martedì 13 ottobre 2015

LA SENTENZA DI CONDANNA E L'ORDINE DI DEMOLIZIONE nella repressione dell'abusivismo

La sentenza di condanna e l'ordine di demolizione nella repressione dell'abusivismo

Il potere attribuito al giudice penale di ordinare la demolizione con la sentenza di condanna in caso d'inerzia delle amministrazioni comunali nella repressione dell'abusivismo, come dispone l'art. 7, c. 8 e c. 9, L. 47/1985, sost. art. 31, c. 8 e 9, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato configurato dal legislatore come potere di supplenza (24).
La conseguenza più evidente di tale impostazione è che il potere del giudice penale di emettere l'ordine di demolizione dell'opera abusiva è esercitato per ovviare all'eventuale inerzia della pubblica amministrazione.
Tale ordine può essere riesaminato in sede di esecuzione ove può subire modifiche definitive, ad esempio, per mutamento degli strumenti urbanistici, ovvero temporanee, per effetto della sospensione dell'ordine di demolizione da parte del T.A.R.
Il potere autonomo del giudice penale di ordinare la sanzione di natura amministrativa della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con la demolizione di un manufatto abusivo deve essere coordinato con quello altrettanto autonomo della p.a?
Le determinazioni delle amministrazioni, se successive alla realizzazione dell'opera abusiva, sebbene non valgano ad estinguere il reato, possono però rendere non operativa l'ingiunzione di ripristino pronunciata dal giudice penale.
Quest'ultimo, anche in sede cautelare, deve valutare la permanenza in concreto delle ragioni per disporre o mantenere la misura cautelare del sequestro preventivo in rapporto alle determinazioni adottate dalla p.a. ove incompatibili perché univocamente rivolte, quanto agli effetti, alla conservazione del bene, come nel caso in cui la competente amministrazione ingiunga al trasgressore, in alternativa alla rimessione in pristino, il pagamento di una somma equivalente (25).
Il potere attribuito al giudice penale di ordinare la demolizione con la sentenza di condanna è un potere autonomo?
Il legislatore ha posto in primo piano il comune nel governo del territorio, ma non ne ha fatto il gestore esclusivo; egli ha previsto, in caso di inerzia, l'intervento sostitutivo del presidente della giunta regionale e quindi quello del giudice penale quando tutte le risorse amministrative siano rimaste inefficaci.
Il potere-dovere attribuito al giudice penale, in caso di condanna per reato urbanistico, di disporre la demolizione dell'opera abusiva non va considerato quale potestà residuale ovvero sostitutiva rispetto alla potestà sanzionatoria dell'amministrazione, ma di completamento di quel meccanismo di deterrenza che, per la commissione dell'illecito urbanistico, è stato predisposto dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47.
Il precetto di cui all'art. 31, c. 9, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non postula alcuna regola di stretto coordinamento fra istanza amministrativa ed istanza giurisdizionale sotto il profilo procedimentale, ma prevede soltanto che l'esecuzione di una misura sanzionatoria renda non utile l'applicazione dell'altra.
Non soltanto non è precluso al giudice penale di ordinare la demolizione in presenza di un analogo provvedimento amministrativo rimasto ineseguito, ma l'emissione di tale provvedimento non inficia la legittimità dell'ordine del giudice penale.
Il coordinamento tra i due provvedimenti deve, dunque, rilevare, sotto il profilo fattuale, soltanto nella fase dell'esecuzione e nella concorrenza dei due titoli: la demolizione dell'opera per effetto di un provvedimento rende inutiliter datum quello rimasto ineseguito.
Tale inutilità può essere accertata anche nella fase dell'esecuzione del giudicato penale (26).
Le conseguenze sono opposte a quelle precedentemente esaminate in quanto l'azione penale diviene assolutamente disgiunta da quella amministrativa e dalle vicende giurisdizionali che la condizionano. La sospensiva dell'ingiunzione a demolire disposta dal giudice amministrativo non è di ostacolo all'adozione, da parte del giudice penale, dell'ordine di demolizione, a norma dell'art. 7, c. 9, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, dell'opera eseguita in assenza di concessione, in totale difformità da essa o con variazioni essenziali, salvo che l'imputato non dimostri che detta sospensiva sia giustificata da vizio del provvedimento amministrativo di carattere sostanziale e non formale. (27) 
Tale impostazione viene confermata dal fatto che il giudice dell'esecuzione penale ha il potere-dovere di rilevare gli eventuali vizi che inficiano il provvedimento di rilascio di una concessione in sanatoria da parte della p.a., ordinando la demolizione del manufatto abusivo.
Nel caso di specie, la Corte — su ricorso proposto dall'Ente Parco — ha annullato con rinvio un provvedimento di revoca dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo posto nel Parco Nazionale d'Abruzzo, a seguito del rilascio di concessione in sanatoria da parte del comune, ritenendo l'atto illegittimo perché non preceduto dall'acquisizione del parere favorevole dell'ente medesimo, come prescritto dalla L. 394 del 1991 (28).
