giovedì 13 dicembre 2012

L’Italia in marcia verso il feudalesimo. Giorgio Meletti


L’Italia si scopre in marcia verso il feudalesimo

Un libro uscito da poco ci aiuta a comprendere i rischi di ritorno al feudalesimo evocati l’accordo sulla produttività di palazzo Chigi. Il  “Manifesto capitalista” (Rizzoli), è di Luigi Zingales, economista padovano, docente alla Chicago University. Zingales è un liberista estremo che scrive per mettere in guardia i lettori. Il sogno americano (capitalismo, concorrenza, meritocrazia, opportunità per tutti) può svanire. L’America, scrive amaramente, rischia di diventare come l’Italia, un paese dove le carte del mercato sono truccate. Per Zingales l’Italia paga la sua storia: il clientelismo strutturale ce l’ha regalato la Chiesa medievale, con campioni come il papa Borgia e i suoi figli.

(La tradizionale piramide, modello del sistema feudale, trova rispondenza nella nostra società:
  1. Il Governante, quasi sempre un re o un nobile di alto rango, si ritrova nei vertici delle istituzioni
  2. vassalli,  nobili di medio rango, sono rappresentanti dai consiglieri regionali e vertici delle municipalizzate o aziende a contributo pubblico.
  3. valvassori, nobili di medio-piccolo rango, trovano corrispondenza nei consiglieri comunali
  4. valvassini , i contadini liberi,  si riscontrano nei lavoratori o pensionati che trovano un trattamento economico garantito dai diritti acquisiti
  5. servi della gleba, i senza protezione, è facile dientificarli nei disoccupati , esodati,, giovani senza occupazione cui è stato sottratto il futuro e la speranza alla felicità.) 
I retaggi medioevali ci assediano. Un papa tedesco, come nell’XI secolo, definisce atmosfere pre-luterane. La Chiesa è potente come non mai, incassa le sue decime (l’8 per mille più tutto il resto) e resta esente dall’Imu. Benedice il potere politico, che si inginocchia. La democrazia è un miraggio per i secoli venturi. Al Quirinale c’è un “re taumaturgo” con poteri miracolosi. Le sue massime più scontate vengono studiate da eserciti di teologi (i monaci costituzionalisti). Egli nomina il suo Richelieu e vassalli che portano il titolo di “ministro tecnico” . Le elezioni e le primarie che le propiziano sono riti di preghiera rivolti al sovrano che decide, affidando il governo a chi non si è candidato. Si coniano nuovi titoli nobiliari: “riserva della Repubblica”, “risorsa preziosa”. La disputa teologica sulla eleggibilità del senatore a vita riproduce la concretezza del concilio di Nicea (787 d. C.). Il popolo disorientato viene indirizzato a guaritori in grado di resuscitare aziende automobilistiche decotte. Il parlamento non è eletto ma nominato, come prima della rivoluzione industriale. L’idea di restituire al popolo quel potere estremo detto “preferenza” fa inorridire i feudatari che si difendono dall’orda dei parvenu, degli arricchiti, come Maria Antonietta nel 1789.

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