lunedì 2 novembre 2015

Locazione disdetta

Il contratto di locazione commerciale ha come oggetto l’affitto di un immobile a scopi diversi da quelli abitativi, cioè per l’esercizio di un’attività commerciale, artigianale, industriale, alberghiera o professionale.
La legge pone un limite minimo di 6 anni alla durata del contratto e fino a un massimo di 30 anni. Nel caso in cui l’immobile sia finalizzato all’esercizio di un’attività alberghiera, la durata minima è fissata in 9 anni.
Qualora il conduttore decidesse di non volere rinnovare il contratto alla scadenza, dovrà inviare al locatore (il proprietario dell’immobile) una comunicazione scritta di disdetta entro 12 mesi dalla data del termine del contratto medesimo (18 mesi prima per i casi di attività alberghiera), attraverso la spedizione al domicilio del secondo di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.
Vediamo cosa succede se il conduttore dell’immobile volesse recedere dal contratto prima della scadenza.
 Sarebbe possibile, ma dovrà inviare in ogni caso al locatore una lettera di disdetta, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, entro i 6 mesi dalla data in cui consegnerò l’immobile, sempre che sussistano, stando alla normativa vigente, gravi motivi.
Questi ultimi sono considerati tali se sono oggettivi, estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e se sono sopravvenuti successivamente alla stipula del contratto.
Le motivazioni addotte per la disdetta anticipata debbano essere collegate a fattori oggettivi e non soggettivi.
Nella richiesta di recesso dal contratto, il conduttore dovrà specificare i seguenti dati: i suoi estremi anagrafici, la richiesta del recesso dal contratto di locazione, la specifica enunciazione dei gravi motivi per i quali si chiede la disdetta anticipata, i tempi di rilascio dell’immobile.
Dopo l’invio della disdetta, anche se accettata, il conduttore ha il dovere di continuare a pagare i canoni di locazione fino alla data effettiva di consegna dell’immobile.
Non potrà nel frattempo pretendere di farsi detrarre dai pagamenti i versamenti effettuati a inizio contratto a titolo di cauzione, perché questi ultimi vanno tenuti dal locatore fino alla consegna dell’immobile e restituiti al locatore solo dopo avere verificato l’assenza di danni riconducibili a questo.
Inoltre, sarà onere del conduttore sostenere le spese fiscali per l’Agenzia delle Entrate, così come anche la presentazione della ricevuta.
Ma che succede se il locatore invia la disdetta tardivamente ed il conduttore riconsegna comunque l’immobile?
Può capitare che le parti abbiano stipulato un contratto nel quale è stata prevista la possibilità per il locatore di inviare la disdetta di locazione con un preavviso di sei mesi (in luogo dei dodici previsti per legge).
Tale clausola risulta senza dubbio nulla, poiché contraria ad una norma imperativa di legge.
Ne consegue come anche la disdetta risulti inefficace e che la locazione si dovrebbe intendere automaticamente rinnovata per altri 6 anni (o 9 nel caso delle locazioni di cui al precedente punto 2).
Ma che accade se il conduttore, ignaro della nullità della clausola e della tardività della disdetta, libera l’immobile dando seguito alla (illegittima) pretesa del locatore?
In questo caso, il conduttore avendo dato seguito ad una disdetta inefficace, perde il diritto di avviamento?
La Suprema Corte di Cassazione, con diverse pronunce, conferisce alla disdetta tardiva del locatore un rilevante valore, ancorché questa risulti non idonea a risolvere il contratto di locazione.
Non è consentito, infatti, al locatore che abbia inviato una disdetta tardiva, revocarla o, comunque, appellarsi all’inefficacia della disdetta per negare la corresponsione della dovuta indennità, poiché il venir meno dell’efficacia determinativa della cessazione della locazione, comportando che, per effetto dell'esclusione del verificarsi di tale cessazione, il rapporto si intenda rinnovato come se la disdetta non fosse stata inviata, è un risultato che può essere determinato solo dal concorso della volontà sia dello stesso locatore sia dello stesso conduttore.

”indennità per la perdita di avviamento”, è finalizzata a predeterminare il danno presunto che il conduttore subisce per il mutamento di sede dell’attività connesso alla scadenza del contratto.
