lunedì 14 dicembre 2015

regime dei minimi per aprire la partita Iva

regime dei minimi per aprire la partita Iva

Il nuovo regime dei minimi per aprire la partita Iva cambia dal primo gennaio 2015 e assorbe i precedenti due regimi di imposta ossia quello che si chiama spesso forfettone o forfettino e il regime dei minimi precedente dal primo gennaio 2012 e per il quale in questo articolo potete leggere una piccola guida con consigli pratici ed un vademecum per l’apertura della partita Iva e la gestione della vostra attività.
Il reddito imponibile derivante dal percepimento e l’incasso dei ricavi della vostra nuova attività sarà soggetto ad una tassazione sostitutiva Irpef del 15% (in luogo della precedente del 5%) e ripeto del quindici per cento, tassazione estremamente  vantaggiosa nel rispetto dei requisiti di seguito indicati anche se non come quella introdotta dal Governo Monto del 5% che resterà in vigore ancora per l’anno di imposta 2015 ed è stato confermato per il 2016 dalla nuova Legge di Stabilità 2016 con qualche ritocco.

Novità derivanti dalla Legge di Stabilità 2016

In estrema sintesi dovrebbero essere ritoccati al rialzo il limite dei ricavi di 10 mila euro e dovrebbe essero estesa la possibilità di accedere anche per coloro che svolgevano attività affine o di lavoro dipendente purchè il volume dei ricavi nelle precedenti dichiarazioni era inferiore a 30 mila euro.
Il nuovo regime con aliquota al 15% è definito dalla legge 190 del 2014 e si chiama regime forfettario dei lavoratori autonomi con partita Iva e si differenzia dal regime dei minimi con aliquota al 5%

