venerdì 23 settembre 2016

In giro per NY. Racconti

In giro per NY

  I bus scoperti.


Un modo di visitare NY è quello di salire su uno dei tanti bus scoperti che girano per la città.
Se hai poco tempo e non vuoi camminare molto è il sistema migliore.
Mario e Gio non ci sono mai saliti perché preferiscono camminare per essere più in sintonia con la città e poterla capire meglio.
Loro pensano che il modo giusto di vedere NY sia quello di immergerti nella folla che popola il centro e che seguendo la Broadway approda  a Times Square
Ci vuole tempo e pazienza per gustare i particolari .
Se vedi una chiesa stretta fra i grattacieli se cammini puoi fermarti o se sei su un mezzo pubblico di superficie puoi scendere alla prima fermata e arrestarti un attimo prendendoti una piccola pausa in  quell’andirivieni  caotico.
Il bus non si ferma mai.
Le emozioni  sono affidate ad un accompagnatore che  ti spiega.
Ma caro amico le emozioni non si spiegano si sentono direttamente o non sono sensazioni degne di essere percepite.
L’accompagnatore è pure simpatico, racconta simpatici aneddoti e ti informa dei principali monumenti, ma il rapporto con la città è troppo superficiale.
Direi che non esiste: è come essere in un cinema tridimensionale con l’aggiunta dei rumori e dei profumi autentici dei gas di scarico.
Non capisco le ragioni di chi desidera visitare una città in poche ore salendo su di un autobus.
E’ molto meglio vedere un documentario non fai code , non ti costa nulla.
Una città va vissuta anche solo percorrendo le strade a piedi , seguendo i percorsi indicati dalle guide solo così ti può restare dentro un ricordo o un’emozione.

 

    Central Park. Dove sono gli aquiloni?


Nella grande oasi verde di Central Park si praticano tanti sport.
Ci sono quelli che fanno jogging, che sono la maggioranza, loro sudano e sembra sempre che non si rilassino mai, tanto sono impegnati ad abbassare il loro record personale.
Non ho mai capito come si possa essere competitivi contro se stessi se il risultato massimo è quello di incardinarsi in qualche graduatoria che non ti vede mai oltre il centesimo posto vista la sempre enorme affluenza di partecipanti.
Tanti partecipano con grande entusiasmo sapendo in anticipo con assoluta certezza, dati i loro tempi, di non avere la possibilità di ottenere alcun riconoscimento ufficiale .
Ci sono quelli che corrono in bicicletta. Anche questi corrono per ottenere chissà quali record, ma in compenso sono anche pericolosi perché sfrecciano a velocità considerevole in mezzo alla gente che vuole solo tranquillamente passeggiare.
Gli incauti passanti se non si scansano rapidamente rischiano la frattura.
Ci sono quelli che si allenano a baseball che si piazzano sul green e contendono lo spazio alle famigliole che vogliono invece giocare semplicemente a palla .
Ci sono quelli che giocano a basket. Loro sono inoffensivi per il popolo che passeggia perché sono racchiusi nei loro campi circoscritti dai tabelloni.
Loro sì sono costretti a rispettare le misure tecniche di gioco e, pertanto, non danno fastidio a nessuno.
Ci sono quelli che passeggiano nel verde e quelli che vogliono godersi il sole caldo di maggio fino al prossimo temporale sdraiati nel parco.
“Ma” si chiede Mario, “i bambini che giocano con gli aquiloni dove sono?”
Oggi è una giornata ventosa, è la giornata ideale per fare correre gli aquiloni nel cielo.
I bambini, però, non ci sono.
Non c’è nessuno che fa salire al cielo gli aquiloni .
Sarebbe bello vedere gli aquiloni in balia del vento danzare  e volare felici.
Perché il bambino non può inseguire senza mollare il filo il suo aquilone?
Perché non può stringere il filo nelle mani per non fare scappare via la sua gigantesca farfalla personale?
Perché non può fargli fare dei giri impetuosi, non può farlo scendere in picchiata e poi farlo salire velocemente al cielo come un grande uccello?
Perché non può fare a gara con altri bambini per fare salire più su di tutti gli altri il suo aquilone?
Non può perché lo spazio è limitato da tutti quelli che devono fare jogging, da quelli che devono correre in bicicletta, da quelli che devono giocare a baseball, da quelli che devono passeggiare e da quelli sdraiati nel parco che non vogliono essere disturbati da i bambini che corrono liberi senza meta a ricorre i loro aquiloni.
Allora Mario si chiede:
“Se non ci sono anche gli aquiloni, Central Park è così bello come dicono?”


  Central Park. Strauberry feals.


