giovedì 23 febbraio 2017

La disciplina delle mansioni superiori.

4. La disciplina delle mansioni superiori.

L’art. 52 del D.L.vo 165/2001 disciplina le mansioni del dipendente pubblico, ribadendo che egli deve svolgere i compiti per i quali è stato assunto o quelli corrispondenti alla qualifica superiore che egli abbia conseguito in seguito a promozione per sviluppo di carriera o in seguito ad apposite procedure elettive e concorsuali.
La disciplina della materia dello svolgimento delle mansioni superiori nell'ambito della c.d. contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, quale risultante dall'art.. 52 del d.lg. n. 165 del 2001, ha riconfermato il principio secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore. Cass. Civ., sez. lav., 25 ottobre 2004, n. 20692.
Non vi può essere un inquadramento del dipendente nella qualifica superiore prodotto dal solo fatto che egli svolga effettivamente mansioni superiori a quelle della propria qualifica.
E’ molto dibattuto il problema di come disciplinare lo svolgimento di mansioni superiori e di quanto esso sia rilevante, ferma restando sempre la sua irrilevanza ai fini di un superiore inquadramento.
Una diffusa interpretazione giurisprudenziale giudica irrilevante l’esercizio di compiti superiori a quelle della qualifica sia per quanto riguarda l’inquadramento sia per la retribuzione.
Essa ritiene che ciò non sia di pregiudizio per i dipendenti interessati, in quanto essi non sono tenuti né legittimati a svolgere mansioni diverse da quelle che devono eseguire in base alla loro qualifica. Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n.1036; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 1998, n. 746. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 110.
Il principio che l’esercizio di mansioni superiori, nell’ambito del pubblico impiego, è irrilevante sia da un punto di vista giuridico sia sotto l’aspetto economico – a meno che ciò si verifichi in seguito a una precisa disposizione normativa – è stato affermato anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Cons. Stato, Ad. Pl., 18 novembre 1999, n. 22, in Foro Amm., 1999, 2376.
Nessuna norma, infatti, prevede, in via di principio, che lo svolgimento di mansioni superiori sia retribuibile. Esistono invece, e danno sostegno alla suddetta tesi, specifiche e precise disposizioni che consentono la rilevanza, come espressa eccezione, come ad esempio, in campo sanitario, l’art. 29, D.P.R. 61 del 1979.
L’art. 36 della Costituzione, che afferma il principio in base al quale la retribuzione deve corrispondere alla qualità e quantità del lavoro prestato, non è ritenuto applicabile dalla giurisprudenza, in quanto nel pubblico impiego concorrono altri principi di pari rilevanza costituzionale, vale a dire quelli del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione.
In definitiva, il dipendente, nel pubblico impiego, viene retribuito in base alla formale qualifica che gli viene assegnata.
L’art. 52 del D.L.vo 165 del 2001 consente di adibire eccezionalmente il pubblico dipendente a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore per obiettive esigenze di servizio o nel caso il posto in organico sia vacante – per non più di sei mesi, prorogabili a dodici se sono state iniziate le procedure di copertura del posto vacante – o nel caso si debba sostituire un altro dipendente con diritto alla conservazione del posto – per la durata della relativa assenza.   
Nelle precedenti ipotesi è previsto, ai sensi dell’art. 52, comma 4, del D.L.vo 165 del 2001, il diritto del dipendente al trattamento economico spettante alla qualifica superiore.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.L.vo 165 del 2001, la differenza di retribuzione con la qualifica superiore spetta comunque al lavoratore anche se sia stato incaricato a svolgere mansioni superiori per motivi che non rientrano nelle ipotesi tassativamente previste dalla normativa e, quindi, vi sia un’espressa declaratoria di nullità di tale assegnazione.

E’ il dirigente che ha deciso tale illegittima assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve rispondere del maggior onere economico fatto sopportare all’amministrazione. 

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