martedì 13 ottobre 2015

LE SANZIONI CIVILI E FISCALI PER IMMOBILI ABUSIVI

LE SANZIONI CIVILI E FISCALI PER IMMOBILI ABUSIVI
 1  Le sanzioni civili
La nullità degli atti giuridici relativi ad opere eseguite in assenza di permesso di costruire è stata regolata dall'art. 46, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (1).
Il ricevimento o l'autenticazione di atti nulli da parte del notaio costituisce, inoltre, violazione all'art. 28 della Legge notarile n. 89/1913, che prevede il divieto di ricevere atti proibiti dalla legge.
 1.1  La nullità degli atti giuridici
È nullo il contratto di vendita di un immobile che difetti, in violazione dell'art. 46, D.P.R. n. 380 del 2001, della indicazione del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, anche se è indicato nell'atto di trasferimento l'intervenuto parere favorevole della commissione, in quanto è necessario indicare gli estremi formali dell'ottenuto permesso di costruire (2).
Sotto il profilo oggettivo la giurisprudenza ha precisato che la nullità degli atti di trasferimento di edifici costruiti senza permesso di costruire si estende al trasferimento delle accessioni di tali immobili (3).
La nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della L. 47 del 1985 riveste carattere formale, e non meramente virtuale, riconducibile nel sistema generale delle invalidità per l'effetto dell'art. 1418, c. 3, c.c., attesa la funzione di tutela dell'affidamento dell'acquirente.
È sufficiente perché l'atto sia nullo che si riscontri la mancata indicazione nell'atto stesso degli estremi del permesso di costruire, senza che occorra interrogarsi sulla sua reale esistenza. Con la conseguenza, ancora, che per ottenere la eventuale conferma si deve redigere un nuovo e distinto atto, mediante il quale si provveda alla comunicazione dei dati mancanti o all'allegazione dei documenti, avente i medesimi requisiti formali del precedente ed in forme che non ammettono equipollenti (4).
L'art. 40, c. 2, L. 47/1985, afferma che non possono essere stipulati gli atti aventi ad oggetto beni se non risultano per dichiarazione dell'alienante gli estremi del permesso di costruire ovvero se non viene allegata copia conforme della domanda in sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate dell'oblazione ovvero la dichiarazione, inserita in atto, che la costruzione è iniziata anteriormente al 2 settembre 1967.
È nullo ai sensi dell'art. 40, L. 28 febbraio 1985, n. 47, il contratto di compravendita di edificio abusivo al quale non sia allegata copia conforme della domanda di concessione in sanatoria, ma nel quale si confermi semplicemente la avvenuta presentazione della stessa.
La sanzione della nullità di vendita di immobili abusivi si applica ai contratti preliminari?
La sanzione di nullità stabilita dall'art. 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, per i contratti relativi a trasferimenti immobiliari che non contengano l'ivi prevista dichiarazione concernente la regolarità della situazione dell'edificio di cui trattasi rispetto alla disciplina urbanistica, si applica con esclusivo riguardo ai contratti con effetti reali, non anche a quello con effetti obbligatori, come i contratti preliminari di vendita (5).
I contratti dalla efficacia meramente obbligatoria, quale un preliminare di vendita, restano, pertanto, disciplinati dall'art. 15, L. 10 del 1977, secondo il quale la nullità di tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione, può essere fatta valere in giudizio solo ove il promissario acquirente risulti essere stato a conoscenza della circostanza della mancata concessione, e tale conoscenza emerga inequivocamente dal contenuto dall'atto (6).
Nell'ipotesi di acquisto di immobile in sede di esecuzione, il termine di presentazione dell'istanza di condono edilizio resta aperto per espressa voluntas legis; sicché è precluso alla p.a. procedere, in via sanzionatoria, circa eventuali abusi edilizi (7).
 1.2  Gli effetti del rilascio della concessione in sanatoria sulla nullità degli atti
Gli effetti del rilascio della concessione in sanatoria sulla nullità degli atti sono precisati dall'art. 2, c. 57 e c. 58, della L. 23 dicembre 1996, n. 662.
L'art. 2, c. 57, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, prevede due distinte ipotesi.
La prima ipotesi si verifica qualora la nullità non sia ancora stata dichiarata, nel qual caso gli atti acquistano validità di diritto ed il giudice nel corso del processo deve acclarare tale nuova condizione giuridica ex lege.
