lunedì 17 ottobre 2016

Affittacamere. Un piano dell’unità edilizia deve avere superficie utile abitabile superiore a 200 mq. Comune abilitato a dettare prescrizioni circa la destinazione d’uso degli immobili

La Società ricorrente è proprietaria di un immobile composto da due appartamenti, uno al primo ed uno secondo piano, e da dei magazzini al piano terra.
In data 26 marzo 2013 ha chiesto al Comune il rilascio del nulla osta igienico sanitario per lo svolgimento dell’attività di affittacamere, rispetto alla quale il 22 luglio 2013 ha presentato una segnalazione certificata di inizio attività.
Il Comune con provvedimento dell’11 settembre 2013, ha negato il rilascio del nulla osta per contrasto con le prescrizioni contenute nella scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica, e con provvedimento dell’1 ottobre 2013 ha rimosso gli effetti della segnalazione di inizio attività.
Per tale disposizione la destinazione d’uso a struttura ricettiva alberghiera ed extralberghiera adibita ad uso ricettivo esclusivo, che comprende anche gli esercizi di affittacamere così come definiti dall’art. 22, comma 22.1 punto 9.2.1 delle norme tecniche di attuazione, è consentita solo a condizione che almeno un piano dell’unità edilizia abbia superficie utile abitabile superiore a 200 mq.
Il diniego di nulla osta, il provvedimento di rimozione degli effetti della segnalazione di inizio attività e l’art. 22, comma 22.1 punto 9.2.1 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore della città antica, sono impugnati, con domanda di risarcimento dei danni subiti, per le seguenti censure:
I) violazione dell’art. 25 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 35, nonché dell’art. 23, comma 2, e dell’art. 27 della legge regionale 14 giugno 2013, n. 11, perché le restrizioni poste dal piano regolatore in assenza di un fondamento legislativo alla previsione di una superficie abitabile minima, devono ritenersi illegittime e non possono quindi essere imposte ad un soggetto che, come la parte ricorrente, è in possesso di ogni requisito per lo svolgimento dell’attività di affittacamere per la quale ha ottenuto anche il parere favorevole dell’azienda sanitaria Ulss 12;
II) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto1990, n. 241, perplessità ed erroneità della motivazione nonché sviamento, perché l’immobile della parte ricorrente nel complesso ha un’ampia superficie utile abitabile, pari a 167,7 mq al primo piano e 140 mq al secondo per un totale di 307,7, con la conseguenza che non è ragionevole invocare il mancato rispetto di un requisito igienico sanitario per la mancanza di una superficie utile abitabile di 200 mq almeno ad un piano, e sviamento perché la scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore della città antica costituisce in realtà un escamotage volto a limitare l’apertura di strutture ricettive extralberghiere anche relativamente ad immobili, quale quello della parte ricorrente, in possesso di tutti i requisiti igienico sanitari;
III) irragionevolezza della previsione del rispetto di una superficie utile abitabile di 200 mq almeno su un piano anche per gli immobili, come quello della parte ricorrente, che hanno a disposizione una superficie utile dell’intero edificio anche maggiore;
IV) violazione del combinato disposto dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, degli artt. 1, 8, 11 e 14, del Dlgs. 26 marzo 2010, n. 59, dell’art. 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, degli artt. 31 e 34 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, dell’art. 1 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, e dell’art. 12 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, perché tali norme hanno liberalizzato l’esercizio delle attività economiche, e il diniego impugnato impedisce immotivatamente il loro svolgimento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia eccependo l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto successivamente la parte ricorrente ha presentato delle nuove segnalazioni di inizio attività, i cui effetti sono stati rimossi dall’Amministrazione, senza che gli atti di rimozione degli effetti siano stati impugnati, e concludendo nel merito per la reiezione del ricorso.
L’eccezione di improcedibilità del ricorso per l’omessa impugnazione dei provvedimenti con i quali l’Amministrazione ha rimosso l’efficacia di segnalazioni certificate di inizio attività presentate successivamente a quella oggetto del presente giudizio non è condivisibile.
Infatti, come osservato dalla parte ricorrente nella memoria di replica, da tale condotta non è desumibile una perdita di interesse alla definizione dell’odierno giudizio o un’acquiescenza ai dinieghi opposti dall’Amministrazione, in quanto per l’effetto caducatorio e ripristinatorio conseguente ad un’eventuale sentenza di accoglimento, riacquisterebbe efficacia la segnalazione di inizio attività presentata il 26 marzo 2013, e questa, ove consolidasse i propri effetti tenendo conto dell’effetto conformativo di un’eventuale sentenza favorevole, potrebbe far conseguire al ricorrente il bene della vita al quale aspira, consistente nell’apertura dell’attività.
Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Oggetto di contestazione è la norma contenuta nella scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica, la quale per le unità edilizie a base residenziale preottocentesca originaria a fronte bicellulare gerarchizzato, subordina l’apertura di strutture extralberghiere adibite ad uso ricettivo esclusivo (quale è nel caso di specie l’attività di affittacamere; per la norma il medesimo limite vige anche per le strutture ricettive alberghiere, per gli uffici aperti al pubblico, per le attrezzature per l’istruzione e per le sale di ritrovo), alla condizione che almeno un piano dell’unità edilizia abbia una superficie utile abitabile superiore a 200 mq, e che eventuali abitazioni presenti nella stessa unità edilizia abbiano accesso separato.
