lunedì 14 gennaio 2013

I tre fratelli. Le scope di saggina





I TRE FRATELLI


Storie di famiglia  narrate da Marta e Giovanni Mondini

raccolte da Nicola Centofanti




























INDICE






Presentazione

Ci sono dei momenti della vita nei quali hai voglia di fare il punto sul tuo passato e raccogliere i fatti di famiglia per tramandarli alla memoria dei tuoi figli o dei tuoi nipoti.
Assecondando i desideri di Marta e Giovanni dopo la perdita del terzo fratello Paolo ho raccolto le loro testimonianze sulla storia della loro famiglia.
Tutti coloro che ritengono di rettificare il contenuto romanzato della storia dei tre fratelli possono farlo su    www. Dirittoamministrativoconcentofanti/blogspot.it/.it  dove il racconto è scaricabile gratuitamente. 
L’autore

























Toni Facco dalle campagne del natio Veneto è emigrato in Svizzera e poi in giro per l’Europa a fare affari.
Faccia rotonda, viso pacioso, occhi determinati di chi sa quello che vuole e quello che potrà ottenere dalla vita Toni ha vissuto in pieno il significato della dura quotidianità nei campi e fortemente ha voluto creare per sé ed i suoi cari una prospettiva di benessere .
Lì a Marsango , dove i suoi sono nati ed abitano tuttora, la terra  non basta per darti da mangiare, si lavora tutto il giorno e non si riesce a rimediare neppure un pasto decente.
In quel paese come in tutta la campagna del Veneto c’è solo poenta e fadiga.
Non ci sono industrie né artigiano che cerchino manodopera, se vuoi mangiare non ti resta che il lavoro  nei campi.
Toni è estroverso e brillante, lui che ha facilità nel contatto con le persone si è messo nel commercio.
Prima ha incominciato al sua carriera come garzone di bottega poi ha cercato di mettersi in proprio.
E’ riuscito ad aprire un magazzino di scope a Milano in zona a ridosso del centro vicino a Piazza della Repubblica.
E’ un ripostiglio più che un negozio pieno di prodotti,  ma con un vasto retrobottega dove può stipare la sua mercanzia.
L’opportunità è arrivata quando ha conosciuto Albert.
Uno svizzero quadrato, dalla mascella volitiva, fisico asciutto e determinato un automa da lavoro , un automa da lavoro che non si stanca mai di stare in negozio a lavorare.
Lo svizzero  si è fatto conquistare dall’energia di quegli occhi che sprizzano voglia di farcela.
Il progetto di Albert è quello di realizzare una linea di prodotti di pulizia da commerciare in Svizzera a Lugano deve ha già un negozio di generi alimentari.
L’idea è piaciuta a Toni anche perché rimanere fermo in un posto non fa per lui.
Il veneto vuole cercare sempre nuove opportunità.
Creare praticamente dal nulla una società con uno svizzero gli piace e così ha incominciato a commerciare con quella nazione così ostile agli immigrati italiani.
Si sa in Svizzera hanno il culto della pulizia e lì di scope se ne vendono un sacco.
Toni è abituato a viaggiare in treno alla caccia di prodotti da commercializzare nella sua azienda di Milano.
I viaggi fra Marsango e Milano, Milano e Lugano si fanno via via più numerosi e gli affari incominciano ad andare bene.
Toni che vede lontano è alla continua ricerca di nuovi mercati dove comprare prodotti che costano poco per poi rivenderli in Italia  o in Svizzera ad un prezzo che gli consenta un giusto guadagno.
Toni ha un sogno emergere da una classe sociale di povertà e raggiungere  il benessere passando dal ruolo di modesto commerciante ad imprenditore.
Gli hanno detto che la saggina, che si trova per poco all’est, è ottima per fare scope.
Così  è partito alla volta di Budapest alla ricerca della saggina.
In tal modo oltre che commerciare forse le scope le può produrre in Italia magari a Marsango.
Da commerciante può diventare imprenditore e realizzare una piccola azienda dove produrre le sue scope.
Toni non rimane mai a coltivare una sola iniziativa, ma ha pensato bene di aggiungere al commercio la produzione scope.
Si è ricordato della miseria che accompagna le sue genti nel Veneto e un po’ per aiutare gli altri ed un po’ per realizzare un affare più grosso ha messo in piedi una fabbrica a Marsango.
Reclutare manodopera non specializzata non è stato molto difficile visto che braccia a basso costo abbondano in quel paese di mezzadri e di coltivatori diretti di aziende di piccole dimensioni che non danno grandi utili.
“Vien a lavorare con mi” dice ai contadini.
“Nialtri magnemo polenta e fadiga a lavorar nei campi, se podemo guadagnar de più se metaremo a fabricar scope!” gli rispondono quasi tutti quelli che interpella e così nasce la prima industria di scope nel padovano.
Non si mai capito se i contadini sono rimasti contenti a lavorare con Toni o se si sono sentiti sfruttati per quel tipo di lavoro da svolgere in fabbrica.
Una cosa è certa che i redditi sono aumentati e che mangiare polenta e fatica è rimasto un ricordo di tempi duri ora passati e che si spera non debbano ritornare.
Le sue nipotine avrebbero chiamato Toni Facco nonno Eppe.

























