mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 5 Pianificazione privata


CAPITOLO V I vincoli nella pianificazione attuativa a gestione privata.

SOMMARIO: 53. Il piano particolareggiato strumento di attuazione dei vincoli di piano.
54. I rapporti fra pianificazione generale e pianificazione attuativa.
55. La partecipazione nel procedimento di approvazione.
56. Gli effetti dell’approvazione.
57. Le procedure attuative del piano particolareggiato.
58. La procedura coattiva. L’intervento sostitutivo del comune.
59. La rettifica dei confini. L’intervento sostitutivo del comune.
60. La cessione dei terreni per la formazione di vie e piazze.
61. Il vincolo su aree sistemate a giardini privati.
62. Il comparto edificatorio.
63. La diffida ai proprietari ad eseguire gli interventi.
64. Il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. La programmazione degli interventi.
65. I limiti alle disposizioni di piano.
66. L'approvazione del piano di recupero.
67. Gli effetti della individuazione delle aree di recupero comunale. La decadenza dei vincoli di piano.
68. La lottizzazione del territorio. Il piano esecutivo di iniziativa privata.
69. L’obbligatorietà del piano di lottizzazione.
70. Il procedimento di approvazione.
71. Il termine perentorio per il procedimento di approvazione.
72. La convenzione comunale e gli oneri di urbanizzazione.
73. L’adeguamento della lottizzazione alla pianificazione urbanistica comunale sopravvenuta.
74. L’obbligo di motivazione.
75. I rapporti tra lottizzazione e i vincoli ambientali.
76. Il rilascio della super d.i.a. in presenza di pianificazione attuativa.
77. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
78. Il giudizio di ottemperanza all’obbligo di provvedere.
79. Il risarcimento del danno ingiusto.


53. Il piano particolareggiato strumento di attuazione dei vincoli di piano.

LEGISLAZIONE: l. urb., artt. 13, 16, 30.

Il piano particolareggiato è strumento esecutivo di attuazione e di sviluppo del piano regolatore generale (Mengoli 2003, 299).
Il contenuto di tale strumento precisa gli elementi, concernenti le modalità con le quali i vincoli del piano generale, attinenti sia la zonizzazione sia la localizzazione, possono trovare la loro esecuzione.

Il piano regolatore è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati:
le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze;
gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;
gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia;
le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano;
gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare;
la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future.
Ciascun piano particolareggiato di esecuzione deve essere corredato dalla relazione illustrativa e dal piano finanziario di cui al successivo art. 30
(art. 13, l. urb.).

Il piano si pone come istituto a contenuto autonomo, nel rispetto delle indicazioni dello strumento generale che fissa le destinazioni di ogni singola area in esso ricompresa.

I piani particolareggiati di esecuzione debbono indicare: le reti stradali ed i principali dati altimetrici di ciascuna zona, le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze, gli spazi per le opere pubbliche, gli edifici da demolire e ricostruire o soggetti a restauro, la suddivisione in lotti fabbricabili secondo la tipologia di piano, gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare, nonché la profondità delle zone laterali alle opere pubbliche; da tale contenuto consegue che tutte le aree libere del piano particolareggiato di esecuzione debbono avere una precisa destinazione, in un contesto unitario e globale, al fine di ottenere una programmazione organica dell'intero ambito considerato
(T.A.R. Lazio sez. I, 19 gennaio 1989, n. 21, FA, 1989, 3125).

La dottrina osserva come la funzione attuativa del piano regolatore generale risulti oggi sensibilmente ridimensionata dalla necessità di strumenti urbanistici che condizionino gli interventi edificatori.

Le funzioni del piano regolare risultano ridotte sia ad opera di quella giurisprudenza consolidata, secondo cui il piano regolatore può contenere non solo indicazioni di carattere programmatico da sviluppare in piani esecutivi, ma anche prescrizioni categoriche immediatamente impegnative ed obbligatorie, come tali costruttive di vincoli indipendentemente dalla formazione di uno strumento particolareggiato, sia a seguito della successiva evoluzione legislativa, che ha condotto alla previsione di altri strumenti urbanistici utilizzabili in attuazione del piano regolatore in alternativa, ovvero in luogo del piano particolareggiato, quali i piani di lottizzazione, i piani di edilizia economico popolare, i piani degli insediamenti produttivi e i piani di recupero
(Bergonzini 1996, 232).

