mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 6 Pianificazione attuativa


CAPITOLO VI I vincoli nella pianificazione attuativa a gestione pubblica.

SOMMARIO: 80. Il piano di zona. I vincoli di destinazione ad interventi di edilizia residenziale pubblica.
81. La scelta delle aree.
82. L’obbligatorietà dell’intervento ablatorio nell’attuazione dei piani di zona.
83. La durata del vincolo.
84. Gli effetti del vincolo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione.
85. Il provvedimento di individuazione delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica.
86. Il piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale.


80. Il piano di zona. I vincoli di destinazione ad interventi di edilizia residenziale pubblica.

LEGISLAZIONE: l. 167/1962, artt. 4, 5.

Il piano di zona sottopone le aree definite come residenziali dal piano regolatore ad un vincolo avente destinazione speciale.
Dette porzioni di territorio sono, infatti, destinate alla realizzazione di interventi costruttivi di edilizia residenziale pubblica.
I contenuti del piano sono fissati dall'art. 4, l. 167/1962.

Il piano deve contenere i seguenti elementi:
a) la rete stradale e la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, nonché ad edifici pubblici o di culto;
b) la suddivisione in lotti delle aree, con l'indicazione della tipologia edilizia e, ove del caso, l'ubicazione e la volumetria dei singoli edifici;
c) la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future
(art. 4, l. 167/1962).

Il piano, inoltre, deve contenere, sia pure in modo sintetico, la relazione concernente gli aspetti finanziari dell'attuazione, prevista dall'art. 5, l. 18.4.1962, n. 167:

La relazione finanziaria deve in ogni caso contenere attendibili previsioni in ordine alle spese previste
(Cons. St., sez. IV, 22.12.1993, n. 1135, FA, 1993).

La legge limita il contenuto del piano di zona (Mengoli 2003, 331).
Il piano, infatti, non può provvedere alla ristrutturazione urbanistico-edilizia e al risanamento di un intero quartiere cittadino se non al fine specifico e circoscritto di realizzare un programma di edilizia economica e popolare (Cons. St., sez. IV, 7.7.1988, n. 594, GC, 1989, I, 242).
Il piano di edilizia economica e popolare non può prevedere la realizzazione di un centro civico, comprendente la sede comunale ed altri servizi di interesse immediato e diretto per la generalità della popolazione, né vi può trovare destinazione la sede di partiti politici

La realizzazione di un centro civico non può considerarsi completamento rispetto alla realizzazione di alloggi a carattere economico e popolare, né rientra nell'ambito della previsione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dei piani di zona di cui alla l. 167 del 1962
(Cons. St., sez. IV, 15.4.1987, n. 234, FA, 1987, 918).

Le sedi provinciali dei partiti politici non possono essere comprese fra le opere e i servizi urbani e sociali da includere in un piano di zona e pertanto è illegittimo il provvedimento di occupazione d'urgenza emesso per la costruzione di una sede di partito in esecuzione del piano (Cons. St., sez. IV, 29.9.1986, n.628, GC, 1987, I, 1011).


81. La scelta delle aree.

LEGISLAZIONE: l. 167/1962, artt. 3, 5 - l. 865/1971, art. 32 - l. 10/1977, art. 2.

La scelta delle aree di piano regolatore da destinare al piano di zona è demandata alla amministrazione comunale, anche se l'art. 3 della l. 167/1962 richiede che siano utilizzate preferibilmente le aree di espansione dell'aggregato urbano (Mengoli 2003, 329).
Tale scelta non può essere subordinata a valutazioni perequative rispetto ai proprietari delle aree di espansione e deve essere motivata.
Il vincolo di destinazione ad interventi di edilizia residenziale pubblica su aree aventi destinazione residenziale comporta un evidente sacrificio per il proprietario dei terreni e richiede una puntuale motivazione.

La localizzazione delle aree per l'attuazione dei piani di p.e.e.p., di norma, deve essere trovata nelle zone destinate dal piano regolatore generale ad edilizia residenziale, con preferenza per le zone di espansione; ove si manifesti l'esigenza di utilizzare aree con diversa destinazione devono essere adottate varianti allo strumento urbanistico generale.
La scelta di una differente localizzazione, costituendo un'eccezione alla regola generale e variante al p.r.g., deve essere congruamente motivata.
Nella specie è stata dichiarata illegittima, perché non motivata, l'inclusione nel p.e.e.p. di un terreno a destinazione agricola, rientrante, peraltro, in un p.t.t.p. che ne disponeva l'edificabilità condizionata alla formazione di uno strumento unitario di intervento
(Cons. St., sez. IV, 8.11.2000, n. 5986).