Si ha la validità di diritto degli atti di disposizione tra vivi di costruzione difforme dalla licenza, ovvero trasformata senza autorizzazione, se, successivamente al negozio, è stata rilasciata la concessione in sanatoria — ai sensi dell'art. 39, L. 23 dicembre 1994, n. 724, come integrato dall'art. 2, da c. 37 a 59, L. 23 dicembre 1996 n. 662 — e la nullità comminata dagli art. 17 e 40, c. 2, L. 28 febbraio 1985, n. 47, non è ancora stata dichiarata con sentenza passata in giudicato; se costituisce ius superveniens si applica in ogni stato e grado del giudizio, anche in Cassazione.
La giurisprudenza ha ritenuto necessario, sul piano processuale, per applicare lo ius superveniens, che si impone in ogni stato e grado del giudizio, consentire la produzione di documenti o effettuare accertamenti di fatto, non ottenibili o non indispensabili nella vigenza della precedente disciplina, ed invece rilevanti ed idonei per quella successiva alla sentenza impugnata.
Nella specie è stata cassata con rinvio la decisione di appello dopo l'entrata in vigore della L. 23 dicembre 1996 n. 662, che all'art. 2, c. 57, dispone la validità di diritto degli atti di disposizione tra vivi di costruzione difforme dalla licenza ovvero trasformata senza autorizzazione, poiché, successivamente al negozio, è stata rilasciata la concessione in sanatoria e la nullità non è ancora stata dichiarata con sentenza passata in giudicato (8).
La seconda ipotesi si verifica qualora la nullità sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato e trascritta.
La sanatoria retroattiva può essere richiesta solo su accordo delle parti, con atto successivo contenente gli allegati di cui all'art. 40, L. 47/1985.
La sanatoria è inibita da successive trascrizioni intervenute a favore di terzi.
L'art. 2, c. 58, L. 23 dicembre 1996, n. 662, modifica i requisiti per la valida rogazione degli atti di fabbricati o loro porzioni privi di concessione.
Dall'atto notarile, pena la nullità, devono risultare:
— gli estremi della domanda di condono con gli estremi di versamento dell'intera somma dovuta a titolo di oblazione o di contributo concessorio;
— il parere favorevole dell'autorità preposta al vincolo, ove la sanatoria sia subordinata ad esso.
Nel caso di mancato rilascio il silenzio equivale a diniego e può essere impugnato al T.A.R., qualora il parere relativo non sia emesso entro 180 giorni dalla domanda, ai sensi dell'art. 2, c. 44, L. 23 dicembre 1996, n. 662.
Nel caso in cui si verifichi il silenzio assenso, disciplinato dall'art. 39, c. 4, della L. 23 dicembre 1994, n. 724, nei predetti atti devono essere indicati, a pena di nullità, i seguenti elementi costitutivi dello stesso: data della domanda, estremi del versamento di tutte le somme dovute, dichiarazione dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo precedente, dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell'art. 39, c. 4, della L. 724/1994.
Nei successivi atti negoziali è consentito fare riferimento agli estremi di un precedente atto pubblico che riporti i dati sopracitati.
Quali effetti produce la intervenuta sentenza di nullità passata in giudicato?
Qualora sia intervenuta la sanatoria edilizia di cui all'art. 39 legge n. 724 del 1994, la convalida degli atti di trasferimento relativi a beni immobili abusivi prevista dall'art. 2, c. 57, L. n. 662 del 1996, è esclusa soltanto quando la sentenza che dichiara la nullità sia passata in cosa giudicata.
A prescindere dal fatto che in generale una pronuncia di natura dichiarativa non può produrre effetti se non in quanto sia divenuta definitiva, il secondo periodo dello stesso art. 2 n. 57 della legge citata, nello stabilire che “ove la nullità sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato e trascritta può essere richiesta la sanatoria retroattiva sull'accordo delle parti”, prevede tale eccezionale rimedio convalidante soltanto per le nullità dichiarate con sentenza irrevocabile, sicché lo stesso deve logicamente ritenersi non necessario quando la pronuncia dichiarativa dell'invalidità non sia divenuta definitiva (9).
