sabato 16 novembre 2013

ATTI EMULATIVI

ATTI EMULATIVI


 Il divieto degli atti emulativi.


Sono definiti dalla dottrina atti emulativi quei comportamenti con i quali il proprietario abusa del potere attribuitogli dall’ordinamento, danneggiando altri senza ottenere per sé medesimo alcun vantaggio.
La relazione al codice civile afferma che il divieto degli atti emulativi ribadisce un principio di solidarietà tra privati e pone nell’utilizzazione dei beni una regola conforme all’interesse della collettività.
La richiesta esplicita del concorso dell’animus nocendi è stata poi ritenuta necessaria per evitare che la norma venga applicata con eccessi pericolosi.
Da un lato tuttavia la relazione considera il divieto un limite al diritto di proprietà, che asseconda la pretesa tendenza anti individualistica del codice, dall’altro pone la necessità di ricercare l’animus nocendi, che si presenta come un’ultima difesa di quell’individualismo che la nuova normativa voleva eliminare; essa risulta quindi contraddittoria (De Martino 1976, 152 ss.)
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti è necessario provare l’animus nocendi, visto come intenzione maligna di recare offesa, ma così facendo diventa inutile l’altro requisito richiesto per l’atto emulativo, vale a dire la mancanza di utilità per il proprietario.
Poiché, infatti, è difficile riuscire a provare specificamente l’intento di nuocere, se viene anche a cadere la possibilità di richiedere una giustificazione, soddisfatta da un apprezzabile interesse del proprietario, si riduce al minimo la possibilità che l’art. 833 c.c. trovi una concreta applicazione.

Non costituisce atto emulativo il comportamento di colui il quale abbia acquistato una striscia di terreno, in sé priva di utilità edificatoria, antistante un fabbricato con vedute a distanza inferiore alla legge, facendosi rilasciare dai venditori - confinanti il preventivo consenso a mantenere ed aprire delle vedute in deroga alle distanze legali e successivamente, non avendo ottenuto l'aggiudicazione del medesimo ai pubblici incanti, eserciti nei confronti dell'aggiudicatario l'azione diretta a far ridurre a luci le vedute
(Cass. civ., sez. II, 3 aprile 1999, n. 3275, NGCC, 2000, I, 85, nota Calvari).

Il divieto degli atti emulativi, così configurato, diventerebbe solo una derivazione del dettato dell’art. 2043 c.c., anche se con specifiche differenze (Dossetti 1988, 1).
La giurisprudenza considera sicuramente non emulativo l’atto che tende ad ottenere il riconoscimento giudiziale del diritto leso.

Per aversi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario ed abbia solo lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.
Non può considerarsi emulativa la domanda di eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale, ex artt. 905, 906 c.c., che tende al riconoscimento della libertà del fondo ed alla rimozione di una situazione illegale e pregiudizievole.
(Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1997, n. 11852, GCM, 1997, 2273).

La natura stessa dell’atto teso al riconoscimento dei propri diritti esclude ogni scopo emulativo, senza che l’accertamento giudiziario debba acclarare se ci sia stato un danno per il soggetto passivo dell’azione, poiché tale elemento non vale a qualificare giuridicamente la fattispecie.

Non può qualificarsi come atto emulativo, vietato dall'art. 833 c.c., la pretesa del proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio contro il vicino il rispetto di un obbligo contrattuale, come l'osservanza nelle costruzioni della distanza pattiziamente stabilita, senza che rilevi che tale violazione non si sia tradotta in un danno concreto ed effettivo
(Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, FI, 1996, I, 2464).



Gli elementi costitutivi dell’atto emulativo. Il comportamento vietato.


Gli elementi costitutivi dell’atto emulativo sono indicati dalla prevalete dottrina nei requisiti che deve avere il fatto posto in essere dal soggetto attivo che viene definito come comportamento vietato.
L’azione deve avere i seguenti requisiti: 1) lo scopo di nuocere; 2) l’assenza di utilità per l’agente; 3) il danno e la molestia per il soggetto destinatario dell’azione (De Martino, Resta e Pugliese 1976, 156).
Il comportamento vietato, secondo l’interpretazione dominante, deve realizzare un facere e, di conseguenza, un comportamento omissivo non può essere ritenuto emulativo.
Altra dottrina tuttavia considera una simile conclusione come dovuta ad una analisi rigidamente letterale dell’art. 833 c.c.
Per quanto riguarda l’interpretazione giurisprudenziale, le sentenze sono alterne.
In un caso è stato deciso che non rientra nell’ipotesi di atto emulativo l’inerzia di un proprietario di un appartamento localizzato in un immobile distrutto in seguito ad eventi bellici, che ostacolava la ricostruzione dell’appartamento sovrastante (App. Catania, 19 marzo 1955, GIR, 1955, voce Proprietà, n. 1).
La giurisprudenza non ha ritenuto che il comportamento omissivo possa ritenersi atto emulativo perché contrasta con la dizione letterale della norma che richiede, in ogni caso, l’esecuzione di un atto.