Il provvedimento di approvazione del piano particolareggiato deve fissare, ai sensi dell'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150, il tempo, non superiore a dieci anni, entro il quale esso deve essere attuato ed i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni.

È illegittimo il provvedimento di approvazione del piano particolareggiato che non abbia fissato, ai sensi dell'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150, il tempo (non superiore a dieci anni) entro il quale il piano dovrà essere attuato ed i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni; né può ritenersi trattarsi di termine fissato direttamente dalla legge, dal momento che quello decennale è solo un termine massimo entro il quale deve essere predeterminato il momento finale di attuazione in relazione alla natura ed entità degli interventi previsti.
Non può ritenersi trattarsi di termine fissato direttamente dalla legge, dal momento che quello decennale è solo un termine massimo entro il quale deve essere predeterminato il momento finale di attuazione in relazione alla natura ed entità degli interventi previsti
(Cons. St., sez. IV, 30.10.1989, n. 704, CS, 1989, I, 1169).

Le sue prescrizioni possono riguardare l’attività edilizia privata, che è disciplinata per quanto attiene le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; la lottizzazione degli isolati, secondo le varie tipologie edilizie; l’individuazione delle proprietà da espropriare.
Riguardano, invece, opere ed attività di interesse pubblico la definizione delle reti stradali e degli spazi riservati ad opere pubbliche.
Il piano deve anche contenere una relazione illustrativa ed una relazione finanziaria, ai sensi dell’art. 13 della legge urbanistica, cui è riconosciuta scarsa rilevanza riducendone quindi la stessa credibilità per l’attuazione del piano.

A differenza di quanto previsto per il piano particolareggiato, la previsione finanziaria di massima è richiesta, nella redazione del piano regolatore generale, solo quando è necessario deliberare in ordine agli interventi espropriativi
(T.A.R. Liguria, 17.12.1981, n. 796, T.A.R., 1982, I, 536).



54. I rapporti fra pianificazione generale e pianificazione attuativa.

LEGISLAZIONE: d.m. 2.4.1968, n. 1444, art. 3.

Il piano particolareggiato non può adottare soluzioni in contrasto col piano regolatore.
Una interpretazione estensiva non ricollega ad una preventiva variante del piano regolatore generale né le modifiche - introdotte dal piano particolareggiato di esecuzione - che sono rivolte ad adeguare il piano a limiti ed a rapporti fissati coll’art. 3, d.m. 2.4.1968, n. 1444, né le modifiche parziali, che non incidono su criteri informativi del piano, come precisa l’art. 10, 8° co., l. urb., mod. l. 1.6.1971, n. 291.
Il piano particolareggiato, conformemente alla sua natura esecutiva ed alla sua posizione subordinata rispetto allo strumento urbanistico generale, può operare, di norma, solo nell'ambito delle prescrizioni del piano regolatore che siano suscettibili di ulteriori specificazioni.

Il piano particolareggiato può dettare norme all'interno degli spazi dispositivi che il piano non abbia espressamente occupato con esplicite previsioni. Il piano particolareggiato può contenere norme integrative o di adattamento, ma giammai contrastare con le prescrizioni poste dal piano regolatore generale e particolarmente con quelle attinenti alle destinazioni di zone che, a norma dell'art. 7, n. 2, l. 17.8.1942, n. 1150, ne costituiscono uno dei contenuti peculiari
(T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 19.7.1985, n. 198, T.A.R., 1985, I, 3351).

Tutte le altre varianti non possono essere adottate dal piano particolareggiato se prima non interviene una modifica al piano regolatore generale regolarmente approvata.
Tale sovraordinazione si estende agli altri strumenti portanti norme di carattere generale, come il regolamento edilizio.

Le disposizioni contenute nel piano particolareggiato non possono derogare dalle previsioni del regolamento edilizio comunale poiché, mentre il primo è uno strumento urbanistico di natura esecutiva, il secondo è uno strumento normativo al quale l'art. 33 della legge urbanistica attribuisce una funzione integrativa rispetto al piano regolatore generale
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 12.7.1985, n. 632, FA, 1986, 458).