2.                                       Marta la paziente.

Nella tranquilla campagna mantovana a Marmirolo Brolo Orto Cesare Mondini conduce la sua tranquilla esistenza nella Villa Bella .
Alto, robusto, con la faccia quadrata incorniciata da due autorevoli baffoni con la punta all’insù e la mascella volitiva incute a quelli che lo avvicinano un reverenziale rispetto.
Si è sposato da poco con Aurelia Balestreri figlia di agricoltori anche lei nata per vivere in campagna.
E’ una bellezza fiera quella dell’Aurelia. E’ una donna pragmatica, determinata, proveniente da una famiglia di agricoltori dove l’amore per il lavoro nei campi è una ragione di vita.
Lei ha fatto innamorare di colpo il bel Cesare.
Nel 1914 è nata la prima figlia Martina.
Martina è la prima figlia e i primi figli si sa cominciano a lavorare da subito.
Lei da brava donnina di casa è sempre pronta a mettersi a disposizione dei genitori e si sa che in campagna c’è sempre qualcosa da fare.
E’ una bambina dagli occhi dolci e dal viso rotondo che induce fiducia.
Tutti si rivolgono a lei per chiedere un piacere od un piccolo servizio perché chi è disponibile non è mai lasciato in pace.
Il clima sociale non dei migliori.
La presenza di una bambina disponibile che non protesta mai e che si fa in quattro per essere utile ai genitori è apprezzata anche dai braccianti.
I turni di lavoro sono pesanti.
Il reddito prodotto dall’azienda è scarso e bisogna riaprtirlo tra proprietario, affittuario e contadini.
Un dipendente deve gestire 10 capi di bestiame, mungere dare da mangiare, tenere pulita la stalla.
Non esistono macchine tutto è fatto a forza di braccia usando pala e forcone per portare il fieno.
In tutto i dipendenti sono una ventina .
Cesare non ha bisogno di molte parole per farsi ubbidire.
“Hai accudito alle bestie?”  chiede con piglio interrogativo.
“Ho fatto signor fattore” risponde l’avventizio leggermente intimorito.
“La lettiera non è fatta bene, ci vuole più paglia”
A Nino non sfugge nulla; per lui sono i particolari che fanno la fortuna o la rovina di una grande azienda .
Tutto deve essere in ordine.
Tutto deve filare liscio come l’olio.
Passa la giornata intera a controllare e a dare istruzioni ai contadini.
“ Tieni pulite  le mucche.” si raccomanda a Ernesto che funge da fattore, meglio da porta ordini perché il capo è lui il Nino e non c’è ne devono essere altri a  comandare fuori che lui.
“Maledetta miseria un’altra vacca si è azzoppata.
La prossima volta la faccio pagare a te” urla all’Ernesto che è anche il bersaglio delle ire immediate del capo assoluto.
Gli animali  azzoppati servono per la produzione di carne, ma ugualmente sono un perdita nell’economia aziendale perché non è quello il destino della vacca.
La vacca deve fare latte per tutto il tempo del suo ciclo fisiologico.
All’epoca la gente mangia poca carne.
Si consuma quello che si produce: polenta e polli ed oche che si allevano all’aperto nell’aia.
La Martina non è ancora così grande per andare a dare una mano e si balocca nel giardino di casa.
Lei ha ancora l’età per giocare con le oche.
Si diverte a mettere in riga gli animali da cortile a dare degli ordini così come suo padre a quel piccolo gruppo di sottoposti.
Lei , però, non si sogna di sgridare le sue ochette.
Con voce dolce le invita  a girare da un lato all’altro della grande aia per portarle a prendere cibo o per condurle con lei in giochi di fantasia.
La piccola  ha imparato a sue spese a stare attenta alle oche soprattutto da quando una le si è rivoltata contro forse perché stuzzicata, sia pure involontariamente, e le ha beccato un ginocchio. 
La Marta non se l’aspetta che un’oca, quella che le è più affezionata, possa rivoltarsi contro di lei, ma è stato così.
Nella vita spesso gli amici più fidati se la prendono per uno sgarbo involontario che ritengono una grave offesa e ti si rivoltano contro causandoti un grande dolore.
Marta , però che è nobile d’animo, non se l’è presa ed ha continuato a volere bene alla sua amica oca.



