Ritenere che l'atto emulativo possa consistere anche in una condotta omissiva, costituisce violazione dell'art. 833 c.c. sia perché la norma, letteralmente, vieta al proprietario il compimento di "atti"; sia perché non è configurabile un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, ed invece, il non fare, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e/o di energia psicofisica
(Cass. civ. sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250, FI, 1998, I, 69, nota Moliterni, Palmieri, NGCC, 1998, I, 605 nota Caserta).

Un’altra decisione sembra, invece, ritenere che un comportamento omissivo possa essere emulativo.
Nella specie si tratta del rifiuto di somministrare acqua irrigua da parte di una società concessionaria, che portava come giustificazione il fatto che il giudice le aveva imposto di utilizzare esclusivamente cavi propri, mentre risultava che la stessa società avrebbe potuto servirsi di cavi altrui, in quanto la loro utilizzazione rientrava nella concessione (Trib. Vercelli, 2 maggio 1949, FP, 1950, I, 322).
In altri casi è stato parificato al non facere l’opposizione al fare di altri, dato che è manifestazione non di una iniziativa, ma di una reazione a questa.
E’ stato considerato come atto emulativo dalla giurisprudenza l’opposizione di un condomino all’ammodernamento di un edificio, quando costui agisca unicamente allo scopo di apportare agli altri condomini il maggior danno possibile senza che gli venga il minimo vantaggio dall’opposizione (App. Torino, 12 maggio 1971, GI, 1973, I, 2, 1146).
Non costituisce, invece, atto emulativo il comportamento dell’amministratore di condominio inteso a ripristinare il diritto violato.

Non costituisce atto emulativo l'azione dell'amministratore di un condominio per la cessazione dell'abuso di un bene comune da parte di un condomino che, servendosene a vantaggio della sua proprietà esclusiva, lo sottrae alla possibile utilizzazione comune, anche se non ancora attuale.
Nella specie escavazione per ampliare i locali sotterranei del sottosuolo, destinato anche al passaggio di tubi e canali
(Cass. civ. sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13102, GCM, 1997, 2452).

Il comportamento vietato deve configurarsi come abuso del diritto nel senso più esteso, configurandosi anche tale agire nelle relazioni sindacali fra datore di lavoro e lavoratori.

In tema di condotta antisindacale, l'intenzionalità del comportamento del datore di lavoro, mentre è irrilevante nel caso di comportamento contrastante con norma imperativa, può assumere rilevanza quando la condotta del medesimo, pur se lecita nella sua obiettività, presenti i caratteri dell'abuso di diritto.
In questo caso, infatti, l'esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita attraverso l'uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a fine diverso da quello tutelato dalla norma assumendo quindi - in coerenza con la norma dettata dall'art. 833 c.c., in materia di proprietà - nel campo delle obbligazioni, e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceità per contrasto con i principi di correttezza e buona fede, i quali assurgono a norma integrativa del contratto di lavoro in relazione all'obbligo di solidarietà imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure in diversa e talora opposta posizione, perseguono.
(Cass. civ., sez. lav., 8 settembre 1995, n. 9501, DL, 1997,II, 288 nota Marazza. Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 1997, n. 11573, NGiL, 1997, 693).


Lo scopo di nuocere.

Ai sensi dell’art. 833 c.c. sono da considerarsi emulativi gli atti del proprietario che hanno il solo scopo di nuocere o di arrecare molestia.
La dottrina prevalente considera necessaria l’intenzione specifica del proprietario di recare danno, poiché ritiene che il legislatore abbia espresso l’esigenza della presenza di una componente psicologica nell’atto emulativo, identificata appunto nell’animus nocendi (De Martino 1976, 156).
Tale interpretazione dell’art. 833 c.c. lo rende praticamente inapplicabile, vista la difficoltà di provare l’intento nocivo del proprietario, che è un atteggiamento interiore, e ancor più perché l’onere della suddetta prova, secondo i principi generali in materia, spetterebbe a colui che afferma di aver subito il danno.
La formula usata dal legislatore è stata allora sottoposta ad altri criteri interpretativi.
Alcuni considerano che fine dell’atto, ai sensi dell’art. 833 c.c., deve essere ritenuto non tanto l’intenzione dell’agente, ma il risultato che l’azione provoca, dato che, perché un atto sia definito emulativo, è necessario che esso porti danno o molestia e non può essere definito tale quello con cui il proprietario solamente intenda nuocere(Dossetti 1988, 2).
Viene così ridimensionato l’elemento intenzionale come autonomo requisito dell’atto emulativo.