 1.2.1  L'obbligo di eseguire un contratto di compravendita in carenza del permesso di costruire
La giurisprudenza ha tratto come conseguenza la inapplicabilità dell'art. 2932 c.c. in carenza degli estremi del permesso di costruire.
In assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto successivamente prodotto in giudizio, degli estremi del permesso di costruire e/o del permesso di costruire in sanatoria dell'abuso edilizio, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall'art. 2932 c.c.
Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, richiede le predette dichiarazioni o allegazioni a pena di nullità per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, che non siano di servitù o di garanzia, relativi ad edifici o loro parti. Esso indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di esecuzione in forma specifica del preliminare di una vendita immobiliare che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l'autonomia negoziale delle parti.
Detto limite, considerato l'interesse pubblico all'ordinata trasformazione del territorio e le peculiari caratteristiche della sentenza e l'autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare, incide direttamente sulle condizioni dell'azione prevista dall'art. 2932 c.c., senza alcun rilievo dell'astratta possibilità di una successiva sanatoria della nullità, e va conseguentemente rilevato d'ufficio ed anche in sede di legittimità, sempre che la soluzione della questione relativa alla sua esistenza non richieda indagini non compiute nei precedenti gradi di giudizio e siano acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto dai quali esso possa desumersi (10).
 1.2.2  Lo scioglimento della comunione relativa ad immobili abusivi
La nullità si applica anche alle divisioni inter vivos?
La sanzione della nullità si applica agli atti di trasferimento o di costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici costruiti dopo l'entrata in vigore della presente legge, esclusi i diritti reali di garanzia o di servitù.
Sul punto la giurisprudenza si divide; alcune decisioni giurisprudenziali confermano che deve essere rigettata la domanda di scioglimento della comunione immobiliare, ove i beni interessati risultino abusivi e non condonati, ancorché si tratti di giudizio di divisione provocato da un'espropriazione di un bene indiviso (11).
La comminazione della sanzione della nullità per gli atti inter vivos sopra detti risponde alla ratio pubblicistica di impedire il consolidarsi di gravi violazioni urbanistiche mediante la circolazione dei beni abusivi, circolazione ritenuta confliggente con l'interesse superindividuale ad un ordinato assetto del territorio.
Altra giurisprudenza afferma, invece, che può procedersi alla divisione dei beni, ancorché gli stessi risultino abusivi dal punto di vista urbanistico e non assoggettati a condono (12).
La nullità si applica anche alle divisioni mortis causa?
Lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria ha natura costitutiva ed è equiparabile ad un atto inter vivos, anche se trae origine dalla morte di un soggetto. La domanda di divisione deve essere respinta se l'immobile da dividere è in tutto o in parte abusivo (13).
La giurisprudenza di merito maggioritaria ritiene che osti a tale divisibilità il disposto di cui all'art. 46, D.P.R. 2001, n. 380, a mente del quale gli atti tra vivi — redatti sia in forma pubblica sia in forma privata — aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o della concessione in sanatoria ovvero il disposto di cui all'art. 40 della stessa legge che analogamente dispone per gli abusi edilizi realizzati prima della sua entrata in vigore in mancanza di presentazione della concessione in sanatoria ovvero della relativa istanza accompagnata dal versamento della rate di oblazione previste. La tesi della non divisibilità della comunione ereditaria, tuttavia, è stata sconfessata dalla Corte di Cassazione secondo cui la sanzione in questione, stando al tenore letterale della norma, trova applicazione unicamente con riferimento agli atti tra vivi, con esclusione di quelli mortis causa, tra cui dovrebbe annoverarsi lo scioglimento della comunione ereditaria (14).
Sempre secondo tale pronunzia, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l'evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma. La conferma della natura derivata della divisione ereditaria sarebbe data dall'art. 757, c.c., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall'atto divisionale. Si osserva, peraltro, che diversamente opinando si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento rispetto a situazioni sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo giustificare l'esigenza dell'applicazione della norma in esame alla divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata dal testatore oppure l'applicazione della norma in ipotesi di attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non applicazione nell'ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto. L'argomento principale della tesi sopra esposta è, dunque, la natura mortis causa dello scioglimento della comunione ereditaria, in quanto mero atto dipendente dall'apertura della successione e dall'efficacia dichiarativa. Contrariamente, si nota che la pronunzia giudiziale di scioglimento della divisione, avendo funzione suppletiva di quella negoziale, di certo incontra gli stessi limiti di quest'ultima, poiché altrimenti opinando si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda.