La guerra scoppiata l’anno successivo ha complicato di molto il tranquillo menage.
Per fortuna che l’Aurelia è una donna in grado di condurre l’azienda anche senza il marito.
Cesare è a Desenzano.
La cittadina non è molto lontano dalla azienda.
E’ comandato come portaordini presso il centro alta velocità.
Gli hanno affidato per il suo delicato compito una moto potente per girare i comandi dell’alta Italia.
Spesso riesce a fare una salto in cascina se deve passare di lì per il suo compito di collegamento.
In cascina l’Aurelia si dà da fare e sostituisce alla meglio il marito assente.
Riesce a guadagnare bene vendendo il fieno per i cavalli agli ufficiali dell’esercito.
Cesare è un ottimo promotore dei suoi prodotti.
Il portaordini è un tipo sanguigno e vivace.
E’ un bell’uomo robusto e forte e con l’Aurelia fa proprio una bella coppia.
Spesso si ritrovano all’albergo Barchetta di Desenzano dove staziona il centro base dell’esercito e possono passare qualche ora felici dimenticando le angosce della guerra incombente.
I tempi sono duri per chi vive in campagna.
Cesare è pienamente consapevole del fatto che bisogna difendere l’azienda, vacche e raccolto a tutti i costi per garantire un avvenire alla sua famiglia.
La paura della guerra non è ancora passata, ma i due hanno fiducia nel futuro  e mettono in cantiere un secondo figlio.
Lui però non teme nessuno e guarda con fiducia al futuro.
Durante il periodo delle elezioni del maggio 1921 ci sono stati mesi di scontri continui che proseguono sino alla tregua agraria dell'estate.
Farinacci, conosciuto come il ras di Cremona, organizza il partito nelle zone rurali della bassa padana, e diviene esponente di spicco della linea collegata agli agricoltori  del nord.
Per tenere l’ordine nella cascina agricoltori e i dipendenti più fedeli si organizzano per presidiare le stalle e stabilire i turni di mungitura nei momenti si sciopero.
“Dobbiamo garantire la produzione di latte .
Le mucche hanno bisogno di essere munte se no sai che muggiti strazianti al notte.
“Ti ricordi l’ultimo sciopero.” Nino freme al pensiero che le sue vacche possano essere maltrattate.
Giovanni non è ancora nato, ma con certezza sarebbe stato uno di loro avrebbe sicuramente fatto parte di un movimento che si impegna di tutelare l’impresa di suo padre e il suo lavoro.
Un altro problema da non sottovalutare per  Cesare è il pericolo comunista.
Non è una fisima, ma un  pericolo reale.
I comunisti sono quelli che cercano di portagli via l’azienda in una visione collettivista della proprietà. Una impostazione del tutto contraria a quella logica imprenditoriale che fa parte dell’educazione ricevuta da suo padre.
E’ in gioco la sopravvivenza del suo mondo al quale non vuole rinunciare.
Al produzione consente di realizzare pochi denari.
Cesare come affittuario deve pagare l’affitto al proprietario ai contadini deve fornire, oltre alla paga, legna secca latte e granturco.
Cesare non cerca, almeno in quel periodo, di diventare proprietario di una azienda agricola, magari acquistandone una di modeste dimensioni.
Non ci ha mai pensato e forse neppure ci tiene.
“Il mio lavoro è fare l’imprenditore.
Il mio mestiere è fare girare i denari piuttosto che tenerli impegnati nell’acquisto di una azienda sicuramente più piccola che non mi dà soddisfazione nella sua gestione.” ha sempre pensato così.
Col giro dei soldi può gestire aziende di rilevanti dimensioni e divertirsi ad organizzare il lavoro dei dipendenti.




































