giovedì 7 novembre 2013

Codice ambiente. Parte IV Titolo V Bonifica Siti contaminati.

1           Codice ambiente. Parte IV Titolo V Bonifica Siti contaminati.


2           Ambiente Bonifica. Intesa amministrazioni interessate.


Il raggiungimento dell'intesa debba essere formalmente espresso nel contesto del provvedimento emanato in esito alla conferenza, mentre nei decreti impugnati non emerge il raggiungimento del concerto con tutte le amministrazioni alle quali spettava esprimersi in merito alla bonifica del sito indicato.
L'argomento presuppone che sia necessario il raggiungimento di una intesa o di un concerto tra Amministrazioni pubbliche
Per quanto riguarda specificamente la bonifica di aree che, quale quella di Piombino, rientrano tra i siti inquinati dichiarati di interesse nazionale, occorre invece fare specifico riferimento all'art. 252 d.lgs n. 152 citato, che, al comma 242, attribuisce la competenza per la procedura di bonifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, non più di concerto, ma sentito il Ministero delle attività produttive.
Anche il decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, recante il regolamento per i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati, tuttora parzialmente in vigore, affida al Ministro dell'ambiente l'istruttoria circa gli elaborati progettuali presentati dal responsabile della situazione di inquinamento, e prevede il concerto e l'intesa solo per l'approvazione del progetto definitivo.
Nella fattispecie in esame, nella quale non si tratta della approvazione (o della mancata approvazione) di un progetto, ma delle misure di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda delle quali era emersa, in corso dei lavori, la contaminazione, a contenere la quale la conferenza aveva messo in mora la società, risulta dalla documentazione in atti che il Ministero delle attività produttive non ha volontariamente preso parte ai lavori della conferenza, e tale circostanza, ai sensi dell'art. 14 comma 3 legge 7 agosto 1990, n. 241 vale a realizzare il coinvolgimento dell'Amministrazione assente, la quale, si ripete, doveva essere semplicemente sentita.
L'esito della conferenza è quindi coerente con il modulo procedimentale legislativamente previsto.
La presenza delle Amministrazioni nella persona degli incaricati indicati nominativamente, equivale a  legittimazione, che in mancanza di prova contraria, deve essere presunta.
La circostanza che il piano di bonifica presentato dalla s.p.a. Dalmine sia stato o meno approvato dalla conferenza di servizi costituisce circostanza irrilevante ai fini dell'indagine sulla legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, concernenti, come si è più volte sottolineato, l'imposizione di misure di sicurezza d'emergenza in relazione al notevole grado di inquinamento riscontrato nel corso dei lavori della conferenza indetta per la messa a punto degli interventi necessari per la bonifica del sito di Piombino, ha costituito oggetto di esame, nell'ambito del progetto generale di ripristino ambientale per il quale la conferenza era stata indetta.
A tale proposito, vale ricordare che l'art. 240 d.lgs. n. 152 del 2006 definisce la messa in sicurezza d'emergenza come "ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza... in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente".
Anche dalle definizioni contenute nell'art. 2 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471 emerge la differenza tra la misura straordinaria della messa in sicurezza d'emergenza, relativa ad "ogni intervento necessario ed urgente per rimuovere le fonti inquinanti, contenere la diffusione degli inquinanti e impedire il contatto con le fonti inquinanti presenti nel sito, in attesa degli interventi di bonifica e ripristino ambientale o degli interventi di messa in sicurezza permanente" e le ordinarie forme di bonifica e ripristino ambientale.
Solo per queste ultime gli artt. 5 e 10 del medesimo decreto ministeriale prescrivono che le misure di sicurezza ed i piani di monitoraggio e controllo debbano essere contenuti nei provvedimenti che approvano i progetti preliminare e definitivo ed autorizzano gli interventi, così subordinando la legittimità delle prescrizioni alla previa approvazione del progetto: nessuna attinenza può, invece, essere attribuita ad una tale approvazione al caso di disposizioni urgenti, che prescindono, data la natura dell'emergenza alla quale devono fare fronte, da qualsiasi progetto o adempimento procedimentale al di fuori di quanto prescritto dagli artt. 7 e 8 del decreto citato. Erra pertanto, la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto la mancata previa approvazione del piano presentato dalla società ricorrente causa di illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Dal richiamo operato dall'art. 240 lettera m) d.lgs. citato alla condizioni di emergenza di cui alla precedente lettera t) quali circostanze che legittimano le misure di emergenza, il Tribunale amministrativo deduce l'illegittimità dei provvedimenti impugnati, nessuna di tali circostanze essendosi riscontrata nel caso di specie.
Emerge dai verbali della conferenza che,dalle indagini effettuate nell'area risultava una "evidente contaminazione delle acque di falda dovuta prevalentemente a metalli pesanti, BTXES e composti organici clorurati" e l'esigenza urgente di evitarne la diffusione fino al mare antistante l'area industriale. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/06/2011, n. 3721.


