sabato 2 aprile 2016

Inquinamento Porto Tolle

Enel, condannati Scaroni e Tatò per il disastro ambientale di Porto Tolle

Il Tribunale di Rovigo ha accolto le tesi dell'accusa secondo cui gli ex vertici di Enel non avrebbero installato adeguati dispositivi per monitorare l'inquinamento provocato dalla centrale. Chiesta l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Danni per 3,6 miliardi di eurodi LUCA PAGNI

Una sentenza che farà sicuramente discutere. E che sarà letta con attenzione anche in altre parti d'Italia, dove negli ultimi anni si stanno combattendo battaglie simili nelle aule dei tribunali. Il Tribunale di Rovigo ha condannato a tre anni di reclusione per disastro doloso gli ex vertici dell'Enel, al termine del processo di primo grado per quanto avvenuto alla centrale di Porto Tolle. La sentenza è stata emessa nei confronti di Franco Tatò e Paolo Scaroni, i due manager che ricoprivano la carica di amministratori delegati all'epoca dei fatti sotto accusa. Per entrambi è scattata anche la pena accessoria di cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Assolto Fulvio Conti, attuale ad, per mancanza di elemento soggettivo. 

In sostanza, la corte del capoluogo veneto ha recepito in buona parte la tesi avanzata dal pubblico ministero Manuela Fasolato: il magistrato ha sostenuto un rapporto tra le emissioni in eccesso della centrale e i danni alla salute e all’ambiente. In particolare, il pm nel corso delle sue indagini ha rilevato come sia stata omessa l'installazione di apparecchiatture che avrebbero potuto misurare l'impatto delle emissioni della vecchia centrale Enel alimentata a olio combustibile. Il che avrebbe potuto aver causato l'aumento delle malattie respiratori dei bambini così come evidenziato dalle analisi successive dell'Istituto dei Tumori del Veneto. Secondo una stima dell'istituto Ispra, i danni stimati sono di 3,6 miliardi di euro, documento che è servito al ministero
per l'Ambiente e della sanità di costituirsi parte civile contro gli imputati. tesi sempre confutate dalla difesa e dagli imputati.

Il Tribunale ha dato ragione solo in parte alle richieste dell'accusa. Per Tatò, ex ad di Enel dal 1996 al 2002, il pm Fasolato, nel corso della requisitoria, aveva chiesto 7 anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici; per Scaroni, ex ad dal 2002 fino al 2005, 5 anni e 3 mesi, e interdizione perpetua. Per Fulvio Conti, attuale ad di Enel, 3 anni, più 5 di interdizione.

Tutto questo potrebbe anche avere conseguenze sul futuro dei manager coinvolti. In particolare, per Scaroni e Conti, al centro di polemiche per il rinnovo del loro mandato ai vertici rispettivamente di Eni ed Enel di cui sono alla guida da nove anni e per i loro compensi. "Sono completamente estraneo alla vicenda e farò immediatamente ricorso", ha dichiarato Scaroni: "Sono stupefatto da questa decisione, come dimostrato dalle difese la centrale Enel di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore anche all'epoca dei fatti". Reagisce anche Franco Tatò: "Considero questa una sentenza
assurda, che scuote la mia teutonica fiducia nella giustizia.

Dal premier Matteo Renzi, che sta lavorando al dossier sulle nomine nelle partecipate pubbliche è arrivato un commento molto lapidario:  "Noi non possiamo che limitarci a dire che rispettiamo tutte le sentenze della magistratura". C'è chi ha fatto notare come il governo abbia varato una direttiva che impedisce a chi abbia ricevuto condanne o sia stato rinviato a giudizio di far parte dei consigli di amministrazione delle società controllate dalla Stato. Ma dagli uffici dell'Eni fanno notare come il reato per cui è stato condannato, in primo grado Scaroni non faccia parte dell'elenco della direttiva del Governo, che parla di delitti contro la pubblica amministrazione, il patrimonio, l'ordine pubblico o materie tributarie. 

Da parte sua, l'avvocato Alberto Moro Visconti che ha assistito Scaroni sostiene che "i reati contestati non sussistono. Peraltro sono cosi' risalenti nel tempo che, se ci fossero stati, gia' oggi avrebbero dovuto essere dichiarati prescritti. In tal senso non si comprende questa decisione che appare inspiegabile".

In attesa dei ricorsi in Appello, Porto Tolle non esce comunque dalla cronaca giudiziaria, non penale ma amministrativa. L'impianto è coinvolto in un processo di trasformazione dei vecchi gruppi a olio combustibile in modo che l'energia venga prodotta bruciando carbone. Anche con le nuove tecnologie del cosiddetto "carbone pulito", la quota di emissioni è comunque superiore a una centrale a gas. Ambientalisti e associazioni locali avevano ottenuto lo stop davanti al Tar e al Consiglio di Stato, ma la regione Veneto ha modificato le regole che governano il parco del delta del Po con l'intento di eliminare gli ostacoli alla riconversione del progetto: l'impianto (uno dei più grandi d'Europa). Ora Enel potrebbe procedere con l'investimento, ma la sentenza contro gli ex vertici potrebbe riapre la battaglia.

Lo hanno subito fatto Greenpeace, Legambiente e WWF. Oltre a "esprimere soddisfazione per la sentenza che ha riconosciuto ciò che le tre associazioni hanno denunciato per anni, ossia che la centrale di Porto Tolle ha continuato a funzionare in mancanza delle autorizzazioni ambientali, causando gravi danni alla salute della popolazione residente e all'ambiente", chiedono a Enel di fare chiarezza: "E' pronta a rinunciare al progetto o tornerà a presentarlo e promuoverlo, dimostrando di non saper apprendere dai propri errori e neppure dalle sentenze?".

 

(31 marzo 2014)

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