 3.1  L'esecuzione dell'ordine di demolizione
Le perplessità sollevate circa la effettiva esecuzione dell'ordine di demolizione da parte del giudice penale sono superate dalla giurisprudenza (29).
Non si configurano funzioni dell'amministrazione comunale per l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale, spettando tale competenza al p.m. ed al giudice dell'esecuzione.
Si determina così la giurisdizione del giudice ordinario e non si può ipotizzare l'affidamento alla p.a. della esecuzione di un provvedimento del giudice, salva espressa disposizione di legge. (Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2001, n. 206, in Riv. giur. ed., 2001, I, 478).
Legittimamente il giudice penale ordina la demolizione del manufatto abusivo con la sentenza di condanna allorché non sia stato ancora demolito a quella data.
Non rileva, infatti, che l'interessato abbia proposto ricorso innanzi alla giurisdizione amministrativa avverso l'ordinanza sindacale di sospensione dei lavori e di ripristino dello stato dei luoghi. (Cass. pen., sez. III, 18 giugno 1993, in Mass. pen. cass., 1993, 44).
Il giudice penale deve valutare la sussistenza dell'interesse alla ordinanza di demolizione nel caso in cui l'amministrazione giunga a sanzioni alternative?
Le determinazioni della p.a., se successive alla realizzazione dell'opera abusiva, sebbene non valgano ad estinguere il reato, possono, infatti, rendere non operativa l'ingiunzione di ripristino pronunciata o pronuncianda dal giudice penale; spetta a quest'ultimo, anche in sede cautelare, valutare la permanenza in concreto delle ragioni per disporre o mantenere la misura cautelare del sequestro preventivo in rapporto alle determinazioni adottate dalla p.a. ove incompatibili perché univocamente rivolte, quanto agli effetti, alla conservazione del bene. Nel caso di specie l'amministrazione ha ingiunto al trasgressore, in alternativa alla rimessione in pristino, il pagamento di una somma equivalente, ai sensi dell'art. 164, t.u. beni ambientali (30).
Quali sono i poteri del giudice dell'esecuzione nel caso di due procedimenti penali sullo stesso reato?
Allorché due procedimenti penali si instaurino in ordine alla medesima costruzione abusiva, avendo per oggetto le singole articolazioni di essa, successivamente realizzate, qualora solo uno dei due processi sia definito con sentenza passata in giudicato, l'ordine di demolizione non resta automaticamente paralizzato per la pendenza dell'altro processo riguardante la parte dell'opera proseguita. In tal caso rientra nella competenza del giudice dell'esecuzione, investito dal p.m. in seguito all'inadempimento della diffida a demolire, decidere in coordinamento con gli eventuali provvedimenti emessi nel processo penale parallelo. (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 700, in Cass. pen., 2001, 2476).
L'ordine di demolizione può essere sospeso?
La sospensione dell'ordine di demolizione può essere ritualmente concessa solo quando sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione.
Non è, invece, sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o, comunque, entro un tempo non prevedibile.
In tal senso non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al T.A.R. contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare l'invocata sospensione della demolizione (31).
 3.1.1  Il p.m. organo promotore dell'esecuzione
L'ordine di demolizione adottato dal giudice al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal c.p.p., avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa.
Nell'affermare detto principio la giurisprudenza ha precisato che, ai sensi degli artt. 655 e ss. e 666 ss. del c.p.p., l'organo promotore dell'esecuzione è il p.m. il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire il giudice dell'esecuzione perché ne fissi le modalità.
La competenza può essere attribuita al giudice dell'esecuzione, con le forme dell'art. 666, c.p.p., solo allorquando insorga una specifica controversia al riguardo, non anche quando il destinatario dell'intimazione a demolire, emanata dal p.m. nello svolgimento delle predette funzioni, non vi ottemperi.
In caso di omessa pronuncia dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo con la sentenza di condanna o con sentenza ad essa equiparata, per reati edilizi, non può farsi ricorso né alla procedura di correzione dell'errore materiale né ad incidente di esecuzione, non rientrando tale competenza tra quelle attribuite al giudice dell'esecuzione a norma dell'art. 676, c.p.p.
Deve, pertanto, dichiararsi l'incompetenza funzionale del giudice dell'esecuzione, col conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza resa all'esito dell'incidente d'esecuzione, nel caso in cui il p.m. abbia adito il giudice perché questi determini le modalità esecutive della demolizione, in assenza però di una previa contestazione da parte del condannato sulle modalità esecutive previamente fissate dallo stesso p.m. o sull'esistenza del titolo dell'esecuzione.
Unico rimedio esperibile è, pertanto, l'impugnazione del pubblico ministero (32).
La cancelleria del p.m. è preposta, inoltre, al recupero delle spese del procedimento esecutivo, ai sensi dell'art. 181, disp. att. c.p.p. (33).
Nell'ipotesi, poi, in cui la demolizione ordinata dal giudice sia stata altrimenti eseguita dalla pubblica amministrazione, l'avvenuta demolizione rende solo inutiliter datum l'ordine di demolizione, al pari dell'eventuale acquisizione dell'immobile da parte del patrimonio comunale (34).