Tale trasferimento, infatti, comporta disagio e costi notevoli che necessariamente debbono esser compensati - in conseguenza della cessazione del contratto di locazione - a prescindere dall’esistenza di un danno in concreto.
Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria ritiene infatti che: “ il diritto del conduttore di un immobile locato per uso non abitativo all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, compete indipendentemente dalla prova in concreto dell’avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito un obbligo di corresponsione dell’indennità con una valutazione fondata sull’ “id quod plerumque accidit”, per cui il giudice di merito non è tenuto a compiere ulteriori indagini” (sentenza 15821/2005 Cassazione Civile, Sez. III) ed ancora “l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale è dovuta ope legis al conduttore, prescindendo da qualsiasi accertamento circa la perdita ed il danno che il conduttore abbia subito in concreto in conseguenza del rilascio”(Cass. Civ. Sez. III n°6876 del 6.5.2003; Cass. Civ. Sez. III n°12279 del 16.9.200, Cass. Civ. Sez. III n°14461/2005).
L’indennità per la perdita di avviamento è, pertanto, un’obbligazione legale in quanto è la legge stessa che espressamente la prevede e ne determina la misura per la quale il locatore non può chiedere di subordinarne l’adempimento alla dimostrazione del valore commerciale dell’avviamento, ovvero del nocumento arrecato all’attività commerciale.
Il diritto all’indennità di avviamento, presuppone, in ogni caso:
l’esistenza di un contratto di locazione ad uso diverso dall’abitativo che cessi per disdetta del locatore e non per recesso od inadempimento o altro fatto del conduttore. Anche la risoluzione consensuale, pertanto, esclude il diritto del conduttore all’avviamento. (Cass. Civ. SS.UU. 27 febbraio 1995 n°2231) e così anche la morosità o l’inadempimento del conduttore, escludono il diritto all’indennità e la cessazione dell’attività d’impresa del conduttore non in conseguenza della cessazione del contratto locativo, ma per fallimento o altra procedura concorsuale.
Cassazione Civile, sez. III, 29 agosto 2011, n. 17681 per la quale, in tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall’abitazione, qualora il locatore abbia comunicato di non voler rinnovare il contratto alla prima scadenza, non può riconoscersi al conduttore la facoltà di decidere unilateralmente di far cessare il rapporto anticipatamente, sottraendosi senza il consenso del locatore alle proprie obbligazioni;
o        Cassazione Civile sez. III, 6 ottobre 2005, n. 19478 per la quale, in tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, qualora il locatore abbia comunicato di non voler rinnovare il contratto alla prima scadenza (con raccomandata spedita almeno dodici mesi prima ai sensi dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978), l’interesse del conduttore a non perdere le occasioni che gli fossero date in epoca anteriore alla scadenza (in relazione alla quale era stato esercitato il diniego di rinnovo) non potrà essere perseguito addossandone il costo al locatore, ma potrà essere soddisfatto, in base alle valutazioni di convenienza dello stesso conduttore, con la "perdita" costituita dalla immanenza dell'obbligazione del medesimo conduttore di pagare il canone fino alla scadenza (ovvero fino alla data anteriore alla quale il locatore accetti la restituzione), alla quale maturerà peraltro il suo diritto alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, con il relativo onere a carico del locatore. Pertanto, la diversa scelta del conduttore di non versare più il canone locativo integra inadempimento e - nel caso in cui il locatore abbia promosso un giudizio di sfratto per morosità - la causa dell'effetto risolutivo ad una data anteriore rispetto alla scadenza non è riconducibile alla volontà del locatore bensì all'inadempimento dello stesso conduttore che, perciò, non può vantare - in dipendenza della disciplina dettata dall'art. 34 della citata legge n. 392 del 1978 - più alcun diritto alla corresponsione dell'indennità di avviamento alla scadenza, essendosi il contratto risolto, in dipendenza di una condotta a lui addebitabile, prima di quella data.
o        Cassazione Civile, sez. III, 8 agosto 2002, n. 12020 per la quale, in tema di locazione commerciale, il conduttore che, deducendo il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto, prometta di riconsegnare l’immobile al locatore, non è liberato, ai sensi dell’art. 1216 c.c., dall’obbligo del pagamento dei canoni locatizi, essendo lo stesso obbligato alla corresponsione sino alla scadenza del rapporto contrattuale.

