giovedì 22 ottobre 2015

omicidio colposo. Sinistro-stradale/

Corte di Cassazione, sezione IV Penale
Sentenza 10 marzo – 21 aprile 2015, n. 16680
Presidente Zecca- Relatore Serrao
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del 24/01/2014, ha riformato, concedendo il beneficio della non menzione della condanna nel certificato dei casellario giudiziale, la pronuncia emessa in data 25/05/2012 dal Tribunale di Teramo – Sezione Distaccata di Giulianova ed ha confermato la condanna dell’imputato D.S. E. alla pena di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa, previo giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche alla aggravante prevista dall’art.589, secondo comma, cod. pen.
2. I giudici di merito hanno ritenuto E.D.S. responsabile della morte di C.F. per aver proceduto ad una velocità non commisurata al centro abitato, al limite imposto, alla presenza di attraversamenti pedonali ed al fondo stradale bagnato per la pioggia, in occasione di un sinistro stradale
Secondo la ricostruzione del sinistro operata nei gradi di merito, E.D.S. percorreva la strada alla velocità di km/h 85 circa quando C.F. si era immesso nell’incrocio dalla destra dell’automobilista senza dargli la precedenza;
3. E.D.S. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza o erronea applicazione degli artt.589 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità condividendo acriticamente le conclusioni del perito e svilendo di significato le valutazioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico della difesa, senza dare conto della scelta operata. Il ricorrente deduce che la velocità calcolata dal perito oltre sei anni dopo il sinistro, in condizioni di tempo diverse da quelle esistenti al momento del fatto, non fosse confermata dalle tracce di frenata dell’autovettura né dal danno cagionato dall’impatto e dalla distanza alla quale sono stati proiettati velocipede e ciclista, posto che la traccia di frenata lasciata dall’autovettura corrispondeva al tempo di reazione di un individuo nel momento in cui avvista un pericolo, equivalente ad un secondo, durante il quale una macchina in marcia entro il limite di velocità consentito percorre m.13,90. La Corte, si assume, non ha spiegato per quali ragioni la consulenza tecnica di parte dovesse dichiararsi inattendibile ed ha ritenuto irrilevante il concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro nonostante si trattasse di elemento in presenza del quale, anche con una velocità inferiore dell’autovettura, il sinistro non sarebbe stato evitato nè avrebbe avuto esiti meno gravi;
b) inosservanza o erronea applicazione degli artt. 589,133 e 62 bis cod. pen. Il ricorrente lamenta che il giudice dì appello ha confermato la pena irrogata dal giudice di primo grado, di fatto escludendo il riconoscimento delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, deducendo che in ogni caso l’incidenza causale della condotta imprudente della vittima e l’assenza di precedenti penali dell’imputato avrebbero dovuto indurre a dichiarare le circostanze attenuanti generiche prevalenti.
Considerato in diritto
1. II ricorso non è fondato.
2. La Corte territoriale ha, in primo luogo, spiegato le ragioni per le quali ritenesse di condividere le conclusioni alle quali era pervenuto il perito (che aveva calcolato la velocità dell’autovettura ìn km/h 85 sulla base di formule matematiche elaborate in materia) con preferenza rispetto alle valutazioni del consulente della difesa (che, secondo la Corte, aveva fornito elementi generici senza quantificare la velocità tenuta dall’imputato). Ha, quindi, indicato i due argomenti di carattere logico idonei a corroborare il dato tecnico: in particolare, secondo un primo argomento, l’automobilista non si era avveduto della presenza del ciclista; secondo l’altro argomento, il danno cagionato dall’impatto all’autovettura, il cui parabrezza era stato frantumato dalla testa della vittima, e la distanza, superiore a 25 metri, alla quale il corpo del ciclista e la bicicletta erano stati scaraventati, escludevano che l’automobilista procedesse a velocità ridotta,
6. La sentenza impugnata ha, peraltro, correttamente applicato al caso concreto il principio interpretativo consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di concorso di cause indipendenti, in base al quale il concorso di cause può ritenersi escluso solo allorquando il conducente di un veicolo, nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica (Sez. 4, n. 32202 del 15/07/2010, Filippi, Rv. 248355), si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di l’altro veicolo e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso l’incidente potrebbe ricondursi eziologicamente in misura esclusiva alla condotta del secondo conducente, avulsa totalmente dalla condotta del primo ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima (Sez. 4, n. 32303 del 02/07/2009, Concas, Rv. 244865). Né nel ricorso risultano dedotti, come avrebbero dovuto essere nel rispetto dei principio di specificità dei motivi dettato, a pena di inammissibilità, dall’art.581 lett. c) cod. proc. pen., gli elementi di fatto dai quali si sarebbe dovuto desumere che, ove l’automobilista avesse tenuto un comportamento rispettoso della regola cautelare contestatagli, l’evento si sarebbe ugualmente verificato con le medesime modalità e conseguenze.
7. Alla luce di tali principi e delle ragioni poste a fondamento della decisione, risultano inconferenti le doglianze che si fondano sull’affermazione peritale
8. La seconda censura presenta profili di manifesta infondatezza in quanto parte da una premessa interpretativa non condivisibile, ossia l’incompatibilità tra l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale. In tema di commisurazione della pena, non esiste alcuna contraddittorietà logico-giuridica tra la concessione delle attenuanti generiche, ancorché giudicate prevalenti sulle aggravanti, e la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale, ove si consideri l’indipendenza delle valutazioni che il giudice di merito è chiamato a fare nell’uno e nell’altro caso (Sez.6, n.1694 del 22/12/1998, dep.1999, Esposito, Rv. 212505).
8.1. Peraltro, con riferimento alla congruità della pena, solo l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod.~ pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributivï e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153).
8.2. Con specifico riferimento al giudizio di bilanciamento tra circostanze, non risulta, peraltro, che la censura avesse formato oggetto di motivo di appello. A ciò deve aggiungersi che la valutazione degli elementi sui quali si fonda la concessione delle attenuanti generiche, ovvero il giudizio di comparazione delle circostanze, nonché in generale la determinazione della pena, rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art.133 cod.pen., è censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
9. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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