Perché si abbia un atto di emulazione è necessaria la presenza di due elementi, l'uno oggettivo, e cioè l'assenza di utilità per il proprietario, l'altro soggettivo, cioè l'animus aemulandi o nocendi, ossia l'intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri. Si è, dunque, al di fuori di tale ipotesi quando concorra un apprezzabile vantaggio del proprietario da cui l'atto è stato compiuto.
(Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558, GI, 1996, I, 1, 378).

La giurisprudenza non ravvisa detto requisito nelle azioni a tutela della proprietà, quale quella, ad esempio, a tutela delle distanze, che sono tese a raggiungere gli scopi di tutela previsti dal legislatore ed escludono quindi a priori un’eventuale intenzione di nuocere al convenuto.

Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, per cui non è riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che chieda l'eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale.
Nella specie si è escluso che avesse natura di atto emulativo l'acquisto di una striscia di terreno antistante l'immobile in cui si aprono le vedute, in vista dell'aggiudicazione poi mancata del medesimo in sede di asta pubblica, nonché dell'esercizio dell'azione di rispetto delle distanze legali.
(Cass. civ., sez. II, 3 aprile 1999, n. 3275, GCM, 1999, 756).

Per aversi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e che sia stato posto in essere con il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri.
Non è riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che chieda la riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze legali.
(Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1997, n. 12258, GCM, 1997, 2321).

Parimenti a contrariis la giurisprudenza non ha riconosciuto carattere emulativo né all'attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il mantenimento dell'opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette norme
Tale vantaggio, salva l'ipotesi dell'inosservanza delle distanze legali e di un provvedimento amministrativo di riduzione in pristino, rientra sempre nel legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, sia con riferimento ad una eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui l'interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato dei luoghi.

Gli atti emulativi, vietati dall'art. 833 c.c., sono caratterizzati, oltre che dall'elemento oggettivo del danno e della molestia altrui, anche dall'animus nocendi, consistente nell'esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio reale vantaggio.
(Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1981, n. 3010).





L’assenza di utilità.


Il dettato dell’art. 833 c.c. può anche essere interpretato nel senso che lo scopo di nuocere deve essere esclusivo e, quindi, un’utilità anche minima dell’atto per il proprietario ne sarebbe una giustificazione sufficiente (Dossetti 1988, 3).

Per aversi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. occorre il concorso di due elementi:
a) che l'atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario;
b) che tale atto abbia il solo scopo di nuocere o arrecare molestia ad altri.
(Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998, GCM, 1998, 2046).

Secondo certa giurisprudenza, addirittura, l’intenzione di procurarsi un vantaggio, anche se illecito, da parte del proprietario impedirebbe che l’atto venga considerato come emulativo.

Per aversi atto emulativo vietato dalla legge, ex art. 833 c.c., non è sufficiente che il comportamento del soggetto attivo arrechi nocumento o molestia ad altri, occorrendo altresì che il fatto sia posto in essere per tale esclusiva finalità, senza essere sorretto da alcuna giustificazione di natura utilitaristica del punto di vista economico e sociale.
Non compie atto emulativo il proprietario che ponga in essere atti che, pur arrecando nocumento o molestia ad altri, siano soggettivamente intesi a procurargli un vantaggio, ancorché contrario all'ordinamento giuridico.
(Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1982, n. 688, GI, 1983, I, 1, 144).
Detta interpretazione è leggermente mitigata dal riferimento al principio generale espresso dall’art. 1322, 2° co., c.c., in base al quale solo interessi tutelati dall’ordinamento giuridico sono rilevanti per il diritto.
Di conseguenza l’azione nociva del proprietario può essere discriminata solo qualora concorrano interessi socialmente apprezzabili.
In realtà, secondo certa giurisprudenza, la condotta negativa del proprietario viene giustificata dalla presenza di apprezzabili vantaggi oppure di apprezzabili motivi.

La sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell'assenza di utilità per il proprietario e di un elemento soggettivo, costituito dall'animus nocendi, ossia l'intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri.
Pertanto, si è al di fuori dell'ambito dell'art. 833 c.c. quando ricorra un apprezzabile vantaggio del proprietario da cui l'atto sia stato compiuto.
(Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558, GCM, 1995, 690).

