lunedì 17 dicembre 2012

L. 231/2001. La responsabilità dell'ente.


1.      L. 231/2001. La responsabilità dell'ente.


L’art. 5, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in tema di responsabilità da reato degli enti, prevede un'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati "presupposti" tassativamente indicati da parte di un soggetto che abbia agito in nome e per conto dell'ente.
L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
La giurisprudenza ha precisato che la circostanza che l'amministratore delegato e alcuni membri del management di una banca, imputati anche per associazione a delinquere, si siano avvalsi del ruolo funzionale svolto all'interno della compagine societaria per porre in essere appropriazioni indebite ai danni della banca (imputata ai sensi del d.lg. 231/01), non determina l'insussistenza dell'interesse e del vantaggio dell'ente alla commissione dei delitti di false comunicazioni sociali, di manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni di vigilanza. Ufficio Indagini preliminari Milano, 03/11/2010;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali di cui alla lettera a).
La norma  si basa sull'assunto che il reato "è fatto della società, di cui essa deve rispondere": la persona fisica che, nell'ambito delle proprie competenze societarie, agisce nell'interesse o a vantaggio dell'ente, opera, quindi, come organo e non come soggetto distinto rispetto all'ente; né la degenerazione di tale attività in illecito penale è di ostacolo all'immedesimazione.
L'ente, quindi, risponde per fatto proprio, senza alcuna violazione del principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui, art. 27 cost.
Né, in proposito, si costruisce alcuna inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva, perché il sistema prevede la necessità che sussista la cosiddetta colpa di organizzazione dell'ente, basata sul non aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di uno dei reati presupposti: è il riscontro di tale deficit organizzativo che, quindi, consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. A tal proposito, grava certamente sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito penale presupposto in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa dell'ente e che questa abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso.
La cd. "colpa dell'organizzazione" risulta provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore (concussione), adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. Tribunale Milano, 28/04/2008.
Il principio fissato dagli artt. 5 e 6 del D.Lgs. 8-6-2001 n. 231, dispone che i soggetti collettivi privati, con o senza personalità giuridica, sono responsabili sul piano amministrativo per i reati ( quali sono quelli in materia di rifiuti ed inquinamento, come ricorda la stessa parte ricorrente ) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Si riafferma così, per via legislativa, la teoria del rapporto di immedesimazione organica del rappresentante nell'ente rappresentato ( Cass. pen., sez. VI, 18-2-2010, n. 27735 ).
Il rapporto fonda la sua origine in una giusta presunzione relativa, la quale può essere scalzata solo con la prova, da parte dello stesso ente, dell'adozione di misure organizzative e funzionali di precauzione, di controllo e di prudenza.
Nel caso di specie  il criterio di imputazione soggettiva della violazione degli obblighi di attivazione delle misure di precauzione in materia di rifiuti ( ma non solo ), trascende lo schermo della personalità giuridica e della soggettività collettiva, dietro la cui creazione ed oltre le cui vicende di vita si celi un unico centro decisionale e di interessi, secondo criteri sostanziali e di non apparenza di imputazione degli effetti dell'attività imprenditoriale, volendo seguire l'antica teoria dell'imprenditore occulto, ovvero secondo le regole della successione c.d. "economica", per le quali chi si avvantaggia di altrui scelte precedenti deve sopportarne anche il peso ( Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06. Cons. stato, sez. V, 5 dicembre 2008 , n. 6055).
Per converso, è onere dell'ente di provare, per contrastare gli elementi di accusa a suo carico, le condizioni liberatorie di segno contrario di cui all'art. 6 d.lg. n. 231 del 2001.
Per l'effetto, non si realizza neppure alcuna violazione dei principi costituzionali relativi al principio di eguaglianza e all'esercizio del diritto di difesa (art. 3 e 24 cost.), perché non si determina alcuna inaccettabile inversione dell'onere della prova nella disciplina che regola la responsabilità dell'ente: grava comunque sull'accusa l'onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all'art. 5 del decreto n. 231 del 2001 e la carente regolamentazione interna dell'ente, mentre quest'ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.
Da queste premesse, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la q.l.c. della disciplina dettata dal d.lg. n. 231 del 2001, sollevata, in riferimento agli art. 3, 24 e 27 cost.). Cass. pen., sez. VI, 18/02/2010, n. 27735
Il d.lg. n. 231 del 2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo una autonoma responsabilità dell'ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati espressamente elencati nella Sezione III da parte di un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto reato è "fatto della società, di cui essa deve rispondere"".
Il criterio soggettivo di imputazione della responsabilità all'ente, del reato commesso da un soggetto operante ai vertici, è un principio conforme alla Costituzione in quanto si tratta di responsabilità per fatto proprio della società, imputabile non per responsabilità oggettiva bensì per "colpa di organizzazione" dell'ente.
 L'ente risponde perché non ha adottato tutti quegli accorgimenti organizzativi, preventivi ed idonei a scongiurare la realizzazione del reato commesso.
Tale tipo di responsabilità non involge dunque la problematica costituzionale relativa al divieto di responsabilità penale per fatto altrui. Cassazione penale, sez. VI, 18/02/2010 n. 27735.
La giurisprudenza  afferma l'assenza di responsabilità soltanto quando si accerti l'"interesse esclusivo" di terzi o di persone fisiche. L'assenza dell'interesse rappresenta, dunque, un limite negativo della fattispecie. Cassazione penale, sez. V, 26/04/2012, n. 40380.