Svolgimento

In ragione di quanto accaduto e, aderendo alla recente giurisprudenza di legittimità, la ditta Zeta s.a.s. non potrà vantare più alcun diritto alla corresponsione dell’indennità di avviamento alla scadenza del contratto di locazione, essendosi lo stesso risolto, in dipendenza di una condotta ad essa addebitabile ex art. 1453 c.c.
Le locazioni commerciali sono quelle che hanno ad oggetto immobili adibiti all'attività industriali, commerciali e artigianali nonché ad attività di interesse turistico. La scelta politica di fondo seguita dal legislatore in relazione a queste locazioni, è stata quella di non porre rigidi vincoli alle parti, se non per quanto riguarda la durata dei contratti, la tutela dell'avviamento, il diritto di prelazione in caso di vendita dell'immobile locato.
Il contratto di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione ha la durata legale minima di sei o nove anni, a seconda che si tratti della destinazione prevista dal comma I ovvero di quella prevista dal comma III dell'art. 27 della L. n. 392/1978. Medesima durata (esennale) è riconosciuta alle locazioni d’immobili contemplate dall'art. 42 della legge suddetta (locazioni e sublocazioni di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, ecc.).
Deve essere evidenziata la non condivisibilità della tesi, affermata da una parte della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale i contratti di locazione, ad uso non abitativo, sarebbero soggetti, in via ordinaria, ad una durata di dodici anni, salva l'ipotesi, che del tutto eccezionale, rappresentata dal diniego di rinnovo della locazione alla scadenza dei primi sei anni da parte del locatore, nei casi previsti dall'art. 29 della L. n. 392/1978.
Ed invero, indipendentemente dal dato letterale che sancisce una durata minima dei contratti in questione di sei anni (nove per le locazioni alberghiere), occorre evidenziare come, benché il contratto possa certamente rinnovarsi per un ulteriore periodo di identica durata, secondo quanto previsto dalla suddetta disposizione normativa, tale ipotesi costituisca tuttavia un effetto meramente eventuale, dipendente dalla circostanza che, alla data della prima scadenza del contratto, il conduttore intenda fruire di tale facoltà ed il locatore non si avvalga del potere di escluderla o non versi nelle condizioni di poterlo esercitare. Di regola, dunque, non è applicabile alla fattispecie in esame l'art. 1350, n. 8 c.c., secondo il quale i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore ai nove anni debbono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (ad eccezione, ovviamente, dei contratti con durata pattizia ultranovennale).
La norma ex art. 28, comma I, L. 27.07.1978, n. 392, in deroga al principio della autonomia negoziale, fissa imperativamente la durata minima dei contratti tacitamente rinnovati per assenza di tempestiva e rituale disdetta.
Stante il carattere imperativo della disposizione, è da ritenere che qualora la durata convenzionale della locazione sia superiore a quella minima stabilita dall'art. 27, la rinnovazione tacita operi sempre per la durata legale.
E' da precisare che non configurano rinnovo tacito del contratto: a) la permanenza del conduttore nell'immobile locato dopo la scadenza unitamente all'inerzia del locatore nell'esperimento dell'azione giudiziaria di rilascio; b) la percezione del corrispettivo, anche dopo la scadenza del contratto, da parte del locatore unitamente all'inerzia di costui nell'esperimento dell'azione giudiziaria di rilascio, specie qualora il locatore abbia avuto cura di specificare di ricevere le somme a titolo di indennità di occupazione.
La disciplina del rinnovo tacito della locazione alla prima scadenza contrattuale trova applicazione anche qualora la durata iniziale del contratto pattuita dalle parti sia superiore a quella minima di legge ed anche qualora essa sia uguale o superiore a quella complessiva di dodici anni (o di diciotto per gli immobili adibiti ad attività alberghiere) risultante dalla somma della durata minima legale iniziale e di quella minima di rinnovo.
