mercoledì 29 ottobre 2014

Cataratta 2

Cataratta 2
Tutto si risolve in pochi minuti: esami, pagamento ticket, visita di controllo in ambulatorio e successiva visita dello specialista che deve eseguire l’intervento.
Tutto è semplice per il Primario che non parla di denari e che non prospetta tempi lunghi e le cose che si devono fare le fa subito nei tempi giusti per non crearti problemi.
I grandi non hanno bisogno di complicare la vista dei loro assistiti .
La loro capacità è riconosciuta e non hanno bisogno di farla rimarcare allungando le procedure  rendendole complicate . Non hanno bisogno di crearsi il poderetto sulle spalle del paziente che deve portare un piccolo ma significativo contributo al loro benessere.
L’unica complicazione la crea il ssn per poter effettuare l’operazione c’è bisogno dell’impegnativa. Un’altra piccola coda presso il medico di famiglia che richiede una prestazione la cui necessità è già verificata dallo specialista.
Ci vuole il sigillo che solo il medico di famiglia può mettere affermare con sicurezza dopo avere esaminato attentamente la richiesta di intervento da parte dello specialista che ci vuole l’intervento.
Solo così la pratica risulterà perfetta e solo così gli amministrativi dell’Ospedale potranno trovare ragione di guadagnarsi lo stipendio: aggiungendo timbri a timbri.
Mi viene il sospetto ma questi timbri a cosa servono ?  giustificare il significato lavorativo di molti che altrimenti non saprebbero che cosa fare tutto il santo giorno!
Arriva il girono fatale.
Ciò tutto. Sono il primo della lista devo presentarmi alle sette precise.
Portando qui sono gli amministrativi a deciderlo prima l’impegnativa in ufficio per pagare il ticket poi realizzando in un altro ufficio la cartella clinica ed infine recandomi al reparto per l’interevento.
Seguo letteralmente le indicazioni: prima pagare il ticket  e poi realizzare nell’apposito ufficio posizionato naturalmente due piani più sopra la cartella clinica indi al reparto per non perdere la priorità acquisita.
Non faccio come l’asino di Buridano che finisce per morire di fame non sapendo se prima bere l’acqua o prima mangiare l’avena.
Problema ma se il ticket si inizia a pagare alle 7,30 e l’ufficio che materializza la cartella apre i battenti alle sette.
Non devo avere tentennamenti prima attendere il ticket e poi cartella.
Sono in contatto cellulare con mia moglie che preziosa scudiera mi assiste per sbrogliare nei tempi previsti dal rigido protocollo amministrativo le pratiche.
“Sono all’ufficio ticket in coda apre alle sette e trenta sono fuori al freddo perché sono le sete e un quarto poi vado alla cartella.”
Riferisco prontamente la comunicazione ad una graziosa infermiera  che ha aperto i battenti del reparto di oculistica alle sette in punto e a cui mi sono appropinquato dopo che è arrivato il mio turno seguendo il numero di chiamata.
Lei prontamente rimette le cose al posto giusto . E’ affabile , simpatica, ocn le curve al posto giusto la brunetta  e con voce dolce quasi suadente che ti fa fin dimenticare di essere in procinto di un interevento dove qualcuno, seppure con la massima gentilezza e maestri a possibile ti inciderà l’occhio per estrarti il vetrino opacizzato e sostituirlo con uno nuovo fiammante per giunta inattaccabile da qualsivoglia miopia.
“ Noi abbiamo bisogno della cartella clinica è meglio che lei vada a predisporla il posto glielo conservo io, non perderà la priorità acquisita!”
Parole magiche che mi rilassano immantinente e mi danno nuove certezze.
Non oso neppure ribattere ma mia moglie sta facendo la coda al ticket.
Quel Noi (inteso come tutta la struttura ospedaliera dal Commissario al Primario al Reparto tutto)  abbiamo bisogno della cartella è perentorio.
“Obbedisco!”
Estraggo dalla giacca il cellulare e dalla memoria di quest’ultimo il numero di Gio.
“Pronto contrordine (ometto il “ trinaricciuti compagni” che  le mie letture di Guareschi mi ricordano – forse Gio non capirebbe). Non bisogna fare prima il ticket, ma prima deve essere redatta la cartella vieni al paino cartella e portami la tesserina necessaria per il pagamento che forse serve obbligatoriamente anche per la cartella).”
Felici di avere risolto ogni arcano ci precipitiamo al piano cartella.
La coda è minima solo pochi minuti.
Mi ripetono il mio nome ed il motivo del mio ricovero: “Cateratta all’occhio destro!”
“Confermo tutto sul mio onore.” aggiungo per dare maggiore importanza alla solenne dichiarazione.“
Ricevo in premio la cartella e soprattutto non devo corrispondere alcunché.
Non resisto alla tentazione di leggerla alla ricerca di informazioni preziose sul mio stato di salute.
Solo dopo averla accuratamente esaminata mi rendo conto dell’immenso errore nell’avere re tergiversato a  richiederla.
La cartella clinica è praticamente un foglio A3, un foglio doppio con ben stampati in carattere TImes New Roman corpo 14 neretto il nome del mutuato da operare e i suoi dati anagrafici.