3           Ambiente. Perimetrazione.  Sito inquinato.


La società appellante ha censurato il decreto ministeriale di perimetrazione del sito per la ragione che lo stesso risulta emanato in carenza di contraddittorio procedimentale con la stessa società.
Tale censura è fondata. L'art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina i siti di interesse nazionale, prevede al terzo comma che ai fini della perimetrazione del sito sono sentiti i comuni, le province le regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili, nonché dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili.
Nel caso in esame appare fuori di dubbio - ed è incontestato - che sia stato omesso ogni incombente volto a propiziare la partecipazione al procedimento di perimetrazione del sito della società appellante, proprietaria di alcune delle aree rientranti nel perimetro del sito.
Tale omissione - non giustificata in sede procedimentale o giurisdizionale, neppure in ragione di esigenze di celerità del procedimento (che peraltro ha avuto una durata durante la quale ben poteva essere attivato un contraddittorio con la società) - si traduce in vizio di legittimità del decreto ministeriale conclusivo del procedimento di perimetrazione del sito, che va pertanto annullato nei limiti dell'interesse della appellante società.
L'accoglimento di tale motivo di censura comporta che, limitatamente alle aree in titolarità della società ricorrente, dovranno essere rinnovati, previa comunicazione d'avvio del procedimento, il procedimento di perimetrazione del sito e gli atti successivi del procedimento di caratterizzazione e messa in sicurezza che risultano inficiati in via derivata. Consiglio di Stato, sez. VI 27/12/2011 n. 6843.