I motivi che consentono l'invio della disdetta, dopo i primi sei anni sono i seguenti: a) il locatore intende adibire l'immobile ad abitazione propria o della cerchia familiare o all'esercizio di un'attività commerciale propria o dei parenti; b) il locatore intende effettuare interventi edilizi di ristrutturazione o di restauro, comunque volti ad assicurare la stabilità dell'immobile.
Sono previste sanzioni a carico del locatore laddove egli, riottenuto l'immobile per uno degli scopi di cui sopra, nel termine di sei mesi dall'avvenuta consegna non adibisca l'immobile ad abitazione o all'esercizio di un'attività commerciale ovvero non effettui gli interventi edilizi di cui sopra.
Le sanzioni, ai sensi di quanto prescrive l'art. 29 della L. n. 392/1978, possono consistere nel ripristino del contratto, in caso di richiesta in tal senso del conduttore, che otterrà così la riconsegna dell'immobile e nel risarcimento del danno in misura non superiore a 48 mensilità dell'ultimo canone.
Quanto, poi, al recesso del conduttore è da dire come esso sia, secondo il dettato della norma di cui all’art. 27 della L. n. 392/1978, di due tipologie: convenzionale e legale. In entrambi i casi l’atto di recesso costituisce esercizio di undiritto potestativo conferito al contraente dal contratto o dalla legge ed in quanto tale ha natura di negozio unilaterale recettizio, produttivo nei contratti ad esecuzione continuata, quale quello locativo, di effetti ex nunc, giusto il disposto di cui all’art. 1373 c.c., non riguardando le prestazioni già eseguite.
Il recesso, a differenza della disdetta, è diretto a determinare lo scioglimento anticipato del contratto il quale, in difetto, continuerebbe a svolgersi fino alla sua scadenza naturale.
Le parti possono consentire, a mezzo di apposita clausola, che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto, con un preavviso si almeno sei mesi, da effettuare a mezzo lettera raccomandata. Si tratta di un recesso convenzionale ad nutum, dal momento che il conduttore non deve giustificarlo in alcun modo.
Inoltre, la norma di cui all’art. 27 della L. 392/1978 contempla pure il recesso c. d. legale, applicabile anche ai contratti di locazione stipulati come conduttori da enti territoriali. Tale forma di recesso può essere validamente esercitata solo in presenza di gravi motivi, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito, il quale dovrà tener conto di tutte le caratteristiche del singolo caso, fra le quali assumono particolare rilievo le qualità soggettive del conduttore. Essi non possono attenere, invece, alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato.
In caso, poi, di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all’articolo 27 della L. n. 392/1978, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il conduttore ha diritto ad una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l’indennità è pari a 21 mensilità.
La norma tutela l'avviamento connesso all'esercizio di un'attività commerciale a contatto diretto con il pubblico e mira, in particolare, ad assicurare al conduttore un'adeguata riparazione per il danno economico che può derivargli dal trasferimento della sede dell'impresa. L'indennità per la perdita dell'avviamento, infatti, non è dovuta tanto per il fatto in sé della cessazione del rapporto locatizio quanto piuttosto per la perdita della clientela, che l'esercente può subire in conseguenza di un trasferimento altrove della propria attività; ciò, del resto, spiega perché il diritto alla corresponsione dell'indennità venga meno quando il contratto di locazione sia relativo agli immobili utilizzati per attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori e quando il conduttore abbia esercitato il diritto di prelazione o di riscatto.
La ratio della norma di cui all’art. 34 della L. n. 392/1978 è quella di attribuire al conduttore un'ulteriore somma per la potenziale, e molto probabile, acquisizione di sua clientela da parte di chi, nello stesso immobile, eserciterà la stessa od un'affine attività imprenditoriale.
Premesso ciò, con riguardo al caso in esame, la principale problematica giuridica da affrontare consiste nel verificare se, nell’ambito del contratto di locazione ad uso commerciale in questione – nel caso in cui il proprietario dello stesso abbia comunicato di non volere rinnovare il contratto in una successiva scadenza alla prima – il conduttore possa rilasciare anticipatamente l’immobile locato, sottraendosi al pagamento dei canoni locatizi sino alla naturale scadenza del rapporto contrattuale instaurato tra le parti.
