mercoledì 13 novembre 2013

Commissario ad acta. Poteri di tutela dell’amministrazione sostituita.

Commissario ad acta. Poteri di tutela dell’amministrazione sostituita.  
Il Consiglio di Stato evidenzia che "se per il commissario ad acta nominato in sede di ottemperanza per l'esecuzione del giudicato, prevale la tesi secondo cui si tratta di un organo ausiliario del giudice (tesi che ha ricevuto anche l'importante avallo dell'Adunanza plenaria n. 23 del 1978), il dibattito è, invece, tutt'ora aperto per quella speciale figura di commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente inerzia dell'Amministrazione".
In questo caso, infatti, secondo la tesi preferibile, non si ha un vero e proprio giudizio di ottemperanza, tant'è che l'art. 21 bis della l. n. 1034 del 1971 - attualmente sostituito dagli artt. 31 e 117 c.p.a. - non rinviava alle norme sul giudizio di ottemperanza, ma si limitava a prevedere la nomina di un commissario ad acta.
Si ha, più propriamente, una ottemperanza "anomala" o "speciale", dove la specialità risiede nella circostanza che si prescinde dal passaggio in giudicato della sentenza, e, soprattutto si ammette l'intervento del commissario nell'ambito del medesimo processo, senza più bisogno di un ricorso ad hoc, essendo sufficiente una semplice istanza al giudice che ha dichiarato l'illegittimità del silenzio (Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3602).
Anzi, proprio prendendo atto della unitarietà che ormai lega la fase di cognizione sull'inadempimento dell'amministrazione e la successiva fase esecutiva, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità, se l'interessato ne fa richiesta, di disporre in via contestuale l'ordine di provvedere e la nomina del commissario ad acta, il quale, opererà non subito, ma solo nell'ipotesi in cui si protragga l'inerzia dell'Amministrazione (ibidem).
La specialità di questa forma di ottemperanza deriva anche dal fatto che il commissario ad acta nominato nell'ambito del rito sul silenzio, può assumere un ruolo del tutto inedito, in quanto la sua attività può non essere volta al completamento ed all'attuazione del dictum giudiziale recante direttive conformative dell'attività amministrativa, ma può atteggiarsi come attività di pura sostituzione, in un ambito di piena discrezionalità, non collegata alla decisione se non per quanto attiene al presupposto dell'accertamento della prolungata inerzia dell'amministrazione".
L'art. 31 c.p.a. - con ulteriori specificazioni rispetto alla previsione contenuta nell'art. 2 legge n. 241/1990 nella sua formulazione precedente alle modifiche introdotte ed alle abrogazioni disposte dal decreto legislativo n. 104 del 2010 - prevede che il giudice "può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione"; il sindacato sul rapporto è, dunque, una eventualità, e non una componente necessaria della sentenza sul silenzio.
In tutti i casi in cui il giudice amministrativo si sia limitato soltanto a dichiarare l'obbligo di provvedere, senza vincolare in alcun modo la successiva attività amministrativa, il commissario ad acta, nominato in caso di persistente inerzia della p.a., viene a disporre di uno spazio di libertà sicuramente sconosciuto all'analoga figura nominata in sede di esecuzione al giudicato. Non vi è, infatti, una vera e propria sentenza di ottemperanza, ma un semplice atto di nomina, con cui il giudice non dice all'amministrazione come deve provvedere, ma demanda tutto all'organo amministrativo straordinario che è il commissario.
Si ha qui, allora, un commissario che assomiglia più ad un organo dell'Amministrazione che ad un ausiliario del giudice.
E’ proprio dall'art. 117 c.p.a. che si trae un argomento risolutivo per sostenere tale qualificazione, secondo la disciplina attualmente in vigore.
Il IV comma del citato art. 117 stabilisce che il "giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario".
La norma non circoscrive a soggetti specifici la legittimazione ad adire il giudice per la soluzione di tali questioni, così riconoscendola implicitamente anche all'Amministrazione interessata dall'azione sostitutiva del commissario.
Peraltro, una volta acquisito che l'incidente di esecuzione costituisce lo strumento comune per far valere gli ipotetici vizi dei provvedimenti commissariali, ciò esclude, all'evidenza, la possibilità per l'amministrazione di esercitare poteri di annullamento in autotutela avverso il provvedimento adottato dal commissario ad acta.
La stessa razionalità del sistema finirebbero con l'essere frustrati da una opzione interpretativa difforme da quella prospettata che consentisse all'amministrazione - com'è accaduto nella fattispecie in esame nella quale l'annullamento d'ufficio del provvedimento adottato dal commissario ad acta è intervenuto dopo mesi di inerzia ed a distanza di soli tredici giorni dall'adozione dell'atto annullato - di sostanzialmente vanificare la tutela riconosciuta con la pronuncia giurisdizionale sul silenzio, onerando l'interessato, del tutto ingiustificatamente, della proposizione di un nuovo ricorso avverso il provvedimento di annullamento d'ufficio.

L'amministrazione, peraltro, non è sfornita di mezzi di tutela; la p.a., infatti, potrà agire proponendo ricorso avverso la determinazione assunta dal commissario ovvero attraverso l'incidente di esecuzione, a seconda che, rispettivamente, si aderisca alla tesi della natura del commissario ad acta quale organo straordinario dell'amministrazione oppure a quella dell'organo ausiliario del giudice. T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 01/02/2011, n. 188.

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