lunedì 17 dicembre 2012

L. 231/2001. Le sanzioni interdittive.


1.      L. 231/2001. Le sanzioni interdittive


Le sanzioni interdittive sono:
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi, art. 9, comma 2, l. 231/2001.
La giurisprudenza ha risolto il  problema se l'interdizione dall'esercizio dell'attività, di cui all'art. 9, comma 2, lett. a), possa essere disposta solo parzialmente, in tutti i casi in cui l'ente svolge più attività economiche, distinte ed indipendenti fra loro. Cassazione penale, sez. II, 7 febbraio 2012, n. 4703, in Resp. civ. e prev,. 2012, 03, 0827.
Essa ha applicato estensivamente l'art. 14, in base al quale la sanzione interdittiva deve essere funzionale alla prevenzione degli illeciti del tipo di quelli commessi (e questa operazione ermeneutica è costituzionalmente corretta, in quanto si risolve in favor rei); peraltro, i dubbi sulla sua praticabilità, quantomeno nella fase cautelare, sono alimentati dall'art. 46, comma 3, che, prevedendo la misura dell'interdizione dall'esercizio dell'attività quale extrema ratio, dovrebbe indurre il giudice ad applicare le altre misure previste dall'art. 9, che permettono di conciliare le esigenze preventive con la prosecuzione delle attività dell'ente estranee alla commissione di illeciti.
Nello stesso senso, la Cassazione ha ribadito che il giudice, quando dispone una misura cautelare interdittiva o procede alla nomina del commissario giudiziale, debba limitare, ove possibile, l'efficacia del provvedimento alla specifica attività della persona giuridica alla quale si riferisce l'illecito.
La  “specifica attività” richiama i criteri posti da d.lgs. n. 231/2001, art. 14, in materia di scelta delle sanzioni.
Il riferimento è al parametro della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive, parametro che impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo “generalizzato e indiscriminato”, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. ( Cass. pen., Sez. VI, sent. 25 gennaio 2010, n. 20560, in CED Cass., rv. 247043)
 Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni interdittive nella vita dell'ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga conto della realtà organizzativa dell'ente sia per “neutralizzare il luogo nel quale si è originato l'illecito”, sia per applicare la sanzione valorizzandone l'adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell'extrema ratio. Questi stessi criteri trovano spazio anche nella fase cautelare, le cui misure provvisorie replicano pedissequamente le sanzioni interdittive definitive. Ne consegue che anche il giudice della cautela è tenuto a valutare l'incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente, applicando i criteri di cui all'art. 14 cit. e, quindi, limitando, ove possibile, la misura ad alcuni settori dell'attività dell'ente.... Invero, la valutazione sulla frazionabilità della misura non è condizionata dalla differenziazione dell'attività dell'impresa, come sembra ritenere il Tribunale, in quanto anche ad un ente che svolge un'unica attività può essere applicata una misura limitata ad una parte dell'attività stessa. In altri termini, la circostanza che la... (si omette il nome dell'impresa) svolga unicamente l'attività edilizia non è ragione sufficiente per negare la possibilità di limitare l'applicabilità della misura sostitutiva ad un settore ricompresso nell'ambito di tale attività, tanto è vero che la difesa della società ricorrente aveva espressamente richiesto la limitazione dell'attività commissariale ai lavori riguardanti... (si omette il nome del cantiere) e alle commesse afferenti gli appalti pubblici gestiti dall'impresa».
Il g.i.p. può applicare la misura dell'interdizione del divieto di trattare con la p.a., limitando il divieto alla sola attività oggetto del reato da cui deriva la responsabilità amministrativa in capo all'ente.
Le misure vanno applicate nel caso in cui esistano le condizioni previste dagli art. 45 e 13 d.lg. n. 231 del 2001 - gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per illecito amministrativo dipendente da reato; fondati e specifici elementi che facciano ritenere concreto il pericolo di reiterazione; profitto di rilevante entità a vantaggio dell'ente; commissione del reato determinata o agevolata da gravi carenze organizzative quando il reato è stato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione –
 La creazione di fondi extrabilancio è indizio dell'inefficacia del sistema di prevenzione del rischio penale adottato. Tribunale Milano, 27/04/2004.
Il dibattito giurisprudenziale in tema di sanzioni interdittive si è incentrato sullo specifico presupposto costituito dal profitto di rilevante gravità percepito dall'ente a seguito della perpetrazione del reato. In particolare, al cospetto della tesi che individuava il profitto nell'utile netto ricavato dall'ente, sembra prevalere l'orientamento che guarda all'importo complessivo conseguito per mezzo del reato ovvero al solo fatto dell'assegnazione di plurimi appalti pubblici.
E’ stato ritenuto  sufficiente che le prestazioni indebite di finanziamenti e contributi illecitamente ottenuti dallo Stato siano stati accreditati nella casse della società, in quanto lo storno, anche se immediato, delle somme sui conti personali dell'autore del reato costituisce una condotta di post factum, incapace di elidere il dato storico del profitto conseguito dall'ente. Cassazione penale, sez. II, 20/12/2005, n. 3615.
Un altro indirizzo precisa che la nozione di profitto di rilevante entità ha un contenuto più ampio di quello di profitto inteso come utile netto, in quanto in tale concetto rientrano anche vantaggi non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito (la Corte ha precisato che il giudizio circa la sussistenza di un profitto "di rilevante entità" non discende automaticamente dalla considerazione del valore del contratto o del fatturato ottenuto a seguito del reato, seppure tali importi ne siano, ove rilevanti, importante indizio almeno con riferimento ad alcuni dei reati indicati negli artt. 24 e 25 del d.lg. n. 231 del 2001. Cassazione penale, sez. VI, 23/06/2006, n. 32627.

1 commento:

Unknown ha detto...

Avrei un quesito da sottoporvi: una società holding fornisce materiale per la costruzione di immobili a una sua controllata situata in Italia e quest’ultima commette un reato di corruzione per l’aggiudicazione di appalti finalizzati alla costruzione di questi immobili. Nel reato vi partecipano poniamo gli amministratori della controllata in questo caso la controllante può essere chiamata a rispondere ammesso che il reato avvantaggerebbe senz’altro anche quest’ultima? la ringrazio

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