 3.2  Il patteggiamento e l'ordine di demolizione
L'imputato di un abuso edilizio che chieda il patteggiamento ritenendolo più conveniente non può evitare che il giudice ordini la demolizione dell'opera abusivamente realizzata stante l'indirizzo giurisprudenziale prevalente che ritiene obbligatoria l'emissione, con la sentenza di condanna, dell'ordine di demolizione.
L'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, emesso dal giudice penale, ha natura di sanzione amministrativa; ne consegue che esso non può essere oggetto di accordo tra le parti in caso di patteggiamento ed è sottratto al disposto di cui all'art. 445, c.p.p. che vieta l'applicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza con la sentenza che dispone l'applicazione della pena su richiesta (35).
La mancata disposizione dell'ordine di demolizione configura errore di diritto che può essere oggetto di rettifica da parte della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 619, c.p.p. Quando il giudice di merito abbia omesso di disporre la demolizione dell'opera abusiva, la Corte può integrare la decisione impartendo la statuizione de qua, trattandosi di sanzione di natura amministrativa consequenziale alla sentenza di condanna. Tale è stata ritenuta la sentenza di patteggiamento.
A nulla rileva che l'ordine di demolizione non abbia formato oggetto dell'accordo intercorso tra le parti, in quanto esso costituisce atto dovuto per il giudice, non suscettibile di valutazioni discrezionali e sottratto alla disponibilità delle parti stesse, di cui l'imputato deve tener comunque conto nell'operare la scelta del patteggiamento (36).
Un orientamento peraltro minoritario rivaluta l'accordo delle parti ritenendo che il giudice debba, in presenza di un accordo, che escluda la demolizione, accettarlo o rigettare la richiesta ai sensi dell'art. 444, c. 3, del c.p.p.
Nel cosiddetto patteggiamento l'operatività della sospensione condizionale della pena non può essere subordinata, in assenza di un accordo tra le parti, alla demolizione del manufatto abusivamente realizzato, giacché verrebbero alterati i dati della concorde richiesta attraverso detta subordinazione, che rientra fra i poteri del giudice penale ma è soltanto facoltativa.
Restano integri i poteri delle parti di accordarsi anche su detto punto, del p.m. di negare il proprio consenso a causa dell'omesso accordo e del giudice di respingere l'accordo e di procedere con il rito ordinario (37).
L'ordine di demolizione è previsto per legge e, pertanto, è sottratto al disposto di cui all'art. 445, c.p.p., che vieta l'applicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza.
Gli eventuali contrasti fra imputato e difensore non sono motivo di impugnazione della sentenza che accoglie il patteggiamento.
L'eccesso dei limiti del mandato in cui incorra il difensore, consentendo, nel patteggiamento, che il beneficio della sospensione condizionale della pena sia subordinato alla demolizione del manufatto abusivo, è un fatto che si esaurisce nel rapporto tra imputato e difensore e non può spiegare effetti sulla decisione (38).
L'ordine di demolizione resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445, c. 2, c.p.p.
Esso, infatti, non è qualificabile come sanzione penale accessoria o come effetto penale della condanna (39).
 3.3  La sospensione condizionale della pena e la demolizione dell'opera abusiva
Il giudice nel pronunciare sentenza di condanna può sospendere l'esecuzione della pena per un certo lasso di tempo.
Se il colpevole commette entro tale periodo un nuovo reato la pena viene eseguita; in caso contrario la condanna non sortisce alcun effetto.
La legge pone alcuni requisiti: che la condanna alla reclusione o all'arresto sia per un tempo non superiore ai due anni, ex art. 163, c.p.
La sospensione può, inoltre, essere subordinata, specie nei reati edilizi che realizzano una dannosa compromissione del territorio, all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ex art. 165 c.p.
In un primo tempo la giurisprudenza ha ritenuto possibile concedere la sospensione condizionale della pena anche in mancanza della demolizione dell'opera abusiva.
Essa ha escluso la titolarità da parte del giudice penale del potere di subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'ottemperanza all'ordine di demolizione pronunciato dallo stesso giudice.
Ciò perché è all'amministrazione che compete istituzionalmente la valutazione del danno al tessuto urbanistico e i modi per l'eliminazione dello stesso. L'assenza di una tale legittimazione non è contraddetta né subordinata alla condizione che la legge non disponga “altrimenti”, neppure dall'art. 7, c. 9, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perché l'intervento del giudice penale previsto da questa disposizione, che deve essere coordinato con gli interventi dell'autorità amministrativa, è posto in funzione di ovviare all'inerzia dell'autorità stessa. Lo scopo della norma è quello di rendere ineludibile la tutela dell'assetto edificatorio, senza che muti il quadro di riserva istituzionale al sindaco della competenza per materia (40).
Di parere contrario è la giurisprudenza più recente; essa ha sancito la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva.
È legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusivamente costruita ed al ripristino dello stato dei luoghi, in quanto costituisce applicazione dell'art. 165, c.p., il quale prevede la subordinazione del beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e perché non può esservi dubbio che il manufatto abusivamente realizzato costituisca conseguenza del reato edilizio dannosa per l'assetto del territorio.