4           Ambiente. Bonifica Agevolazioni. Regione Lombardia.


L'art. 21 comma 5 (recante la rubrica "Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati"), della legge regionale della Lombardia 12.12.2003, n. 26, come sostituito dalla legge regionale10/2009, stabilisce dapprima che gli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente dei siti inquinati costituiscono opere di urbanizzazione secondaria (ai sensi dell'art. 44 della LR 12/2005 sul governo del territorio) e successivamente che dette opere, esclusivamente se insistenti nei siti di interesse nazionale di cui alla legge 9.12.1998, n. 426, devono reputarsi <<...a scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria per l'importo corrispondente al 50 per cento del relativo ammontare...>>.
All'art. 21 comma 7 l. reg. Lombardia n. 26/2003, è prevista una ulteriore agevolazione, anche se a favore dei medesimi soggetti di cui al comma 5, vale a dire lo scomputo totale degli oneri di urbanizzazione secondaria se il sito è acquistato nell'ambito di una procedura concorsuale o di esecuzione giudiziale. Il comma 7, infatti, si apre con un richiamo espresso alle agevolazioni ed incentivazioni di cui al comma 5, le quali - così testualmente - " ...si applicano integralmente in favore... ", ma è evidente che l'applicazione integrale succitata riguarda le agevolazioni come previste dal citato comma 5 e quindi - per quel che interessa - l'agevolazione per chi effettua interventi di bonifica sui siti di interesse nazionale. Tale agevolazione viene ulteriormente allargata per i casi di acquisto di aree nell'ambito di procedure concorsuali o esecutive e questo per l'ovvia finalità di incentivare gli operatori economici a comprare immobili e compendi inseriti nelle suddette procedure. Entrambi i commi 5 e 7 prevedono la stessa incentivazione, rimodulata in modo da rendere ancora più conveniente per gli operatori interessati l'effettuazione di opere di bonifica.  T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 29/12/2011, n. 3366
Il successivo comma 7 prevede che le agevolazioni ed incentivazioni <<di cui ai commi 3, 4 e 5 si applicano integralmente in favore del soggetto interessato che acquisisce la proprietà nell'ambito di procedure disciplinate dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.. >> (c.d. legge fallimentare).
Nel caso di specie per la ricorrente, i due commi citati (5 e 7), disciplinano due differenti fattispecie: la prima quella degli interventi sui siti di interesse nazionale, per la quale è previsto lo scomputo del 50 per cento dell'importo degli oneri di urbanizzazione secondaria; la seconda quella degli interventi su qualsiasi sito inquinato, purché acquistato nell'ambito di una procedura concorsuale o esecutiva, per la quale lo scomputo è invece totale.
Diversa è invece l'esegesi proposta dall'Amministrazione comunale, per la quale le agevolazioni particolarmente favorevoli di cui al comma 7 valgono comunque per i soli siti di interesse nazionale, se acquisiti in una procedura concorsuale o esecutiva.
La soluzione interpretativa propugnata dalla ricorrente non appare convincente. I commi 5 e 7 della legge regionale 26/2003 devono, infatti, leggersi congiuntamente, in base ad una interpretazione sia letterale sia sistematica.
Il comma 5 prevede una chiara agevolazione (dimezzamento degli oneri di urbanizzazione secondaria), per gli interventi effettuati sui siti di interesse nazionale, come individuati dall'art. 1, comma 4, della legge 426/1998; in particolare si tratta di quei siti per i quali <<gli interventi di bonifica (...), in relazione al rilievo dell'impatto sull'ambiente connesso all'estensione dell'area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale>> (così espressamente, l'art. 18, comma 1, lett. n, del D.Lgs. 22/1997, oggi abrogato, le cui disposizioni sono però per così dire "confluite" nel D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell'Ambiente ed in particolare nell'art. 252 del medesimo, rubricato appunto "Siti di interesse nazionale").
I siti di interesse nazionale, in altri termini, sono caratterizzati da fenomeni di inquinamento di particolare gravità e di rilevante allarme per la salute pubblica, sicché sono oggetto di una peculiare disciplina, la quale prevede in primo luogo l'affidamento del procedimento di bonifica al Ministero dell'Ambiente e - in Regione Lombardia - anche una forma di agevolazione per gli operatori, di cui al citato comma 5 dell'art. 21 LR 26/2003.
Tale agevolazione viene ulteriormente allargata per i casi di acquisto di aree nell'ambito di procedure concorsuali o esecutive e questo per l'ovvia finalità di incentivare gli operatori economici a comprare immobili e compendi inseriti nelle suddette procedure.
Si tratta però della stessa incentivazione di cui al comma 5, che al comma 7 è rimodulata in modo da rendere ancora più conveniente per gli operatori interessati l'effettuazione di opere di bonifica.
Si aggiunga ancora che l'interpretazione propugnata dalla ricorrente finirebbe per condurre alla paradossale conseguenza di agevolare maggiormente, sul piano del pagamento degli oneri di urbanizzazione, gli interventi su aree non compresi nei siti di interesse nazionale (purché acquistate in una procedura concorsuale), rispetto a quelli compiuti sui siti che presentano i maggiori problemi di tutela ambientale, quali appunto i siti di interesse nazionale. In conclusione, il presente ricorso deve rigettarsi in ogni sua domanda.

