martedì 3 dicembre 2013

CONCESSIONI CIMITERO

 CONCESSIONI CIMITERO.

1. Il procedimento di assegnazione.

I piani regolatori cimiteriali, disciplinati dall’art. 54, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, devono prevedere le aree destinate alla costruzione di sepolture private ( N. Centofanti I cimiteri Giuffré 2007).
Il Comune deve predisporre un progetto di lottizzazione delle aree da assegnare in concessione secondo i principi dell’evidenza pubblica.
L’assegnazione è il provvedimento amministrativo con il quale si identifica l’idoneità del richiedente ad essere successivamente concessionario 
Il provvedimento non deve necessariamente indicare l’area oggetto di concessione, potendosi rinviare la scelta ad un successivo atto che mantiene una sua autonomia.
Abbiamo quindi due atti distinti: l’assegnazione, come affermazione della posizione utile di chi è collocato in graduatoria ad ottenere la concessione, e la scelta, come identificazione dell’oggetto della concessione; essi possono anche essere compresi in un unico atto di concessione qualora questo individui anche l’area da assegnare.
Momento generativo, iniziale del provvedimento è un fatto materiale ossia la disponibilità dell’area che comporta l’esplicarsi di una attività amministrativa.
La carenza di concorrenti in graduatoria determina l’impossibilità di emanare il provvedimento e l’obbligo per l’amministrazione di indire un bando.
L’atto di assegnazione presuppone necessariamente che il richiedente abbia partecipato al bando di concorso e che sia riconosciuta la sua idoneità ad essere soggetto di un atto di assegnazione.
Questa idoneità si ottiene con l’accertamento dei requisiti necessari per essere ammesso a fruire della concessione ossia che il richiedente sia residente nel Comune.
Le concessioni di aree cimiteriali, destinate alla costruzione di tombe, edicole e cappelle private, sono rilasciate, di norma, osservando come criterio di priorità la data di presentazione della domanda di assegnazione.
Le domande possono essere presentate da tutti i cittadini residenti nel Comune ed dai loro congiunti e discendenti di ambo i sessi.
La giurisprudenza ha affermato che è illegittimo, per violazione dei canoni di trasparenza dell'azione amministrativa, il provvedimento municipale di approvazione di una variante all'ordinario progetto di lottizzazione di aree interne al cimitero comunale e di riassegnazione in concessione delle aree cimiteriali, sulla base delle stesse domande già presentate, ma in assenza della certezza sull'ordine logico della presentazione, in sede di riesame del procedimento per dubbi dell'amministrazione sulla legittimità della prima procedura.
Nel caso di specie l'amministrazione deve procedere all'eventuale annullamento dei primi deliberati ed all'approvazione, secondo un criterio di priorità logica, di un nuovo progetto di lottizzazione cimiteriale e, quindi, di una nuova procedura concorsuale, sulla base di criteri nuovamente resi pubblici con un apposito bando (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11 aprile 2000, n. 987).


2. La concessione cimiteriale.

Il diritto d’uso di una sepoltura consiste in una concessione amministrativa su bene comunale, soggetta al regime dei beni demaniali e lascia integro il diritto
del Comune sulla nuda proprietà.
L’art. 823, c.c., afferma che i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili. Essi possono formare oggetto di diritti a favore di terzi solo nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Sono frequenti le concessioni amministrative che hanno per oggetto i beni demaniali e che vi prevedono la costruzione di manufatti. 
La proprietà del suolo rimane al comune che diventa anche proprietario delle opere alla scadenza della concessione.
Il concessionario diventa proprietario delle opere come espressamente afferma l’art. 63, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il concessionario ha l’obbligo di mantenere, per tutto il tempo della concessione, in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà.
Il comune può provvedere alla rimozione dei manufatti pericolanti, previa diffida ai componenti della famiglia del concessionario.
Proprio in quanto appartengono al demanio del Comune, è possibile che determinate aree siano date in concessione a privati o enti al fine di costruirvi sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività, come del resto espressamente dispone l'art. 90 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, regolamento di polizia mortuaria (F. NARDUCCI, Guida normativa per l’amministrazione locale, 2006, 1987).
La dottrina fa rientrare la concessione di aree cimiteriali fra le concessioni traslative in quanto con esse la pubblica amministrazione non fa che trasferire al privato una parte delle facoltà e dei poteri relativi al bene che istituzionalmente le spettano.
La giurisprudenza ritiene che la concessione di aree cimiteriali consti di un atto amministrativo unilaterale con cui la pubblica amministrazione delibera di concedere l’area al privato e di un contratto con cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dal quale scaturiscono i diritti soggettivi e gli obblighi del concessionario.
Deve, pertanto, essere distinto il momento pubblicistico, caratterizzato dal provvedimento unilaterale di individuazione del concessionario, da quello privatistico, caratterizzato dalla stipulazione di un negozio giuridico bilaterale.
Ne deriva che la controversia avente ad oggetto l'inadempimento delle obbligazioni assunte da una parte, nell’ambito di tale rapporto, esula dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, coinvolgendo il diritto soggettivo alla corretta esecuzione del contratto (T.A.R. Lombardia Brescia, 27 giugno 2005, n. 673).
La dottrina rileva che il contratto che si accompagna alla concessione è il presupposto di questa; i diritti e gli obblighi del privato derivano direttamente dalla concessione.
Da qui la conseguenza del potere dell’amministrazione di incidere sull’atto di concessione cui il contratto che è mero presupposto deve cedere .


