mercoledì 11 novembre 2015

“preliminare di preliminare

validità del c.d. “preliminare di preliminare”, quale incontro tra una proposta irrevocabile d’acquisto – sottoscritta, su sollecitazione del mediatore, dal soggetto interessato all’acquisto, con versamento contestuale di una somma di denaro al mediatore stesso per “bloccare l’affare” – e l’accettazione da parte del venditore, accordo che precede la stipulazione del vero e proprio preliminare “formale” o “chiuso” (quello contenente cioè l’obbligo formale di addivenire al rogito notarile, con definizione puntuale dell’affare in tutti i suoi aspetti, essenziali ed accessori).
La decisione in commento appare rilevante perché segue l’orientamento più possibilista circa la validità di queste intese precontrattuali, quanto per la reazione all’atteggiamento di totale (e direi “dogmatica”) chiusura verso la validità della fattispecie
La questione è nota. Per la dottrina e la giurisprudenza di merito prevalenti il preliminare di preliminare, ovvero il contratto con cui ci si obbliga a concludere un secondo preliminare di vendita immobiliare, sarebbe nullo per mancanza di causa, un’ “inutile superfetazione”, vista la carenza di interesse che le parti avrebbero ad “obbligarsi ad obbligarsi”: seguendo l’impostazione moderna della causa quale funzione economico-individuale
 escludendosi l’ammissibilità di contrattazioni atipiche futili o capricciose
Le predette intese sarebbero pertanto nulle come pattuizioni atte a creare vincoli a contrarre, e andrebbero interpretate piuttosto (ma forse è meglio parlare di conversione negoziale) come mere “puntuazioni”: atterrebbero ad una fase ancora precontrattuale, e servirebbero a sancire l’inizio della trattativa e a concretizzare il dovere di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., ma certo non vincolerebbero l’autore della proposta irrevocabile né a concludere un secondo preliminare, né tantomeno il contratto definitivo di vendita.
nei formulari contenenti i modelli di proposta irrevocabile usati dai mediatori immobiliari, non si fa più riferimento ad un obbligo di stipulare successivamente una “promessa di vendita”, ma si evidenzia come, con l’accettazione della proposta, si vada a concludere direttamente un contratto preliminare che obbliga a concludere il definitivo, eliminando così il percorso “trifasico” sopra richiamato (si vedano i modelli predisposti dalle varie Camere di Commercio);
la somma versata al mediatore viene qualificata “deposito fiduciario” o “cauzionale”, che diverrà caparra confirmatoria solo con l’accettazione della proposta da parte dell’alienante Secondo invece un’impostazione più liberale, seguita anche dalla sentenza delle S.U. in commento, l’autonomia privata potrebbe decidere di articolare in più fasi la progressione verso il contratto definitivo, “procedimentalizzandone” la conclusione attraverso accordi che precedono il contratto preliminare propriamente detto. Si tratterebbe di contratti atipici, retti da un interesse meritevole: realizzare un procedimento a formazione progressiva che conduca all’acquisto finale per gradi, attraverso fasi successive di sempre maggiore definizione dei contenuti del contratto finale e, soprattutto, di adempimento frazionato e progressivo dell’obbligazione di pagare il prezzo.
la seconda impostazione, favorevole al c.d. preliminare di preliminare, racchiude in realtà due diverse linee di pensiero ben distinte.
La prima è costituita dalla concezione iperliberale del giudizio di meritevolezza dell’interesse, ai sensi dell’art. 1322, 2° comma, c.c., che giunge di fatto ad espungere quest’ultima norma dall’ordinamento, assimilandola al giudizio di non illiceità: posizione conforme ai principi del diritto europeo dei contratti, che però di fatto impedisce di usare l’argomento dell’assenza di causa per sindacare della validità o meno di un contratto atipico, ponendosi solo il problema di verificare se questa (per definizione esistente nel momento in cui ci sia un accordo), incorra o meno nella riprovazione ordinamentale della illiceità.