L’intervento ablatorio diviene, infatti, obbligatorio per consentire la realizzazione degli interventi previsti dal piano.

La scelta delle aree da collocare nel piano di zona per l'edilizia economica e popolare riflette valutazioni di ordine tecnico-discrezionale e non richiede, pertanto, motivazione.
Tuttavia, in presenza dell'art. 3, 2° co. l. 18,4,1962, n. 167, che dispone che le aree da inserire nei piani vadano individuate di norma fra quelle destinate ad espansione, l'amministrazione è tenuta a precisare le ragioni che hanno indotto a preferire aree già inserite in zone di completamento
(Cons. St., sez. IV, 13.1.1992, n. 49, FA, 1992, 26).

Possono essere comprese nel piano sia le aree su cui insistono immobili da demolire o trasformare per ragioni igienico sanitarie sia quelle necessarie per la realizzazione del piano, ai sensi dell'art. 32 della l. 865/1971.
L'estensione delle aree da inserire nel piano di zona non può essere inferiore al 40% e superiore al 70% di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel decennio, ai sensi dell'art. 2, l. 10/1977.
La giurisprudenza ha precisato l'insindacabilità delle scelte di merito compiute nella redazione del piano e la conseguente possibilità di sindacare in sede giurisdizionale solo la logicità e la attendibilità delle previsioni formulate.
Il prevedibile fabbisogno deve essere computato calcolando il complesso dei vani relativi alle abitazioni di lusso e non di lusso che saranno costruite nel periodo di durata del piano, il prevedibile incremento demografico e la eliminazione di case malsane.
Nel calcolare il dimensionamento del piano la giurisprudenza amministrativa è giunta a suggerire un criterio di valutazione del numero di alloggi in rapporto al numero delle persone che concorrono a formare la nuova domanda, considerando per ogni vano abitabile una cubatura potenziale di cento metri cubi.
Il superamento dei limiti di insediamento potenziale è considerato motivo di impugnazione del piano, che viene di norma fatto valere dai proprietari espropriandi per paralizzare il procedimento ablatorio.
In sede di adozione del piano per l'edilizia economica e popolare il così detto dimensionamento, vale a dire il fabbisogno abitativo previsto per il decennio a venire, deve essere il risultato di valutazioni razionali ed attendibili, basate su dati concreti ed attuali e non su previsioni incerte e vaghe.

E’ necessario un serio apprezzamento delle esigenze relative al decennio, condotto, tra l'altro, con riguardo alle domande insoddisfatte di assegnazione di alloggi, al frazionamento dei nuclei familiari, alla capacità tecnico-finanziaria dell'industria edilizia privata, e non solamente all'incremento demografico, che ha particolare, ma non esclusiva, rilevanza
(Cons. St., sez. IV, 11.6.1992, n. 608, FA, 1992, 1338).

Non sono circostanze idonee a giustificare l'ampliamento del p.e.e.p. la necessità di alloggi ed il pratico esaurimento del piano per l'edilizia economica e popolare, atteso che, l'una per la sua genericità, l'altra perché non implica alcuna valutazione della necessità di abitazioni per il futuro, esse non possono determinare il dimensionamento del piano di zona (Cons. St., sez. IV, 23.2.1990, n. 113, CS, 1990, I,184).



82. L’obbligatorietà dell’intervento ablatorio nell’attuazione dei piani di zona.

LEGISLAZIONE: l. 167/1962, art. 8.

Un piano attuativo, come è il piano di zona, non è strumento conformativo della proprietà.
La vocazione residenziale dell’area è già stata fissata dello strumento urbanistico generale.

Con riguardo all'illecita occupazione appropriativa di un fondo per l'attuazione di un piano di edilizia economica e popolare, il valore del bene, ai fini del risarcimento dovuto al privato, deve essere determinato prescindendo dall'influenza, positiva o negativa, dei vincoli e delle prescrizioni del suddetto piano pur se relativi a limiti di edificabilità, e, quindi, sulla base dell'attitudine edificatoria preesistente, atteso che il piano non ha valore conformativo della proprietà, ma è uno strumento preordinato all'espropriazione, ancorché poi non ritualmente attuata.
(Cass. civ., sez. I, 18.8.1997, n. 7655, GCM, 1997, 1437).