2.1. Il contenuto.

Ogni concessione del diritto d’uso di aree o manufatti deve risultare da apposito atto contenente l’individuazione della concessione, le clausole e
condizioni della medesima e le norme che regolano l’esercizio del diritto d’uso. In particolare, l’atto di concessione deve indicare:
1) la natura della concessione e la sua identificazione;
il numero di posti salma realizzati o realizzabili;
2) la durata;
3) la persona titolare della concessione o, nel caso
di Enti e collettività, il legale rappresentante;
4) le salme destinate ad esservi accolte o i criteri
per la loro precisa individuazione;
5) gli obblighi ed oneri cui è soggetta la concessione,
ivi comprese le condizioni di decadenza.
Il concessionario e gli aventi diritto hanno l’obbligo di rispettare rigorosamente le modalità di utilizzo della concessione, secondo le norme del presente regolamento e le modalità indicate nel provvedimento di concessione.
Il Comune può concedere a privati e ad enti l'uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività.
Nelle aree avute in concessione, i privati e gli enti possono impiantare, in luogo di sepolture a sistema di tumulazione, campi di inumazione per famiglie e collettività, purché tali campi siano dotati ciascuno di adeguato ossario, ex art. 90, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L'art. 91, D.P.R. 285/1990, stabilisce che tali aree, nelle quali possono essere costruiti i sepolcri anche in forma di cappelle, devono essere previste nei piani regolatori cimiteriali.
Da queste ed altre disposizioni del regolamento si evince chiaramente la volontà del legislatore di assicurare al Comune il controllo e l'organizzazione del cimitero, così da garantire la tutela della salute pubblica e il rispetto della destinazione del luogo al culto dei defunti e all'unione familiare.
La concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro (Cass. Civ., Sez. II, 16 gennaio 1991, n. 375).
Dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene - il cosiddetto diritto di sepolcro - la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura.
Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest'ultimo che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l'ente concedente il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto de quo che restano libere e riservate all'autonomia privata (Cass. Civ., sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134, in Giust. civ. Mass., 2003, 180).
Una volta costituita legittimamente la concessione di uso dello ius sepulchri la relativa facoltà gode di una protezione piena ed assoluta nei confronti dei privati, ma, nel rapporto con l'amministrazione, l'acquisto della relativa facoltà resta sempre subordinato all'adozione di un apposito provvedimento di trasferimento (Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294, in Foro amm. CDS, 2002, 2427).
Il diritto sul sepolcro già costituito è un diritto soggettivo perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso nonché di trasmissione inter vivos o di successione mortis causa e come tale opponibile agli altri privati, atteso che lo stesso nasce da una concessione amministrativa avente natura traslativa - di un'area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale - che, in presenza di esigenze di ordine pubblico o del buon governo del cimitero, può essere revocata dalla p.a. nell'esercizio di un potere discrezionale che determina l'affievolimento del diritto soggettivo ad interesse legittimo. In difetto di una diversa espressa volontà del fondatore, il sepolcro deve presumersi destinato sibi familiaeque suae (Cass. Civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804, in Giust. civ., 2004, I, 397).
Le tombe non possono in alcun caso formare oggetto di lucro, di speculazione o di cessione fra i privati né possono essere utilizzate per la sepoltura di
persone che non ne abbiano diritto.
I concessionari hanno l’obbligo di mantenere le tombe in condizioni di decoro e di curare costantemente la manutenzione delle lapidi e degli ornamenti che vi sono collocati.