Nella tranquilla campagna mantovana  a Marmirolo Brolo Orto nella cascina di Cesare nasce Paolo nel 1918.
La sua nascita porta fortuna perché sei mesi dopo la guerra finisce.
E’ un bel bambino robusto con la faccina intelligente.
Diverrà alto perché ha due gambette lunghe dicono gli zii di Pontepossero che sono venuti a congratularsi.
Tutti sono contenti anche se i tempi sono grami perché una nascita è una benedizione e in campagna c’è sempre bisogno di braccia.
La guerra finisce ma la situazione sociale non si tranquillizza anche se i fanti non muoiono più sul Carso e sulla linea del Piave.
La nazione vive momenti di grande incertezza.
Nel 1919 un decreto governativo autorizza le occupazioni delle terre nel Lazio e nel Mezzogiorno.
 Si invocano nuove regole per la divisione dei frutti della terra fra chi è proprietario e chi la lavora.
Il cattolico popolare Miglioli a Cremona guida l’invasione dei campi e si iniziano degli esperimenti contrattuali che  hanno però la funzione di esasperare le posizioni delle parti.
Il lodo Bianchi che tenta di conciliare le parti viene cancellato.
Più che in un clima di pace agreste i piccoli Martina e Paolo crescono in un ambiente caratterizzato da forti tensioni sociali.
Il padre è agricoltore e difende con tutti i mezzi la sua terra che coltiva con amore.
A seguito di uno sciopero generale organizzato dalle leghe nel luglio del 1922 il Governo Facta va in crisi.
Per i fascisti bisogna reagire alle provocazioni di piazza per imporre ordine e disciplina.
La classe dirigente italiana non è in grado di esprimere una linea vincente che possa prendere in mano il potere dopo le dimissioni del governo in carica.
Con queste premesse il re Vittorio Emanuele III non trova di meglio che affidare a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo dopo che il partito fascista ha organizzato la marcia su Roma.
Il re ritiene che sarebbe stato garante della corona dei Savoia.
Cesare ha partecipando con entusiasmo alla marcia convinto che i fascisti possano portare tranquillità nelle campagne.
“Non posso che sostenere chi difende il nostro lavoro e le nostre aziende “ ripete e parte alla conquista di Roma.
Ritornato trionfatore e galvanizzato dalla facilità di quell’impresa nello stesso periodo Cesare fonda il fascio di combattimento nella vicina Gabioneta con il suo grande amico Farinacci e con altri agricoltori  e affittuari sostenuti  da qualche dipendente.
Poche ore dopo la notizia della costituzione dei Fasci fa il giro del paese.
C’è l’ennesimo sciopero in corso e gli animi sono in ebollizione.
I contadini più sindacalizzati incominciano da organizzare i controlli per verificare che l’ordine di sciopero sia rispettato.
Cesare  è nella stalla a controllare la mungitura e per sostenere quelli che non aderiscono allo sciopero proclamato in quell’occasione.
“Non posso tollerare che le vacche muggiscano senza tregua la notte per non essere state munte regolarmente.” ripete ai mungitori
Quei muggiti gli sembrano dei lamenti delle compagne della sua esistenza cui lui deve tutto: sono la sua vita, il suo lavoro.
In quel mentre arrivano i compagni che, invece, vogliono fare rispettare l’ordine di sciopero.
A loro non interessa nulla che le mucche muggiscano .
Odiano la maledizione di San  Martino quando devono prendere le loro poche  cose e abbandonare la casa e l’azienda.
Se la prendono senza fare distinzione contro tutti quelli che si oppongono all’ordine di sciopero .
Pieni di rabbia aggrediscono a bastonate con cipiglio assassino Nino mentre è intento a controllare i lavori nella stalla.
Cesare non esita a prendere la pistola che in quei tempi tiene sempre con sé.
“ Fermatevi o vi ammazzo.” urla determinato.
Poi spara contro il gruppo per cercare di fermarli.
“Ahhh” si ode un gemito e cade uno degli scioperanti ferito.
La paura di esser colpiti ferma per un istante la piccola folla di scalmanati poi un urlo:
“ Addosso.”
Cesare non riesce a sparare un altro colpo perché gli uomini lo hanno già raggiunto infuriati.
“Ti comporti come un cane padrone adesso ti prendiamo.” gli urlano.
Aurelia che assiste alla scena teme il peggio e sviene bianca come un cencio.
 Cercando di scappare da una gragnola di calci e pugni Cesare si rifugia in una casa della cascina dove abita la moglie di un mandriano che lo conosce e lo protegge dall’ira dei giustizieri.
Dicono che fosse una sua fiamma di gioventù.
La moglie del mandriano lo rifugia nella sua casa a rischio di buscarle sottraendolo al gruppo degli inseguitori.
“Cosa ci guadagnate a ucciderlo” urla  alla folla inferocita.
“Perderemo il lavoro e voi lo avrete sulla coscienza. Se ha fatto del male a qualcuno ci penseranno i carabinieri a punirlo”.
Neanche il penalista più di grido sarebbe stato capace di convincere la più severa giuria con un discorso così efficace.
Nel corso della aggressione, però, il Nino ha sparato un colpo colla propria pistola e quel colpo accidentalmente ha colpito uno degli aggressori.
Il ferito è portato d’urgenza in Ospedale.
Cesare riesce a nascondersi in casa dagli ultimi assalti sferrati con la voglia di prenderlo a bastonate.
La mattina seguente la Guardia regia si è presentata puntuale alle porte dell’azienda per portarlo in prigione.
Il giudice della Pretura di Ostiano ha capito la situazione.
Nino era solo contro la moltitudine degli scioperanti scatenati ed ha tenuto conto delle circostanze attenuanti della provocazione e del fatto che Cesare da solo è stato attaccato da un gruppo sobillato.
“Il Cesare ha reagito per evitare un pericolo grave alla sua persona.” sentenzia il giudice.
D’altronde non vuole nemmeno scontentare i dimostranti che vogliono una pena esemplare perché alla fine un ferimento c’è stato.
“in ogni caso c’è stato un eccesso colposo nella legittima difesa” precisa per giustificare la condanna.
Per le ferite causate al manifestante Cesare ha una condanna a tre mesi di carcere.
La pena è stata trasformata in libertà vigilata forse per l’intervento di Farinacci, grande amico del Cesare, che ha fatto pesare il fatto di essere il capo dei Fasci di combattimento di Gabioneta.
Poiché gli animi sono esasperati il capitano della Polizia Regia lo invita alla prudenza.
“Non siamo in grado di garantire la protezione soprattutto se lei vive in una cascina lontano dalla postazione di Polizia” gli dice amichevolmente.
“Vada lontano dal paese dove le forze dell’ordine possono dare una maggiore tutela alla sua stessa incolumità.”
Quando il controllo dei Fasci di combattimento si è consolidato Cesare è ritornato a  casa
Dopo questo episodio siccome la situazione non è tranquilla a causa di ogni tipo di violenza agli uomini e alle bestie.
La zia Elide, sorella della mamma, va a  prendere la Martina e Paolo li porta a Robecco nella sua cascina.
La zia Elide è una Balestreri sorella di Aurelia che ha sposato un Braguti.
I Balesteri sono tutti agricoltori uniti fra di loro e pronti a darsi una mano a vicenda.




































