martedì 21 aprile 2015

Triton

“Triton”
L’operazione europea “Triton”, che è partita il 1 novembre 2014, ha sostituito le missioni attive nel Mediterraneo: sia le altre di Frontex sia quella nazionale di “Mare Nostrum”. A “Triton” partecipano 29 paesi, ed è stata finanziata dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum. 
A differenza di “Mare Nostrum”, inoltre, “Triton” prevede il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane: il suo scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso.
Il problema dell’immigrazione non riguarda solo l’Italia, o la Spagna, o la Grecia, ma è un problema che riguarda l’Europa intera. Lo sforzo umanitario che l’Italia ha fatto nel 2014 deve essere condiviso dall’Unione Europea. “Mare Nostrum” era un impegno notevolissimo, e dobbiamo europeizzarlo. Ma europeizzarlo non vuol dire fare passi indietro sul fronte dell’impegno umanitario. Ed europeizzare il problema non vuol dire ridurre la dimensione dell’intervento. Ci vuole uno sforzo in più da parte dei 28.

Il problema della Libia da dove partono il 90% degli immigrati non viene così risolto!
La stampa parla di esodo di massa, almeno duecentomila stranieri caricati sui barconi e mandati verso l’Europa. Persone arrivate in Libia nei mesi scorsi con la prospettiva di imbarcarsi e adesso ammassate nei porti per costringerle a partire proprio nel tentativo di creare una situazione di caos.

 Stranamente le istituzioni preposte finora  non hanno preso alcuna iniziativa.


   Sembra che che l’Italia potrebbe mettere già oggi sul tavolo dei ministri degli Esteri riuniti in Lussemburgo e del Consiglio europeo un’operazione di polizia internazionale per mettere sotto controllo le spiagge e i porti della Libia. Un contingente militare autorizzato dall’Unione Europea - possibilmente anche dalle Nazioni Unite - per fermare l’attività criminale degli scafisti e così cercare di stroncare il traffico di esseri umani


Comunque visto che ci sono stati molti interventi militari, deliberati dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU per intervenire in quei territori dove ci furono gravi violazioni dei diritti umani. (BosniaSomalia,Burundi, ...). Questi interventi sono detti operazioni di polizia internazionale a tutela dei diritti umani; non si capisce come l'ONU sia silente .
Forse  è paralizzato da veti incrociati di chi sulla Libia sta giocando un altra partita per il controllo del paese.
 Dietro il centinaio e più di milizie attive nell'immenso territorio libico, ci sono potenze internazionali con interessi fra loro conflittuali. «Difficile immaginare la costruzione di un'operazione con una coerenza interna, ma senza coerenza l'intervento rischia di trasformarsi in un disastro». 
Possibili alleati sono sicuramente i paesi che già intervengono in Libia: soprattutto l'Egitto, l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti, che appoggiano il governo di Tobruk riconosciuto dall'Onu e guidato da Abdullah al-Thani.
Al governo di Tobruk risponde l’esercito regolare, che gli è rimasto fedele e ha nominato a capo delle forze armate il generale Khalifa Haftar, uomo vicino agli Stati Uniti e all’Egitto dei militari.
 A Bengasi, invece, città protagonista della resistenza a Gheddafi, hanno preso il potere gruppi jihadisti salafiti che si rifanno alla Rivoluzione del 2011 e che si riconoscono in Ansar Al Sharia, una milizia islamica che si è formata durante la guerra civile libica e che punta all’imposizione della Sharia nel Paese.

 A Derna, che si trova a metà strada tra Bengasi e Tobruk, uomini armati hanno defezionato da una corrente islamista che si era imposta in città a ottobre 2014 e hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico. Dopo aver istituito un avamposto del Califfato stanno ora espandendosi fino a Sirte, non lontano da Misurata e Tripoli, verso le quali starebbero puntando. Questa la situazione ad oggi.

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