3. Il diritto al sepolcro.

Il privato, ottenuta la concessione, ha un diritto soggettivo al sepolcro.
La giurisprudenza riconosce sia un diritto primario sia un diritto secondario di sepolcro.
Lo ius sepulchri si compone di un complesso differenziato di situazioni giuridiche. Il diritto cd. primario, consistente nella duplice facoltà di essere sepolti (ius sepulchri) e di seppellire altri (ius inferendi in sepulchrum) in un dato sepolcro, e un diritto cd. secondario, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona che riposa nel sepolcro e che ha come contenuto la facoltà di accedere al sepolcro nelle ricorrenze e di opporsi alle trasformazioni che arrechino pregiudizio al rispetto dovuto a quella data spoglia e ad ogni atto che costituisca violazione ed oltraggio a quella tomba
Il primo consiste nel diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, che può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito oppure oneroso, per atto tra vivi o a causa di morte.
Il diritto secondario di sepolcro - che spetta per legge a chiunque sia congiunto di una persona che riposa in un sepolcro - consiste nella facoltà di accedervi .
La giurisprudenza consente a chi è titolare di detto diritto opporsi ad ogni sua trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella data spoglia e ad ogni atto che costituisca violazione od oltraggio a quella tomba (Corte appello L'Aquila, 6 giugno 1984, in Giust. civ., 1985, I, 210).
Il diritto sul sepolcro già costruito è un diritto soggettivo perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di trasmissione inter vivos o di successione per causa di morte e come tale opponibile agli altri privati. (Cass. Civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804, GCM, 2003, 5).
E’ pacifico che atti dispositivi, in via amministrativa, non possono configurarsi senza limiti di tempo a carico di elementi del demanio pubblico.
La dottrina afferma l'impignorabilità assoluta dell'area cimiteriale sottostante al sepolcro privato, riconosciuta bene demaniale, ex art. 824, comma 2, c.c. 
Il diritto di sepolcro, attribuito al fondatore prima della morte, nasce dalla concessione da parte della pubblica Amministrazione di un'area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico; tale concessione attribuisce, a sua volta, al privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, assimilabile al diritto di superficie o di servitù, nei confronti degli altri privati.
La giurisprudenza riconosce che nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione, da parte dell'autorità amministrativa, di un'area di terreno o di una porzione di edificio, in un cimitero pubblico di carattere demaniale (Cass. Civ., sez. un., 7 ottobre 1994 n. 8197, in Gius, 1994, 91).
La giurisprudenza è concorde nel sostenere che si tratti di un diritto soggettivo perfetto e di natura reale, o almeno assimilabile al diritto reale di superficie (Cass. Civ., sez. un., 28 dicembre 1961, n. 2835, in Giur. it., 1962, I, 1, 245).
Si tratta di una teoria consolidata da tempo che si è posta in contrasto con l'asserita natura personale di tale diritto, sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese.
Iure pubblico, questo diritto si affievolisce nei confronti della pubblica amministrazione e degrada a diritto condizionato o ad interesse legittimo qualora, di fronte ad esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero, essa eserciti il potere di revoca della concessione.
Lo ius sepulchri non ha, quindi, un contenuto unitario, ma si compone, come si è visto, di un complesso differenziato di situazioni giuridiche.
In considerazione della natura reale patrimoniale del diritto di sepolcro, la giurisprudenza sostiene che deve tenere conto del valore dello stesso in sede di formazione dell'asse ereditario relitto del fondatore, ai fini della determinazione della quota di cui questi poteva disporre (Cass. Civ., sez. II, 23 luglio 1964, n. 1971, in Giust. civ., 1965, I, 137).
Il diritto al sepolcro si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della p.a. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla p.a. di esercitare il potere di revoca della concessione (Cass. Civ., sez. II, 7 ottobre 1994, n. 8197).
Il Comune può revocare la concessione che è connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa.
Il regolamento comunale può prevedere la revoca delle concessioni a tempo indeterminato.
La previsione è del tutto coerente con l'art. 92 del D.P.R. 285/1990, che regolamenta la materia.
Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente all'entrata in vigore del D.P.R. 803 del 1975, possono essere revocate quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione del nuovo cimitero, ex art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La giurisprudenza riconosce la legittimità della revoca che è conforme alla cornice legislativa e regolamentare, di fonte statale, che è improntata al criterio del divieto generale delle concessioni cimiteriali sine die.
Poiché l'art. 824, comma 2, c.c., include espressamente i cimiteri nel demanio comunale - i cui atti dispositivi, quindi, non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo - la concessione da parte di un Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta a tali regole demaniali, ribadite inoltre dall'art. 92, comma 2, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, indipendentemente dall'eventuale perpetuità del diritto di sepolcro, onde legittima è la revoca dell'atto concessorio rilasciato sine die (Cons. St., sez. V, 28.5.2001, n. 2884, in Foro Amm., 2001, 1222).