Toni Facco ha conosciuto Paulette una francesina tutta riccioli e finesse come Dio comanda ad una fiera di Parigi.
Piccolina, ben proporzionata, con un gradevole chiacchierio ha incantato il veneto abituato alle donne spigolose delle sue terre.
Se ne è invaghito e non ha saputo resistere al fascino parigino.
Abituato a correre su è giù per l’Europa in cerca di affari non si spaventato di una relazione a quasi mille chilometri di distanza.
Milano - Parigi rientra ora nelle sue mete alternando al lavoro i piaceri del cuore.
 A Parigi hanno inaugurato la nuova stazione in occasione dell’esposizione mondiale del 1900 arrivare dall’Italia è diventato più semplice.
Si è sposato dopo un breve fidanzamento ed ha vissuto a Parigi per alcuni anni poi si è trasferito a Milano sede dei suoi affari.
I due hanno avuto una bambina di nome Giuliette chiamata famigliarmente Titti.
Oggi 20 giugno 1924 a Milano è una bella  giornata di sole.
Giuliette è raggiante si rimira alla specchio.
Sua madre Paulette ha fatto un capolavoro.
“ Tu vois quelle merveille” la mamma è giustamente felice di quei boccoli che incorniciano un visetto vispo e sbarazzino molto compreso della sua bellezza.
Nonostante abbia soggiornato a più riprese in Italia la mamma non ha rinunciato a parlare in francese.
Titti si rimira compiaciuta nello specchio che la madre le porge e pensa che ci sono delle buone probabilità di successo per il concorso.
Mamma e figlia sono in gran fermento perché devono partecipare ad una manifestazione che premia le bambine più carine e Giuliette ha una grande probabilità di vincere,
Lo charme francese contraddistingue anche le bambine più piccole e le mette in grande vantaggio sulle concorrenti provinciali.
Non c’è storia rispetto a chi viene da Parigi!
Un po’ di moine e di sorrisini sul palco ed il gioco è fatto.
“Primo premio per la piccola Giulliette.”
“ La nostra piccola francesina ha vinto.
Un bel applauso per la nostra ospite.” proclama il presentatore della manifestazione.
“Non può andare meglio” ripete fra sé la piccola ed è felice pensando a quando darà la notizia a  suo padre Toni, come lo chiama affettuosamente.
Lui sarà a maggiore ragione orgoglioso della sua bambina preferita anche dopo la nascita del piccolo Alberto.
Il piccolino, si fa per dire perché è un maschietto paffuto con due grandi occhi neri, diviene per compensare il beniamino di sua madre.





