5           Ambiente. Bonifica siti di interesse nazionale. Istruttoria obbligatorietà.


la giurisprudenza assolutamente prevalente è nel senso che le norme appena citate non consentono all'Amministrazione procedente di imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità, né diretta, né indiretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari o gestori o addirittura in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di bonifica di rimozione e di smaltimento dei rifiuti e, in generale, della riduzione al pristino stato dei luoghi che è posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento, che le autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare. Ai fini della responsabilità in questione è perciò necessario che sussista e sia provato, attraverso l'esperimento di adeguata istruttoria, l'esistenza di un nesso di causalità fra l'azione o l'omissione e il superamento - o pericolo concreto ed attuale di superamento - dei limiti di contaminazione, senza che possa venire in rilievo una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell'immobile meramente in ragione di tale qualità (cfr. Cons. Stato sez. VI 18 aprile 2011, n. 2376; id., Sez. V, 19 marzo 2009, n. 1612; T.A.R Campania, Napoli, sez. V, 1 marzo 2012, n. 1073; T.A.R. Toscana, sez. II, 3 marzo 2010, n. 594; id. 1 aprile 2011, n. 565).
Nel sistema sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito inquinato è senza dubbio soggetto diverso dal responsabile dell'inquinamento. Mentre su quest'ultimo gravano, oltre altri tipi di responsabilità da illecito, tutti gli obblighi di intervento, di bonifica e lato sensu ripristinatori, previsti dal Codice dell'ambiente (in particolare, dagli artt. 242 ss.), il proprietario dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione dovendo egli, infatti, attuare le misure di prevenzione di cui all'art. 242, nonché potendo sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale.
Più in particolare, ciò significa che il proprietario, ove non sia responsabile della violazione, non ha l'obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l'onere di farlo se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare (ex multis, Cons. Stato sez. V, 5 settembre 2005, n. 4525).
Nel caso all'esame, emerge dagli atti istruttori delle conferenze di servizio l'insufficienza delle indagini eseguite e poste a fondamento dell'obbligo della deducente di procedere alla messa in sicurezza d'emergenza della falda acquifera del sito in questione, nonché la contraddittorietà della condotta dell'Amministrazione procedente.
Anche a prescindere dal repentino mutamento della condotta del Ministero, inizialmente incline a procedere in maniera congiunta e coordinata, previo approfondimento delle indagini istruttorie, all'attività di messa in sicurezza di emergenza, e poi determinatosi a omettere, senza alcuna motivazione lo svolgimento dell'istruttoria commissionata a Sviluppo Italia, va posto in evidenza che nei provvedimenti non vengono individuati collegamenti fattuali tra l'attività svolta dalla ricorrente (che, si rammenta, si occupa di stoccaggio e movimentazione di metanolo) e le fonti della contaminazione rilevate. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/09/2012 n. 1551

6           Ambiente. Bonifica siti di interesse nazionale Competenza.


Il decreto di recepimento delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria relativa ad un sito di bonifica di interesse nazionale costituisce un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso non concerne le scelte di fondo che la p.a. è chiamata a compiere in materia di bonifica, avendo invece ad oggetto la prescrizione di un singolo intervento di messa in sicurezza d'emergenza e, poi, di bonifica (T.A.R. Toscana, sez. II, 25 novembre 2009, n. 2088).
L'art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 (applicabile al procedimento in forza della disposizione transitoria di cui all'art. 265 d.lgs. n. 152 del 2006) distingue tra atti ed attività di competenza del Ministro dell'Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero. Rientra ad es. tra i primi l'individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (art. 252, comma 2, cit.), il che è del tutto logico, dovendo la suddetta individuazione reputarsi atto attinente all'indirizzo politico-amministrativo in materia di bonifica. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/09/2012 n. 1551.
La rilevanza politica di un tale atto risulta, del resto, confermata dalla necessità dell'intesa con le Regioni interessate: intesa prescritta, per l'appunto, dal comma 2 dell'art. 252. Si deve invece reputare che l'impugnato decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisca un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in esame (come ad es., la mappatura dei siti di interesse nazionale), avendo invece ad oggetto la prescrizione di un singolo intervento di messa in sicurezza d'emergenza e, poi, di bonifica.
Del resto, l'art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 cit. attribuisce la competenza per i procedimenti di bonifica di cui al precedente art. 242, qualora abbiano ad oggetto i siti di interesse nazionale, "alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio": né una simile espressione può esser considerata atecnica o comunque non voluta e casuale, poiché essa si inserisce in una disposizione (l'art. 252 cit.) in cui, come accennato, quando ci si vuole riferire alle competenze del Ministro dell'Ambiente, lo si dispone espressamente, stabilendo che l'atto compete al "Ministro" e non al "Ministero" (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1738).