3.1. Il diritto di essere inumato nel sepolcro familiare.

La giurisprudenza riconosce che ai sepolcreti, anche se sono beni in commercio, è dovuto il rispetto della destinazione che è stata loro originariamente impressa e, inoltre, che devono acclararsi i diritti dei fondatori e loro discendenti, ove i sepolcri siano stati destinati sibi suisque.
Ai fondatori ed ai loro discendenti, facenti parte della famiglia, compete, oltre al diritto di esservi seppelliti, quello di veder rispettato il pari diritto degli altri contitolari e dei loro discendenti (ius inferendi mortuum in sepulchrum).
Nel sepolcro non possono essere introdotte salme di persone estranee alla famiglia, appartenendo il diritto di sepoltura, pro indiviso, solo a tutti i membri della famiglia stessa
La giurisprudenza comunemente afferma che la famiglia, del fondatore o dei fondatori, è costituita da un nucleo sociale formato da persone del medesimo sangue o legato tra loro da vincoli di matrimonio, ancorché non aventi lo stesso cognome, salva l'eventuale contraria volontà dei fondatori stessi, ai quali è riconosciuta la facoltà di ampliare o restringere la sfera di beneficiari del diritto.
Nel caso in cui nessuna diversa volontà sia stata manifestata, in forma espressa o tacita, dai fondatori, deve necessariamente ritenersi che tutti i componenti della famiglia, aventi vincoli di sangue con i fondatori - anche se con diverso cognome - abbiano diritto di essere ospitati nel sepolcro familiare: della famiglia fanno parte, quindi, anche le figlie femmine coniugate, in quanto aventi lo stesso sangue del fondatore.
Nel caso di specie è stato ritenuto che fosse carente la prova che i fondatori avessero inteso limitare il diritto al sepolcro ai soli discendenti maschi ed escludere quelli delle figlie femmine coniugate e tanto bastava - vigendo il principio della titolarità del sepolcro in capo a tutti i discendenti aventi vincoli di sangue con i fondatori, sebbene non anche lo stesso cognome - per la reiezione della domanda (
Cass. Civ., sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547, in Dir. fam., 1997, 494).
Il fatto della tumulazione nel sepolcro di famiglia della salma di un discendente ex filia di uno dei fondatori conferma che i fondatori hanno inteso assicurare il diritto di sepoltura a tutti i discendenti legati da vincoli di sangue senza escludere quelli delle figlie femmine coniugate e portanti un cognome diverso da quello dei fondatori medesimi.
Il sepolcro familiare ha sempre posto maggiori problemi interpretativi, rispetto alle altre forme riconosciute, e cioè al sepolcro individuale ed a quello collettivo, proprio per l'individuazione dei componenti la famiglia cui compete il diritto di uso del sepolcro.
In assenza di specifiche indicazioni normative, l'individuazione dei familiari titolari del diritto d'uso del sepolcro, non può che essere effettuata, secondo il modello tradizionale e civilistico di famiglia, con riferimento agli artt. 1021 e 1023 c.c., i quali disciplinano una fattispecie assimilabile (diritto d'uso proprio e della sua famiglia, e ambito della famiglia).
Il diritto all’inumazione nel sepolcro familiare spetta solo al coniuge, ai discendenti e agli ascendenti in linea retta del concessionario-fondatore, con esclusione di qualsiasi altro soggetto, seppure parente o erede di quest'ultimo. La destinazione di un fondo a sepolcro familiare dà origine a una comunione che comprende tutti, e soltanto, i congiunti del fondatore viventi che vi hanno titolo e che va distinta dalla comunione che eventualmente ha per oggetto il fondo destinato a sepolcro, giacché quest'ultima è regolata dalle norme sulla comproprietà, mentre la comunione del sepolcro è soggetta ad un peculiare regime, caratterizzato dalla indisponibilità dello stesso da parte di uno o di alcuni soltanto dei suoi titolari 
La Cassazione ha ribadito più volte il principio per cui, determinandosi tra i vari titolari una comunione indivisibile, resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello ius inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari (Cass. Civ., 29 maggio 1990 n. 5015).


1.      3.2. Quando un sepolcro è da considerarsi familiare? Chi ha diritto di sepoltura? Gli eredi perdono il diritto se contribuiscono in ritardo alle spese relative ai lavori di ristrutturazione?


1) La successione nel sepolcro familiare.
Un sepolcro è considerato familiare quando il fondatore-capostipite non manifesta la volontà di limitare la cerchia dei contitolari del diritto di proprietà e di utilizzo del sepolcro ai suoi soli eredi.
La volontà del fondatore di limitare l’uso del sepolcro solo a determinati eredi deve esser resa pubblica o con atto inter vivos, quale una donazione, che precisi la volontà del fondatore o con un atto morits causa, quale una disposizione testamentaria.
Qualora non sussistano tali disposizioni da parte del fondatore, la giurisprudenza considera ricorrente l’ipotesi di sepolcro familiare intendendo il sepolcro destinato dal fondatore alla sua sepoltura familiaeque suae; il diritto alla sepoltura spetta, dunque a tutti i discendenti del fondatore nonché ai rispettivi coniugi (Cass. Civ., 20 settembre 2000, n. 12957).