La Facco s.p.a. nasce a Milano nel 1929 dando inizio ad un’attività di commercio all’ingrosso di prodotti per la pulizia domestica e professionale.
Proprio negli anni della grande crisi Toni è così solido che inizia e consolida la sua attività commerciale.
La produzione di scope che è l’attività prevalente di Facco fino a quel momento è andata in crisi perché alla lavorazione fatta a mano si è sostituita quella industriale.
I bene informati dicevano che con le macchine si sarebbe avuto più lavoro, ci sarebbe stata più produzione e più ricchezza.
La rivoluzione industriale , in varie situazioni ha, invece, creato più disoccupazione perché il lavori manuali , soprattutto quelli più umili sono stati sostituiti dall’attività delle macchine
All’inizio le scope le cuciono a mano le donne poi, con l’avvento delle macchine, bisogna aggiornarsi o aver i capitali per affrontare questa vera e propria rivoluzione nella produzione o chiudere la fabbrica.
Ci vogliono più macchine e più produzione per reggere la concorrenza e fare lavorare lo stesso numero di operai di prima.
Se non si hanno i capitali necessari il vecchio modello deve essere cambiato.
Pronto a captare nuove opportunità Toni decide senza perdere molto tempo di chiudere la fabbrica.
Non è un uomo che può vivere tutto il giorno chiuso in una fabbrica a controllare la produzione non si sente in grado di seguire personalmente gli operai.
Lui preferisce investire i suoi denari nel commercio e comincia  a girare per l’Europa alla ricerca di nuove opportunità.
Vuole investire in settori dove sussistono ancora forti margini di guadagno.
Gli affari proseguono, comunque, anche a Marsango cambiando modulo organizzativo.
Toni ha trovato il sistema di fare produrre le scope in casa dagli stessi operai diventati artigiani.
In tal modo non deve pensare alla produzione, ma solo alla commercializzazione degli stessi prodotti che prima produceva direttamente.
La fabbrica di Toni in un battibaleno si è delocalizzata nei vari magazzini e sottoscala dei nuovi artigiani dove si è spostata la nuova produzione. Nel suo piccolo Toni ha vinto così la battaglia contro la grande depressione che in quegli anni si abbatte sull’Europa.
 “Xe proprio un gran sfrutamento”protestano i nuovi artigiani.
“Forse xe meio cusì.
Gavemo la possibilità di crearse un futuro!”  pensano quelli che vedono elevata la loro posizione sociale, almeno quelli che si sono creati uno spazio autonomo di mercato vendendo loro stessi le scope di saggina.
Loro si sono resi conto che è l’unico rimedio per sconfiggere la crisi economica finanziaria.
“In tempi de crisi bisogna lavorar de più ed rischiar de più metendose nel commercio.” ripetono i più intraprendenti che hanno tenuto duro.
Loro non si sono lamentati più di tanto ed hanno seguito l’esempio del Toni.
Sono diventati anch’essi artigiani ed una volta imparata la lezione di economia pratica hanno incominciato a commerciare direttamente il loro prodotto saltando il loro originario datore di lavoro ed anzi facendogli concorrenza.
I figli dei scoatarai sono attivi ancora oggi nel settore.
Alcuni ricordano quei tempi con benevolenza, altri li rammentano con rabbia verso Toni che nel bene o nel male ha promosso questa attività nel loro paese.
A Toni le idee non mancano e dopo avere organizzato una rete di artigiani produttori che lavorano per lui si è messo a commerciare e a creare nuovi prodotti per la pulizia.
Il  successo arriva con la produzione dello straccetto favilla.
Le invenzioni semplici sono a volte interessanti anche economicamente. Ci vuole determinazione e fiducia cose che a Toni non mancano ed il successo arriva.
Lo straccetto favilla è un’dea geniale. Toni è riuscito a vendere agli italiani e non solo uno straccetto di modeste dimensioni che le massaie trovano indispensabile per  le pulizie di tutti di giorni.
 Si è inventato un materiale particolarmente resistente alle usure delle pulizie che dura nel tempo e che consente di svolgere con più semplicità l’umile e quotidiano lavoro della massaia
“Con favilla la casa brilla” è lo slogan pubblicitario in voga negli anni 50che fa decollare gli utili del nostro Toni.
La sua azienda si inserisce a pieno titolo nell’area della produzione industriale con un fatturato in continua crescita.
Nessuno dei due figli continuerà purtroppo la sua opera .
Non hanno mangiato a sufficienza polenta e fatica per essere temprati come Toni a conseguire il successo in attività dove lavoro e impegno sono un ingrediente indispensabile.
Lo straccetto favilla conseguirà ancora i suoi successi ad opera di un cugino che seguirà le orme di Toni.
















Un detto popolare dice che le famiglie numerose ed unite come i Balestreri vogliono tanti eredi.
Nel 1929 nasce Giovanni nella casa di Gabioneta.
Tutti sono felici perché per gli agricoltori una nascita è sempre una benedizione.
La Martina che è già una donnina che ha smesso di giocare con le bambole è la più felice di tutti.
Lei diventa da subito la seconda mamma e si prende cura del piccolo Giovanni.
Lui cresce in fretta viziato come tutti gli ultimi nati e forse anche meno seguiti dai genitori che oramai stanchi delle fatiche famigliari delegano una parte del loro compito alla figlia più grande.
Per Cesare è uno sprone a fare di più per la sua famiglia.
Pensa di prendere in affitto una azienda più grande.
Per Nino l’agricoltore è un datore di lavoro che dirige un’azienda.
Lui deve quindi prendersi delle responsabilità. 
L’affittuario ha due avversari: i braccianti che vogliono tirare la fiacca e la proprietà cui deve pagare le decime.
Legna secca, legna verde, latte e granturco frumento non sono cosa da poco poi bisogna pagare i braccianti e quel che resta va alla famiglia.
Nino continua a fare dei conti che a volte non chiudono in attivo.
“ Qui non riusciamo a quadrare il bilancio bisogna inventarsi qualcosa di nuovo” ripete ad Aurelia
Per fare quadrare i conti Nino cerca la fortuna in altre attività rilevando una ceramica.
L’impresa non ha successo e ci rimette anche parte del magro guadagno dei campi.
Per rimediare a questo inconveniente si getta a lavorare di più nei campi.
E’ quello il suo vero lavoro.