Il piano di zona diventa conformativo solo nell’ipotesi in cui esso costituisca automaticamente variante dello strumento urbanistico generale.
In tal caso l’adozione del piano è contestuale alla variante dello strumento che conforma la proprietà.
Una zona destinata a servizi pubblici, ad esempio, oggetto di una variante apportata da un piano di zona, che modifichi contestualmente il piano regolatore trasformando l’area in edificabile, è sostanzialmente conformata in maniera diversa, con conseguenze sostanziali sull’indennizzo che deve rapportarsi all’ultima destinazione prima del procedimento ablatorio.

Ai fini della determinazione del valore di mercato del terreno espropriato, per la liquidazione della relativa indennità, mentre deve tenersi conto dei vincoli e dei limiti di conformazione e di densità edilizia stabiliti, indipendentemente dall'espropriazione, dagli strumenti urbanistici in via generale, non deve invece essere presa in considerazione l'incidenza negativa esercitata dai vincoli specifici di destinazione preordinati all'espropriazione. Sotto un tal riguardo il piano di zona per l'edilizia economica e popolare, pur costituendo uno strumento urbanistico, ha certamente natura espropriativa della proprietà del bene e non già meramente conformativa della stessa, essendo preordinato - appunto - all'espropriazione delle aree per l'attuazione del piano medesimo.
Da ciò consegue che il valore del bene debba, anche in tal caso, essere determinato in base all'attitudine edificatoria preesistente al piano, prescindendo - quindi - da qualsiasi incidenza derivante dalle prescrizioni del piano medesimo.
(Cass. civ., sez. I, 22.4.1998, n. 4091, GCM, 1998, 855).

L'inclusione di un immobile in un piano per l'edilizia economica e popolare, debitamente approvato a norma dell'art. 8 della l. 18.4.1962, n. 167, implica la degradazione ad interesse legittimo del diritto dominicale del proprietario del fondo stesso e l’obbligatorietà del procedimento ablatorio (Mengoli 2003, 340).
La attitudine del bene ad essere inserito nell’ambito delle aree da acquisire al patrimonio indisponibile del comune trova idonea giustificazione, anche sotto il profilo di legittimità costituzionale, nelle necessità abitative dei ceti meno abbienti.

Il sacrificio degli interessi dei privati proprietari non è irragionevole tutte le volte che i motivi di interesse generale legittimanti l'espropriazione per pubblica utilità siano tali non solo da escludere che il provvedimento ablatorio possa perseguire un interesse meramente privato, ma da postulare anche che esso miri alla soddisfazione di effettive e specifiche esigenze rilevanti per la comunità.
Un simile controllo di ragionevolezza porta a riscontrare il rispetto dell'art. 42 cost. da parte dell'art. 35, l. 22.10.1971, n. 865, là dove prevede un esproprio comunale generalizzato ed obbligatorio delle aree comprese nei piani di edilizia residenziale pubblica, dato che l'obiettivo di pubblica utilità è identificabile nel soddisfacimento della necessità primaria dell'abitazione per le categorie meno abbienti attraverso un nuovo regime dei suoli su parte del territorio urbano, e nell'eliminazione in radice del rischio che su alcune aree, piuttosto che su altre, si accumuli una rendita derivante dall'intervento di riqualificazione della zona.
(Corte cost., 23.4.1998, n. 135, CS, 1998, II, 567).

L’approvazione del piano ha valore di dichiarazione di pubblica utilità, nonché di urgenza e indifferibilità delle opere in esso contemplate (Cass. Civ., sez. I, 17.9.1998, n. 9284, GD, 1998, n. 46, 41).



83. La durata del vincolo.

LEGISLAZIONE: l. 25.6.1865, n. 2359, art. 13 - l. 27.6.1974, n. 247, art. 1. - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 13, 1° co.

Secondo i principi costituzionali il vincolo dello strumento attuativo deve avere un tempo massimo di durata.
La procedura di espropriazione, infatti, deve essere effettuata nei termini di validità quindicennale del piano, prorogabile di tre anni, ex dall'art. 1, l. 27.6.1974, n. 247.

