martedì 15 ottobre 2013

Appalti pubblici. L'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico

Appalti pubblici. L'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico

L'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un Ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una "derivazione" o una longa manus dell'ente stesso. Infatti, in ragione del c.d. controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale Amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile (non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e al'estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante), e della c.d. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 02/04/2013, n. 458
Nella fattispecie  InnovaPuglia s.p.a. è una società in house (i.e. beneficiaria di un affidamento diretto senza gara pubblica) la cui purezza appare "inquinata" poiché il proprio statuto (cfr. artt. 8 e 11) prevede la possibilità di libera alienazione di quote sociali/azioni a terzi (che, peraltro, non è escluso possano essere soggetti privati) e contempla penetranti poteri dell'organo amministrativo (cfr. art. 19).
Inoltre, ai sensi dell'art. 13, punto 3 dello statuto di InnovaPuglia s.p.a. l'Assemblea dei soci nomina e revoca l'Amministratore unico ovvero i componenti del Consiglio di Amministrazione ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Ciò significa che, se in futuro - in forza del combinato disposto di cui agli artt. 8 e 11 dello statuto - dovessero entrare a far parte della compagine sociale di InnovaPuglia soggetti privati, gli stessi sarebbero chiamati a concorrere alla nomina/revoca dell'organo amministrativo della società controinteressata.
Ne consegue che l'influenza della Regione sulla scelta/nomina/revoca dell'organo amministrativo di InnovaPuglia potrebbe essere in futuro alquanto limitata.
In ogni caso, non è la Regione Puglia o la Giunta Regionale a nominare/revocare in via diretta il vertice amministrativo di InnovaPuglia.
Conseguentemente, non ricorre il requisito del "controllo analogo", così come richiesto da Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1, necessario affinché possa legittimamente disporsi un affidamento diretto in house senza previo esperimento di gara pubblica.
A tal riguardo, evidenzia l'Adunanza Plenaria:"L'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una "derivazione", o una "longa manus", dell'ente stesso. Infatti, in ragione del cd. "controllo analogo", che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile (non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante dev'essere consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e all'estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante) e della cd. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare), l'ente "in house" non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.".
L'esclusione del requisito del "controllo analogo" in ipotesi - i cui estremi ricorrono nella fattispecie oggetto del presente giudizio - di statuto societario dell'ente affidatario che consenta l'astratta trasferibilità di una quota del capitale sociale, anche minoritaria, a terzi era stata in precedenza affermata da Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072 e da Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591, in tal modo allineandosi la giurisprudenza amministrativa italiana alle decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (cfr. in particolare Corte Giustizia CE, Sez. I, 13 ottobre 2005, n. 458).

In forza dei citati precedenti, affinché possa ritenersi legittimo un affidamento diretto a soggetto in house, lo statuto societario deve garantire in via certa e permanente l'incedibilità a privati delle azioni, all'evidente scopo di evitare meccanismi elusivi dell'evidenza pubblica finalizzati ad affidare in via diretta a privati gli appalti pubblici (attraverso una successiva cessione di parte del capitale a soggetti privati). 

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