mercoledì 6 novembre 2013

Ambiente Attività di gestione rifiuti. L'inosservanza delle prescrizioni. Reato.

1           Ambiente Attività di gestione rifiuti. L'inosservanza delle prescrizioni. Reato.

Integra il reato previsto dall'art. 256, comma quarto, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 l'inosservanza delle prescrizioni previste per l'esercizio della attività di recupero dei rifiuti, che traggano origine da specifiche disposizioni normative o che siano direttamente imposte dalla P.A. nell'esercizio del suo potere discrezionale. Cassazione penale, sez. III, 09/04/2013, n. 19955.
L'attività di recupero dei rifiuti è definita dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. t) come "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale (...)".
La medesima disposizione precisa, nell'ultimo periodo, che l'Allegato C alla parte 4^ del D.Lgs. 152 del 2006 riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero, tra le quali possono individuarsi, con riferimento agli pneumatici fuori uso e per quello che qui interessa, le seguenti operazioni: R1 "Utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia"; R3 "Riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)"; R13 "Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 .
Il D.M. 5 febbraio 1998, che riguarda la "individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e 33" è espressamente richiamato, con riferimento alle attività di recupero, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, comma 4, il quale ne prevede l'applicabilità sino all'adozione dei decreti previsti dal comma 2 del medesimo articolo.
Il decreto, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha subito ulteriori modifiche - rispetto a quelle già apportate nel 2003 e nel 2004 - a seguito di quanto rilevato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 7 aprile 2004, ad opera del D.M. 5 aprile 2006, n. 186 e dal D.Lgs. n. 4 del 2008 (art. 2, comma 47 relativamente ai rifiuti di carta, cartone, e prodotti di carta).
Va peraltro ricordato che, con specifico riferimento agli pneumatici, la L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 23, comma 2 dando riscontro alla Decisione 2000/532/CE del 3 maggio 2000, che aveva riformulato il codice CER 16 01 03, stabiliva, tra l'altro, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio era autorizzato ad apportare le conseguenti modifiche ed integrazioni al D.M. Ambiente 5 febbraio 1998, come in effetti poi avveniva ad opera del D.M. 9 gennaio 2003, recante "Esclusione dei pneumatici ricostruibili dall'elenco di rifiuti non pericolosi" ove, considerata "la necessità di escludere i pneumatici ricostruibili dall'elenco dei rifiuti non pericolosi individuato dall'allegato 1 al citato D.M. 5 febbraio 1998" il quale sopprimeva la voce 10, punto 3, del suballegato 1 all'allegato 1 del D.M. 5 febbraio 1998 che tale tipologia di pneumatici contemplava, lasciando invece inalterata la voce 10, punto 2 concernente gli pneumatici non ricostruibili, le camere d'aria non riparabili e gli altri scarti di gomma.
Il D.M. 5 febbraio 1998 attualmente considera, nell'Allegato 1, Suballegato 1, al punto 10.2, gli pneumatici non ricostruibili, camere d'aria non riparabili e altri scarti di gomma con codice CER 16.01.03 provenienti dall'industria della ricostruzione pneumatici, da attività di sostituzione e riparazione pneumatici e attività di servizio, da attività di autodemolizione autorizzata, autoriparazione e industria automobilistica.
Le attività considerate al punto 10.2.3 sono la messa in riserva di rifiuti di gomma (R13) con lavaggio, triturazione e/o vulcanizzazione per sottoporli alle seguenti operazioni di recupero: a) recupero nell'industria della gomma per mescole compatibili (R3); b) recupero nella produzione bitumi (R3); c) realizzazione di parabordi previo lavaggio chimico fisico se contaminato, eventuale macinazione, compattazione e devulcanizzazione (R3).
Il punto 10.2.2. individua così le caratteristiche del rifiuto: "pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di inquinanti superficiali (IPA minore 10 ppm); scarti di gomma di varie dimensioni e forme", mentre le caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti sono individuate dal successivo punto 10.2.4: a) manufatti in gomma nelle forme usualmente commercializzate; b) e c) bitumi e parabordi nelle forme usualmente commercializzate.