2) Il diritto di sepoltura nel sepolcro familiare.
Il soggetto che non è legato da vincoli di sangue con il capostipite o da rapporti di coniugio con uno dei suoi discendenti non può vantare il diritto di essere sepolto nel sepolcro familiare.
La giurisprudenza riconosce lo ius sepulchri al coniuge passato a nuove nozze dopo la vedovanza. Essa afferma che quel diritto non viene meno in quanto il nuovo matrimonio non estingue il vincolo di affinità con la famiglia stessa (Cons. St., sez. V, 13 maggio 1991 n. 806, in Giust. civ., 1992, I, 1113. Nota N. Izzo, Il diritto di sepolcro del vedovo che contrae nuovo matrimonio).
L’esercizio del diritto di sepoltura da parte di soggetti che non ne hanno titolo comporta la condanna a rimuovere immediatamente la salma dalla cappella sepolcrale a cura e spese di coloro che hanno richiesto la sepoltura.

3) Le spese di ristrutturazione del sepolcro familiare.
Nel caso in cui solo alcuni eredi abbiano partecipato alle spese relative per la ristrutturazione del sepolcro è applicabile l'art. 1121 c.c., che riconosce ai condomini dissenzienti e ai loro eredi e aventi causa, in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera (Cass. Civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746).
Gli eredi che hanno manifestato la volontà di contribuire alle spese sostenute per la ristrutturazione della tomba hanno il diritto di usufruire ed utilizzare il sepolcro nella sua interezza.
Spetta senz'altro sia il diritto ad essere seppelliti nel sepolcro, sia il diritto di seppellire nella cappella gli ascendenti e i discendenti (Trib. Brindisi, 12 aprile 2006).
L'utilizzo del sepolcro è, comunque, subordinato all'effettivo versamento del contributo per i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della struttura, secondo i principi di cui all'art. 1121, 3° co., c.c. secondo la perizia del
C.T.U. per la quota di successione.
Su tale somma decorrono la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT nonché gli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno dalla data di esecuzione dei lavori.




3.3. Il progetto.

I singoli progetti di costruzione di sepolture private devono essere approvati dal dirigente del servizio su conforme parere della commissione edilizia, osservate le disposizioni in materia di inumazione, ex artt. 68 e segg., D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e tumulazione, ex artt. 76 e segg., D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e quelle specifiche contenute nel regolamento comunale.
Qualsiasi variante essenziale al progetto, anche in corso d'opera, deve essere approvata prima di essere realizzata.
Nell'atto di approvazione del progetto deve essere definito il numero di salme che possono essere accolte nel sepolcro.
Il numero dei loculi è fissato in ragione di un loculo per ogni metro quadrato di area concessa.
Possono essere autorizzati altri loculi subordinatamente a particolari esigenze ed al pagamento, per ogni loculo in più, del canone di tariffa.
Nei progetti relativi ad aree per sepolture a sistema di inumazione, la capienza è determinata in base al rapporto tra la superficie dell'area ed il coefficiente fissato dal Comune.
Le sepolture private non devono avere comunicazione con l'esterno del cimitero poiché in tal caso è più difficile fornire la dovuta vigilanza.
La costruzione delle opere deve essere contenuta nei limiti dell'area concessa e non deve essere di pregiudizio a quelle confinanti o ai servizi del cimitero.
Le variazioni di carattere puramente ornamentale, che non comportano modificazione della sagoma delle opere, sono preventivamente autorizzate dal responsabile dei servizi cimiteriali.
La costruzione abusiva di sepolture private è sanzionata dal dirigente del servizio.

4. La durata delle concessioni.

L'art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, afferma che le concessioni di aree cimiteriali per le sepolture sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo.
La dottrina rileva che la concessione amministrativa non può essere di durata indefinita, ma che deve essere rapportata ad un lasso di tempo predeterminato (E. SILVESTRI, Concessione amministrativa, in Enc. Dir., VII, 1961, 373).
Sulla scorta degli indirizzi dottrinali il legislatore ha affermato che le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero.
La giurisprudenza ha affermato che la normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è venuta a trovarsi in contrasto con la disposizione di cui all'art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 - il cui contenuto è stato ripreso dall'art. 93 del regolamento governativo approvato con D.P.R. n. 803 del 1975 – legittimando l’esercizio del potere di revoca della concessione da parte del comune.