Il nuovo termine di efficacia di quindici anni, introdotto per i piani di edilizia popolare ed economica dall'art. 1, l. 27.6.1974, n. 247, che ha modificato l'art. 11, l. 18.4.1962, n. 167, deve intendersi applicabile a tutti i piani di zona, indipendentemente dalla già intervenuta scadenza del precedente termine di efficacia decennale, al momento dell'entrata in vigore della norma che ha introdotto il nuovo e più lungo termine.
E’ tempestivo il decreto regionale di espropriazione, avuto riguardo al predetto termine di efficacia del p.e.e.p.
(Cons. St., sez. IV, 18.3.1997, n. 255, RGE, 1997,I, 795).

La dichiarazione di pubblica utilità è implicita nell’approvazione del piano.
Il limite all’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità è la decadenza del vincolo quindicennale del piano, ex art. 13, 1° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito.
Manca la distinzione fra termine relativo alle espropriazioni e termine relativo ai lavori che caratterizzava la dizione dell’art. 13, l. 25.6.1865, n. 2359 e che comportava la dichiarazione di illegittimità nel caso di mancata esplicita indicazione dei termini distintamente per le due attività. (Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 28.1.1998, n. 21, in FA, 1998, 1147).
Se manca l’espressa determinazione del termine di esecuzione del decreto di esproprio esso può essere eseguito entro il termine di quindici anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera ossia l’approvazione del piano.

Ne deriva che l’occupazione d’urgenza deve iniziare entro i 18 anni di validità del piano e terminare entro 5 anni dall’inizio dell’occupazione stessa e, comunque, non oltre i citati 18 anni di efficacia del piano.
(Bellucci 1998, 542).

L'approvazione del piano comporta l'automatica dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza delle opere, che consente l'immediata espropriazione.

Il piano di zona per l'edilizia economica e popolare, secondo la disciplina dell’art. 9, l. 18.4.1962, n. 167 e della l. 22.10.1971, n. 865 è uno strumento diretto di attuazione del programma residenziale pubblico, avente valore di piano particolareggiato di esecuzione e di indifferibilità e urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso contemplati, nonché uno strumento interamente espropriativo, nel senso che tutte le aree comprese nel piano vanno acquisite alla mano pubblica
(Cass., sez. I, 27.7.1989, n. 3513, GI, 1990, I, 1, 1132).
Il provvedimento ablatorio costituisce un atto meramente esecutivo e non discrezionale; esso è, quindi, un atto dovuto, di natura semplicemente dichiarativa, sostituibile con altri atti - come la concessione edilizia ai singoli assegnatari dei lotti - che manifestino la volontà della pubblica amministrazione di rendere concretamente operante il piano, avente già di per sé contenuto ablatorio (Cass., sez. II, 9.5.1987, n. 4291, GCM, 1987, 1317).



84. Gli effetti del vincolo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione.

LEGISLAZIONE: l. 8.8.1992, n. 359, art. 5 bis, 1° co.

Il vincolo di destinazione posto alle aree comprese nel piano di zona rileva anche sotto il profilo della corresponsione dell’indennità.
La giurisprudenza ha posizioni differenziate sugli effetti che l’inserimento delle aree nel piano di zona ha sulla edificabilità da attribuire.
Il piano, infatti, identifica, fra le aree di espansione dell’aggregato urbano, quelle da destinare all’edilizia economico popolare.
Si verifica per i proprietari confinanti una situazione sperequata.
Il proprietario del lotto sito in area di espansione può realizzare direttamente l’intervento, mentre il proprietario dell’area compresa nell’ambito del piano di zona è necessariamente espropriato.
La giurisprudenza ha riconosciuto che lo strumento urbanistico generale fa conformare il diritto di proprietà delle aree in esso comprese, conferendo loro attitudine edificatoria, e che detta previsione permane anche con il successivo inserimento delle aree nel piano di zona.