n1 � m l � � P� New Roman","serif"'>Nel caso di reato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione  l'ente é responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza), art. 7, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231.
Quando i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un idoneo modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento fraudolento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato, la società deve essere dichiarata non punibile ex art. 6 d.lg. n. 231 del 2001. Tribunale Milano, 17/11/2009.
L’adozione del codice etico che indichi ai dipendenti le condotte da tenere per evitare la commissione dei reati rientra nel modello organizzativo da proporre.
La giurisprudenza ha, però, precisato che l'adozione di un codice etico successivamente alla contestazione del reato non è idonea ad escludere l'applicazione della misura cautelare, anche in considerazione del comportamento della società che ha omesso di avviare procedimenti disciplinari a carico dei propri agenti indagati per i reati che sono fonte della responsabilità amministrativa. Tribunale Milano, 27/04/2004



� o e � � P� nsabilità . Principio in base al quale qualsiasi attività deve fare riferimento ad una persona o unità organizzativa che ne detiene la responsabilità.
Il soggetto che deve eseguire un compito specifico lo svolge con più attenzione quando sa di dover rendere conto di eventuali deviazioni da procedure prefissate;
 separazione di compiti e/o funzioni. Principio per il quale l’autorizzazione ad effettuare una
operazione deve essere sotto la responsabilità di persona diversa da chi contabilizza, esegue
operativamente o controlla l’operazione;
 adeguata autorizzazione per tutte le operazioni. Principio che può avere sia carattere generale
(riferito ad un complesso omogeneo di attività aziendali), sia specifico (riferito a singole
operazioni);
 - adeguata e tempestiva documentazione e registrazione di operazioni, transazioni e azioni.
In ogni momento devono potersi effettuare controlli che attestino le caratteristiche dell’operazione, le motivazioni e individuino chi ha autorizzato, effettuato, registrato e verificato l’operazione stessa;
 verifiche indipendenti sulle operazioni svolte (svolte sia da persone dell’organizzazione ma
estranei al processo, sia da persone esterne all’organizzazione quali ad esempio sindaci e revisori esterni).