Il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato (41). La legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato abusivo nelle ipotesi di condanna per reati edilizi è questione ormai chiusa.
La giurisprudenza ha deciso circa la piena subordinabilità della sospensione condizionale all'ordine di demolizione, ritenendo che tale ordine si configuri come un potere concorrente a quello dell'amministrazione, avendo esso una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, individuabile nell'integrità del territorio.
La dottrina ritiene che, nel dubbio nascente dalla moltitudine delle contrarie argomentazioni dalle conseguenze di segno totalmente opposto, non resta che far tesoro dell'ultimo orientamento possibilista anche in vista di una maggiore effettività di tutela del territorio (42).
È stato precisato che, qualora il giudice della cognizione, nel subordinare il godimento del beneficio della sospensione condizionate della pena alla previa demolizione del manufatto abusivo, non indichi espressamente il termine entro il quale il condannato deve adempiere alla condizione suddetta, la clausola in questione deve integrarsi con il termine legale di sospensione condizionale previsto dall'art. 163, c. 1, c.p., e cioè — quando si tratti di contravvenzioni edilizie — con il termine di due anni dal passaggio in giudicato della condanna (43). Ove nel frattempo la costruzione sia stata acquisita al patrimonio del comune l'impossibilità di effettuare la demolizione dev'essere fatta valere dall'interessato in sede di esecuzione (44)
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 3.4  L'affidamento in prova al servizio sociale
L'art. 47, L. 26 luglio 1975, n. 354, che reca norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, fissa le condizioni e determina come misura alternativa alla detenzione l'affidamento in prova ai servizi sociali, per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
Vi è contrasto giurisprudenziale sulla possibilità che al condannato per un reato edilizio, affidato in prova al servizio sociale, possa essere posto a carico l'obbligo di demolizione del manufatto edilizio abusivamente realizzato, contenuto nel giudicato di condanna, quale strumento di risocializzazione.
Un indirizzo ritiene legittimo che l'affidamento possa essere dichiarato con l'obbligo della demolizione nell'ottica del rispetto della legge e della eliminazione delle conseguenze negative della condotta deviante.
Per detta giurisprudenza i commi 4 e 5 dell'art. 47, L. Ord. Pen. 354/1975, non prevedono alcuna limitazione relativamente al contenuto delle prescrizioni.
In particolare il comma 4 dell'art. 47, L. Ord. Pen. 354/1975, prevede che all'atto dell'affidamento sia redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.
Data la generalità delle stesse prescrizioni esse, purché non contrarie alla legge e non immotivatamente afflittive, devono considerarsi legittime se rispondenti alle finalità normative (45).
Per altra giurisprudenza la prescrizione concernente la demolizione di un fabbricato abusivo per il quale è stata emessa condanna deve considerarsi illegittima perché esula del tutto dalle prescrizioni che, a norma dell'art. 47 Ord. Penit., possono essere imposte all'affidato in prova al servizio sociale.
Una simile prescrizione, infatti, è al di fuori dello schema legale, in quanto non riguarda né i rapporti dell'affidato con il servizio sociale né il genere di vita che dovrà tenere nel corso della misura alternativa né l'astensione da attività illecite e neppure, per analogia, l'adoperarsi in favore della vittima del reato, non essendo quest'ultima individuabile in rapporto alla contravvenzione urbanistica (46).
Le conseguenze di questo orientamento sono paradossali.
L'imputato che non può accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena, perché ha già avuto precedenti condanne, è così graziato dal giudice penale che non può ordinare la demolizione del manufatto abusivo da lui edificato.
Sembra, infatti, impossibile concludere che il condannato non possa utilizzare il beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali.
 3.5  L'acquisizione dell'opera abusiva da parte della pubblica amministrazione
Nel caso in cui, invece, il comune abbia proceduto all'acquisizione dell'opera viene a verificarsi, rispetto all'obbligo di osservare l'ordine del giudice, una situazione oggettivamente di impedimento.
La giurisprudenza ha precisato che l'acquisizione dell'immobile non demolito al patrimonio comunale, conseguente alla mancata demolizione ad opera dell'interessato, non impedisce l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale.
Diversa è l'ipotesi in cui intervenga una deliberazione del consiglio comunale che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici — da specificare in concreto — alla conservazione dell'opera, sempre che questa non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali (47).
L'acquisizione è finalizzata in via principale alla demolizione e il soggetto condannato può richiedere al comune divenuto medio tempore proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, cosi come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria (48).
 3.6  Il ricorso contro l'esecuzione
I provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono impugnabili con ricorso per cassazione, ex art. 666, c.p.p.
Il p.m., parimenti all'imputato, può produrre il ricorso per cassazione, in base alla previsione dell'art. 111, c. 7, della Costituzione, che si colloca come norma di chiusura per i provvedimenti definitivi a contenuto decisorio; tale impugnazione, peraltro, è ammissibile solo se proposta, secondo le regole generali, nel termine di trenta giorni, ex art. 585, c. 1, lett. b), c.p.p. Il termine decorre evidentemente dalla data della comunicazione, ex art. 585, c. 2, c.p.p., visto l'art. 460, c. 3, c.p.p., che impone la comunicazione al p.m. del decreto penale (49). La giurisprudenza ha precisato che anche la parte civile è legittimata all'impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione (50).