Anche seguendo questo criterio l’efficacia dell’art. 833 c.c. è minima e pure con questa interpretazione non si tengono in nessun conto i valori di solidarietà tra privati e di conformità all’interesse della collettività riportati proprio dalla relazione al codice. |
Certa dottrina ritiene che l’art. 833 c.c. sia formulato in base ad un principio generale che sovrintende anche all’esercizio del diritto di proprietà.
Ne consegue che, nel caso sia necessario il controllo sull’utilità dell’atto, questo deve essere effettuato valutandone la proporzione con il danno o con la molestia che è stato arrecato all’altra parte in causa e il carattere emulativo risulterebbe dalla sproporzione fra il sacrificio di questa e l’utilità anche apprezzabile ricavatane dal proprietario.
La giurisprudenza considera sicuramente non emulativo l’atto che tende ad ottenere il riconoscimento giudiziale del diritto leso.

A fronte dell'esercizio del diritto da parte del terzo al rispetto delle norme urbanistiche non e' in alcun modo utilizzabile la nozione di atti di emulazione col commesso divieto (art. 833 c.c.) in quanto va ritenuto che l'art. 31, 8° co., l. 17 agosto 1942 n. 1150 – che afferma che chiunque può ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia - ha posto un'azione rientrante fra quelle di "status", quale l’appartenenza ad una collettività organizzata e non un'azione a difesa della proprietà quale è quella ex art. 833 c. c.
(T.A.R. Puglia, sez. II, Bari, 29 agosto 1996, n. 478, T.A.R., 1996, I, 3899).

Non può qualificarsi come atto emulativo (vietato dall'art. 833 c.c.) la pretesa del proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio contro il vicino il rispetto di un obbligo contrattuale, come l'osservanza nelle costruzioni della distanza pattiziamente stabilita, senza che rilevi che tale violazione non si sia tradotta in un danno concreto ed effettivo
(Cass. civile sez. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, FI, 1996, I, 2464).

Per aversi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di interesse ed utilità per colui che lo compie e che sia stato posto in essere al solo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.
Non è riconducibile alla categoria degli atti emulativi l'azione del proprietario che chiede la riduzione della costruzione realizzata dal vicino violando gli accordi negoziali sulle dimensioni del manufatto ed arrecando pregiudizio estetico
(Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1996, n. 301, GCM, 1996, 58).

Il danno e la molestia.

Solo l’atto che nuoce o reca molestia può essere considerato emulativo.
Il danno è un requisito essenziale dell’atto che si ritiene emulativo Esso deve essere provato dal ricorrente.

La sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell'assenza di utilità per il proprietario e nel danno o molestia altrui, e di un elemento soggettivo, costituito dall'animus nocendi ossia dall'intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri
(Trib. Napoli, 20 febbraio 1997, GM, 1998, 33).

Il legislatore, utilizzando il termine molestia, ha voluto mettere in evidenza che non è necessario che derivi un danno in senso tecnico dall’atto (Allara 1959, 37), ma è sufficiente che esso crei un pericolo per il terzo (De Martino 1976, 153).
Di conseguenza, nella nozione di danno o molestia, data l’indeterminatezza dell’espressione legislativa, possono essere comprese le situazioni più varie, quali, ad esempio, la limitazione di comodità, di utilità o di facoltà dei terzi.
In giurisprudenza è stato giudicato atto emulativo il fatto di aver realizzato una piantagione con il solo scopo di togliere alla villa confinante la veduta panoramica (Dossetti 1988, 3).

Non può qualificarsi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. la pretesa del proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio i diritti che gli competono per legge o per contratto che assume violati ed è irrilevante che tale violazione non si sia tradotta in un suo danno concreto ed effettivo.
(Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1998, n. 9001, GCM, 1998, 1887).




 La tutela.


L’atto emulativo viene inquadrato dalla prevalente dottrina nello schema generale dell’art. 2043 c.c., sia pure come figura speciale in relazione ai particolari requisiti richiesti perché si possa verificare questa fattispecie (Dossetti 1988, 5).
Taluni sono, invece, contrari a tale inquadramento poiché in tal caso il soggetto attivo dovrebbe essere ritenuto responsabile anche nel caso di mera colpa in contrasto col richiesto requisito dell’animus nocendi.
Secondo le regole generali il proprietario che compie atti di emulazione può essere perseguito con azione tesa al risarcimento del danno e se possibile la reintegrazione in forma specifica.

La violazione all’obbligo di cui all’art. 833 c.c. determina: 1) il diritto del privato, rispetto al quale si è verificata la violazione, di richiedere la restitutio in integrum; 2) il diritto dello stesso privato al risarcimento del danno patrimoniale ove ricorrano gli estremi del comportamento antigiuridico
(Allara 1959, 33).


L’azione è da esperire solo qualora non si siano tipici rimedi di tutela.

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