55. La partecipazione nel procedimento di approvazione.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.

L'art. 7 della l. 7.8.1990, n. 241, nell'ambito di una nuova visione dell'azione amministrativa, fondata sulla base dei principi di democraticità cui si ispira la Carta costituzionale, ha come scopo quello di permettere all'interessato, nei cui confronti è destinato a produrre effetto un provvedimento amministrativo, di partecipare proprio allo stesso esercizio della funzione amministrativa, proponendo osservazioni, depositando memorie e documenti attraverso i quali l'Amministrazione può giungere ad adottare un giusto provvedimento, nel quale siano opportunamente contemperati gli interessi pubblici e privati.
La partecipazione, alla quale è finalizzata la comunicazione dell'avvio del procedimento, è, dunque, un mezzo di selezione degli interessi, uno strumento attraverso il quale sono destinati naturalmente ad emergere tutti gli interessi che esistono intorno ad una certa questione sulla quale l'Amministrazione deve assumere una decisione: la partecipazione deve poter influenzare la volontà dell'Amministrazione sia nel senso di incidere sul contenuto concreto dell'adottando provvedimento sia anche facendo recedere l'Amministrazione dall'adottare la stessa determinazione.
Nell’approvazione di un piano particolareggiato o di una sua variante è evidente che la partecipazione si impone per l'indiscutibile pregiudizio e danno che l'intervento pianificarlo determina a carico dell'area su cui il piano incide (T.A.R. Sardegna, 9.7.2002, n. 861, FATAR, 2002, 2724).
Né si può ex adverso invocare l'art. 13, 1° co., della l. 241/1990.
Detta disposizione non si applica nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione, volendo tale norma escludere una duplicazione delle forme di partecipazione procedimentale, ma non certo eliminarla radicalmente, con l'effetto - evidentemente distorsivo del parametro costituzionale di buon andamento dell'Amministrazione - di impedire addirittura ogni acquisizione e valutazione dei vari interessi privati coinvolti dall'esercizio del pubblico potere di pianificazione territoriale (Cons. St., Sez. IV, 24.10.2000, n. 5720).


56. Gli effetti dell’approvazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., artt. 16, 17 - t.u. espr. p.u., artt. 12, 58, 1° co., n. 62.

Il piano particolareggiato non ha effetti conformativi della proprietà - che sono propri del piano regolatore generale - ma attuativi.
Se i privati non realizzano spontaneamente le disposizioni di piano, queste possono essere attuate attraverso l’espropriazione o il sistema dei comparti edificatori.
L’approvazione del piano particolareggiato equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere previste dal piano, art. 16, 9° co., l. urb., diversamente da quella del piano regolatore generale che non comporta la dichiarazione implicita, ma la necessità, di volta in volta, di un provvedimento specifico.
La fase preparatoria di adozione non produce effetti; essa può semmai fare scattare eventuali misure di salvaguardia.

In base alla l. r. Sarda 22.12.1989, n. 45, l’adozione di una variante ad un piano particolareggiato o l'adozione di un nuovo piano non possono assumere immediata rilevanza giuridica (e, correlativamente, una posizione giuridicamente protetta), in quanto la formazione della volontà nell'ambito di un atto complesso, che implica il necessario espletamento di pluralità di fasi procedimentali, deve essere completata con l'adozione dell'atto conclusivo al termine della specifica procedura (come delineata dalla normativa regionale), al fine di poterne sostenere l'interesse - di diritto e non di mero fatto - alla sua conservazione; di conseguenza, è inammissibile il ricorso avverso la revoca di un provvedimento qualificabile solo come atto endoprocedimentale, rispetto al quale non è possibile vantare una posizione protetta
(T.A.R. Sardegna, 9.7.2002, n. 861, FATAR, 2002, 2724).

L’art. 16 è una delle disposizioni della l. urb. – dall’art. 13 all’art. 23 - che sono state espressamente abrogate dall’art. 58 , 1° co., n. 62, t.u. espr. p.u.
La norma ha suscitato non pochi dubbi in quanto essa ha lasciato un evidente vuoto nella normativa urbanistica assolutamente non giustificato né coperto dalla nuove norme.
Opportunamente, pertanto il legislatore è intervenuto, con l’art. 5, l. 166/2002, per precisare che l’abrogazione degli articoli della l. urb. si intende limitata alla parte di queste norme che riguarda l’espropriazione, in quanto il vecchio procedimento non può più trovare ragione d’essere in presenza di una nuova procedura.
L’integrazione ha avuto il plauso della dottrina che vede così scongiurato il pericolo dell'abrogazione dell’intera disciplina avente ad oggetto la pianificazione esecutiva (Forlenza 2002, 85).
Attraverso questa norma ripristinatoria viene però minata quella finalità manifestata dal legislatore, con l’art. 7, 2° co., lett. c), l. 50/1999 che delega l’emanazione del t.u. espr. p.u. prescrivendo l’esplicita indicazione delle norme abrogate.
Spetta ora, invece, all’interprete indicare quali norme debbano intendersi abrogate e se l’abrogazione deve intendersi parziale o totale.
La dichiarazione di pubblica utilità è ora attribuita all’approvazione degli strumenti attuativi dall’art. 12, d.p.r. l’8.6.2001, n. 327.
Viene conferita, in questo modo, all’immobile una qualità giuridica, che è condizione essenziale perché esso possa essere oggetto di un futuro provvedimento espropriativo e che incide sulla determinazione dell’indennità di esproprio.

