giovedì 22 ottobre 2015

Risarcimento danno per caduta d acavallo

CAss. Civ. Sentenza 12 gennaio – 9 aprile 2015, n. 7093
Presidente Carleo – Relatore Rossetti
Svolgimento del processo
1. Il 16.6.1986, durante una lezione di equitazione, la sig.a Z.M. cadde dal cavallo che montava e patì lesioni personali.
Nel 1989, per ottenere il risarcimento del conseguente danno, convenne dinanzi al Tribunale di Treviso il gestore della scuola di equitazione dell’annesso maneggio (sig. B.D. ) e l’istruttore di equitazione (sig. G.L. ).
2. Dopo quattordici anni di giudizio il Tribunale di Treviso, con sentenza 12.6.2003 n. 1570, accolse la domanda nei confronti di B.D. , rigettandola nei confronti di G.L. .
3. La sentenza venne appellata sia da B.D. , il quale riteneva erronea l’affermazione della propria responsabilità; sia da Z.M. , la quale riteneva erronea per difetto la stima del danno.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 9.6.2010 n. 1276, rigetto l’appello di B.D. ed accolse quello di Z.M. .
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:
(a) B.D. dovesse rispondere dei danni causati dall’animale di sua proprietà ai sensi dell’art. 2052 c.c.;
(b) tale presunzione può essere vinta solo dalla prova del caso fortuito;
(c) nella specie Z.M. era caduta dopo che l’animale da lei montato si era imbizzarrito, e tale circostanza non costituisce un caso fortuito.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.D. , sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso Z.M. .
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.. Si assume violato l’art. 2052 c.c..
Deduce il ricorrente che al gestore del maneggio, nel caso di danni causati dagli animali, deve applicarsi la presunzione di cui all’art. 2050 c.c., e non quella di cui all’art. 2052 c.c..
L’applicabilità al gestore del maneggio della presunzione di cui all’art. 2052 c.c. sarebbe erronea per due ragioni:
- sia perché tale norma fa riferimento ai soli danni causati dall’animale a persone che accidentalmente vengano in contatto con esso, mentre nel caso della scuola di equitazione il contatto tra animale e persona è voluto e non accidentale;
- sia perché l’equitazione è uno sport, e chi accetta di praticarla accetta per ciò solo il rischio d’una caduta dalla groppa dell’animale montato.
Dall’applicabilità all’attività di maneggio della presunzione di cui all’art. 2050 c.c. discende che il gestore, per liberarsi dalla presunzione di colpa, deve provare solo di avere adottato tutte le cautele necessarie: nella specie prova adeguatamente fornita.
Avrebbe pertanto errato la Corte d’appello, conclude il ricorrente, nell’applicare la più rigorosa previsione di cui all’art. 2052 c.c..
1.2. Il motivo è inammissibile, per due distinte ed indipendenti ragioni.
1.3. La prima ragione è che con esso si censura, quale vizio di violazione di legge, un tipico accertamento di merito.
Il giudice chiamato a stabilire se sussista la responsabilità civile del gestore d’una scuola d’equitazione, deve innanzitutto stabilire se tale attività possa qualificarsi “pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c.: in caso affermativo l’assoggetterà alle previsioni di tale norma; in caso negativo valuterà se sia applicabile la diversa presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2052 c.c..
Tuttavia lo stabilire se una attività sia da reputare “pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c., al fine di sottoporre chi la esercita alla presunzione prevista da quella norma, è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto. “Pericolosa”, ex art. 2050 c.c., è infatti l’attività potenzialmente causativa di danno non solo per la sua natura, ma anche per la natura dei mezzi adoperati
La gestione d’una scuola d’equitazione può essere in concreto pericolosa, ma può anche non esserlo: tale requisito non sussiste in astratto, ma va accertato in concreto in base alle modalità con cui viene impartito l’insegnamento, alle caratteristiche degli animali impiegati ed alla qualità degli allievi (ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 14747 del 17/10/2002, in motivazione).
Se dunque l’accertamento della “pericolosità” d’una scuola d’equitazione costituisce un accertamento de facto, è evidente che la relativa vantazione compiuta dal giudice di merito potrà semmai essere censurata per vizio di motivazione, ma non certo per violazione di legge, vizio inconcepibile rispetto ad un accertamento fattuale.
1.4. Vi è poi, come accennato, una seconda ragione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, rappresentata dal difetto di interesse ex art. 100 c.p.c..
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nell’assoggettare la responsabilità del gestore d’una scuola di equitazione alla presunzione di cui all’art. 2052 c.c. (danno da animali) invece che a quella di cui all’art. 2050 c.c. (esercizio di attività pericolosa).
Spiega il proprio interesse a far valere tale errore deducendo che dalla presunzione di cui all’art. 2050 c.c. ci si può liberare dimostrando di avere adottato le opportune cautele nello svolgimento dell’attività; dalla presunzione di cui all’art. 2052 c.c. invece ci si può liberare solo dimostrando il caso fortuito.
Questa affermazione non è esatta, e nel caso di specie la Corte d’appello non sarebbe potuta pervenire a conclusioni diverse nemmeno se avesse applicato l’art. 2050 c.c.. Di qui il difetto di interesse del ricorrente.
1.5.1. In taluni casi, la legge solleva il danneggiato dall’onere di provare la colpa del responsabile (presunzione di colpa). È l’ipotesi di cui all’art. 1218 c.c., a norma del quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