Con il primo motivo la parte ricorrente contesta in radice la possibilità che il piano regolatore possa porre limitazioni all’esercizio di attività economiche (e nella fattispecie a quelle ricettive) in assenza di una espressa previsione di legge.
La censura è priva di fondamento, in quanto il Comune è abilitato a dettare, nell’esercizio delle valutazioni che competono alla sua autonomia normativa in materia di pianificazione urbanistica ed in materia edilizia, delle prescrizioni circa la destinazione d’uso degli immobili, e nella fattispecie vi è anche una norma regionale, l’art. 22, comma 17, della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33, la quale, stabilendo che “le strutture ricettive di cui al presente articolo devono essere conformi alle prescrizioni edilizie ed igienico-sanitarie” costituisce un rinvio espresso alla necessità che anche l’attività di affittacamere debba essere svolta nel rispetto della specifica disciplina urbanistico ed edilizia dettata dal Comune.
La doglianza di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.
Con il secondo motivo la parte ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di rimozione degli effetti della segnalazione certificata di inizio attività per difetto di motivazione, per non aver considerato che in realtà l’immobile nel suo complesso, sommando le superfici dei singoli piani, ha una superficie complessiva di 307,7 mq, maggiore a quella richiesta dalla disciplina urbanistica del Comune.
La doglianza è priva di fondamento in quanto la sopra citata disposizione contenuta nella scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica, è chiara nel richiedere che almeno un piano abbia una superficie di 200 mq, e l’immobile della parte ricorrente è pacificamente privo di tale requisito.
Con un’ulteriore censura contenuta nell’ambito del secondo motivo, la parte ricorrente sostiene che la disposizione della scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica sia affetta da sviamento, in quanto, con il pretesto della tutela igienico sanitaria, persegue in realtà lo scopo di contenere il proliferare di attività ricettive, mentre con il terzo motivo sostiene l’irragionevolezza della medesima previsione, perché è illogico richiedere la presenza di una superficie di almeno 200 mq, relativamente ad un immobile che nel complesso ha una superficie anche maggiore.
Tali doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente, sono prive di fondamento, in quanto nel caso di specie la finalità perseguita dal Comune (cfr. Tar Veneto, Sez. II, 6 aprile 2006, n. 871) è dichiaratamente quella di salvaguardare, nel centro storico di Venezia, il mantenimento di alloggi idonei alla residenza di carattere stabile e di condizioni di vivibilità del tessuto urbano che sarebbero compromesse dal proliferare di strutture extralberghiere le quali, ove lasciate senza vincoli alle regole del mercato, a fronte della notevole domanda di alloggi turistici presente nella città di Venezia, finirebbero per sottrarre abitazioni alla residenza stabile, e il perseguimento di tale finalità giustifica sul piano della ragionevolezza una disciplina, quale quella dettata dal Comune, che non reca divieti di carattere assoluto, ma si prefigge lo scopo di contemperare la libertà di iniziativa economica con la tutela di altri valori confliggenti (tali finalità di carattere pubblicistico volte a salvaguardare la sostenibilità ambientale del tessuto urbano, sono state ritenute sufficienti a dettare, in linea generale, limiti alla superficie minima degli alloggi residenziali: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2433; id. 22 gennaio 2013, n. 361; riguardo alla legittimità degli interventi del Comune di Venezia volti a dettare limiti alle attività economiche finalizzati alla salvaguardia della sostenibilità ambientale, della vivibilità e dei valori storico artistici della città di Venezia dal massiccio flusso turistico richiamato dalla straordinaria bellezza monumentale che vi è presente cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860, punti 7, 8 e 9 in diritto; negli stessi termini id. 13 febbraio 2013, n. 859).
Pertanto anche le censure di cui al secondo e terzo motivo devono essere respinte.
Con il quarto motivo la parte ricorrente lamenta che i limiti posti nella scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica siano confliggenti con i principi di liberalizzazione delle attività economiche sanciti dalle riforme introdotte tra il 2006 ed il 2012.
La censura è priva di riscontri in quanto la legislazione invocata, a partire dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito il legge 4 agosto 2006, n. 248, dal Dlgs. 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva “Bolkestein” 2006/123/CE, fino al decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, e al decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, ha posto in rilievo il carattere preminente dei valori, di matrice costituzionale, di salvaguardia del patrimonio ambientale, storico artistico e culturale, rispetto ai quali la libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle attività commerciale, può subire limitazioni (per l’art. 31, comma 2, del citato decreto legge 201 del 2011 sono sempre fatti salvi oltre ai vincoli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, e dei beni culturali, anche quelli connessi “all'ambiente urbano”; allo stesso modo l’art. 8, comma 1, lett. h, del citato Dlgs. 59 del 2010, definisce motivo imperativo di interesse generale che giustifica l’apposizione di vincoli e limiti alle attività economiche “la tutela dell’ambiente, incluso quello urbano”). Tar Veneto, sez. III, 12/11/2014, n. 1396



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