Appalti
pubblici. L'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico
L'affidamento
diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in
cui un Ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori
del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia,
soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla
qualificare come una "derivazione" o una longa manus dell'ente
stesso. Infatti, in ragione del c.d. controllo analogo, che richiede non solo
la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione,
pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale
partecipi anche l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale
Amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello
che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da
parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile (non
deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale,
anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di
amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali;
all'ente pubblico controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che
renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura
obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale
dell'attività a tutta l'Italia e al'estero; le decisioni più importanti devono
essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante), e della c.d.
"destinazione prevalente dell'attività" (cioè il rapporto di stretta
strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente
controllante è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi terzo
rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei
servizi propri dell'Amministrazione stessa. T.A.R. Puglia Bari, sez. I,
02/04/2013, n. 458
Nella
fattispecie InnovaPuglia s.p.a. è una
società in house (i.e. beneficiaria di un affidamento diretto senza gara
pubblica) la cui purezza appare "inquinata" poiché il proprio statuto
(cfr. artt. 8 e 11) prevede la possibilità di libera alienazione di quote
sociali/azioni a terzi (che, peraltro, non è escluso possano essere soggetti
privati) e contempla penetranti poteri dell'organo amministrativo (cfr. art.
19).
Inoltre,
ai sensi dell'art. 13, punto 3 dello statuto di InnovaPuglia s.p.a. l'Assemblea
dei soci nomina e revoca l'Amministratore unico ovvero i componenti del
Consiglio di Amministrazione ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Ciò
significa che, se in futuro - in forza del combinato disposto di cui agli artt.
8 e 11 dello statuto - dovessero entrare a far parte della compagine sociale di
InnovaPuglia soggetti privati, gli stessi sarebbero chiamati a concorrere alla
nomina/revoca dell'organo amministrativo della società controinteressata.
Ne
consegue che l'influenza della Regione sulla scelta/nomina/revoca dell'organo
amministrativo di InnovaPuglia potrebbe essere in futuro alquanto limitata.
In
ogni caso, non è la Regione Puglia o la Giunta Regionale a nominare/revocare in
via diretta il vertice amministrativo di InnovaPuglia.
Conseguentemente,
non ricorre il requisito del "controllo analogo", così come richiesto
da Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1, necessario affinché possa
legittimamente disporsi un affidamento diretto in house senza previo
esperimento di gara pubblica.
A
tal riguardo, evidenzia l'Adunanza Plenaria:"L'affidamento diretto (in
house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente
pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema
della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente
separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una
"derivazione", o una "longa manus", dell'ente stesso.
Infatti, in ragione del cd. "controllo analogo", che richiede non
solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la
partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una
società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude
in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un
controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di
strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli
previsti dal diritto civile (non deve essere statutariamente consentito che una
quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti
privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di
rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante dev'essere
consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve
acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente
pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali,
fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e all'estero;
le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo
dell'ente affidante) e della cd. "destinazione prevalente
dell'attività" (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività
dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a
soddisfare), l'ente "in house" non può ritenersi terzo rispetto
all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi
propri dell'amministrazione stessa.".
L'esclusione
del requisito del "controllo analogo" in ipotesi - i cui estremi
ricorrono nella fattispecie oggetto del presente giudizio - di statuto
societario dell'ente affidatario che consenta l'astratta trasferibilità di una
quota del capitale sociale, anche minoritaria, a terzi era stata in precedenza
affermata da Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072 e da Cons. Stato,
Sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591, in tal modo allineandosi la giurisprudenza
amministrativa italiana alle decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione
Europea (cfr. in particolare Corte Giustizia CE, Sez. I, 13 ottobre 2005, n.
458).
In
forza dei citati precedenti, affinché possa ritenersi legittimo un affidamento
diretto a soggetto in house, lo statuto societario deve garantire in via certa
e permanente l'incedibilità a privati delle azioni, all'evidente scopo di
evitare meccanismi elusivi dell'evidenza pubblica finalizzati ad affidare in
via diretta a privati gli appalti pubblici (attraverso una successiva cessione
di parte del capitale a soggetti privati).
Nessun commento:
Posta un commento