L’azienda agricola di Gabbioneta è di proprietà del marchese Pallavicino.
La famiglia nobiliare possiede numerosi fondi  nel cremonese e nel parmigiano che affitta agli imprenditori della zona.
Cesare non si perde l’occasione visto che la famiglia è aumentata di affittare un podere più grande dove può dare prova della sua abilità nel condurre le aziende agricole e può dare un futuro ai suoi figli se vorranno, come spera, continuare il suo lavoro nei campi.
E’ una sfida continua per dimostrare a sé stesso e agli altri di essere il migliore, di avere l’azienda più bella quella che ha le vacche più premiate e quella che ha il rendimento maggiore per ettaro di foraggio o di mais .
L’importante è di vincere questa competizione immaginaria che non importa a nessun altro che a lui.
Forse in questa gara immaginaria competono i proprietari o gli affittuari confinanti che magari vorrebbero comperare o gestire il fondo vicino per ingrandire la loro proprietà .
Non è competizione quella di puntare a produrre di più o di riuscire a vendere al miglior prezzo sul mercato cogliendo il momento più favorevole della raccolta del prodotto.
Contro il parere del proprietario che non vuole partecipare finanziariamente al miglioramento delle dotazioni del fondo ha fatto costruire un caseificio pur sapendo che scaduto il contratto le migliorie vanno a fare parte della proprietà.
L’azienda è di circa ottocento pertiche cremonesi, la produzione agricola può consentire di mantenere un certo numero di vacche da latte e questo oro bianco può trasformarsi in prezioso formaggio.
Il ciclo produttivo perfetto per il Cesare che pensa a grandi successi.
Produce Emmental e Sbrinz pregiati tanto che è riuscito mettersi in affari con un commerciante svizzero molto conosciuto a Cremona per la sua passione per la musica.
Stauffer gli compera il formaggio e gli affari sembrano andare bene
Non vuole fare certo concorrenza ad Auricchio, ma vuole ottimizzare i guadagni questo è certo!
Il Nino ha poi costruito delle porcilaie, ma non c’è stata fortuna.
Quasi tutti i maiali sono morti di malattia.
Erano maiali belli grassi che invece di diventare prelibati prosciutti o salami sono diventati cibo per i vermi.
Cesare non si è perduto d’animo ha affittato le porcilaie ad un altro più bravo o come dice lui più fortunato e si è buttato a  corpo morto nell’impresa del caseificio.
Questi investimenti un po’ affrettati non si sono rivelati un buon affare perché a cambiare azienda, si sa, l’affittuario rimette gli investimenti che rimangono a fare parte della proprietà del fondo del marchese Pallavicino.
Nulla gli viene riconosciuto dal proprietario del fondo che  non ha voluto partecipare all’iniziativa economica e si è goduto interamente le sue decime.
Cesare è tutto preso dalle sue idee. Per lui l’obiettivo principale è realizzare il suo sogno di condurre la più bella impresa della provincia.
Tutti gli altri agricoltori ed amici devono potere congratularsi per le sue capacità di agricoltore.
Se poi cambia azienda per ampliare il giro e provare nuove coltivazioni o nuovi allevamenti e nuovi caseifici, ben venga il cambiamento che per il Nino è, innanzitutto, una sfida tutta da vincere.
Vorrà dire che ricomincerà dall’inizio con maggiore passione.
I conti, i profitti e le perdite, le addizioni e le sottrazioni a lui poco interessano e così dopo tanto lavorare, tanto darsi da fare è sempre al punto di partenza.
Il lavoro diventa più complesso, il giro d’affari aumenta ma il fondo le tanto amate pertiche sono sempre di proprietà altrui!
Realizzando strutture a sue spese non riesce mai ad ammortizzarle e alla fine del contratto di affitto i suoi guadagni finiscono a vantaggio della proprietà fondiaria.
Se Cesare avesse saputo quello che dicono di lui che è bravo e laborioso ma che in realtà lavora per gli altri chissà se avrebbe fatto le stesse cose?
Probabilmente sì perché è talmente convito delle sue ragioni che non sente alcun parere contrario.
La dura legge afferma che chi comanda, chi è considerato non è chi s’impegna a lavorare o a gestire ma chi è proprietario delle pertiche, dei terreni e delle cascine.
Giovanni si è goduto poco la casa di Gabioneta
Lui ha avuto soli il tempo di frequentare la prima elementare dove non ha legato molto con i compagni di scuola che sono i figli dei braccianti e lui invece è il figlio degli affittuari.
Così Giovanni quando ha saputo la notizia che c’è in ballo un trasloco non si è dispiaciuto per la perdita di amici che non ha.
Anche la Martina e Paolo sono contenti del trasloco perché si va ad Antezzate in una cascina più grande dove vivono poveramente 250 persone dedite al lavoro dei campi e dove si preannuncia un paese e una scuola più grande e frequentata da tanti possibili nuovi amici figli dei proprietari e degli affittuari della zona.














