lunedì 17 dicembre 2012

L. 231/2001. La responsabilità degli enti nel caso di commissione di reati. I soggetti.


1.      L. 231/2001. La responsabilità degli enti nel caso di commissione di reati. I soggetti.


La l. delega 29 settembre 2000, n. 300, all'art. 11, aveva autorizzato il Governo a disciplinare la responsabilità amministrativa "delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale", intendendosi per persone giuridiche "gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri".
Il successivo d.lg. 8 giugno 2001, n. 231, all'art. 1, comma 2, nel riprodurre tale ultima parte della legge delega, ha espressamente escluso dall'ambito applicativo della responsabilità degli enti lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Nel mezzo, tuttavia, il legislatore delegato ha inserito, in negativo, gli "altri enti pubblici non economici".
La lettera della legge delega e di quella delegata non brillano forse per chiarezza, in particolare, per ciò che qui interessa, nell'individuazione dei soggetti esclusi dal campo di applicazione del decreto. A. Cugini, Le società miste al confine della responsabilità amministrativa da reato degli enti, in Cass. pen., 2011, 05, 1909.
La giurisprudenza ha precisato che una corretta lettura della disciplina concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica porta a ritenere che possano essere esonerati dall'applicazione del d.lg. 231/2001 soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici. La natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l'esonero dalla disciplina in questione dovendo necessariamente essere presente anche la condizione dell'assenza di svolgimento di attività economica da parte dell'ente medesimo. Anche l'ente pubblico economico cui è affidata la gestione del servizio di smaltimento rifiuti è soggetto alle norme sulla responsabilità amministrativa degli enti, inclusa l'applicabilità della misura cautelare della sanzione interdittiva dell'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli già concessi.
Le società per azioni costituite per svolgere, secondo criteri di economicità, le funzioni in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alle stesse da un ente pubblico territoriale (cosiddette società d'ambito), sono soggette alla normativa in materia di responsabilità da reato degli enti. Cassazione penale, sez. II, 26/10/2010, n. 234.
Il d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in tema di responsabilità da reato degli enti, prevedendo un'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati "presupposti" tassativamente indicati da parte di un soggetto che abbia agito in nome e per conto dell'ente, si basa sull'assunto che il reato "è fatto della società, di cui essa deve rispondere": la persona fisica che, nell'ambito delle proprie competenze societarie, agisce nell'interesse o a vantaggio dell'ente, opera, quindi, come organo e non come soggetto distinto rispetto all'ente; né la degenerazione di tale attività in illecito penale è di ostacolo all'immedesimazione. L'ente, quindi, risponde per fatto proprio, senza alcuna violazione del principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 cost.).
Il D.Lvo n. 231 del 2001, nell'adeguare il nostro ordinamento ai principi comunitari, ha introdotto per la prima volta una responsabilità delle persone giuridiche con riferimento ad una serie di reati, in origine limitati ma successivamente ampliati a seguito di diversi interventi normativi. A tal proposito va dato atto che non si è ancora sopito il dibattito concernente la natura di una siffatta responsabilità, derivante anche da un dettato normativo che si muove a cavallo tra settori diversi del diritto ed avuto, comunque, riguardo anche alle difficoltà nel superamento del noto principio societas delinquere non potest.
Significativamente il legislatore, utilizzando una formula di "compromesso", ha qualificato tale responsabilità come "responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato".
V'è stato peraltro chi, nel tentativo di superare il problema della configurabilità di una responsabilità penale delle persone giuridiche, ha affermato che la responsabilità riconosciuta in capo agli enti rappresenterebbe un tertium genus, ma comunque riconducibile ad un modello latu sensu criminale creato allo scopo di conciliare i principi del sistema penale con quelli del sistema amministrativo, nonché di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancora più ineludibili, della massima garanzia delle prerogative della difesa. Cass. Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735.
L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
L'ente non risponde se le persone che lo rappresentano  hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
La giurisprudenza ha ravvisato che la legge non costruisce alcuna inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva, perché il sistema prevede la necessità che sussista la cosiddetta colpa di organizzazione dell'ente, basata sul non aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di uno dei reati presupposti: è il riscontro di tale deficit organizzativo che, quindi, consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. A tal proposito, grava certamente sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito penale presupposto in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa dell'ente e che questa abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso.
Il principio fissato dagli artt. 5 e 6 del D.Lgs. 8-6-2001 n. 231, dispone che i soggetti collettivi privati, con o senza personalità giuridica, sono responsabili sul piano amministrativo per i reati ( quali sono quelli in materia di rifiuti ed inquinamento, come ricorda la stessa parte ricorrente ) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Si riafferma così, per via legislativa, la teoria del rapporto di immedesimazione organica del rappresentante nell'ente rappresentato ( Cass. pen., sez. VI, 18-2-2010, n. 27735 ).
Il rapporto fonda la sua origine in una giusta presunzione relativa, la quale può essere scalzata solo con la prova, da parte dello stesso ente, dell'adozione di misure organizzative e funzionali di precauzione, di controllo e di prudenza.
Nel caso di specie  il criterio di imputazione soggettiva della violazione degli obblighi di attivazione delle misure di precauzione in materia di rifiuti ( ma non solo ), trascende lo schermo della personalità giuridica e della soggettività collettiva, dietro la cui creazione ed oltre le cui vicende di vita si celi un unico centro decisionale e di interessi, secondo criteri sostanziali e di non apparenza di imputazione degli effetti dell'attività imprenditoriale, volendo seguire l'antica teoria dell'imprenditore occulto, ovvero secondo le regole della successione c.d. "economica", per le quali chi si avvantaggia di altrui scelte precedenti deve sopportarne anche il peso ( Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06; Cons. stato, sez. V, 5 dicembre 2008 , n. 6055).
Non si realizza neppure alcuna violazione dei principi costituzionali relativi al principio di eguaglianza e all'esercizio del diritto di difesa (art. 3 e 24 cost.), perché non si determina alcuna inaccettabile inversione dell'onere della prova nella disciplina che regola la responsabilità dell'ente: grava comunque sull'accusa l'onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all'art. 5 del decreto n. 231 del 2001 e la carente regolamentazione interna dell'ente, mentre quest'ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.
Nel caso di reato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione  l'ente é responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza), art. 7, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231.

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