Se il tuo datore di lavoro vuole farti passare dal contratto attuale alla partita Iva sai già che perderai ogni tutela e buona parte dello stipendio. Potresti rimanere fottuto.
Se ricorrono almeno due di queste condizioni devi sapere che sei una finta partita Iva, ovvero una persona che svolge un lavoro dipendente mascherato da lavoro autonomo.
Fino ai 35 anni puoi usufruire del regime fiscale dei minimi, che consiste in una tassazione totale di circa il 33% di quello che guadagni, così divisi: 5% di Irpef e 28% di Inps. Questo discorso vale per chi ha la “gestione separata”, cioè tutti quei lavoratori generici che non usufruiscono di casse previdenziali di settore (come giornalisti, avvocati, commercianti) e con la clausola che i ricavi siano entro i 30.000 euro l’anno (per l’anno in corso il limite potrebbe aumentare a 65.000). Superati i 35 anni e i 30.000 euro di reddito l’Irpef sale dal 5% al 23% creando una pressione contributiva totale del 51%. Insomma, se hai più di 35 anni sei un po’ fottuto. 
Alla pressione contributiva devi aggiungere gli acconti sulle tasse dell’anno successivo. Funziona così: tra giugno e agosto 2014 inizierai a pagare le rate delle tasse relative alla tua dichiarazione dei redditi del 2013. Ma assieme a queste dovrai pagare anche l’acconto sulle tasse dell’anno successivo, quindi sul 2014 che è in corso (che in teoria dovresti pagare nel 2015). Questo acconto consiste nel 50% di quanto hai appena pagato per le tasse del 2013. In breve: hai dichiarato 21.000 euro di ricavi per il 2013 e hai pagato 7.000 euro (33%) di tasse? Bene, dovrai pagare subito altri 3.500 euro, come acconto dell’anno successivo. Questa cifra verrà poi scalata dalle tasse che ti ritroverai a pagare l’anno successivo. Ma non te ne accorgerai neanche, perché l’anno successivo ti ritroverai a pagare comunque l’acconto dell’anno dopo ancora, il 2015. E così via.
Difficilmente potrai fare a meno di rivolgerti e pagare un commercialista per fare la dichiarazione dei redditi. Vuoi provarci?
La partita Iva per essere sostenibile prevede che tu, svolgendo il tuo lavoro, abbia dei costi. La benzina per l’auto, metà di quanto spendi per l’affitto se lavori in casa, i biglietti del treno o di aereo, il ristorante: tutte queste cose si possono detrarre, ma non tutte al 100%. Hai ricavi per 21.000 euro l’anno? Bene, se hai avuto 6.000 euro di costi, il tuo reddito è di 15.000 euro, e su quelli pagherai un terzo di tasse (al regime dei minimi). Se nel tuo lavoro non hai costi aprire una partita Iva è difficilmente sostenibile. Facciamo un esempio: su un reddito lordo di 12.000 euro – i miseri mille euro al mese – ci si trova a dover pagare 4.000 euro di tasse più 2.000 di acconto e 1.000 (circa) di commercialista. Un totale di 7.000 euro di tasse, e in tasca ne rimangono meno della metà, 5.000. Oltre i 35 anni, poi, si paga molto di più. Insomma, se non fai i conti sei fottuto.
Se usufruisci del regime fiscale dei minimi puoi detrarre un elenco molto ristretto di costi, diversamente da chi ha più di 35 anni, che paga un 51% di tasse (28% Inps + 23% Irpef) ma può detrarre molte più cose.
La cosa migliore che puoi fare è capire in anticipo, mese per mese, quanti costi dovrai fare entro la fine dell’anno per abbassare il reddito, e pagare una cifra sostenibile di tasse.
Metti da parte un terzo (o più) dei tuoi guadagni dal primo momento: così facendo eviti il rischio, molto comune, di non rientrare più con le cifre una volta che inizierai a pagare le tasse.
Non avrai alcun diritto o tutela: ammortizzatori sociali, malattia, assicurazioni o ferie. Ti capita una disgrazia, il tuo committente ti abbandona da un giorno all’altro? Sei fottuto. Non dire che non te l’avevamo detto.
Attività abituale al disopra dei 5000 obbligo di aprire partita IVA
La partita IVA, come dice il nome riguarda l’IVA, la quale è regolamentata dal D.P.R. 633/72 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), che recita così:
“imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”
Ora, se tu crei e vendi collanine (notare il diminutivo, non ho detto “collane”), stai di fatto esercitando un’arte o una professione (creatore o creatrice di collane). Quindi sei una persona soggetta all’IVA e come tale dovresti aprire la partita IVA, giusto? Sbagliato! Già, perché siamo sicuri che tu stai effettivamente esercitando un’arte o una professione? La tua creazione di collanine è un hobby o una professione a tutti gli effetti? Come si fa a capirlo? Non certo con le interpretazioni personali, ma andando nuovamente a consultare cosa dice la legge. Sempre nel D.P.R. 633/72, all’articolo 5 troviamo:
“Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse.”
Ora, fai attenzione alla parola: “abituale”. Questo è il punto cruciale. Il tuo hobby diventa una vera e propria attività commerciale se viene esercitato in modo abituale e non occasionale. Quindi, sintetizzando:
1.        L’obbligo di apertura della partita IVA dipende dal carattere di abitualità o di occasionalità con cui viene svolta l’attività (art. 5 DPA 633/1972 DPR 633/72).
2.        Nel caso di abitualità occorre aprire la partita IVA
3.        Nel caso di occasionalità non occorre aprire partita IVA
Quindi, se la tua attività è saltuaria, non hai alcun obbligo di apertura di partita IVA. L’unico obbligo che hai è quello di dichiarare tutti i tuoi redditi nell’apposito modello 730 o Unico che dir si voglia. Ora, come si fa a distinguere tra attività abituale e attività occasionale? Qui casca l’asino, perché non sembra esserci una legge che definisca in modo inequivocabile come stabilire se un’attività è occasionale o continuativa. A partire dal 2003 però, qualcuno ha introdotto il concetto di lavoro occasionale all’interno della normativa italiana. Dal 2003 perciò, esiste la legge delega n. 30/2003 (meglio nota come legge Biagi) che stabilisce dei limiti perché l’attività sia da considerare occasionale e cioè:
1.        Prestazione di durata inferiore a 30 giorni
2.        Importo annuo massimo di 5.000 euro
Se una delle due condizioni non è soddisfatta, allora si parla di attività abituale, la quale è soggetta all’IVA e pertanto occorre aprire la partita IVA. Ora, tu potresti pensare che il riferimento alla legge Biagi sia una mia libera interpretazione, ma non è così. Il riferimento a tale legge viene fatto dall’INPS che dichiara testualmente:
“Si elencano i principali riferimenti normativi in materia di lavoro occasionale di tipo accessorio, partendo dalla Legge delega n. 30/2003 (legge Biagi n.d.a.) che ha introdotto per la prima volta le prestazioni occasionali di tipo accessorio (art. 4 c. 1 lettera d), poi disciplinate dal D.Lgs n. 276/2003 (artt. 70-73). L’ultimo riferimento normativo, in ordine cronologico, è la Legge n. 191/2009 (Finanziaria 2010), che ha apportato significative modifiche all’art. 70 in merito al campo di applicazione del lavoro occasionale accessorio, inserendo ulteriori attività ed ampliando la platea di possibili committenti e prestatori.”
So cosa stai pensando: il famoso tetto dei 5.000 euro vale solo ai fini dell’iscrizione alla gestione separata INPS! Ok, se non credi a me e all’INPS, allora dovresti credere al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, quando parla di lavoro accessorio.

Detto tra noi, credo che il tetto dei 5.000 euro sia stato pensato utilizzando il buonsenso. Al di sotto di tale cifra infatti, l’apertura della partita IVA non ha senso, perché i costi obbligatori per legge, supererebbero i ricavi. Una volta aperta la partita IVA infatti, occorre registrarsi obbligatoriamente presso l’INPS, versando un minimo di 3.200 euro l’anno, versare le imposte sul reddito percepito, pagare il compenso di un commercialista, etc. Insomma, sotto tale cifra si è in perdita. Bene, spero di aver chiarito una volta per tutte la questione della partita IVA.

Nessun commento:

Posta un commento