 3.6.1  Il giudice dell'esecuzione e i procedimenti amministrativi di sanatoria
Il giudice dell'esecuzione penale ha il potere-dovere di rilevare gli eventuali vizi che inficiano il provvedimento di rilascio di una concessione in sanatoria da parte della p.a., emanato successivamente ad un ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza penale di condanna divenuta irrevocabile.
Il sistema delineato dagli artt. 2 e 5, L. 2248 del 1865, all. e), assegna all'autorità giudiziaria ordinaria un generale potere di sindacato degli atti amministrativi, senza che possa validamente distinguersi tra quelli che modificano o estinguono diritti soggettivi in contrapposizione e gli atti che invece costituiscono od espandono i medesimi diritti; e neppure può affermarsi che detto sindacato debba limitarsi alla verifica della materiale esistenza del provvedimento e della sua provenienza dalla p.a.
Non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32, L. 24 novembre 2003, n. 326, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici. Tali ipotesi sono escluse dal condono dal comma 26, lett. a), dell'art. 32, cit. Il giudice non deve applicare la sospensione del procedimento penale, ai sensi degli artt. 38 e 44, L. 28 febbraio 1985, n. 47, in attesa dell'eventuale definizione della relativa procedura amministrativa, giacché vale il principio generale in forza del quale il giudice, già prima di sospendere il processo, deve effettuare un controllo in ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti l'accesso alla procedura sanante quali, ad esempio, la data di esecuzione delle opere, lo stato di ultimazione delle stesse, il rispetto dei limiti volumetrici e le eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla sanatoria. Mentre nel caso in cui il giudice sospenda il processo in assenza dei presupposti di legge, la sospensione è inesistente e il corso della prescrizione non è interrotto (51).
La giurisprudenza ha affermato che la concessione edilizia in sanatoria non produce l'effetto estintivo dei reati edilizi quando sia stata rilasciata in assenza del preventivo parere favorevole dell'ente preposto al vincolo. Né vale obiettare che, in presenza di un permesso di costruire, il giudice penale non possa rilevare gli eventuali vizi che la inficiano, dato che egli anzi ha il potere-dovere di disapplicare l'atto amministrativo illegittimo (52).
 3.7  D.L. 28 aprile 2010, n. 62. La sospensione delle demolizioni disposte con sentenza penale
Per comprendere il D.L. 28 aprile 2010, n. 62, che dichiara la sospensione delle demolizioni disposte con sentenza penale bisogna partire dalla deliberazione della Giunta Regionale Campania 30 settembre 2003, n. 2827 (53).
Questo provvedimento detta l'integrazione alle linee guida per la Pianificazione Territoriale Regionale in Campania, delibera Giunta Regionale n. 4459 del 30 settembre 2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi.
L'atto disapplica la disciplina del condono edilizio — contenuta nell'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 — nell'ambito del territorio regionale.
Nell'atto è approvato un allegato dal titolo “Integrazione alle linee guida per la pianificazione regionale, in materia di sanatoria degli abusi edilizi. Divieto di sanatoria”, che stabilisce che, al fine di salvaguardare l'identità e l'integrità del territorio regionale, non è ammessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti; ciò sulla base della premessa che, al fine di salvaguardare l'identità e l'integrità del territorio regionale, sempre più compromesso dal dilagante fenomeno dell'abusivismo edilizio, occorre prevedere che non saranno ammesse ipotesi di condono edilizio ulteriori rispetto a quelle previste dal Capo IV della L. 28 febbraio 1985, n. 47, e dall'art. 39 della L. 23 dicembre 1994, n. 724.
La Corte costituzionale ha successivamente annullato la delibera giuntale della regione Campania 30 settembre 2003, n. 2827, impugnata con ricorso per conflitto di attribuzioni da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. Essa ha affermato che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale, anche perché lesivo del canone della leale collaborazione, che la Regione e lo Stato esercitino le proprie potestà legislative o amministrative allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato o della Regione, ritenuta illegittima (o anche solo dannosa o inopportuna), anziché agire in giudizio innanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 127, cost. (54).
Le grida manzoniane dettate dall'esigenza di fare politica piuttosto che da quella di predisporre una ordinata azione amministrativa non hanno prodotto alcun risultato nella proclamata lotta all'abusivismo edilizio.
Se non si voleva condonare il fenomeno dell'abusivismo perché non lo si è represso?
Le amministrazioni locali non hanno proceduto secondo il rigore declamato a parole dalla regione Campania; l'attività amministrativa locale che sembrava dovesse essere portata avanti con il rigorismo enunciato a parole dalla regione Campania non c'è stata.
Ci ha pensato la magistratura penale con la sua attività di supplenza.
L'attivismo del magistrato penale è ora bloccato dal legislatore nazionale che sta rimettendo in piedi un nuovo condono di immobili realizzati su aree soggette a vincolo.
