venerdì 22 gennaio 2016

L. n. 164/2014 “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”

La legge n. 164/2014 ha inserito nel D.P.R. 380/2001 l’art. 23-ter titolato “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante” il quale indica le regole sui cambi d’uso.
Obiettivo dell norma è quello di uniformare le differenti normative regionali e semplificare l’applicazione della disciplina.
La nuova disposizione statale sui cambi d’uso è stata emanata quale norma di semplificazione e liberalizzazione e dunque determina livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, a termine dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione.
L’art. 23-ter si articola in tre commi.
Il primo comma definisce cos’è il mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.
È cambio destinazione uso urbanisticamente rilevante, ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale, tra le cinque seguenti:
1) residenziale ;
2) turistico-ricettiva;
3) produttiva e direzionale;
4) commerciale;
5) rurale.
Dunque il cambio destinazione uso urbanisticamente rilevante è solo quello che comporta il passaggio tra l’una e l’altra delle cinque categorie funzionalmente autonome indicate dalla legge, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere.
In tal modo è assicurata tutela alla zonizzazione e controllo sull’adeguatezza degli standard in relazione all’incidenza dei diversi usi.
All’interno della stessa categoria le destinazioni d’uso sono ritenute urbanisticamente omogenee, in quanto determinano carichi urbanistici sostanzialmente equivalenti.
I Comuni possono dettagliare le tipologie delle destinazioni uso degli immobili all’interno della stessa categoria funzionale (es. prevedendo gli usi di studi professionali, ambulatori, palestre, artigianato, ecc.) ma non possono modificare le “categorie funzionali” che devono essere solo quelle (cinque) stabilite dalle legge.
Il comma 2 indica il criterio per l’attribuizione della destinazione d’uso:“La destinazione d’uso di un fabbricato o di unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile”.
In presenza quindi di una “destinazione mista” nell’ambito di uno stesso fabbricato o di una unità immobiliare, la norma statale chiarisce che la destinazione d’uso è quella che risulta prevalente in termini di quantità di superficie utile, ossia quella equivalente ad almeno il 50,1%.
La superficie da considerare sarà quella autorizzata dal titolo abilitativo, ivi compreso eventuali accertamenti di conformità urbanistico-edilizia, non potendosi considerare usi in atto in contrasto con i titoli edilizi.
In assenza di titolo abilitativo si farà riferimento alla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero ad altri documenti probanti.
La definizione di superficie utile cui fare riferimento, nel silenzio della disposizione, sarà quella delle norme tecniche degli strumenti urbanistici comunali.
Il comma 3 così dispone: Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”.
Alle Regioni è assegnato il termine di giorni novanta dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (12 novembre 2014) entro il quale adeguare la propria legislazione ai principi della legge statale.
Decoro tale termine, dunque dal 10 febbraio, l’art. 23-ter trova diretta applicazione con l’automatica sostituzione delle differenti normative regionali e delle normative dei piani urbanistici comunali.
L’ultima parte del comma, che da un lato afferma il principio che il cambio destinazione uso all’interno della stessa categoria funzionale, è sempre ammesso, ma dall’altro fa salva la diversa previsione delle disposizioni regionali e degli strumenti urbanistici comunali, indebolisce la ratio di semplificazione della disposizione e non appare molto comprensibile.
Il cambio desinazione uso deve avvenire nel rispetto delle norme della pianificazione comunale.
L'articolo 10 del D.P.R. n. 380/2001 dispone che le Regioni stabiliscano con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso degli immobili o di loro parti sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.
L'articolo 19, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 prescrive che il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o allo svolgimento di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione nonché una quota non superiore al 10% del costo documentato di costruzione. Il comma 3 dell’art. 23 ter prevede che qualora la destinazione d'uso delle costruzioni non destinate alla residenza, nonché quelle nelle zone agricole, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione.