4.1. Il diritto al subentro. La voltura.

Il coniuge ed i congiunti del fondatore del sepolcro sono titolari del diritto di sepolcro.
In caso di decesso del concessionario i discendenti legittimi e le altre persone che hanno titolo sulla concessione anche attraverso una disposizione testamentaria devono dare comunicazione al Comune e richiedere la variazione dell'intestazione della concessione.
In difetto di designazione del destinatario delle comunicazioni, il Comune provvede d'ufficio.
Il diritto al sepolcro - alla morte del concessionario ed in assenza di altri eredi legittimi del fondatore - si trasforma da familiare in ereditario e conseguentemente il diritto primario di sepolcro si trasferisce mortis causa agli eredi (Corte appello L'Aquila, 6 giugno 1984, in Giust. civ., 1985, I, 210).
Gli aventi diritto possono chiedere la voltura di intestazione cimiteriale.
Gli istanti possono domandare, a seguito della produzione dell’atto di acquisto inter vivos o mortis causa, che siano compiute le relative variazioni delle intestazioni.
Esse accertano il diritto ad essere sepolti nelle tombe date in concessione.
La richiesta di voltura assume la configurazione di diritto soggettivo.
Il Comune deve apportare tutte le modificazioni, comunque effettuate, di intestazioni delle assegnazioni e/o delle concessioni intervenute.
In caso di silenzio o diniego sulla richiesta gli istanti possono proporre azione di accertamento al giudice amministrativo (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 26 marzo 2004, n. 2168, in Foro amm. TAR, 2004, 823).
La voltura risulta essere un atto dovuto per il solo fatto di possedere gli atti di trasferimento.
Pur essendo una concessione relativa a un bene rientrante nel demanio comunale, il nuovo titolare non deve possedere gli stessi requisiti del cedente né deve essere accertata la sussistenza della identità di posizione tra i due soggetti.
L'amministrazione è chiamata solamente a effettuare la valutazione della legittimità degli atti (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 24 agosto 2005, n. 4124, in Foro amm. TAR, 2005, 7/8, 2566).


4.2. Le divisioni.

I concessionari di tomba di famiglia o di cappella privata possono richiedere al Comune la divisione dei posti o l'individuazione di separate quote della concessione stessa.
La richiesta deve essere prodotta individuando la consistenza della quota medesima ovvero l'attribuzione dei posti.
La richiesta deve essere sottoscritta da tutti i concessionari aventi titolo oppure essere formulata separatamente da tutti loro.
Nel caso di mancata sottoscrizione anche da parte di un solo concessionario la richiesta non può essere accolta.
In carenza di un piano di riparto delle quote gli assegnatari titolari di un diritto soggettivo devono iniziare una causa di divisione presso il giudice ordinario nei confronti degli altri assegnatari.
Gli atti divisionali compiuti dal Comune sono invece soggetti alla giurisdizione amministrativa in quanto espressione di un potere pubblico.


5. La revoca della concessione.

Gli atti di tutela sono di competenza dei funzionari comunali poiché rientrano nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l), D.L.vo. n. 267 del 2000.
Rientrano invece nelle competenze del Consiglio comunale l'assunzione di atti di amministrazione del demanio comunale come gli atti relativi ai suoli cimiteriali (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 07 aprile 2006, n. 985, in Foro amm. TAR, 2006, 4, 1206).
La giurisprudenza afferma che, in via di principio, sotto la vigenza del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, una concessione cimiteriale perpetua non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell'eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero (Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5316, in Foro amm. CDS, 2002, 2432).
L’art. 92, D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, afferma che, per le concessioni di durata superiore ai 99 anni rilasciate anteriormente al D.P.R. n. 803 del 1975, l'esercizio del potere di revoca nell'interesse pubblico è ancorato a due precisi presupposti:
1) il superamento di 50 anni dall'ultima tumulazione;
2) la grave insufficienza del cimitero.
Tali requisiti devono concorrere entrambi per la legittimità del provvedimento di revoca, mentre la decadenza è consentita nel caso di inosservanza di determinati obblighi a carico del concessionario da precisare con l'atto di concessione o con la convenzione che sovente l'accompagna.
La giurisprudenza conferma che con l'entrata in vigore del D.P.R. n. 803 del 1975, devono ritenersi abrogate in parte qua le disposizioni regolamentari comunali che imponevano il rinnovo della concessione ogni trentennio e deve, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di decadenza fondato sulla persistenza della vigenza di tali disposizioni comunali (Cons. St., sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505, in Com. It., 2002, 1682).
Il regolamento statale, D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, all’art. 93, comma 2, ora mod. art. 92, D.P.R. 285/1990, prevede, con riguardo alle concessioni cimiteriali, la possibilità di pronunciarne la revoca. L'ipotesi è limitata ai casi di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno e di impossibilità di ampliamento o di nuova costruzione (G. PUGLIESE, Superficie, in Commentario al codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1976, 584).
La revoca è, però, ammessa per le concessioni a tempo determinato.
Inoltre, tutte le concessioni, comprese quelle perpetue, possono estinguersi per effetto della soppressione del cimitero (Cons. St., sez. V, 08 ottobre 2002, n. 5316, in Foro amm. CDS, 2002, 2432).
Di conseguenza una concessione perpetua non può essere revocata e la sua cessazione poteva darsi, all'epoca, unicamente nell'eventualità sopra indicata.
Non sono previste dal regolamento statale altre forme di estinzione né quindi sono ammissibili pronunzie di decadenza (Cons. St., V Sez. n. 279 del 12 maggio 1987).