4.                  Il controllo interno affidato all’Organismo di Vigilanza.


Il compito di vigilare continuativamente sull’efficace funzionamento e sull’osservanza del modello organizzativo nonché di proporne l’aggiornamento, è affidato ad un Organismo di Vigilanza dotato di autonomia, professionalità e indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni.
La società deve nominare l’Organismo di Vigilanza, con provvedimento motivato rispetto a ciascun componente, scelto esclusivamente sulla base dei requisiti di professionalità, onorabilità, competenza, indipendenza e autonomia funzionale ed individua il Presidente al quale eventualmente delegare specifiche funzioni.
 La delibera di nomina dell’Organismo di Vigilanza determina anche il compenso e la durata.
 I suoi membri possono essere revocati solo per giusta causa. Il membro revocato o che rinunci all’incarico viene tempestivamente sostituito e resta in carica fino alla scadenza dell’Organismo di Vigilanza in vigore al momento della sua nomina.
 L’Organismo di Vigilanza riferisce direttamente al Consiglio di Amministrazione ove non
diversamente previsto.
L’Organismo di Vigilanza è composto da uno o più soggetti esterni, non appartenenti al personale o alle cariche esecutive/dirigenziali della società, in possesso di requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza e in grado di assicurare la necessaria continuità d’azione.
 L’Organismo di Vigilanza dispone di autonomi poteri di iniziativa e di controllo nell’ambito della società tali da consentire l’efficace esercizio delle funzioni previste dal Modello, nonché da successivi provvedimenti o procedure assunti in attuazione del medesimo.
 Al fine di svolgere, con obiettività e indipendenza, la propria funzione, l’Organismo di Vigilanza deve disporre di autonomi poteri di spesa sulla base di un preventivo annuale, approvato dal Consiglio di Amministrazione, su proposta dell’Organismo stesso.
 L’Organismo di Vigilanza può impegnare risorse che eccedono i propri poteri di spesa in presenza di situazioni eccezionali e urgenti, con l’obbligo di darne informazione al Consiglio di Amministrazione nel corso della riunione immediatamente successiva.
 I componenti dell’Organismo di Vigilanza, nonché i soggetti dei quali l’Organismo, a qualsiasi titolo, si avvale, sono tenuti all’obbligo di riservatezza su tutte le informazioni delle quali sono venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni o attività.
 L’Organismo di Vigilanza svolge le sue funzioni curando e favorendo una razionale ed efficiente cooperazione con gli organi e le funzioni di controllo esistenti nell’Azienda.
 All’Organismo di Vigilanza non competono, né possono essere attribuiti, neppure in via
sostitutiva, poteri di intervento gestionale, decisionale, organizzativo o disciplinare, relativi allo svolgimento delle attività dell’Ente.

5.                  La responsabilità penale dell’organismo di vigilanza  per l'omesso impedimento degli illeciti penali.


La dottrina ha avanzato una ricostruzione interpretativa per la quale, in capo ai membri dell'OdV, vi sarebbe una vera e propria posizione di garanzia rispetto alla commissione dei reati c.d. presupposto del decreto e, conseguentemente, una responsabilità penale per l'omesso impedimento dei suddetti illeciti penali.
Da un lato sussisterebbe per i membri dell'OdV solo una posizione di sorveglianza, ma, ciò nondimeno, tali soggetti potrebbero essere chiamati a rispondere a titolo di concorso nel reato, se dolosamente siano rimasti inerti dinanzi a fatti delittuosi commessi in violazione dei modelli organizzativi settoriali, agevolando con l'inerzia, la commissione dei reati realizzati nell'interesse o a vantaggio dell'ente. S. Panagia, Rilievi critici sulla responsabilità punitiva degli enti, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2008, p 165,
Un autore ha ipotizzato la configurabilità di una posizione di garanzia con riferimento alle lesioni colpose e all'omicidio colposo dipendente dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e sull'igiene nei luoghi di lavoro. L. Antonetto, Il regime del rapporto e della responsabilità dei membri dell'organismo di vigilanza, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2008, p. 83. Si veda comunque infra, par. 6.
Non esistono, peraltro precedenti giurisprudenziali. L. Troyer e A. Ingrassia, Vi è una posizione di garanzia in capo ai membri dell'Organismo di Vigilanza? Spunti di riflessione, in Riv. dottori comm., 2008, 6, 1266.


Nessun commento:

Posta un commento