L'art. 1, D.L. 28 aprile 2010, n. 62, dispone la sospensione delle demolizioni disposte dal giudice penale al 30 giugno 2011 al fine di consentire una adeguata ed attuale ricognizione dei vincoli di tutela paesaggistica. Il D.L. non è stato convertito.
Si tratta di una mini sanatoria di immobili realizzati in contrasto con la normativa paesaggistica distinguendo fra vincoli statali e regionali e fra edificabilità assoluta e relativa.
I vincoli disposti da leggi statali devono essere rispettati e si deve procedere a demolizione; la sospensione riguarda quelli introdotti dal legislatore regionale come, ad esempio, i parchi regionali.
I vincoli di edificabilità assoluta sono quelli che non ammettono la possibilità di alcuna costruzione e si deve procedere a demolizione degli immobili che li infrangono.
I vincoli di inedificabilità relativa ammettono la realizzazione di manufatti edilizi con precisi limiti e modalità. Resta da vedere in sede di revisione quali vincoli assoluti diverranno relativi proprio per una immobilità della attività repressiva che ha permesso all'abusivismo di dilagare.
Sotto il profilo soggettivo il decreto ammette a sospensione solo i richiedenti che occupino stabilmente gli alloggi e che siano sforniti di altra abitazione. Quindi il poveraccio che si è costruito una villettina in un parco regionale magari a imponibile fiscale zero.
Sotto il profilo temporale il richiedente deve dimostrare che gli abusi sono stati realizzati entro il 31 marzo 2003.
Sotto il profilo oggettivo l'immobile non deve presentare pericoli per la pubblica o privata incolumità.
 4  La confisca
La facoltà del giudice di ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere un reato è espressamente sancita dalla legge penale, art. 240 del c. p..
L'applicazione di tale potere anche nel caso di reati urbanistici è stata ipotizzata dal giudice ordinario che ha provveduto a confiscare i fabbricati abusivi.
Si è però osservato che, in tale modo, l'autorità giudiziaria pone in essere un potere concorrente con quello affidato alla pubblica amministrazione a cui spetta la vigilanza e la repressione sulle costruzioni abusive.
In particolare il provvedimento di confisca operato dalla magistratura concreta una sostituzione fra organi nei compiti istituzionalmente già assegnati dalle leggi.
La confisca non è una misura di sicurezza patrimoniale, ma configura — al pari dell'ordine di demolizione delle opere abusive — una sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione delle opere abusive al patrimonio disponibile del Comune (55). È da precisare che la confisca è consentita espressamente dall'art. 734, c.p., in caso di deturpamento di bellezze naturali.
 4.1  La confisca nella lottizzazione
La confisca prevista in materia di lottizzazione abusiva dall'art. 44, c. 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza di natura patrimoniale, pur permanendone il carattere sanzionatorio ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (56).
La confisca è obbligatoria.
L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei terreni abusivamente lottizzati consegue obbligatoriamente all'accertamento della sussistenza obiettiva di un reato di lottizzazione abusiva, indipendentemente da una pronuncia di condanna.
Essa ha per oggetto tanto i terreni lottizzati che le opere su di essi costruite (57).
In applicazione del principio che definisce obbligatoria la confisca, la corte ha ritenuto che non violi il divieto di reformatio in pejus stabilito dall'art. 597, c. 3, c.p.p., la pronuncia del giudice d'appello che, pur se in difetto di appello del p.m., estenda la confisca ad un'area maggiore rispetto a quella indicata nella sentenza di primo grado, trattandosi di misura che potrebbe essere adottata anche in sede esecutiva ove erroneamente pretermessa in fase di cognizione (58). La confisca delle opere abusive e dei terreni è una misura repressiva prevista per le sole ipotesi di lottizzazione abusiva.
La sanzione amministrativa della confisca può essere irrogata dal giudice penale anche in sede esecutiva, se erroneamente pretermessa, su istanza di parte e in contraddittorio e non d'ufficio e con il procedimento de plano.
La confisca trova applicazione anche in presenza di una sentenza di proscioglimento, esclusa soltanto l'ipotesi di assoluzione perché il fatto non sussiste, giacché anche la carenza dell'elemento psicologico comporta l'accertamento dell'esistenza di una lottizzazione abusiva (59).
Per il reato di lottizzazione abusiva il giudice penale deve disporre la confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere abusivamente costruite ai sensi dell'art. 19 della medesima legge anche qualora si tratti di sentenza di patteggiamento.
È vero che l'art. 445, c.p.p., dispone che questo rito non comporta l'applicazione di pene accessorie o di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca obbligatoria, tuttavia la confisca è diversa da quest'ultima, poiché è una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale, in funzione di supplenza rispetto alla p.a. (60).
 4.1.1  La confisca in danno dei terzi di buona fede
La confisca urbanistica opera anche in danno dei terzi di buona fede, che possono unicamente far valere i loro diritti in sede civile nei confronti del responsabile.
La confisca urbanistica non costituisce una misura di sicurezza patrimoniale, ma una sanzione amministrativa che ha come unico presupposto l'accertamento giurisdizionale della lottizzazione abusiva, a prescindere dalla pronuncia effettiva di una condanna a carico del responsabile (61).