I rifiuti classificabili con codice CER 16.01.03 sono contemplati anche nel medesimo sub-allegato, al punto 14, tra i rifiuti speciali non pericolosi per la produzione di CDR (combustibile da rifiuti, categoria peraltro non più compresa nel D.Lgs. n. 152 del 2006 dopo le modifiche apportatevi dal D.Lgs. 205 del 2010) e nel punto 17 tra i rifiuti recuperabili con processi di pirolisi o gassificazione.
Le quantità massime di rifiuti recuperabili sono poi indicate nell'allegato 4, suballegato 1 del medesimo decreto.
Il D.M. del 1998 è riferibile esclusivamente alle attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel titolo e come si rileva dall'esame del preambolo, dall'articolato e dal richiamo ad esso effettuato dal già menzionato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214.
Tali attività riguardano esclusivamente, come si è visto, il recupero di materia (riciclaggio) e non anche il recupero di energia.
L'attività di recupero energetico effettuata dal ricorrente è soggetta, come si è visto, all'autorizzazione unica prevista dal D.Lgs. n. 153 del 2006, art. 208.
Seppure in termini estremamente generici, va ricordato che il rilascio del provvedimento autorizzatorio presuppone, come è noto, l'espletamento di un complesso procedimento amministrativo, ove l'amministrazione opera un preventivo controllo di compatibilità dell'impianto con la normativa di settore attraverso un'istruttoria tecnica, all'esito del quale viene emesso il titolo abilitativo.
L'autorizzazione unica, in particolare, prevede la convocazione di apposita conferenza di servizi, che rappresenta luogo procedimentale di complessiva valutazione del progetto presentato, tanto che l'art. 208, comma 6 assegna al provvedimento conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre autorità territoriali, che assumono così il ruolo di interlocutori procedimentali.
Il provvedimento, di così ampia portata, risulta anche connotato da evidente discrezionalità, atteso che l'amministrazione può incidere anche in modo rilevante sull'attività autorizzata attraverso l'imposizione di prescrizioni che possono integrare o, addirittura, limitare l'efficacia del provvedimento.
L'art. 208, comma 11 è inequivocabile in tal senso, disponendo che l'autorizzazione individui, in generale, le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'art. 178 ed "almeno" alcuni elementi specificamente indicati, quali, tra gli altri, i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto approvato per ciascun tipo di operazione autorizzata; le misure precauzionali e di sicurezza da adottare.
L'uso dell'avverbio "almeno" evidenzia come l'elencazione sia indicativa e non tassativa, cosicchè l'amministrazione può apporre ulteriori clausole che delimitino ulteriormente l'attività lecitamente espletabile.
Alla luce di quanto appena osservato deve, pertanto, concludersi che, nella fattispecie, la previsione, da parte dell'amministrazione che ha rilasciato il titolo, di uno specifico requisito del rifiuto da recuperare (presenza di IPA minore 10 ppm), risulta pienamente legittimo perchè rientrante nell'ambito dell'ampia discrezionalità riconosciuta dal legislatore.
Le prescrizioni apposte all'autorizzazione devono ritenersi vincolanti per il soggetto autorizzato non soltanto quando traggano origine da specifiche disposizioni normative che l'atto autorizzatorio semplicemente recepisce, ma anche quando siano apposte direttamente dall'amministrazione che le rilascia nell'esercizio del suo potere discrezionale.
L'attribuzione di tale potere, inoltre, trova una giustificazione evidente, come pure osservato in dottrina, nella necessità di adeguare l'esercizio dell'attività autorizzata a specifiche esigenze relative al singolo insediamento attraverso l'imposizione di prescrizioni limitative o modali.
E' pertanto evidente che, per quanto detto in precedenza, il destinatario del provvedimento non potrà certo ignorare le prescrizioni imposte con l'atto abilitativo e che ne delineano l'ambito di efficacia ed esercitare comunque l'attività autorizzata, pur potendo far ricorso agli ordinari strumenti di tutela qualora intenda porre in discussione la legittimità del titolo abilitante.

Il reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, come si è già avuto modo di rilevare, è reato proprio, in quanto l'agente è necessariamente il soggetto destinatario del titolo abilitativo, permanente (Sez. 3, n. 16890, 5 maggio 2005) e formale, poichè richiede, per la sua configurabilità, la mera inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, ovvero la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni avendo come finalità quella di assicurare il controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 6256 del 21 febbraio 2011). 

Nessun commento:

Posta un commento