Al riguardo, la recente giurisprudenza del supremo collegio di legittimità ha statuito che in tema di locazione d’immobile urbano ad uso diverso dall’abitazione, qualora il locatore abbia comunicato di non voler rinnovare il contratto alla prima scadenza, non può riconoscersi al conduttore la facoltà di decidere unilateralmente di far cessare il rapporto anticipatamente, sottraendosi senza il consenso del locatore alle proprie obbligazioni” (Cass. Civ., sez. III, 29.08.2011, n. 17681).
Alla luce di tale ultimo orientamento giurisprudenziale emerge chiaramente che il comportamento posto in essere dalla ditta Zeta s.a.s. non possa ritenersi svincolato dl consenso del locatore Caio.
L’interesse della conduttrice a non perdere le occasioni che gli fossero date in epoca anteriore alla scadenza (in relazione alla quale era stato esercitato il diniego di rinnovo) non potrà essere perseguito addossandone il costo al locatore, ma potrà essere soddisfatto, in base alle valutazioni di convenienza dello stesso conduttore, con la "perdita" costituita dalla immanenza dell'obbligazione del medesimo conduttore di pagare il canone fino alla scadenza (ovvero fino alla data anteriore alla quale il locatore accetti la restituzione), alla quale maturerà peraltro il suo diritto alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, con il relativo onere a carico del locatore.
Tuttavia, la diversa scelta operata dalla stessa conduttrice ditta Zeta s.a.s., di non versare più il canone locativo integra, secondo il decisum dei giudici di P. zza Cavour sopra richiamato, inadempimento contrattuale che ha determinato la risoluzione del contratto di locazione commerciale: ciò comporta che, allorquando il proprietario promuova giudizio di sfratto per morosità, come è avvenuto nel caso oggetto del presente parere, l’effetto risolutivo ad una data anteriore rispetto alla scadenza non è riconducibile alla volontà del locatore, ma all’inadempimento dello stesso conduttore.
Pertanto, la ditta Zeta s.a.s. non potrà vantare più neanche il diritto alla corresponsione dell’indennità di avviamento alla scadenza, essendosi il contratto risolto, in dipendenza di una condotta ad essa addebitabile, prima di quella data (Cfr. Cass. Civ., sez. III, 06.10.2005, n. 19478).
Né rileva il fatto che, accettata la disdetta, la ditta Zeta s.a.s., in tempo successivo, abbia manifestato la volontà di rilasciare l’immobile prima della scadenza concordata, invitando il locatore Caio a riprendersi le chiavi: al riguardo, infatti, il supremo giudice di nomofilachia ha statuito che: “in tema di locazione commerciale, il conduttore che, deducendo il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto, prometta di riconsegnare l’immobile al locatore, non è liberato ai sensi dell’art. 1216 c.c. dall’obbligo del pagamento dei canoni locatizi, essendo lo stesso obbligato alla corresponsione sino alla scadenza del rapporto contrattuale” (Cass. Civ., sez. III, 08.08.2002, n. 12020).

Ergo, e in conclusione, essendo fondate le pretese del proprietario dell’immobile, Caio, la ditta Zeta s.a.s. non potrà in alcun modo sottrarsi all’obbligo di corresponsione dei canoni di locazione non corrisposti e maturati sino alla risoluzione contrattuale; se adempierà a siffatto obbligo, essendo stato intimato lo sfratto, non si avrà l’emissione del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l’insussistenza della persistente morosità di cui all’art. 663, comma III, c.p.c.; tuttavia, da un punto di vista strettamente processuale, la conduttrice intimata potrà, in persona di Sempronio legale rappresentante p. t., una volta comparsa all’udienza indicata dal locatore nell’atto di citazione, opporsi ai sensi dell’art665 c.p.c. ma il Giudice, ritendendola quasi sicuramente prima facie infondata, non potrà che prenderne atto e procedere alla trasformazione del rito ex art. 667 c.p.c., eventualmente pronunciando ordinanza provvisoria di rilascio, se espressamente richiesta dalla parte intimante.

Nessun commento:

Posta un commento