La giurisprudenza ha precisato che l'acquisto derivante dalla confisca della lottizzazione è limitato al solo terreno.
L'opera costruita in occasione di lottizzazione abusiva non costituisce un bene in senso giuridico e non può formare oggetto di diritti, ex art. 810, c.c. È un corpo estraneo all'ordinamento e dunque deve presupporsi come automatica ed incondizionata la demolizione che è l'effetto previsto dalla norma sulla lottizzazione abusiva, ex artt. 30 e 48, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Fondamento della demolizione è il fatto che le opere, per la loro contrarietà al diritto, costituiscano un tamquam non esset, privo della qualità di bene secondo l'art. 810, c.c. Discende da qui l'automaticità ed incondizionabilità della demolizione..
È stato rilevato che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati nei confronti dei beni dei terzi acquirenti in buona fede ed estranei al reato collide, però, con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (62). A fronte di una sentenza nazionale che ha disposto la confisca pur ritenendo insussistente l'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, è stato affermato, par. 116, che una corretta interpretazione dell'art. 7 della CEDU esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare l'elemento responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato.
Al riguardo è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 347 e 348 del 22 ottobre 2007, ha affrontato la questione relativa alla posizione ed al ruolo delle norme della CEDU ed alla loro incidenza sull'ordinamento giuridico italiano, rilevando che dette norme, diversamente da quelle comunitarie, non creano un ordinamento giuridico sopranazionale e sono pur sempre norme internazionali pattizie che vincolano lo Stato ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno. Il nuovo testo dell'art. 117, Cost., comma 1, int. L. cost., 18 ottobre 2001, n. 3, ha reso inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU (nell'interpretazione ad esse data dalla Corte europea per i diritti dell'uomo) rispetto alle leggi ordinarie successive, trattandosi di norma costituzionale che sviluppa la sua concreta operatività solo se posta in stretto collegamento con altre norme (cd. “fonti interposte”, di rango subordinato alla Costituzione ma intermedio tra questa e la legge ordinaria), destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere.
La Corte Costituzionale ha escluso che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali, evidenziando che tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall'art. 111, Cost., c. 1, e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione.
Per quanto attiene al presente procedimento, comunque, la prospettata questione di incostituzionalità della previsione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, c. 2, si palesa del tutto irrilevante, poiché non sussiste alcuna pronuncia di estraneità al reato dei ricorrenti, dei quali non è stata ravvisata la buona fede. (63)La Corte cost. ha poi precisato che spetta agli organi giurisdizionali comuni l'eventuale opera interpretativa dell'art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo; a tale compito, infatti, già ha atteso la giurisprudenza di legittimità, con esiti la cui valutazione non è ora rimessa a questa Corte (64).
 4.2  La revoca della confisca nella lottizzazione
La giurisprudenza ammette la revoca della confisca.
Tale provvedimento è ammesso per incompatibilità della sanzione ablatoria con un provvedimento sanante successivamente adottato dalla p.a.
La giurisprudenza ha precisato che non è sufficiente il mero avvio dell'iter amministrativo volto ad apportare in tal senso modifiche di p.r.g., ma è necessario un provvedimento definitivo, adottato dall'autorità competente al termine del procedimento, che autorizzi l'intera lottizzazione.
Causa di revoca del provvedimento giurisdizionale di confisca adottato dal giudice a norma dell'art. 44, c. 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è solo l'adozione di provvedimenti amministrativi incompatibili con l'effetto ablatorio a danno dei proprietari, il cui effetto sanante deve tuttavia intendersi limitato ai soli effetti amministrativi, non comportando l'estinzione del reato edilizio (65).
Il possibile inserimento della zona abusivamente lottizzata nel piano regolatore generale tra le cosiddette zone residenziali di espansione non è di per sé circostanza idonea a legittimare la revoca del provvedimento con il quale il giudice penale aveva disposto la confisca dell'area abusivamente lottizzata. Infatti, non sussiste neppure l'interesse ad agire del condannato per la revoca del suddetto provvedimento (66).
Solo la successiva adozione di un piano di recupero urbanistico dell'area abusivamente lottizzata da parte del Consiglio comunale o la successiva autorizzazione a lottizzare, anche se atti non idonei ad incidere sulla penale responsabilità dei soggetti coinvolti, impedisce che con la sentenza di condanna sia disposta la confisca. Se la confisca è stata disposta è dovuta la revoca, atteso che diversamente il provvedimento giurisdizionale si renderebbe incompatibile con l'esercizio dei poteri legislativamente attribuiti alla p.a. (67).
 5  La sospensione dell'azione penale a seguito di procedimento amministrativo di sanatoria
Per l'art. 44, L. n. 47 del 1985, mod. art. 39, c. 1, L. n. 724 del 1994, la sospensione temporanea dei procedimenti penali ha prodotto gli effetti in via generale ed automatica con il semplice legame di attinenza al capo della sanatoria per il periodo transitorio dalla data di entrata in vigore delle norme sul condono fino alla scadenza dei termini per la domanda.
