martedì 28 febbraio 2017

Il silenzio inadempimento o rifiuto a provvedere

1                   La classificazione del silenzio.



Per il principio della tipizzazione degli atti amministrativi - che vede gli atti imputabili all’amministrazione espressamente disciplinati dalla legge - il silenzio, ossia la mancanza di determinazione su istanze di privati o su procedimenti dovuti all’iniziativa della stessa amministrazione, acquista gli effetti riconosciuti dalla legge speciale dal procedimento medesimo.
La dottrina precisa che affinché il silenzio possa assumere un determinato significato, costituendo quindi una manifestazione tacita di volontà della amministrazione pubblica, occorre che la legge attribuisca ad esso un valore positivo o negativo (cosiddetto silenzio tipizzato) ovvero che si verifichi in circostanze tali da conferirgli il significato di un atto concludente  (Virga P., Diritto amministrativo, Atti e ricorsi,1987, 43).
La dottrina evidenzia che il silenzio può essere classificato in tre diverse categorie, aventi effetti giuridici differenti, a prescindere dalla terminologia usata dal legislatore: il silenzio inadempimento, il silenzio rigetto e il silenzio assenso (Bassi F. Appunti dalle lezioni di diritto amministrativo,  1979, 57).
Il silenzio inadempimento - o rifiuto a provvedere da parte della pubblica amministrazione - si concreta nella mancanza di una decisione su una domanda dell'interessato, fatto che impedisce al richiedente di ottenere un provvedimento e che comporta la necessità di un intervento da parte del soggetto istante per ottenere un provvedimento impugnabile, parificato al diniego (Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti amministrativi, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1299).
Il silenzio rigetto si verifica quando la disposizione di legge sancisce direttamente che, decorso un termine prefissato dal momento della presentazione dell’istanza da parte del richiedente senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, la richiesta medesima si intende rigettata.
La dottrina nota, peraltro, come la giurisprudenza estenda l’esperibilità della misura dell’invito a provvedere entro un termine prestabilito anche qualora l’indicazione normativa preveda ipotesi di silenzio rigetto; per questo viene meno anche il significato di una distinzione (Giannini M.S., Diritto amministrativo,  1988, 773).
Il silenzio accoglimento si verifica, in talune ipotesi tassativamente previste, qualora il silenzio dell’amministrazione sulla domanda del richiedente acquisti, nella dizione del legislatore, effetti positivi.
Altra dottrina classifica la disciplina del silenzio in relazione alla forma di tutela prevista dal legislatore: vi sono, quindi, i rimedi funzionali al giudizio amministrativo e quelli non funzionali.
Fra i rimedi funzionali al giudizio amministrativo è compresa la disciplina del silenzio rifiuto a provvedere e quella del silenzio rigetto; fra quelli non funzionali il silenzio assenso (Lignani P.G. , Silenzio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., XLII, 1990, 573).