Ogni volta che gli strumenti urbanistici generali prevedono la destinazione di un'area ad edificazione, la vocazione edificatoria dei fondi ricadenti in tale area non può essere negata agli effetti della determinazione dell'indennità di espropriazione, essendo lo strumento urbanistico il parametro fondamentale per la discriminazione del carattere agricolo o edificatorio del suolo espropriato. Deve, pertanto, considerarsi edificatorio un suolo destinato dal piano regolatore generale a edilizia economica e popolare, a nulla rilevando che al proprietario delle aree così destinate sia sottratta la possibilità di realizzare in proprio la prevista idoneità edificatoria.
La destinazione a edilizia economica e popolare non costituisce un vincolo di inedificabilità, comportando soltanto l'operatività, per l'attuazione della prevista destinazione, delle speciali modalità previste dalla l. 167 del 1962.
(Cass. civ., sez. I, 16.7.1998, n. 6949, GCM, 1998, 1537. Cass. civ., sez. I, 29.8.1998, n. 8648, RGE, 1998, 1331).

La giurisprudenza ha riconosciuto capacità conformativa al piano di zona per quelle aree, non destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori, che lo strumento urbanistico, invece, destinava agli insediamenti di edilizia residenziale pubblica.
In tal caso, infatti, il piano di zona costituisce variante al piano regolatore e, dunque, possiede la stessa valenza di attribuire una capacità edificatoria alle aree in oggetto.

L'inclusione di un'area nel piano di zona per l'edilizia economica e popolare implica, anche ove l'originaria zonizzazione del piano regolatore generale ne comportasse la qualificazione come suolo agricolo, che, in virtù della variante introdotta dal peep (che in tale parte va considerato strumento programmatorio e conformativo), la stessa ha acquisito carattere di edificabilità, e che la determinazione dell'indennità di esproprio deve adottare il criterio previsto dall'art. 5 bis , 1° co., l. 8.8.1992, n. 359

Il piano di edilizia economica e popolare, rientrando in un disegno normativo volto all'inquadramento in seno ad un più ampio strumento urbanistico delle vicende relative ad aree destinate all'edilizia economica e popolare, non può essere in contrasto con un precedente piano urbanistico generale, di cui costituisce, pur sempre, attuazione nella versione originaria o in quella modificata dal p.e.e.p. stesso che, del p.r.g., ha effetto di variante.
La indicazione, contenuta nel p.e.e.p., di un terreno con riferimento alla sua destinazione all'edilizia economica e popolare è, di per sé, elemento giustificativo del carattere edificatorio ex lege del bene, sia pur nei limiti consentiti dal p.e.e.p. stesso.
Ne consegue che, nella valutazione della natura edificabile del terreno secondo diritto, a fini espropriativi o risarcitori, in una fattispecie di espropriazione o di accessione acquisitiva, non è sufficiente il riferimento al p.r.g. nella sua originaria formulazione - anche se questa preveda la collocazione in zona agricola del terreno in questione - occorrendo, per converso, tenere presente la destinazione assunta dal terreno nel p.e.e.p. - che, del p.r.g. o del piano di fabbricazione, costituisce una legittima variante - onde riconoscerne la natura edificatoria e valutarne le caratteristiche.
In applicazione del suesposto principio di diritto, la suprema corte, confermando la pronuncia del giudice di merito, pur correggendone la motivazione, ha affermato che l'inserimento di un terreno nel piano per l'edilizia economica e popolare rendeva irrilevante la precedente destinazione del medesimo, comportando, ipso facto, la valutazione dell'area in termini di edificabilità - pur se nei limiti del piano - ai fini di cui all'art. 5 bis della l. n. 359 del 1992).
(Cass. civ., sez. I, 18.4.1998, n. 3948, RGE, 1998, 871).

La giurisprudenza ha inoltre precisato che nella valutazione della natura edificabile del terreno secondo diritto, ai fini espropriativi, occorre tenere presente la destinazione che quel terreno ha assunto nel p.e.e.p., che del p.r.g. o del piano di fabbricazione costituisce variante.
La natura edificatoria e le caratteristiche devono essere valutate sulla base degli indici edificatori fissati dal piano di zona.

In tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della determinazione del valore di mercato dell'area espropriata, deve tenersi conto dell'incidenza dei vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio, poiché essi afferiscono in via generale al regime giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i quali vengono assoggettati ad una preventiva conformazione e ad un particolare statuto urbanistico, che non costituisce espressione di un'attività discrezionale della p.a., ma attiene a tutti i suoli compresi in una determinata zona del piano regolatore
(Cass. Civ., sez. I, 29.4.1999, n. 4320, GCM, 1999, 978. Cass. Civ., Sez. U., 18.11.1997, n. 11433. Cass. civ., sez. I, 21.9.1999, n. 10183. Cass. civ., sez. I, 18.4.1998, n. 3948).

