazione dell'aria, produttive di insalubrità oltreché riduttive di luminosità, e, pertanto, non autorizzabili per motivi igienico - sanitari.

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche
(art. 9, d. m. 2 aprile 1968).

La norma consente il mantenimento delle distanze preesistenti per le operazioni di risanamento conservativo riguardanti gli interventi sui volumi edificati in precedenza.

La distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate dei fabbricati che i comuni devono osservare, ai sensi dell'art. 9, punto n. 1, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, nella formazione degli strumenti urbanistici, non riguarda il centro storico (zona A), ove pertanto i distacchi possono essere diversi e minori
(Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1999, n. 879, GCM, 1999, 235).

Gli edifici nuovi, anche nelle zone di carattere storico, devono ugualmente rispettare le imposizioni delle nuove distanze, che non possono essere inferiori ai dieci metri.

La distanza minima di dieci metri tra edifici, ex art. 9, d.m. 2 aprile 1968, si applica alla realizzazione di nuovi edifici anche in zona omogenea "A" e può essere derogata soltanto nelle operazioni di risanamento conservativo e nelle ristrutturazioni
(Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1999, n. 280, FA, 1999, 701).

Il d.m. n. 1444 del 1968 pone all'art. 9, 2° co., una prescrizione tassativa ed inderogabile, e cioè che negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona "A" debba essere rispettata in tutti i casi una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e a prescindere dal fatto che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente o che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra.

La norma di un p.r.g. che, in attuazione dell'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, prescrive la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate di fabbricati fronteggiantisi, deve esser osservata anche se soltanto su uno di essi sono aperte le finestre, mentre quello di fronte ha una parete cieca, perché detta norma è volta a stabilire, nell'interesse pubblico, un'idonea intercapedine tra edifici, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza
(Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1999, n. 1984, GCM, 1999, 521. Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1999, n. 1984, GCM, 1999, 521. Cass. civ. sez. II, 3 agosto 1999, n. 8383, GCM, 1999, 1770. Cass. civ., sez. un., 18 febbraio 1997, n. 1486, GCM, 1997, 267).

La giurisprudenza ha ravvisato la necessità di rispettare tale requisito anche per qualsiasi apertura, realizzata ad esempio con una vetrata, che possa essere destinata ad arieggiare.

L'art. 94, lett. c), del programma di fabbricazione del comune di Barisardo prescrive la distanza minima assoluta di m. 8 tra le pareti finestrate di diversi edifici.
Deve conseguentemente ritenersi che violi siffatta prescrizione la facciata di un edificio situata al di sotto di tale distanza e caratterizzata da una vetrata con apertura finalizzata al passaggio di luce e aria che, quindi, ha le caratteristiche tecniche di un tipo di finestra, ex art. 900 c.c.
(Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 1991, n. 618, FA, 1991, 1137).

La norma ha efficacia solo per le costruzioni e non per altri manufatti confinanti, come ad esempio un portico.

L'art. 22, 3° co., del regolamento edilizio del comune di Riposto, il quale ha recepito la disposizione dell'art. 9, 1° co., n. 2), d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, stabilendo una distanza minima di 10 metri da osservarsi per gli edifici di nuova costruzione dalle pareti finestrate degli edifici antistanti, non è applicabile per analogia alla diversa situazione di un portico aperto fronteggiante l'edificio in costruzione.
(Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 13 ottobre 1999, n. 450, CS, 1999, I, 1758).

La disciplina normativa contenuta nell'art. 9, 2° co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 è applicabile anche in caso di sopraelevazione (Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 1999, n. 1565, CS, 1999, I, 1627).
La normativa in materia di distanze è tassativa; le eccezioni al principio dell’obbligatorietà delle distanze minime sono previste solo nel caso di interventi soggetti a pianificazione esecutiva.

L'art. 9, 3° co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente una deroga alle distanze previste dai precedenti commi per gli edifici facenti parte di una lottizzazione convenzionata, può trovare applicazione solo relativamente alle distanze tra costruzioni entrambe facenti parte della lottizzazione
(Cass. civ., Sez. U., 18 febbraio 1997, n. 1486, GCM, 1997, 267).

Le norme sancite dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, fissano le distanze minime da tenere fra le costruzioni e non impediscono l’applicazione di misure superiori da parte degli strumenti urbanistici comunali.