2                  Il silenzio inadempimento o rifiuto a provvedere.



Il silenzio inadempimento, o rifiuto a provvedere della pubblica amministrazione, si concreta nell'omessa decisione su una domanda dell'interessato che impedisce al richiedente di ottenere un provvedimento.
La dottrina rileva che il silenzio inadempimento non riguarda tutte le ipotesi di comportamento inerte della p.a. ma solo quelle relative all’esercizio di un potere propriamente amministrativo con l’esclusione quindi degli atti paritetici quale ad esempio l’inadempimento contrattuale (Caringella F., Corso di diritto amministrativo, 2004, 1300).
La norma prevede una procedura articolata nella presentazione da parte dell'interessato di un'istanza all'amministrazione e nella successiva diffida a provvedere entro il termine fissato per procedere alla eventuale azione giudiziaria:
L'omissione di atti o di operazioni, al cui compimento l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve essere fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all'impiegato e all'Amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario.
Quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell'interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa.
Qualora l'atto o l'operazione faccia parte di un procedimento amministrativo, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di compimento dell'atto od operazione precedente ovvero, qualora si tratti di atti od operazioni di competenza di più uffici, dalla data in cui l'atto precedente, oppure la relazione o il verbale della precedente operazione, trasmesso dall'ufficio che ha provveduto, sia pervenuto all'ufficio che deve attendere agli ulteriori incombenti.
Se le leggi ed i regolamenti amministrativi, ovvero i capitolati generali o speciali e i disciplinari di concessione, stabiliscono per il compimento di determinati atti od operazioni termini più brevi o più ampi di quelli previsti dalla legge sull’accesso la diffida è efficace se notificata dopo la scadenza del termine entro il quale gli atti o le operazioni debbono essere compiuti, secondo la specifica norma che li concerne.
Qualora l’amministrazione lasci decorrere i termini assegnati con l’atto di diffida, l’interessato può ricorrere alla giustizia amministrativa per ottenere una sentenza che accerti l’inadempimento e che imponga all’amministrazione di pronunciarsi (Galli R., Corso di diritto amministrativo 1996, 496).
La giurisprudenza ha precisato che nel quadro normativo antecedente per l’impugnabilità del silenzio serbato dalla p.a. rilevavano i principi enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 1978, per i quali, a seguito del decorso di sessanta giorni dalla proposizione di una istanza, l’interessato poteva notificare la diffida e poi proporre il ricorso giurisdizionale, in applicazione analogica dell’art. 25 t. u. n. 3 del 1957. Tale principio andava applicato anche nel caso di mancata rinnovazione del procedimento di pianificazione a seguito della decadenza del vincolo preordinato all’esproprio. (Cons. Stato , sez. IV, 31.7. 2009, n. 4843).



3                  La legge sull’accesso al procedimento amministrativo.



Il regime giuridico del silenzio delle amministrazioni pubbliche evidenzia sicuramente la loro supremazia nel rapporto che intercorre con le parti private per quanto attiene ai procedimenti che iniziano su istanza.
In un procedimento tipico la cui scansione è evidenziata dalla legge, la pubblica amministrazione non può sottrarsi al dovere di emettere un provvedimento che risponda in termini positivi o negativi a quanto richiesto.
A prescindere da evidenti necessità processuali, la risposta all’istanza appare un dovere precipuo dell’amministrazione se essa è davvero al servizio del cittadino.
Tale situazione di non parità, in carenza di una legge generale sul procedimento amministrativo, non ha più giustificazione con l'entrata in vigore della l. 7.8.1990, n. 241, che detta norme generali per il procedimento amministrativo e fissa, all’art. 2, l’obbligo di concludere il procedimento.
La legge consacra il principio dell’obbligo a provvedere entro termini prefissati da regolamenti o, in carenza di questi, entro trenta giorni dalla domanda: all’interprete, quindi, sembrava che non fosse consentito ipotizzare un silenzio inadempimento, ma che fosse possibile solo prevedere un possibile silenzio-diniego che trova sostanzialmente conferma con la consumazione temporale del potere di provvedere.
Un filone giurisprudenziale, invero, ha tentato di classificare l’ipotesi fra quelle di silenzio diniego, affermando che, di fronte al silenzio della pubblica amministrazione, non sono più necessarie, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, la diffida e la messa in mora di cui all'art. 25, t.u. 10.1.1957, n. 3.
Il termine di trenta giorni, fissato dalla l. 241/1990, è considerato essenziale per l'espressa e motivata conclusione del procedimento amministrativo, l'inadempimento di tale obbligo da parte della pubblica amministrazione procedente è in re ipsa, e può quindi essere immediatamente denunciato in via di azione
(T.A.R. Puglia sez. I, Lecce, 25.6.1996, n. 574, in T.A.R., 1996, I, 3458).
Sulla scorta della considerazione che i primi tre commi dell'art. 2, l. 7.8.1990, n. 241, hanno introdotto nell'ordinamento un procedimento di formazione automatica del silenzio - notevolmente diverso rispetto alla sequenza finora utilizzata: 1) istanza del privato; 2) successiva diffida giudizialmente notificata - una giurisprudenza assolutamente minoritaria ritiene non necessaria per l’impugnazione la preventiva diffida.
In base al comma 5 dell'art. 2, l. n. 241 del 1990, come riformulato dalla l. n. 80 del 2005, il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 21 bis, l. 6 .12.1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'Amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 e 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. Sicché, per un verso non è più necessaria la diffida, per altro verso il giudice - quanto meno nei casi di attività non discrezionale dell'Amministrazione - può non limitarsi ad accertare la perdurante inerzia dell'Amministrazione stessa, ma ha la facoltà di verificare la fondatezza sostanziale dell'istanza. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 9.2.2010, n. 808).