Le sentenze hanno affermato che, ai fini suddetti, deve valutarsi l'indice di edificabilità stabilito dal piano, mentre, in caso di espropriazione che ricade su una parte del suolo da destinare alla realizzazione di infrastrutture dell'opera complessiva - ad esempio una strada), non rileva la destinazione, per effetto del piano stesso, della residua parte all'esecuzione di tale opera (Cass. Cass. civ., sez. I, 16.1.1992, n. 496).
La giurisprudenza ha inoltre stabilito che, al fine della determinazione dell'indennità d'espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l'edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione, al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione deve tenere conto delle previsioni del piano per l'edilizia economica e popolare.

Al fine della determinazione dell'indennità d'espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l'edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione, al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione, ai sensi dell'art. 5 bis, l. 359 del 1992, deve tenere conto delle previsioni di tale piano per l'edilizia in punto di densità volumetriche, quali varianti del piano regolatore.
Tali previsioni fissano, di norma, indici medi di fabbricabilità, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all'intera area del piano stesso o ad una porzione differenziata per situazioni indipendenti dal progetto espropriativo.
Tale valutazione deve, invece, trascurare la maggiore o minore fabbricabilità che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni del piano per l'edilizia attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture.
Ne consegue che non è conforme a diritto la sentenza con la quale il giudice, in applicazione del metodo sintetico, attribuisce valore all'area mediante la semplice comparazione con altri suoli, nello stesso Comune, oggetto di compravendita nel medesimo periodo d'espropriazione di quello oggetto di stima, senza tenere alcun conto degli specifici indici del p.e.e.p. nel quale è compresa l'area in esame, i quali contribuiscono a determinare il valore ai fini del calcolo dell'indennità espropriativa secondo i criteri dell'art. 5 bis della l. 359 del 1992
(Cass. civ., sez. I, 6.12.2002, n. 17348, GCM, 2002, 2133. Cass. civ., Sez. U. 21.3.2001, n. 125).

Non mancano isolate decisioni contrarie che affermano come l’approvazione del piano di zona escluda l’edificabilità dell’area e renda, quindi, applicabile il sistema dell’indennizzo previsto dalla l. 865/1971 (Cass. civ., sez. I, 23.4.1998, n. 4194).




85. Il provvedimento di individuazione delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica.

LEGISLAZIONE: l. 5.8.1975, n. 412, art. 10.

Il provvedimento di individuazione delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica, di cui all'art. 10 della l. 5.8.1975, n. 412, presenta una duplice valenza.
Esso opera nello stesso tempo sia sul piano generale sia su quello speciale.
Il provvedimento costituisce variante al piano regolatore generale di cui integra le lacune previsionali.
Esso, inoltre, ha natura di piano particolareggiato poiché vincola aree destinate ad interventi specifici per la realizzazione dei quali occorre solo l'approvazione di un progetto edilizio.
L'art. 10 della l. 5.8.1975, n. 412, afferma con chiarezza che nel caso di scelta di aree non conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici la deliberazione costituisce, in deroga alle norme vigenti, variante al piano regolatore generale od agli altri strumenti urbanistici, a norma della l. 17.8.1942, n. 1150, così comprendendo non solo lo strumento urbanistico generale, ma anche quelli attuativi.
La interpretazione riduttiva è in contrasto con l'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187.
I vincoli preordinati all'espropriazione perdono efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi.
Questi strumenti esecutivi della pianificazione generale a loro volta non possono avere durata superiore a 10 anni, art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150.
Le cadenze temporali previste dalla norma hanno senso compiuto in un percorso procedimentale nel quale la pianificazione urbanistica acquista una dimensione solo con l'approvazione dei piani particolareggiati di esecuzione, ai quali compete di determinare gli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, ex art. 13, l. 1150 del 1942.
La durata di cinque anni, fissata dal legislatore come limite alla sopportabilità del sacrificio recato al titolare del bene, è protratta per un ulteriore periodo di dieci anni allorché dalla generica indicazione contenuta nello strumento urbanistico generale si passi alla localizzazione dell'opera pubblica e quindi ad una concreta previsione di attuazione dell'interesse pubblico sotteso alla sua realizzazione.
La scelta delle aree necessarie per l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica, di cui all'art. 10, l. 5.8.1975, n. 412, anche quando avvenga in deroga alle previsioni contenute nel piano regolatore generale, ha quale carattere essenziale quello di adempiere alla funzione di localizzare l'opera pubblica.
Da ciò deriva l'assimilazione, ai fini dell'applicazione dell'art. 2 della l. 19.11.1968, n. 1187, al piano particolareggiato.