Le parti debbono perseguire un assetto di interessi che l’ordinamento reputi idoneo ad essere giuridicizzato in astratto, non futile o capriccioso: il contratto atipico deve “servire a qualcosa”, deve avere una causa, da rilevarsi attraverso un giudizio circolare che passi in continuazione dal programma negoziale alla funzione che il negozio mira a perseguire altrimenti non si giustifica la tutela fornita al negozio dall’ordinamento giuridico.
Da questo punto di vista, la “causa” della contrattazione preliminare consiste proprio nel bloccare l’affare senza addivenire subito al contratto definitivo, soprattutto per verificare le condizioni patrimoniali della controparte e lo stato, materiale e giuridico, del bene oggetto di contratto, oltre che per un’esigenza di “controllo delle  sopravvenienze”: tale interesse viene perseguito obbligando i contraenti a concludere in un secondo momento il contratto definitivo.
Resta invece del tutto inutile l’obbligarsi a concludere in un secondo tempo un nuovo contratto preliminare identico al precedente
La seconda linea di pensiero che giustifica la fattispecie del “preliminare di preliminare”, si fonda invece sull’assunto che esso sia “altro” rispetto a ciò che la definizione lascerebbe intendere.
In effetti, le fattispecie prese in considerazione, per esempio, dalla  giurisprudenza, non hanno nulla a che vedere col preliminare di preliminare  in senso stretto: ora si prendono in considerazione accordi volti a creare un “obbligo a trattare” più che un “obbligo a contrarre”, volti cioè a contrattualizzare il dovere di buona fede nelle trattative, senza vincolare alla conclusione di alcun contratto successivo, ma soltanto a proseguire le trattative per una più completa definizione del contenuto del negozio
Ed in questo è, a mio avviso, il cuore dell’equivoco: l’errore è quello di  partire dalla nozione tradizionale di contratto preliminare, fonte di obbligazioni che hanno ad oggetto un faceregiuridico (l’attività negoziale consistente nella conclusione del definitivo), per leggere una prassi immobiliaristica che con l’obbligo di contrarre in senso formale non ha nulla a che vedere, ma attiene invece alla tendenza, come detto, a segmentare la fattispecie traslativa in diverse fasi di un procedimento a formazione progressiva  in modo da “bloccare l’affare” immediatamente, con riserva di effettuare in seguito accertamenti sulle condizioni della controparte, o sullo stato fattuale o giuridico-urbanistico del bene oggetto della compravendita, e soprattutto con la possibilità di fissare in un secondo momento la disciplina di dettaglio e frazionare in più tranche l’esecuzione (anticipata) del contratto finale, specie quanto all’obbligo di pagare il prezzo.
Già nel semplice preliminare di vendita immobiliare la fattispecie traslativa, invece che essere ispirata, come normalmente accade, al principio consensualistico (con immediato trasferimento della proprietà, e tutele per il venditore ridotte all’ipoteca legale, all’eventuale riserva di proprietà o all’apposizione di una condizione sospensiva di adempimento), viene frazionata in più segmenti di una sequenza, che grazie all’operare dell’autonomia privata riproduce nel nostro ordinamento la scissione tra titulus e modus adquirendi:
Certo è che questo negozio, che, come si dirà, può assumere i contenuti più svariati, non ha nulla a che vedere con il “preliminare di preliminare” in senso stretto di cui sopra, fonte dell’obbligo di concludere un preliminare identico al precedente.
occorrerà vedere che tipo di vincolo le parti hanno inteso stringere nella prima fase, analizzando e interpretando correttamente i moduli sottoscritti e  le clausole aggiunte a penna, per analizzare l’assetto di interessi che con quelle scritture le parti intendevano perseguire.
Questa è, a mio avviso, la parte meritoria della recente sentenza delle S.U., che giustamente pone l’accento sull’esigenza di analizzare la causa concreta di tutte queste “intese precontrattuali”, che precedono cioè la stipulazione del contratto traslativo finale
La Corte di Cassazione invita invece ad esaminare l’effettiva volontà della parti, quale si traduce nella “causa concreta” di tali intese.
Può darsi che le parti intendano porre in essere una puntuazione che non vincola a concludere il contratto, ma, fissando gli elementi essenziali (identificazione del bene, prezzo e modalità di pagamento), intendono chiarire che la trattativa non può essere abbandonata senza perdere la somma corrisposta al mediatore, e che comunque qualsiasi deviazione da quanto fissato nell’intesa ingenererà responsabilità contrattuale, ancorché commisurata all’interesse negativo. Occorrerà una indagine puntuale del documento sottoscritto, per scorgere una volontà in questo senso:
 Se si vuole  “bloccare l’affare” in questo modo “debole”, è bene chiarire con apposita clausola che la scrittura produrrà gli effetti di una semplice minuta o puntuazione, e che la somma di denaro eventualmente corrisposta al mediatore funge da deposito fiduciario, e diverrà caparra o acconto solo se verrà concluso il successivo contratto preliminare.
Quanto alla natura giuridica di queste intese, la Corte non si sbilancia, rinviando genericamente agli “altri atti o fatti” di cui all’art. 1173: effettivamente, solo un esame caso per caso potrà condurre ad identificarvi delle semplici dichiarazioni di scienza, con efficacia probatoria dello stato delle trattative (atte al più ad agevolare la prova di possibili violazioni dell’art. 1337 c.c.: in questo caso l’obbligazione di buona fede  nasce ex lege dalla trattativa, non dalla puntuazione), ovvero dei negozi ad effetti obbligatori (produttivi non dell’obbligazione di concludere il contratto definitivo, ma, per esempio, di proseguire nella trattativa con certe modalità, o di inserire certi contenuti se e quando si deciderà di addivenire al contratto finale), negozi nei quali è difficile non ravvisare dei contratti strumentali e preparatori rispetto al contratto definitivo (o anche solo al “preliminare formale”, da stipularsi in un secondo momento).
Anche qui quello che conta è individuare la reale volontà dei contraenti.
Può aiutare, nello spingere verso questa seconda  interpretazione, una maggiore completezza nella definizione dei contenuti del contratto (non solo la definizione dell’oggetto, ma magari l’indicazione delle garanzie prestate dal promittente venditore circa la provenienza o la libertà da pesi e vincoli, l’analitica definizione delle modalità di corresponsione del prezzo, le menzioni urbanistiche già presenti, e via dicendo), tenendo presente, tuttavia, che anche un regolamento contrattuale limitato ai soli elementi essenziali (identificazione del  bene venduto e del prezzo) non esclude una qualificazione come contratto preliminare, se emerga una chiara volontà in questo senso

Oppure potrebbe indurre a ravvisare un preliminare già concluso l’espressa qualificazione delle somme versate come acconti o caparre, che non possono che accedere ad un contratto perfezionato.

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