4                  Dalla necessità alla facoltà della diffida nell’art.117 d.lgs. 104/2010 .



La prevalente giurisprudenza ha ritenuto che sussista ancora la necessità della diffida per potere procedere all’impugnazione del silenzio rifiuto, ai sensi dell’art. 25 del t.u. 3/1957, anche dopo l'entrata in vigore della l. 7 .8.1990, n. 241.
Ove sussista per la p.a. un obbligo di provvedere in relazione ad una richiesta di parte, il soggetto che sia interessato alla definizione del procedimento attivato per impugnare il relativo silenzio inadempimento, strumentale alla rimozione dell'inerzia amministrativa, ha l'onere di seguire il rigoroso iter ordinario caratterizzato, dalla presentazione di una istanza e dal silenzio protrattosi per almeno sessanta giorni dalla successiva diffida a provvedere entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni, notificata secondo la procedura prevista per gli atti giudiziari. (Cons. Stato , sez. IV, 9.11.2005, n. 6249).
L'art. 2, l. 241 del 1990, è stato successivamente modificato con l'art. 3, d.l. n. 35 del 2005, convertito in l. n. 80 del 2005, il cui comma 5 ha previsto che, una volta scaduti i termini previsti dalla legge o dal regolamento per provvedere su un'istanza del privato, l'impugnazione del silenzio può essere proposta anche senza necessità di diffida all'Amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini. Il venir meno dell'obbligo della diffida ai fini dell'impugnabilità in sede giurisdizionale del silenzio-inadempimento (che era volta a dare un significato tipico al silenzio rifiuto), non esclude la possibilità per il soggetto che ha rivolto un'istanza alla P.A. rimasta inevasa, di far constatare, mediante apposita formale diffida ad adempiere o atto di messa in mora, l'elusione dei doveri provvedimentali della stessa Amministrazione, in vista della sua impugnativa. (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 3.1.2008, n. 11).
Solo in talune fattispecie particolari è richiesta la diffida.
Per quanto riguarda il procedimento di condono edilizio disciplinato dagli artt. 31 ss., l. 28.2.1985, n. 47, l'inutile decorso del termine assegnato all'Autorità comunale per la definizione delle domande di sanatoria presentate dai soggetti interessati al condono degli abusi edilizi comporta il loro accoglimento tacito, l'inutile decorso di tale termine non configura in alcun modo un silenzio rifiuto impugnabile, ex art. 2, comma 5, l. 7.8.1990, n. 241, con la conseguenza che, qualora il soggetto richiedente il condono voglia comunque ottenere una pronuncia espressa sulla relativa domanda per far constatare l'inerzia provvedimentale dell'amministrazione, deve necessariamente diffidare la medesima ad adempiere, in modo da potere attribuire all'eventuale sua ulteriore inerzia un chiaro significato di inadempimento ai doveri di provvedere imposti dalla legge, ai fini della successiva tutela giurisdizionale. (T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 28.12.2006, n. 1557).
Per la giurisprudenza resta comunque ferma la necessità di una formale istanza da parte dell'interessato Ai fini della formazione del silenzio inadempimento, pur non occorrendo alcuna diffida ad adempiere, come stabilito dall'art. 2 comma 4 bis, l. n. 241 del 1990. Solo mediante un simile atto si possono individuare le ragioni da porre alla base dell'asserito obbligo di provvedere e risulta possibile circoscrivere, anche temporalmente, il lamentato comportamento inerte od inadeguato dell'amministrazione, rendendosi possibile, altresì, la concreta verifica delle possibili iniziative, ai fini del soddisfacimento della pretesa del richiedente, che siano state eventualmente intraprese dalla competente autorità. (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 16.6.2008, n. 1944).
L’art. 117 , d.lgs. 104/2010 precisa che i l ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un contro interessato.



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