giovedì 20 ottobre 2016

Attività commerciale . Requisiti scala a chiocciola

Attività commerciale . Requisiti scala a chiocciola

Il Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art. 19 della L. 241/1990, il quale testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge. 
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano, dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico. 
E giacché la conformità a legge dei locali costituisce un necessario presupposto, la cui assenza impedisce lo svolgimento dell’attività commerciale considerata, tale profilo della vicenda risulta assorbente e va considerato per primo. 
Dagli atti di causa risulta che la società ricorrente ha realizzato una struttura in legno, con la quale ha coperto il terrazzo, modificando la sagoma dell’edificio. Le opere realizzate sono visibili dalla strada. In tale modo, come esattamente osserva il Comune nella sua memoria, si è realizzato un primo piano, con superficie di non meno di 58 mq circa, a destinazione commerciale, qual è quella della ristorazione. 
Un siffatto intervento esula dalla previsione dell’art. 20 della L.R. 4/2003, che ribadisce al comma 6 che la realizzazione di verande non può comportare una variazione della destinazione d’uso della superficie modificata, la quale, comunque non può eccedere i 50 mq.. La tesi della società ricorrente secondo cui il comma 7 della norma citata prevede un diverso limite di 60 mq per gli edifici adibiti esclusivamente ad attività commerciali, non ha pregio, giacché ciò è consentito nel caso che vengano realizzate opere per l’adeguamento degli edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico sanitarie, con l’avvertenza che le opere realizzate con tale finalità possono essere regolarizzate previa richiesta di autorizzazione.
Il Collegio rileva, quindi, che le diverse tesi della società ricorrente non possono essere condivise e il motivo di ricorso va rigettato.
Nel provvedimento comunale impugnato si legge che l’accessibilità al solaio di copertura, servito da una scala a chiocciola interna al locale del piano terra, non risulta conforme al D.M. 236 del 14.06.1989 artt. 4 e 8. Il primo giudice ha ritenuto tale motivazione del provvedimento impugnato immune da vizi, ritenendo del tutto irrilevante che la medesima scala fosse stata ritenuta idonea ad un uso privato, “quando il terrazzo non risultava occupato da iniziative commerciali”. 
La ricorrente non rivolge a questo punto della sentenza nessuna censura sostanziale, ma piuttosto lamenta che “il Comune ha affermato l’esistenza di due ragioni di diniego della SCIA, che non aveva incluso fra i motivi ostativi nell’avviso di avvio del procedimento, senza quindi consentire alla ricorrente di presentare le proprie osservazioni, frustrando la finalità partecipativa della norma”. 
Il Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal primo giudice. L’art. 4 del citato decreto 236/1989 prevede espressamente una serie di requisiti che debbono avere le scale degli edifici aperti al pubblico, requisiti che la scala chiocciola non sembra avere né la ricorrente dice che li abbia. Non si vede, quindi, quali osservazioni essa avrebbe potuto presentare al Comune, che si è limitato a richiamare una precisa norma, che non lascia spazio a valutazioni discrezionali. 
Conclusivamente il ricorso va dichiarato infondato e come tale va respinto con assorbimento di ogni altro motivo (C.G.A.R.S., sentenza 18.06.2015 n. 446

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