È stato osservato, poi, che la divisione ereditaria giudiziale al pari di quella amichevole non è equiparabile od assimilabile ad un atto mortis causa, sebbene dalla morte di un soggetto tragga la sua causa remota (15). Con l'apertura della successione, infatti, i coeredi divengono, sin da tale momento, titolari del diritto ad una quota ideale del tutto, ma le operazioni divisionali (sia amichevoli che giudiziali) sono volte a trasformare tali diritti già acquisiti su quote ideali in diritti di proprietà individuali sui singoli beni; sono, quindi, diritti di proprietà che nascono da un'autonoma iniziativa di soggetti diversi dal de cuius (16). Qui si nota la differenza sostanziale con la non omogenea ipotesi della divisione operata dal testatore, laddove l'attribuzione di singole proprietà è operata direttamente dal de cuius, di guisa che essa prescinde da una vera e propria comunione. La tesi della natura meramente dichiarativa dello scioglimento della comunione ereditaria, sottesa alla pronunzia della Corte, è del resto attualmente recessiva in dottrina ove si sottolinea la sostanziale identità nella sistematica del codice del negozio di divisione, a prescindere dalla fonte della comunione inter vivos o mortis causa, e la sua natura costitutiva.
A tale configurazione non sembrerebbe ostare il disposto di cui all'art. 757 c.c., in forza del quale il coerede è reputato immediato successore in tutti i beni attribuitigli in seguito alla divisione poiché tale disposizione si limita, con una fictio iuris e per ragioni di certezza nella circolazione dei beni giuridici, a far retroagire gli effetti costitutivi della stessa. Lo stesso tenore letterale della norma, a mente della quale il coerede si reputa e non già è coerede, deporrebbe per l'esclusione della natura meramente dichiarativa della sentenza di divisione. Né, infine, la tesi della natura costitutiva della divisione anche ereditaria sembra comportare una irragionevole disparità di trattamento tra l'ipotesi dell'attribuzione di un bene a più coeredi e quella della sua attribuzione ad un solo soggetto. In tale ultima ipotesi, infatti, mancando la comunione, manca anche il negozio di scioglimento che rientra tra gli atti vietati dalla norma de qua la quale non sanziona l'abusività in sé, ma sancisce la nullità del conseguente traffico giuridico. Anche a non volere condividere la tesi della natura di atto inter vivos del negozio di scioglimento della comunione ereditaria, è certo che nell'ipotesi, come quella di specie, in cui lo scioglimento debba avvenire non già mediante attribuzione di singoli beni ai condividenti ovvero con assegnazione del tutto indivisibile ad un coerede richiedente, ma mediante vendita giudiziale non può sostenersi la non applicabilità dell'art. 46, D.P.R. 380/2001. In questo caso lo scioglimento della comunione passa per l'atto di vendita ad un soggetto terzo, il quale all'evidenza è estraneo alla vicenda successoria; il suo acquisto non può di certo essere qualificato mortis causa per il semplice fatto che i suoi danti causa hanno acquistato il bene in via ereditaria (17).
 1.3  Il certificato di destinazione urbanistica
Gli atti relativi al trasferimento o alla costituzione o allo scioglimento di diritti reali relativi a terreni sono nulli ove agli stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica, fatta eccezione per le pertinenze inferiori ai 5.000 metri quadrati.
Il certificato di destinazione urbanistica deve contenere tutte le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata, ex art. 30, c. 2, D.P.R. 380/2001.
La nullità degli atti di trasferimento di terreni per la mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica è formale, assoluta e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo e riguarda tutti i terreni, ancorché non frazionati, indipendentemente dalla loro estensione e anche quando non sia presa in considerazione una fattispecie lottizzatoria (18).
La norma non prevede la possibilità di conferma di un precedente atto di compravendita di terreni, nullo per omessa allegazione di certificato di destinazione urbanistica, mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l'atto da confermare (19).
Diversamente l'allegazione del certificato scaduto di validità, addebitabile a mero errore dei collaboratori del notaio, anche se il professionista era già in possesso al momento del rogito di un nuovo e valido certificato di destinazione urbanistica, comporta la nullità dell'atto e l'infrazione disciplinare solo se non vi è stata alcuna conferma negoziale postuma (20).