86. Il piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale.

LEGISLAZIONE: d.p.r. n. 1523/1967, art. 146 - d.p.r. n. 218/1978, art. 51.

L'art. 146 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno, approvato con d.p.r. n. 1523 del 1967 ed ora gli artt. 51, e ss. del nuovo t.u., approvato con d.p.r. n. 218 del 1978, disciplinano la formazione dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale.
I consorzi dei comuni al fine costituiti svolgono funzioni meramente preparatorie di promozione e di studio; esse culminano nella predisposizione di un progetto di piano da sottoporre all'approvazione dell'autorità competente, che ne assume la paternità ed alla quale il piano è quindi imputato.
I piani così redatti hanno per oggetto la disciplina del territorio in funzione dell'interesse di dotarlo di strutture idonee per le localizzazioni industriali.
Essi, una volta approvati, producono, a norma dell’ art. 51 del d.p.r. n. 218/1978, gli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento, di cui all'art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150.
Essi determinano, nei comuni il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nel loro ambito, il mero obbligo di adeguare i loro strumenti urbanistici alle proprie determinazioni, ai sensi del successivo art. 6, l. 1150/1942.
Questi piani, lungi dall'essere vincolati all'osservanza dei piani regolatori comunali, si pongono, rispetto a questi ultimi, come strumenti primari generatori di un dovere assoluto di adeguamento; è altrettanto vero che sono pur sempre i piani regolatori comunali, anche se da essi vincolati, a costituire l'unica fonte diretta dell'assetto urbanistico del territorio comunale, per il che, anche quando difformi da questi ultimi, conservano - fino all'adeguamento spontaneo o tramite interventi sostitutivi - piena operatività in ordine alla qualificazione delle zone del territorio, nonché alla conformazione normativa del diritto di proprietà sui suoli interessati.

I piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, una volta approvati, producono, a norma dell'art. 51, d.p.r. 6.3.1978, n. 218, gli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento di cui all'art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150, per questo determinano, nei comuni il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nel loro ambito, l'obbligo di adeguare ad essi i loro strumenti urbanistici ai sensi del successivo art. 6 della l. 1150/1942
(Cass. Civ., sez. I, 23.3.2001, n. 4200, UA, 2001, 753).

La giurisprudenza ha correttamente sancito che il recepimento operato dal comune del piano territoriale del consorzio comporta che lo stesso non può rifiutare il provvedimento di rilascio del permesso di costruire conforme alle disposizioni così recepite.
La posizione di diniego del comune deve essere considerata come illegittima (T.A.R. Abruzzo Pescara, 23.1.2003, n. 177).
La durata del piano regolatore del Consorzio industriale ha la durata decennale dei piani attuativi dopo di che subentra la disciplina relativa alla mancanza di pianificazione urbanistica, ex art. 9, d.p.r. 380/2001.

La circostanza che i Comuni, ai sensi dell'art. 6, l. 17.8.1942, n. 1150, siano tenuti ad adeguare i propri strumenti urbanistici al piano regolatore del Consorzio industriale, che ha valore di Piano Territoriale di Coordinamento, non comporta che durante l’attesa delle predette modifiche debba intendersi sospeso il termine decennale di efficacia del piano consortile; la normativa, infatti, nel prevedere la necessità di tale adeguamento, non ha subordinato a








quest'ultimo l'inizio dell'efficacia dei vincoli di destinazione previsti dal piano, ma, al contrario, ha stabilito, con l'art. 25 comma 1, l. 3.1.1978, n. 1, che la data di approvazione del piano stesso costituisce dies a quo della predetta efficacia, con la conseguenza che i vincoli di destinazione vengono meno decorso il decennio, anche perché, giusta i principi, la proprietà privata non può essere sottoposta a vincoli espropriativi se non per il tempo fissato dalla legge
(T.A.R. Lazio Latina, 27.11.2001, n. 962).


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