venerdì 24 febbraio 2017

L’azione amministrativa. I principi costituzionali

1                  L’azione amministrativa. I principi costituzionali.



La pubblica amministrazione, intesa come il complesso degli organi dello Stato e degli enti pubblici, agisce attraverso le norme di azione amministrativa per perseguire gli interessi pubblici (Sandulli A. M.
Manuale di diritto amministrativo, 1989, 9).
L’amministrazione è titolare, quindi, del potere decisionale che deve essere esercitato secondo il principio dell’imparzialità e che deve essere teso a garantire il buon andamento della gestione della cosa pubblica, secondo quanto affermato dall’art. 97 della costituzione.
La norma afferma che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Secondo la dottrina l’imparzialità rappresenta il potere–dovere dell’amministrazione di valutare e ponderare gli interessi emergenti nell’ambito del procedimento che per taluni autori devono essere gestiti in modo che la posizione dell’amministrazione e dei privati risulti paritaria ossia che i soggetti siano posti sullo stesso piano
Il buon andamento è definito dalla dottrina come la necessità che l’azione amministrativa raggiunga il perseguimento dell’interesse pubblico con il miglior grado di efficienza.
Imparzialità e buon andamento non andrebbero considerati come principi distinti, ma come due facce di una stessa medaglia, come una endiadi che articola un concetto unitario di legalità. (Cassese S. (a cura di) Diritto amministrativo generale,  2000, I, 955).
L’art. 1, l. 241/1990,mod. art. 7, l.69/2009, ribadisce che l’azione amministrativa deve inoltre ispirarsi ai principi di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità edi  trasparenza nonché a quelli che derivano dall’ordinamento comunitario.
L’azione amministrativa è, dunque, vincolata sia al raggiungimento degli scopi sia al rispetto di parametri meramente formali.
I principi cui l’azione amministrativa deve ispirarsi non attengono, secondo la vecchia classificazione, al tradizionale schema di stretta legalità (competenza, riscontro normativo, finalità prevista dalla legge) ma concernono anche aspetti che finiscono per investire i contenuti sostanziali dell’azione medesima, in quanto si richiede che l’azione amministrativa sia semplice, economica e trasparente  (Bassani M., La riforma del procedimento amministrativo: l’aggiornamento di cui alla l.11.2.2005, n.15, allarga i margini del sindacato di legittimità sugli atti della p.a., in Nuova Rass,. 2005, 442).
Il potere si articola sulla base delle attribuzione delle funzioni, secondo quanto disposto dalla norma che regola l’azione amministrativa.
L’organo monocratico rappresenta la figurazione più semplice dell’esercizio del potere.
L’organo monocratico può essere il legale rappresentante dell’amministrazione oppure può anche essere il funzionario cui è attribuito il potere di manifestare la volontà dell’amministrazione.
L’organo collegiale rappresenta una costruzione più complessa del potere, poiché la volontà dell’amministrazione è soggetta al procedimento amministrativo che disciplina le modalità con le quali l’organo manifesta legittimamente la sua volontà.
Altre volte l’esercizio del potere vede, nella fase decisoria, la presenza di più enti che devono articolare la loro volontà in modo che essa possa fondersi nell’atto ultimo, dando vita ad un provvedimento complesso.
Se il procedimento si articola con la partecipazione di un maggior numero di soggetti si manifesta la possibilità che l’inerzia di taluno di essi condizioni l’emanazione del provvedimento finale.
Altro problema è quello della imputabilità dei comportamenti di tali organi alla amministrazione che attiene alla sfera della responsabilità interna (Giannini M.S., Diritto amministrativo, 1988, 148).
A fronte dell’obbligo di azione amministrativa secondo i principi sopra enunciati dalla costituzione è del tutto non classificabile il comportamento omissivo della p.a.
La dottrina definisce silenzio la mancata risposta della pubblica amministrazione alla richiesta di chi attende da essa un provvedimento amministrativo.
Esso acquista a seconda delle ipotesi formulate dal legislatore e dalla giurisprudenza un particolare significato giuridico.
Poiché detto comportamento è piuttosto frequente nella pratica la normativa ha formulato delle fattispecie nelle quali anche un atteggiamento silente dell’amministrazione può avere degli effetti giuridici al fine di permettere che l’attività condizionata da un provvedimento possa avere luogo.
La dottrina ha considerato il silenzio come l’omissione di qualsiasi comportamento.
Esso non può assumere di per sé alcun significato né positivo né negativo (qui tacet neque negat, neque utique fatetur). Affinché il silenzio possa assumere un determinato significato, costituendo, quindi, una manifestazione tacita dalla quale si possa desumere la volontà dell’amministrazione, deve ricorrere una delle seguenti due ipotesi: 1) che la legge gli attribuisca un valore positivo o negativo 2) che esso si verifichi in circostanze tali da conferirgli il significato di un atto concludente (Virga P., Il provvedimento amministrativo,  1968, 182).
Di per sé stesso il silenzio non esprime alcun significato giuridico.
L’interprete deve ricercare nelle norme il valore che il legislatore dà per ogni singolo procedimento al comportamento silente dell’amministrazione
Il silenzio non è espressivo di alcuna volontà: non è un  atto, ma un semplice fatto, al quale l’ordinamento può ricondurre determinate conseguenze che possono consistere anche nella produzione degli effetti tipici dell’atto non emanato (Cassese S. (a cura di) Diritto amministrativo , op.cit.,  2000, I, 974).
Il procedimento per dare valenza al silenzio è dunque tipico.
Gli effetti del silenzio dell’autorità amministrativa che deve emanare il provvedimento su richiesta di parte o d’ufficio sono disciplinati dal t.u. 3/1957 e dalla l. 241/1990.
Il silenzio acquista rilevanza nella fase preparatoria, ex l. 241/1990.
Gli effetti del silenzio dell’autorità preposta a risolvere le controversie - ossia nel sistema dei ricorsi amministrativi - trova, invece, disciplina nella l. 1199/1971 e nel d.lgs. 104/2010 (Gallo C.E.
Il codice del processo amministrativo:. una prima lettura, in Urb. app. 2010,  1013).



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