Ai fini della determinazione del cambio d’uso urbanisticamente rilevante bisogna analizzare sia il D.M. n°1444/1968 che l’art. 32 del D.P.R. 380/2001.
Il D.M. indica i rapporti tra gli spazi pubblici e le differenti categorie di destinazione d'uso distinguendo tra insediamenti residenziali e produttivi comprensivi di quelli industriali, commerciali e direzionali.
Mentre l'articolo 32 del TU Edilizia ricomprende tra le variazioni essenziali il mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard e delle dotazioni territoriali previsti dal D.M. n° 1444/1968.
Si può infatti notare che il legislatore statale propugni una complessiva semplificazione della disciplina delle destinazioni d’uso, richiedendo che si riconosca un diverso carico urbanistico solo in caso di passaggio da una all’altra delle categorie funzionali, e richieda di liberalizzare il passaggio da un uso all’altro all’interno della medesima categoria, ad esclusione dei casi in cui la pianificazione urbanistica introduca limitazioni e condizioni per specifiche esigenze di interesse pubblico. Tuttavia prendendo atto che una tale innovazione necessita di una complessiva riconsiderazione della disciplina urbanistica ed edilizia che attiene alle dotazioni territoriali e pertinenziali richieste, ma anche al contributo di costruzione dovute, il legislatore statale subordina la effettiva operatività delle auspicate semplificazioni in materia all’introduzione di una legge regionale di adeguamento, fatti salvi i casi in cui manchi una disciplina di dettaglio regionale o i piani non presentino una disciplina delle destinazioni d’uso ammissibili.
Sulla base di queste indicazioni sono state emanate numerose leggi regionali sulla materia nonché diverse delibere comunali (di dubbia interpretazione) che hanno portato ad una vasta diversificazione delle destinazioni d'uso.
Dunque il cambio destinazione uso urbanisticamente rilevante è solo quello che comporta il passaggio tra l’una e l’altra delle cinque categorie funzionalmente autonome indicate dal 1 comma dell’art. 23 ter, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere. In tal modo è assicurata tutela alla zonizzazione e controllo sull’adeguatezza degli standard in relazione all’incidenza dei diversi usi. All’interno della stessa categoria le destinazioni d’uso sono ritenute urbanisticamente omogenee, in quanto determinano carichi urbanistici sostanzialmente equivalenti. I Comuni possono dettagliare le tipologie delle destinazioni uso degli immobili all’interno della stessa categoria funzionale (es. prevedendo gli usi di studi professionali, ambulatori, palestre, artigianato, ecc.) ma non possono modificare le “categorie funzionali” che devono essere solo quelle (cinque) stabilite dalle legge.
Nel caso della modificazione della destinazione d’uso cui si correla un maggior carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelle, se più elevati dovuti per la nuova destinazione impressa (cfr. C. di S. Sez. V, 30 agosto 2013, n° 4326) .
Il comma 2 dell’art. 23 indica il criterio per l’attribuzione della destinazione d’uso: “…La destinazione d’uso di un fabbricato o di unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile..”. In presenza quindi di una “destinazione mista” nell’ambito di uno stesso fabbricato o di una unità immobiliare, la norma statale chiarisce che la destinazione d’uso è quella che risulta prevalente in termini di quantità di superficie utile, ossia quella equivalente ad almeno il 50,1%. La superficie da considerare sarà quella autorizzata dal titolo abilitativo, ivi compreso eventuali accertamenti di conformità urbanistico-edilizia, non potendosi considerare usi in atto in contrasto con i titoli edilizi. In assenza di titolo abilitativo si farà riferimento alla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero ad altri documenti probanti . La definizione di superficie utile cui fare riferimento, nel silenzio della disposizione, sarà quella delle norme tecniche degli strumenti urbanistici comunali.

Il criterio della prevalenza ha il pregio, oltre di essere facilmente applicabile, anche di consentire che la restante parte del fabbricato o dell’unità immobiliare abbia una destinazione funzionale diversa, senza che ciò influisca sulla destinazione che assume rilievo ai fini di legge. Anche questa previsione, laddove indirettamente consente che utilizzi diversi convivano nel medesimo immobile ma che solo quello prevalente incida sulla qualificazione in termini di destinazione d’uso, è quindi da ricondurre all’intento del legislatore di agevolare, e quindi incentivare, gli interventi di trasformazione.

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