7           Ambiente Bonifica da parte dell’amministrazione.


Il suindicato assetto normativo sul dovere di bonifica è stato confermato dal vigente D. Lgs. 3.4.2006 n. 152, che pone l'obbligo di bonifica in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244 D. Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art. 245).
Nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina, conforme al diritto comunitario, appare ispirata al cosiddetto principio del "chi inquina paga.
Detto principio del "chi inquina paga" consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (c.d.ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (.
Ciò, sia nel quadro di una logica risarcitoria ex "post factum", che nel quadro di una logica preventiva dei fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e di incentivare - per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci.
Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale
 Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore.
 È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.
Va quindi precisato che l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia mediante "presunzioni semplici".
Ai sensi dell'art. 2727 c.c. (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l'"id quod plerumque accidit", che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori.
Ai sensi dell'art. 2729 del cod. civ. "le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti."
Né il difetto della prova testimoniale nel processo amministrativo ( arg. ex art. 2729 comma 2 cod. civ. ) esclude la possibilità per la pubblica amministrazione di ricorrere a presunzioni semplici, poiché il canone costituzionale dell'imparzialità della pubblica amministrazione e la previsione del sindacato giurisdizionale sugli atti della medesima (artt. 97 e 113 Cost.) nonché delle preventive garanzie procedimentali (artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990) sono sufficienti per ritenere che vi sia un sistema equilibrato di pesi e contrappesi, nel riconoscimento del potere (sindacabile) della p.a. di ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini dell'adozione di provvedimenti amministrativi sfavorevoli ai privati , anche a mezzo di presunzioni semplici ove ciò sia imposto dalla natura degli accertamenti da espletare.
Il che, nella specie, porta ad escludere che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di obbligazione "propter rem" di diritto pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da parte dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa) a carico del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed estesa anche ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui il contenuto di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione necessari per provvedere alla rimozione), con riferimento all'ipotesi in cui non sia stato accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e, cioè, qualora non possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria prevista.
Ed invero, soltanto nel caso in cui l'obbligazione ripristinatoria fosse connessa alla mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso "propter rem"), a prescindere dalla sua responsabilità in ordine alla formazione di un deposito abusivo attraverso l'abbandono di rifiuti, si potrebbe pervenire alle conclusioni cui, nella specie, è pervenuto l'ente locale, ma, poiché il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento della colpa fra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dal Comune intimato.
Né, al riguardo, vi è riferimento in atti o nel provvedimento impugnato ad eventuali acquisizioni istruttorie e/o valutazioni compiute dall'ente locale e dall'ARPA, anche ai fini della ricostruzione del nesso di causalità.
Infatti, nella specie, a fronte di inquinamenti conclamati ed indiscutibili, non risulta alcun accenno ad eventuali circostanze indiziarie, atte a far concludere per la sussistenza di un nesso causale fra la contaminazione rilevata ed una qualche condotta comunque ascrivibile alla ricorrente "A.N.A.S. spa", cui appartiene l'area interessata dall'inquinamento, con la conseguenza che, nella specie, la bonifica del sito potrà essere effettuata soltanto applicando correttamente il già indicato art. 250 del D. L.gvo n. 152 del 2006.
Ne consegue la condivisibilità delle doglianze svolte dalla parte ricorrente, particolarmente sotto il profilo dell'insufficiente istruttoria e del deficit motivazionale.
Risultano violate nella fattispecie le garanzie procedimentali, poiché l'Amministrazione ricorrente è stata resa edotta del procedimento neanche mediante la comunicazione ex art. 304 del D. L.gvo n. 152 del 2006, per cui va accolta anche la censura inerente la violazione delle regole del contraddittorio procedimentale.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e merita accoglimento e, per l'effetto, va annullato l'impugnato provvedimento. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I 18/09/2012 n. 954.
Nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile del danno ambientale, le opere di recupero dell'ambiente sono eseguite dall'Amministrazione competente ai sensi dell'art. 250 del d.lg. n. 152 del 2006, fatta salva, a fronte delle spese sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo a tutela del credito. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/07/2012, n. 2826.
In base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244, 245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, si desume che, nell'ipotesi in cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono essere eseguite dalla p.a. competente, che ha il diritto di rivalersi sul soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 16/12/2011, n. 1239.