Da non trascurare che dentro contiene una stampata originale di una ventina di etichette che serviranno per essere posizionate in bella mostra su tutti i documenti dell’iter burocratico.
A tal punto Gio è pronta per affrontare l’ultima coda per il pagamento del ticket, prima mi assale un dubbio: “Ma perché al momento del pagamento del ticket non potevano stampare anche la cartella?”
Domanda idiota:
” Non hanno a disposizione una stampate a doppia funzione per risparmiare sui costi!” 
Il motto paga il ticket mi risuona nelle orecchie non ricordo se per averlo letto fra i dettati del giuramento di Ippocrate o nelle memorie della medichessa  che della cura delle malattie degli altri ha fatto al sua ragione di vita.
Le formalità burocratiche sono le sole forche caudine per entrare in un reparto perfetto.
Non sembra di essere in un Ospedale italiano.
La gentilezza delle infermiere , la pulizia delle camere , i tempi di attesa che vorresti dilatare per non trovarti immantinente a tu per tu con l’uomo del bisturi, la tranquillità del reparto (dove stranamente non ci sono venditori di accendini né parcheggiatori abusivi né gente che ti intervistano a tutti i costi anche se hai un vistoso cerotto sull’occhio, ne mendicanti irritati per il fatto che non hai portato monete con te tutti confinati nel parcheggio).
Qui tutto e semplice e tranquillizzante, , salve le informazioni sull’intervento fatte a garantirsi da ogni responsabilità per non avere dato contezza sufficiente dei rischi eventuali
Come avvocato devo riconosce che è una necessaria contromossa per sconfiggere le pretese sempre più esose di quei  pazienti che vanno all’Ospedale più per cercare l’occasione di potere agire in tribunale per danni che per potere essere curati.
E’ vero che se uno legge attentamente le controindicazioni rimane convinto che è meglio rimandare l’intervento  anzi che l’ottimo è proprio non eseguirli.
La piccola cattiveria degli interventisti che professano in coro la unicità della cura ti esclude subito la possibilità di scappare: non hai scampo.
Per distrarmi chiedo:
“Quell’infermiera bionda  dal fisico asciutto  e dall’accento marcatamente pugliese è ancora in questo reparto.”
“No. E’ agli ambulatori.”
Peccato le ho portato un libercolo che racconta la storia di una famiglia che si è trasferita a Venezia parendo dal paese natale di Trani all’inizio del novecento per costruirsi un futuro che l’avara terra del sud negava.
La gente del sud tiene alle sue origini  alle sue tradizioni ai suoi valori  e al ricordo del sole  della sua terra anche se  oramai è abituata alle nebbie e ai freddi inverni  del nord  e no rinuncerebbe al nuovo mondo che si è costruita con fatica per ritornare alle sue origini.
Mi rassicura tutto in questo reparto, mi rassicura persino sentirmi ripetere il mio nome e che debbo operarmi all’occhio destro.
“Si confermo devo operarmi all’occhio destro anzi vorrei contrassegnarlo con un X con un pennarello nero perché non vorrei confondermi e negare, alla decima domanda, che quello sia l’occhio da operare.”
Queste ripetizioni non mi tediano anche se io di solito scimmiottando Paganini  mi irrito per le ripetizioni inutili,n on concedendo mai un bis.
I rassicura anche annotare la cronaca di questo giorno, forse banale per taluno, ma per me importante perché parte della mia esistenza.
Mia nonna non ha avuto la mia opportunità.
La cataratta le ha colpito gli occhi subito dopo la seconda guerra mondiale
Allora l’operazione dell’occhio destro non le ha risolto il problema perché un glaucoma l’ha resa inutile.
Il sinistro ha seguito a breve la stessa sorte,.
Così si è trovata immersa nel buio più profondo.
Mia zia Bice raccontava spesso questa storia  e non si dava pace perché abitava lontano dai suoi gneitori e non è potuta intervenire  che il nonno la ricoverasse perché oramai anziano e bisognoso anche lui di cure non riusciva più a gestire la sua cecità.
“Se fossi stata Venezia a quel tempo non avrei fatto ricoverare la mamma !” ripeteva.
Sicuramente pl’avrebbe fatto perché era generosa  e perché le donne del sud non abbandonano la loro famiglia, però non ha mai criticato nessuno anzi li giustificava per la loro vecchiaia.
Gli anni che si addossano gli uni agli altri rendono tutti meno vitali  e tutti i problemi diventano gravi e pesanti soprattutto a livello mentale.
Così si tendono ad eliminare i pesi che ci sembra rendano più complicata l’esistenza. 
Questa storia aveva colpito i miei sogni di fanciullo .
Ho sempre pensato allora che sarei diventato cieco anch’io per una sorta di famigliarità  con la malattia agli occhi.
Ricordo che di sera approfittavo del buio per camminare per casa socchiudendo gli occhi simulando una cataratta che i impediva di vedere almeno parzialmente allenandomi così a sopportare meglio la futura malattia.
Il Primario  mi aveva tranquillizzato : “ Nel 95% dei casi non ci sono problemi nell’intervento. Non possiamo di certo garantire la riuscita al 100%.”

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