La “causa non imputabile” è un dato meramente negativo, consistente nell’assenza di colpa: ciò vuoi dire che il debitore, quando sia gravato da una presunzione di colpa siffatta, se ne può liberare semplicemente dimostrando di non essere stato negligente, ovvero di avere adottato le cautele che la legge, il contratto o la comune prudenza di cui all’art. 1176 c.c. rendevano da lui esigibili.
1.5.2. In altri casi la legge, fermo restando l’esonero del danneggiato dal dovere provare la colpa del responsabile, addossa a quest’ultimo un onere probatorio più rigoroso, consistente nel dovere provare il fatto positivo, estraneo alla sua sfera di azione, che ha costituito la causa esclusiva del danno (presunzione di responsabilità).
Ricorrendo tale ipotesi, al convenuto nel giudizio di danno per andare esente da responsabilità non basterà dimostrare di avere tenuto una condotta diligente, ma sarà necessario dimostrare che il danno è dovuto ad una causa oggettiva a lui estranea.
1.6. La responsabilità del proprietario dell’animale per i danni da questo causati è da tempo inquadrata sia da questa Corte, sia dalla dottrina pressoché unanime, tra le ipotesi di responsabilità presunta, non tra quelle di colpa presunta.
Si tratta di un orientamento millenario, risalente all’istituto dell’actio de pauperie contemplata dal diritto romano classico, dal quale non esistono ragioni per discostarsi.
Secondo questo orientamento, la presunzione di responsabilità per danno causato da animali può essere superata esclusivamente qualora il proprietario o colui che si serve dell’animale provi il caso fortuito, inteso quale fattore concreto del tutto estraneo alla sua condotta.
L’animale, infatti, sensu caret: e l’imprevedibilità dei suoi comportamenti non può per ciò costituire un caso fortuito, costituendo anzi una caratteristica ontologica di ogni essere privo di raziocinio.
1.7. La responsabilità dell’esercente attività pericolosa (art. 2050 c.c.) ha dato invece luogo a maggiori discussioni in dottrina, e ad una significativa evoluzione della giurisprudenza di questa Corte.
Secondo l’orientamento Più di recente tuttavia, si è affermato che la responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. ha natura oggettiva: essa pertanto sussiste sulla base del solo nesso di causalità, a prescindere da qualsiasi rimprovero in termini di colpa che possa essere mosso all’esercente l’attività stessa (Sez. 3, Sentenza n. 26516 del 17/12/2009, Rv. 610473, ove si afferma che “la responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. ha natura oggettiva, e sussiste sulla base del solo nesso di causalità, a prescindere da qualsiasi rimprovero in termini di colpa che possa essere mosso all’esercente l’attività stessa”; nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 8457 del 04/05/2004, Rv. 572599).
E tuttavia, poiché come detto anche quella di cui all’art. 2050 c.c. è una presunzione di responsabilità al pari di quella prevista dall’art. 2052 c.c., essa può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa. Pertanto all’esercente l’attività pericolosa non basta, per evitare la condanna, la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso,
Nel caso di specie è lo stesso ricorrente ad allegare come dall’istruttoria fosse emerso che l’animale assegnato a Z.M. , se pure di norma tranquillo, “in qualche occasione si era dimostrato un po’ nervoso”; e non vi è dubbio che assegnare ad un allievo non esperto un animale potenzialmente nervoso è condotta inidonea alla prevenzione del rischio.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
La censura è così sintetizzabile:
(a) secondo la Corte d’appello, il gestore d’una scuola d’equitazione è soggetto alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., quando l’insegnamento è impartito a principianti; ed alla diversa presunzione di cui all’art. 2052 c.c. quando l’insegnamento è impartito ad allievi già esperti. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto Z.M. una allieva “esperta”, ma l’ha fatto sulla base di una motivazione insufficiente e contraddittoria: insufficiente, perché contrastante con le prove raccolte; contraddittoria, perché la Corte d’appello ha da un Iato affermato che la danneggiata era una allieva già avanzata, e dall’altro che “non era esperta”.
2.2. Il motivo è infondato.
La contraddittorietà della motivazione ravvisata dal ricorrente in realtà non sussiste.
Il vizio logico di contraddittorietà va infatti valutato non già estrapolando dal testo della sentenza singoli brani o parole, ma valutando nel complesso la coerenza e la logicità dell’argomentazione.
Nel caso di specie, il senso delle affermazioni di cui a pag, 8 della sentenza impugnata: la Corte d’appello intende dire che Z.M. , al momento dell’infortunio, aveva già superato la primissima fase di istruzione, e pertanto non poteva considerarsi più una principiante. In questo contesto semantico, la proposizione concessiva “pur non essendo esperta” ha con evidenza un senso logico più ristretto di quello sintattico, e sta a significare che l’allieva non era ancora una professionista, ma nello stesso tempo non era più una principiante.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’alt. 385, comma 1, c.p.c..
P.Q.M.

la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna B.D. alla rifusione in favore di Z.M. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.

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