8           Ambiente. Ordinanza . Annullamento


Uno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il ripristino di siti contaminati è quello dell'ordinanza da emanare ai sensi dell'art. 244 del d.lgs 152/06, la quale è stata appunto impiegata dalla amministrazione intimata .
L'asse portante del sistema normativo degli interventi in questione è costituito dal principio di matrice comunitaria " chi inquina paga", richiamato dalla norma che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti contaminati nel contesto del cd codice dell'ambiente.
Il principio chi inquina paga deve essere posto a base , in particolare, di interventi come quello divisato dall'amministrazione provinciale perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
È questo il senso della norma in forza della quale la provincia può emanare l'ordinanza ex art. 244 d.lgs 152/06 " dopo aver svolto opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento ".
Il potere di ordinanza affidato all'ente provinciale poggia dunque sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio ad un regime di autentica responsabilità oggettiva.
È dunque necessario che il proprietario del sito sia chiamato in causa solo quando emergono profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante .
Nella specie è invece accaduto che l'ordine di attuare misure di prevenzione e di varare un piano di caratterizzazione è stato notificato al ricorrente " in qualità di soggetto titolare dell'area , in passato destinata ad attività estrattiva, all'interno della quale sono stati smaltiti , senza la prevista autorizzazione , rifiuti speciali e che, in relazione a quanto riportato in narrativa, che qui si intende interamente riportato, " hanno determinato una condizione di potenziale stato di inquinamento dell'area con particolare riferimento alle acque di falda"
Ma il riferimento alla titolarità passata di una attività estrattiva , sul quale l'amministrazione provinciale mostra di fare assegnamento per individuare la possibile fonte di corresponsabilità, non è assolutamente sufficiente .
Non si tiene conto, infatti, di alcune importanti circostanze che sono emerse nel corso della attività istruttoria : a) l'attività estrattiva mettente capo alla s.r.l. è stata dismessa da circa un decennio; la tipologia di rifiuto rinvenuta nel sito appare riconducibile ad altro genere di attività produttiva; c) i carabinieri , nel rapporto che ha dato origine alla attività amministrativa controversa , hanno evidenziato che i rifiuti sono stati rinvenuti lungo una scarpata posta al confine con un impianto di produzione di conglomerato bituminoso; d) l'inquinamento della sottostante falda acquifera appare, a sua volta, riconducibile, in relazione alla localizzazione del sito contaminato, a rifiuti ben diversi da quelli provenienti da una attività imputabile alla s.r.l.
Si può perciò ritenere che la s.r.l. sia stata chiamata in causa effettivamente a titolo di responsabilità solidale ma oggettiva e, cioè poggiante esclusivamente sulla qualità di ente proprietario del sito contaminato.
Ciò è però contrario ai principi e alle regole che , come si è cercato di spiegare, caratterizzano l'esercizio della potestà di ordinanza ex art. 244 del codice ambiente. Ne deriva che la stessa ordinanza impugnata è illegittima e va annullata. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I 02/11/2011 n. 1901.
In base al disposto degli art. 242 e 244, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, l'obbligo di bonifica di un sito è posto in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare e di individuare, mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica. Il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola probatoria del "più probabile che non": pertanto, il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica riconducibilità dell'inquinamento rilevato all'attività industriale condotta sul fondo. T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 13/05/2011, n. 318.

9           Ambiente. Bonifica siti inquinati . Rivalsa sul proprietario incolpevole.


In base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244, 245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, si desume che, nell'ipotesi in cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono essere eseguite dalla p.a. competente, che ha il diritto di rivalersi sul soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 16/12/2011, n. 1239.
A carico dell'incolpevole proprietario di un'area inquinata non incombe alcun obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi, tenendo presente che dal combinato disposto degli artt. 244, 245, 250 e 253 D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152 si ricava che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dalla pubblica amministrazione competente, che può rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (cfr Cons. Stato, V Sez., 16/6/2009 n. 3885; T.A.R. Toscana, II sez., 3/3/2010, n. 594).
Nel caso di specie non è stata compiuta alcuna verifica tesa ad individuare il responsabile dell'inquinamento, mentre l'ordine di porre in essere misure di messa in sicurezza d'emergenza risulta posto a carico della ricorrente sulla base del solo fatto che la medesima fosse, all'epoca dell'adozione dell'impugnato decreto ministeriale, proprietaria dell'area contaminata;