Scaduto il contratto di affitto visto che è nato un secondo maschio, Cesare decide di prendere in affitto una azienda più grande di 1200 pertiche cremonesi.
La casa padronale di Antezzate, poco distante da Roncadelle, troneggia al centro nel podere.
Cesare non è un discendente dei marchesi Pallavicino, non appartiene alla classe dei proprietari terrieri è un imprenditore.
Fa parte di una classe sociale che lavora e fa lavorare gli altri producendo un reddito modesto che gli consente di vivere con un po’ più di benessere  ma sempre del suo lavoro delle sue iniziative.
Cesare ha ampliato l’allevamento del bestiame arrivando a120 vacche da latte oltre alle manze ed ai vitelli.
E’un allevamento imponente per quei tempi. Tutti si complimentano per il suo spirito di iniziativa.
Il Nino ha comperato tre trattori per lavorare la terra; lui ha deciso di abbattere le piante di gelso che non si trovano ai confini della proprietà ed ostacolano il lavoro dei campi riorganizzando l’azienda per la produzione di mais e frumento da dare in pasto alle fameliche vacche da latte.
Il vanto di un agricoltore della bassa è la stalla di mucche da latte.
Cesare ha sempre voluto una grande stalla che produca del buon latte per avere la materia prima per realizzare il miglior provolone della zona. Poi si è messo a comperare anche il latte dai proprietari vicini per incrementare la produzione e fare ottimi affari.
Cesare guarda in grande e pensa ad un ciclo integrato di prodotti dal foraggio al provolone per ottimizzare il reddito dell’azienda e poterne affittare una sempre più grande con l’intenzione di diventare il più grosso e riverito agricoltore della zona.
Nella cascina manca il un caseificio ma Cesare lo costruisce con i suoi danari in pochi anni e per realizza anche un capannone per potere effettuare l’allevamento dei suini.
Sono circa 200 grossi porcelli che Giovanni si diverte a stuzzicare mentre si rotolano nel fango gettandogli del cibo per vedere se quello più grosso riesce a mangiarselo tutto facendo piazza pulita di quelli che glielo contendono.
Il patto colonico fissato da Benito Mussolini  fissa a 12 le mucche da mungere per ogni addetto di stalla.
Il reddito è magro anche per gli affittuari.
L’azienda è un modello di organizzazione.
Cesare ha voluto anche l’allevamento dei bachi utilizzando le piante di gelso che sono rimaste ai bordi dei campi coltivati a mais.
Le larve sono tenute al caldo nelle case dei contadini . Poi sono trasportati all’esterno sotto i porticati dove i bachi si costruiscono i bozzoli ogni famiglia produce dai dieci ai quindici chili di bozzoli per dieci famiglie danno un buon prodotto.
Inventando qualcosa di nuovo si può arrotondare il reddito.
Cesare vende i provoloni a Gennaro Auricchio, inventore del “Caglio Speciale”, o come si diceva, del “Segreto” di don Gennaro , che dà al provolone un sapore unico al mondo.
Gli Auricchio selezionano il latte, seguendo la fabbricazione nei caseifici che lavorano per loro, curando la qualità ed organizzando le vendite.
La lavorazione deve essere trattata sul posto di produzione per ovvi problemi di trasporto e così da San Giuseppe Vesuviano in provincia di Napoli Antonio Auricchio, alla fine del secolo scorso, sale nella Pianura Padana in cerca di latte buono ed abbondante.
Cesare è uno dei tanti produttori che lavora per quell’azienda.
Nino è uomo di grande severità, il grande capo rispettato dai dipendenti, ma anche molto contestato.
La vita è grama e bisogna essere dei duri per fare andare avanti un’azienda di 120 ha con quaranta contadini a libretto  con cento avventizi stagionali da pagare,  con l’affitto da pagare e con una famiglia da mantenere .
La produzione è bassa bisogna arrangiarsi cercando di puntare sulla qualità, concorrere alle fiere del bestiame ricercare le migliori vacche da latte magari andando a comprare quelle olandesi o svizzere che hanno la produzione di latte più elevata.

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