 6. La decadenza dalla concessione.

La decadenza può essere pronunciata sia nel caso di mancato rispetto degli obblighi previsti in convenzione nell’eventualità di mancato inizio dei lavori di costruzione sia nel caso di cessazione del diritto per estinzione della famiglia del concessionario.
Con l'atto della concessione il Comune può imporre ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione, ex art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il privato concessionario che non rispetti l’obbligo di costruzione della sepoltura è soggetto alla decadenza dal provvedimento di concessione.
La circostanza che il regolamento comunale di polizia mortuaria disponga che la decadenza della concessione cimiteriale può essere dichiarata nel caso in cui non si provveda alla costruzione delle opere nei termini fissati comporta che il relativo provvedimento non ha carattere assolutamente vincolato, né tantomeno meramente dichiarativo di un evento verificatosi automaticamente, costituendo invece espressione di un potere discrezionale di apprezzamento dei presupposti della decadenza medesima. La configurabilità di un potere discrezionale in materia impone che il provvedimento che di tale potere costituisce esercizio rechi una motivazione circa le ragioni di interesse pubblico concretamente perseguite.
L'assenza di qualsiasi argomentazione al riguardo giustifica l'annullamento del provvedimento (T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 settembre 2003, n. 1145, in Com. It., 2003, f. 11, 98).
La ratio della norma è chiaramente espressa dal comma 4, art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
Non può essere data concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione.
La decadenza deve essere pronunciata anche quando la famiglia viene ad estinguersi ossia quando non vi sono persone che abbiano titolo per assumere la qualità di concessionari o non siano state lasciate disposizioni a persone, enti o istituzioni per curare la manutenzione della sepoltura, per il residuo periodo di durata della concessione.
Il Comune deve notificare al concessionario i procedimenti di decadenza.
La mancata notifica non è causa di illegittimità del provvedimento, ma sposta il termine per l’impugnativa del provvedimento medesimo.



7. L’usucapione del diritto di custodire in un sepolcro familiare i resti mortali di congiunti.

Il diritto al sepolcro, inteso come diritto alla tumulazione, ha natura reale e patrimoniale; conseguentemente, l'esercizio del potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto concreta un possesso, ex art. 1140, c.c., utile per l'usucapione (Cass. Civ., sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838, in Giust. civ. Mass., 1993, 1444).
La giurisprudenza conferma che può essere usucapito il diritto di custodire in un sepolcro familiare, sito all'interno di un cimitero, i resti mortali di congiunti se è stato esercitato per il periodo prescritto il potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto.
Per l’usucapione il possesso deve essere pacifico e pubblico ossia l’acquisito non deve essere stato violento o clandestino; inoltre è richiesta la continuità del possesso che non deve avere subito interruzioni.
Non è richiesto invece che il possesso sia di buona fede.
La giurisprudenza ha precisato che, ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere sia esercitato come titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece esso appartiene ad altri (Cass. Civ., sez. II, 9 febbraio 2006, n. 2857, in Dir. e giust., 2006, 1437).
La proprietà dei diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni, ex art. 1158, c.c.
Tale situazione va tenuta distinta dall'usucapione della proprietà della cappella o del loculo (Corte appello Potenza, 14 marzo 2003, in Giur. Mer., 2004, 926).