10       Ambiente. Bonifica siti inquinati .


Anche il mare e il fondo marino rientrano novero dei siti che possono essere oggetto di bonifica al verificarsi delle condizioni previste dalla legge, né potrebbe ammettersi che gli stessi assumano rilevanza solo in presenza di siti di interesse nazionale.  T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 29/06/2012, n. 907.
L'art. 240 comma 1 lett. a) d.lgs. 152/06 definisce il sito come: "l'area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti".
Tale nozione appare unitaria e riferibile all'intero ambito della disciplina di riferimento, con la conseguenza che il concetto di sito resta invariato pur a fronte delle diverse qualificazioni che lo stesso può assumere (di interesse nazionale o meno).
Tale dato è confermato dall'art. 252 comma 1 d.lgs. 152/06 secondo il quale: "I siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali", con ciò evidenziando come la nozione di sito non cambi ma siano solo le caratteristiche dello stesso a ricondurlo alla categoria di sito interesse nazionale.
La normativa relativa ai siti di interesse nazionale rende evidenti come nell'ambito degli stessi sia ricompreso anche il mare ed i suoi fondali.
In questo senso depongono l'art. 252, comma 2 lett. b) d.lgs. 152/06 che stabilisce che: "a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale".
In questo senso depone anche l'art. 5 comma 11 - bis l. 84/1994, introdotto dall'art. 1 l. 27 dicembre 2006 n. 296 ( rilevante ratione temporis per la fattispecie) secondo cui:"Nei siti oggetto di interventi di bonifica di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il cui perimetro comprende in tutto o in parte la circoscrizione dell'Autorità portuale, le operazioni di dragaggio possono essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto relativo alle attività di bonifica".
Le norme trascritte sono chiare nel ricomprendere anche nel mare e nei suoi fondali nel concetto di sito. Conseguentemente, stante l'unitarietà della nozione di sito sopra richiamata, non potrebbe ammettersi che il mare e i suoi fondali assumano rilevanza solo in presenza di siti di interesse nazionale.
Simile contraddizione oltre ad essere contraria alla lettera della norma - deve, infatti, rilevarsi come la lettera dell'art. 240 d.lgs. 152/06 non escluda di per se il mare dal novero dei siti - sarebbe irragionevole.
Peraltro l'inclusione del mare e dei suoi fondali nel novero dei siti potenzialmente oggetto di procedure di bonifica è conforme alla disciplina comunitaria.
L'art. 2 della direttiva 21 aprile 2004 n. 35/2004/ CE in materia di danno ambientale ricomprende nel concetto di danno ambientale anche il danno alle acque così come definite dalla direttiva 23 ottobre 2000 n. 2000/60/CE che, a sua volta, ricomprende le acque costiere.


11       Ambiente. Bonifica siti inquinati . Responsabilità del proprietario.


La giurisprudenza amministrativa  ha più volte avuto modo di affermare ( T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l'art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/10/2012 n. 1664.
L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320).
L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).
Il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d'emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall'art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).
Gli art. 240 ss. del d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 non consentono all'Amministrazione di imporre ai privati non responsabili del fenomeno contestato, individuati solo quali proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di rifiuti e, in generale, di riduzione al pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che le Autorità hanno l'onere di ricercare e individuare. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 19/09/2012, n. 1551.


12       Ambiente. Bonifica siti inquinati .


In mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2. lett. a) d.lg. n. 152 del 2006 - di procedere alla caratterizzazione dell'area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale appaiono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune che ha previsto, previa delimitazione dell'area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica autorizzata. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 24/11/2009, n. 5144
Il processo ha  evidenziato la carenza di istruttoria in ordine alla natura del materiale impiegato che non avrebbe dovuto essere classificato come rifiuto, dato che rientrerebbe nel novero delle materie prime secondarie.
Non potrebbe assumere a tale proposito valore dirimente la verifica effettuata dall'ARPA di Bergamo due anni dopo l'acquisto del materiale da parte della ricorrente su materiale diverso che avrebbe avuto in comune con il precedente soltanto la provenienza.
Come già affermato con riferimento al  granulato plastico prodotto dal ricorrente- gli accertamenti effettuati dall'ARPA, che hanno fondato in provvedimenti impugnati, hanno riguardato materiale diverso rispetto a quello utilizzato dalla ricorrente, visto che le analisi sono state effettuate circa due anni dopo il suo acquisto e non hanno riguardato quello utilizzato presso la sede dell'Azienda.

Ne consegue che, "in mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 152/06 - di procedere alla caratterizzazione dell'area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale" appaiono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune che ha previsto, previa delimitazione dell'area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica autorizzata (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 27 luglio 2009, n. 4464).

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