A Central Park, se sei paziente nel cercarli, puoi raggiungere i  campi di fragole (strauberry feals).
All’improvviso nel mezzo del parco ti ritrovi magicamente in un piccolo giardino.
Non c’è il brusio continuo dei visitatori del parco ma un silenzio rispettoso.
Lì il popolo dei visitatori è seduto sulle panchine che attorniano un mosaico donato dalla città di Napoli.
L’opera geometrica ricorda John Lennon; il componente del complesso dei Beatles è stato, infatti, ucciso lì vicino.
Un assassinio privo di un senso logico che allora ha lasciato tutti stupiti.
John però non è morto, per i suoi ammiratori che accorrono a strauberry feals è ancora vivo nella memoria.
La sua musica è lì, e i suoi amici sono lì a ricordarlo.
C’è un signore, che non è proprio un ventenne, vestito alla moda di allora. Indossa un chiodo, un jeans è una maglietta con la foto dei Beatles sovrastampata.
L’abbigliamento denota che si tratta di  uno dei sopravvissuti degli ultimi figli dei fiori che accompagnavano i Beatles nei loro concerti.
E’ un po’ appesantito dagli anni, ma è lì collo spirito di allora: per lui non è cambiato nulla il tempo si è fermato.
Le note hanno fato per lui il miracolo di rendere tutto immobile quasi ad aspettare che da un momento all’altro torni lì John colla sua chitarra ad iniziare un nuovo concerto per gli amici che lo stanno aspettando
Seduto sulla panchina centrale è il custode dei ricordi.
Nel mentre un registratore risuona  le canzoni dei Beatles lui compie il suo rito.
I suoi gesti ricordano un novello sacerdote che celebra una ricorrenza .
Sulla panchina tiene dei cesti di fiori.
Conserva delle rose incartate una per una.
Con gesto rituale ne scarta una, l’accarezza, quasi per assicurarsi che non possa pungere qualcuno, e la depone sul mosaico seguendo il verso dei raggi che convergono verso il centro del cerchio.
Dopo averla adagiata a terra con cura controlla che nel frattempo non vi sia qualche fiore fra quelli già collocati che non sia in linea con la composizione e turbi la ritmicità delle righe dei fiori.
Accertatosi che tutto sia in ordine con un sorriso e con molta calma ritorna alla panchina.
Tutti seguono in silenzio questo muoversi rituale e attendono pazientemente che lui scelga un nuovo fiore, lo scarti dalla sua custodia di cellofan e lo posi nel mosaico dove avere scelto con cura il posto migliore per collocarlo


   One dollar.

Non ti dimenticare di tenere in tasca un pacchettino di monete da one dollar.
La carta moneta da un dollaro rappresenta per gli americani la mancia minima da dare a chi ti fa un servizio.
Sembra impossibile che il centro mondiale del business si regga sulla mancia.
Se vai in taxi devi dare la mancia se vai al ristorante devi lasciare la mancia se in albergo chiedi una qualsiasi prestazione che può consistere  nel prenotare taxi al custodire o portare le valigie devi dare una mancia.
Il portiere ti chiama il taxi usando l’apposito fischietto che ha in dotazione ed alzando imperativamente il taxi, il tono autoritario e soprattutto il tono acuto del fischietto fanno sì che dal traffico convulso come per magia un taxi giallo si materializzi, quasi per magia, colla immancabile pubblicità sul tetto della vettura.
L’autista non scende dalla macchina parcheggiata magari in doppia fila; è il portiere che si da cura di aiutarti a collocare le valigie nel portabagagli e nei giorni di pioggia ti accompagna educatamente alla macchina coll’ombrello.
Non puoi dimenticarti, magari preso del pensiero di correre in fretta all’aeroporto, di consegnare il biglietto verde.
Lui è lì che ti segue con lo sguardo e con un gesto automatico ti fa capire quale è il tuo dovere: devi cacciare per forza la mano in tasca trovare in fretta il portafoglio ed estrarre qualche biglietto perché se no, con la complicità del taxista, tutto si ferma.
Come per incanto sembra che il convulso traffico di Manhattan si fermi in attesa che il rituale venga compiuto.
Vi tutta una regolazione sulla mancia nei ristoranti .
Al cameriere non è stato difficile riconoscere in Mario Rissi un turista .
Alla fine del pasto, quindi, si è avvicinato e gli ha fatto la rituale spiegazione sulle mance.
La mancia viene generalmente calcolata dal 12 al 18% sul conto.
Per tradizione è obbligatoria.
Mario Rossi non si è arrischiato di provare a vedere cosa succede se non lasci il quantum previsto.
Nei locali più emancipati la mancia è calcolata a parte nel conto per il valore massimo definito dagli usi e viene direttamente incassata col pagamento che di solito è fatto tramite carta di credito. 
C’è tutto una spiegazione che prevede che tu possa chiedere una riduzione chiamando il cameriere e sostanzialmente affermando che non sei stato contento del servizio.
Penso che una contestazione del genere non sia mai avvenuta finora a NY.
D’altronde se non vuoi pagare mance è molto semplice: basta andare in quei locali dove si usa il self service.

Lì non c’è nessun obbligo di dare alcunché perché non hai un rapporto diretto col cameriere: è come essere al supermercato paghi alla casa e tutto finisce lì.

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