È sanabile la nullità?
L'allegazione ad atto pubblico di compravendita di terreni di certificato di destinazione urbanistica non aggiornato e non integrato dall'alienante con la prescritta dichiarazione di attualità è causa di invalidità dell'atto stesso. La nullità è sanabile, a norma dell'art. 30, c. 4-bis, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, se anche una sola delle parti lo confermi o lo integri nelle forme previste (21).
La sanzione della nullità di vendita di terreni privi di certificato di destinazione urbanistica si applica ai contratti preliminari?
La nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativa a terreni, quando a essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l'area interessata — prevista dall'art. 30, c. 2, D.P.R. 380/2001 — si riferisce esclusivamente ai contratti che, di per sé, determinano l'effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita. Deriva da quanto precede, pertanto, che il preliminare, come anche la denuntiatio in tema di prelazione agraria, è valido pur non contenendo la dichiarazione di cui all'art. 46, D.P.R. 380/2001, salva l'esigenza di allegazione del certificato di destinazione urbanistica per la stipulazione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all'art. 2932 c.c. (22).
 1.4  Le sanzioni a carico dei notai
Il notaio è obbligato a richiedere le attestazioni sopra esaminate.
Il ricevimento o l'autenticazione di atti nulli costituisce violazione all'art. 28 della Legge notarile n. 89 /1913, che prevede il divieto di ricevere atti proibiti dalla legge.
Il D.P.R. 380/2001 estende il divieto nel caso di compravendite immobiliari anche alle autenticazioni.
L'infrazione al divieto nelle ipotesi sopra esaminate comporta l'applicazione della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione da sei mesi ad un anno, salva l'azione da parte dell'acquirente di responsabilità civile nei confronti del professionista.
Naturalmente la responsabilità notarile non sussiste qualora il venditore abbia reso dichiarazioni mendaci che sono imputabili a chi le ha pronunciate.
Il notaio non ha quindi un obbligo di verifica che le dichiarazioni rese corrispondano alla situazione esistente, ma un obbligo di verifica formale delle dichiarazioni rese.
La giurisprudenza ha precisato che il notaio che abbia autenticato le sottoscrizioni delle parti in calce ad una scrittura privata di vendita di una unità immobiliare compresa in un edificio, senza avere ricevuto dalle parti un incarico specifico di assistenza e consulenza, non può essere considerato responsabile di una dichiarazione invalida resa dalla parte, relativamente alla rispondenza dello stato di fatto della singola porzione immobiliare al permesso di costruire inerente all'intero edificio.
La fede privilegiata propria dell'atto notarile non si estende al contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti onde non è configurabile alcuna attività obbligatoria di accertamento da parte del notaio, che non ne abbia ricevuto specifico incarico, sulla veridicità delle dichiarazioni stesse e quindi non vi è alcuna sua responsabilità per la successiva accertata invalidità dell'atto derivante da loro inidoneità (23).
Per la giurisprudenza le conseguenze negative dell'omessa allegazione al rogito di vendita di fabbricato di copia conforme della domanda di sanatoria sono impedite dalla successiva produzione di atto di conferma che preclude anche l'applicazione di una sanzione disciplinare nei confronti del notaio rogante (24).
La sanzione a carico del notaio è applicabile qualora la legge non preveda la nullità assoluta, ma una invalidità sanabile?
La giurisprudenza ritiene che il divieto di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge riguarda gli atti affetti da nullità assoluta e non da mera annullabilità, inefficacia o nullità relativa.
La sanzione prevista dalla legge notarile non è applicabile a carico del notaio che abbia allegato ad un atto pubblico di compravendita un certificato di destinazione storico-urbanistica non riportante la destinazione attuale della particella compravenduta, trattandosi di atto di cui l'art. 30, c. 4 bis, D.P.R. n. 380 del 2001 non prevede la nullità assoluta, ma una invalidità sanabile, stante la possibilità di una sua conferma o integrazione anche ad opera di una sola delle parti o dei suoi aventi causa.
Qualora sia esclusa la nullità dell'atto, il comportamento del notaio rogante non integra l'illecito disciplinare di cui agli artt. 28 e 138, L. 89 del 1913 (25).

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