Successivamente per le singole fattispecie in conseguenza della presentazione della domanda di condono-sanatoria, purché accompagnata dall'attestazione di versamento anche parziale dell'oblazione, si è prodotta la conseguente sospensione del procedimento penale e del procedimento per le sanzioni amministrative (art. 38, primo comma, della legge n. 47 del 1985), che si protrae fino al termine implicitamente stabilito della conclusione della procedura di condono-sanatoria.
Per i reati contravvenzionali, di cui all'art. 38 L. n. 47 del 1985, il legislatore ha fatto discendere l'estinzione del reato dalla semplice effettuazione dell'oblazione integralmente corrisposta (sentenza n. 369 del 1988), anche qualora le opere non possano conseguire la sanatoria per il combinato disposto dell'art. 38, c. 2, e dell'art. 39, L. 47 del 1985.
Per gli altri reati, connessi con interventi edilizi abusivi, relativi alle violazioni di vincoli paesaggistici, ambientali e culturali, ex art. 38, c. 8, della L. 724 del 1994, non è prevista una specifica sospensione del procedimento penale qualora la domanda di sanatoria abbia avuto esito negativo in via amministrativa e sia sorta contestazione avanti al giudice amministrativo sulla legittimità del rifiuto. Nello stesso tempo l'effetto estintivo per gli anzidetti reati, attinenti ai vincoli, non deriva dal pagamento dell'intera oblazione (relativa al reato propriamente edilizio), ma solo — come già sottolineato — dal rilascio della autorizzazione (in sanatoria) da parte dell'autorità preposta al vincolo e del permesso di costruire. La Corte costituzionale ha puntualizzato che in sede di disciplina positiva si è andato affermando il principio della separazione dei giudici e della autonomia ed indipendenza della giurisdizione civile, amministrativa e tributaria da un lato e penale dall'altro, con le sole previsioni di ipotesi derogatorie tassativamente previste dalla legge, ritenendosi di privilegiare, anche in sede penale, l'esigenza di sollecita definizione (68).
 5.1  Gli effetti del condono nel caso di condanna
Il condono edilizio non prevede alcuna estinzione della pena nell'ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari effetti stabiliti dall'art. 38, c. 3, L. 28 febbraio 1985, n. 47.
Del condono viene fatta, infatti, annotazione sul casellario giudiziale.
Non si tiene conto della condanna ai fini della recidiva e della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Gli effetti estintivi dell'esecuzione della pena non possono trarsi né da una volontà implicita del legislatore, orientata, invece, in senso contrario, né dalla normativa stabilita dal codice di rito in tema di estinzione del reato o della pena in sede esecutiva, perché gli artt. 672 e 673, c.p.p., concernono ipotesi ben individuate da queste norme, mentre l'art. 676, c.p.p., riguardo alcune specifiche fattispecie, normativamente contemplate, fra le quali non è possibile ricondurre la presentazione della domanda di rilascio di concessione in sanatoria, in base al capo IV della L. 47/85, ed il versamento dell'oblazione dovuta.
Il differente trattamento riservato all'imputato non condannato con sentenza definitiva non contrasta con l'art. 3 cost., poiché vengono poste a confronto situazioni diverse che devono essere regolate in maniera difforme anche per rimarcare la differenza tra questa speciale causa di estinzione e l'amnistia e l'indulto (69).
 6  Gli effetti del permesso di costruire sull'azione penale
La giurisprudenza ha ritenuta erronea l'equiparazione del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, all'istituto della sanatoria delle opere abusive disciplinato dal capo IV della stessa L. 47/85 e dall'art. 39, L. 23 dicembre 1994 n. 724, comunemente detto di condono edilizio.
La prima fattispecie non ha, infatti, effetti estintivi.
Essa è decisamente diversa da quella stabilita dal capo IV, L. 47/1985, in quanto sono differenti i presupposti, la disciplina, la natura e la struttura.
Il meccanismo di estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, fissato dall'art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, contrariamente a quanto stabilito per la procedura di “condono”, non si fonda su un effetto estintivo proprio connesso al pagamento di una somma a titolo di oblazione.
Esso si basa, infatti, sul fatto diverso e successivo dell'effettivo rilascio della concessione sanante da parte dell'amministrazione previo accertamento di conformità delle opere abusive non assentite con gli strumenti urbanistici vigenti nel momento di carattere generale qualificato da una fondamentale verifica di conformità, non disciplinato da disposizioni transitorie e caratterizzato da peculiari sbarramenti amministrativi e temporali in un contesto di rigoroso controllo della sostanziale inesistenza di un danno urbanistico (70).
È infatti presupposto essenziale della fattispecie del condono il versamento dell'oblazione dovuta.
Condizioni necessarie ed essenziali della concessione in sanatoria sono, invece, che l'opera eseguita sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e che non vi sia contrasto con gli strumenti adottati al momento della realizzazione dell'opera nonché al momento della presentazione della domanda. Essa deve essere proposta entro determinati termini, a seconda delle diverse tipologie di abuso e, comunque, fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative.
Tale difformità è ancora più evidente nell'ambito di operatività dell'effetto estintivo che è limitato al solo reato urbanistico.

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