Il d.m. 2 aprile 1968 non preclude ai comuni, nella formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi, la possibilità di rendere più gravosa l'attività costruttiva, in base alle proprie valutazioni degli interessi pubblici da tutelare, prescrivendo un distacco fra edifici che si fronteggino maggiore di quello minimo imposto dal legislatore o imponendo obbligo di osservare sia il distacco minimo inderogabile che una distanza minima dal confine
(Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1998, n. 1132, GCM, 1998, 236).


2.       L’applicabilità della disciplina ai privati.



Le disposizioni del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, riguardano i comuni e non sono immediatamente precettive per i privati, che possono chiedere l’applicazione delle norme civilistiche.
Conformemente al principio della prevenzione temporale, stabilito dall'art. 875 c.c., colui che costruisce per primo, se il suo fondo è situato in un comune sprovvisto di strumenti urbanistici, sceglie la distanza alla quale il vicino che costruirà dopo deve adeguarsi, perché si applica l'art. 873, c.c.,
e non gli artt. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765, e 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, norme programmatiche, vincolanti per i comuni nella formazione degli strumenti urbanistici che devono adottare, non per i privati
(Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1998, n. 4517, GCM, 1998, 934).

Il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 - che all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti fra i privati
(Cass. civ., sez. un., 1 luglio 1997, n. 5889, GI, 1998, 423. Conf. Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1998, n. 12292, GC, 1997, I, 2075, osser. Annunziata).

Il d.m. 2 aprile 1968, con lo stabilire all'art. 9, 1° co., n. 2), il distacco di metri 10 tra fabbricati con pareti finestrate, vincola i comuni tenuti ad adeguarsi a tale norma nell'approvazione dei nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti.
Esso è immediatamente operante nei confronti dei proprietari frontisti solo qualora vi sia un generico riferimento, da parte del regolamento edilizio, a detta fonte normativa.

Un regolamento edilizio che rinvia, per la disciplina delle distanze tra costruzioni, a tutte le disposizioni vigenti in materia, determina l'applicabilità dell'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, se emanato successivamente a tale norma, imponendo quindi l'obbligo della distanza di dieci metri tra pareti finestrate, perché, pur non essendo operante tale norma immediatamente tra privati, obbliga inderogabilmente i comuni ad emanare regolamenti ad essa conformi.
In difetto di recepimento le disposizioni di regolamento sono disapplicabili ai sensi dell'art. 5, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. e), poiché è una norma emanata in attuazione della delega contenuta nell’art. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765
(Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1999, n. 811, GCM, 1999, 204. Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1999, n. 3624, GCM, 1999, 834).

L’interpretazione giurisprudenziale giunge ad indicare la necessità di una applicazione automatica delle disposizioni minime in tema di distanze, fissate dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, di modo che la disposizione diventa immediatamente applicabile anche ai privati senza un recepimento preventivo da parte degli strumenti urbanistici comunali.

Il d.m. 2 aprile 1968, emanato in base all'art. 41 quinquies, l. urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 17 legge ponte 6 agosto 1967, n. 765, con lo stabilire all'art. 9, 1° co., n. 2), il distacco di metri 10 tra fabbricati con pareti finestrate, vincola non solo i comuni tenuti ad adeguarsi a tale norma nell'approvazione dei nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti, ma è immediatamente operante nei confronti dei proprietari frontisti
(Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1999, n. 3624, GCM, 1999, 834).

In tema di distanze tra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui all'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, imponendo limiti edilizi ai comuni nella formazione di strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che la adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata
(Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1999, n. 314, GCM, 1999, 71).

Tutte le concessioni edilizie che consentono costruzioni che non rispettano tale disciplina sono illegittime e danno possibilità al confinante di agire in sede giudiziaria per la demolizione o per il risarcimento del danno arrecato.

Il proprietario di un fabbricato esistente in zona di p.r.g., in cui è applicabile la disciplina prevista dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, che prescrive la distanza non inferiore a dieci metri tra pareti finestrate ed edifici antistanti - costruisce illegittimamente un manufatto finestrato, posto a distanza di meno di dieci metri dal muro divisorio con il contiguo fabbricato perché in tal modo costringe il vicino a non costruire né in aderenza o appoggio al nuovo manufatto, stante il predetto divieto posto dall'art. 9, né a distanza minore di dieci metri, se volesse a sua volta realizzare una parete finestrata
(Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1999, n. 12975, GCM, 1999, 2328).




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