8. Il diritto alla sepoltura fuori dai cimiteri.

L’art. 101, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, consente la costruzione delle cappelle private fuori dal cimitero destinate ad accogliere salme o resti mortali.
Per tali costruzioni occorre l'autorizzazione del Sindaco, previa deliberazione del Consiglio comunale, sentito il coordinatore sanitario dell'unità sanitaria locale.
Il richiedente deve fare eseguire a proprie spese apposita ispezione tecnica. Il legislatore dispone dei requisiti tassativi per la costruzione di cappelle private realizzate fuori dal cimitero.
La loro costruzione ed il loro uso sono consentiti soltanto quando siano attorniate per un raggio di metri 200 da fondi di proprietà delle famiglie che ne chiedano la concessione e sui quali gli stessi assumano il vincolo di inalienabilità e di inedificabilità.
Nel caso di espansione edilizia e di interventi costruttivi che fanno venire meno le condizioni di isolamento previste dalla norma i titolari delle concessioni decadono dal diritto di uso delle cappelle.
Le cappelle private costruite fuori dal cimitero sono soggette, come i cimiteri comunali, alla vigilanza dell'autorità comunale, ex art. 104, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La disciplina regolamentare non riguarda solo la costruzione di cappelle avvenuta in epoca successiva all'emanazione di ogni singolo regolamento.
La chiarezza testuale sul punto dell'art. 105, 4 comma del regolamento del 1975 e dell'art. 104, 4 comma del regolamento del 1990 è evidente.
Le norme fanno espresso riferimento anche alle cappelle private, fuori del cimitero, preesistenti alla data di entrata in vigore del Testo Unico fondamentale richiamato.
L'eccezione al divieto generale è espressamente subordinata alle stesse condizioni locali ed obiettive previste per i cimiteri .
La norma trova applicazione anche nel caso di tumulazioni successive al T.U.; dette condizioni obiettive previste in entrambi i regolamenti non possono che essere applicabili a tutte le tumulazioni successive al T.U. suddetto di cui costituiscono disciplina attuativa, ancorché concernenti cappelle preesistenti.
Entrambi i regolamenti dettano le norme per la costruzione delle nuove cappelle; ma l'uso di cappelle private sottoposte alla vigilanza dell'autorità comunale, in attuazione dell'art. 354 del T.U., non può che riferirsi all'uso per tumulazione primaria di tutte le cappelle private, preesistenti o non, sottoposte alla vigilanza dell'autorità comunale.
L'oggetto della vigilanza dell'autorità comunale, infatti, non può che essere individuato nelle situazioni previste dagli stessi commi degli artt. 105 e 104 dei due regolamenti rispettivamente del 1975 e del 1990.
La vigilanza, in virtù dei quarti commi di entrambi i predetti articoli, coinvolge espressamente anche le cappelle preesistenti all'entrata in vigore del T.U. delle Leggi sanitarie.
L'uso delle cappelle esterne ai cimiteri comunque esistenti (e quindi anche preesistenti) è consentito solo quando le norme igieniche, riflesse nella distanza dai centri abitati, siano rispettate.
La giurisprudenza precisa che la domanda diretta ad accertare nei confronti di un Comune il diritto dei comproprietari di una cappella gentilizia di proseguire l'uso della stessa per le tumulazioni dei defunti, ancorché la cappella sia preesistente all'entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie, introduce una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la situazione giuridica del privato, che pretende di eseguire la tumulazione di un defunto nella cappella, la natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo (
Cass. Civ., sez. un., 16 aprile 1997, n. 3287, in Dir. eccl., 1998, II, 317).
Per motivi di carattere eccezionale il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato, previo parere del Consiglio superiore di sanità, può autorizzare, con apposito decreto, la tumulazione dei cadaveri e dei resti mortali in località differenti dal cimitero, sempre che la tumulazione avvenga con l'osservanza delle norme stabilite nel vigente regolamento.
Detta tumulazione può essere autorizzata quando concorrano giustificati motivi di speciali onoranze e, comunque, per onorare la memoria di chi abbia acquisito in vita eccezionali benemerenze, ex art. 105, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.


9. La soppressione dei cimiteri.

L’art. 96, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, vede con estremo sfavore la soppressione dei cimiteri.
Nessun cimitero, che si trovi nelle condizioni prescritte dal testo unico delle leggi sanitarie e dal presente regolamento, può essere soppresso se non sono evidenziate le ragioni di dimostrata necessità.
La soppressione è deliberata dal Consiglio comunale, sentito il coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente per territorio il cui parere è obbligatorio.
Il cambio di destinazione d’uso è in ogni modo soggetto a talune limitazioni.
Il terreno di cimitero di cui sia stata deliberata la soppressione non può essere destinato ad altro uso se non siano trascorsi almeno 15 anni dall'ultima inumazione. Per la durata di tale periodo esso rimane sotto la vigilanza dell'autorità comunale e deve essere tenuto in stato di decorosa manutenzione.
Trascorso detto periodo di tempo, prima di essere destinato ad altro uso, il terreno del cimitero soppresso deve essere diligentemente dissodato per la profondità di metri due e le ossa che si rinvengono devono essere depositate nell'ossario comune del nuovo cimitero, ex art. 97, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
I diritti di sepoltura per i soggetti sepolti nel cimitero in via di soppressione sono stabiliti dal regolamento che fissa degli obblighi al Comune in relazione alla salme inumate nel cimitero che si intende sopprimere.
In caso di soppressione del cimitero gli enti o le persone fisiche concessionari di posti per sepolture private, con quali i Comuni siano legati da regolare atto di concessione, hanno soltanto diritto ad ottenere a titolo gratuito, nel nuovo cimitero, per il tempo residuo spettante secondo l'originaria concessione, o per la durata di 99 anni nel caso di maggiore durata o di perpetuità della concessione estinta, un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente loro concesso nel cimitero soppresso ed al gratuito trasporto delle spoglie mortali dal cimitero soppresso al nuovo, da effettuare a cura del Comune.
Le spese per la costruzione o per il riadattamento dei monumenti sepolcrali e quelle per le pompe funebri che siano richieste nel trasferimento dei resti esistenti nelle sepolture private sono tutte a carico dei concessionari, salvo i patti speciali stabiliti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento, ex art. 98, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il materiale dei monumenti ed i segni funebri posti sulle sepolture private esistenti nei cimiteri soppressi restano di proprietà dei concessionari che possono trasferirli nel nuovo cimitero.
Qualora i concessionari rifiutino di farlo, tali materiali passano in proprietà del Comune, ex art. 99, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.


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