Nella determinazione del valore di mercato di un terreno, al fine di stimare l'indennità di espropriazione, deve tenersi conto dell'incidenza negativa dei vincoli di destinazione, che vengono fissati dagli strumenti urbanistici nell'ambito della cosiddetta zonizzazione del territorio comunale.
Nella specie si tratta di un piano particolareggiato
(Cass. civ., sez. I, 29.11.1989, n. 5215, RGE, 1990, I, 344).

Gli effetti di piano si esplicano per tutta la sua durata: dieci anni.
Le disposizioni che stabiliscono gli allineamenti fra le costruzioni e definiscono la zonizzazione hanno, invece, una durata indeterminata e devono essere rispettate fino alla successiva modifica del piano, ai sensi dell’art. 17 della legge urbanistica.

Decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.
Ove il Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di termine, la compilazione potrà essere disposta dal prefetto a norma del secondo comma dell'art. 14.
(art. 17, l. urb.).

Trascorso tale periodo la dichiarazione di pubblica utilità decade, ma non le prescrizioni di zona.
La giurisprudenza conferma che è, tuttavia, preclusa la possibilità di procedere ad espropriazioni per attuare il piano:

L'effetto decadenziale dei piani urbanistici attuativi in seguito al decorso del termine decennale di cui all'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150 non si verifica per tutte le prescrizioni che regolano, come misura di salvaguardia in attesa del nuovo piano, l'attività edilizia dei privati, pur decadendo i piani stessi come strumenti di espropriazione, per il principio generale della temporaneità dei vincoli espropriativi sancito dalla l. 25.6.1865, n. 2359. Le concessioni edilizie da rilasciare, pertanto, non devono discostarsi o derogare in qualsiasi modo dal piano particolareggiato pur dopo la scadenza del termine decennale di efficacia
(T.A.R. Campania, sez. Salerno, 7.8.1997, n. 488, T.A.R., 1997, I, 3756).

Le norme urbanistiche si devono considerare tuttora vigenti poiché gli articoli considerati, artt. 16 e 17, l. urb., rinviano ad un procedimento ablatorio senza dettare norme in proposito.
Tale procedimento deve intendersi espressamente disciplinato dalle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327.


57. Le procedure attuative del piano particolareggiato.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 20.

Le procedure attuative, a seguito dell’approvazione del piano particolareggiato, sono consentite attraverso lo strumento dell’esproprio.
Lo strumento ablatorio, anche se è il mezzo più rapido, sicuramente comporta la necessità di adeguati finanziamenti.
La l. urb. prevede la possibilità che siano gli stessi privati ad eseguire direttamente i lavori che consistano in costruzioni, ricostruzioni e modificazioni degli immobili ad essi appartenenti.
Il sindaco deve, a tale scopo, imporre ai privati proprietari, previa diffida che deve essere trascritta, di eseguire le opere (Mengoli 2003, 318).
Dopo una successiva diffida, in caso di inottemperanza, si può procedere ad espropriazione, ai sensi dell’art. 20, l. urb.

Per l'esecuzione delle sistemazioni previste dal piano particolareggiato che consistano in costruzioni, ricostruzioni o modificazioni d'immobili appartenenti a privati, il sindaco ingiunge ai proprietari di eseguire i lavori entro un congruo termine.
Decorso tale termine il sindaco diffiderà i proprietari rimasti inadempienti, assegnando un nuovo termine. Se alla scadenza di questo i lavori non risultino ancora eseguiti, il comune potrà procedere all'espropriazione.
Tanto l'ingiunzione quanto l'atto di diffida di cui al primo ed al secondo comma devono essere trascritti all'ufficio dei registri immobiliari.
(art. 20, l. urb.).

L’abrogazione dell’art. 20 disposta dal d.p.r. 8.6.2001, n. 327 deve intendersi nel senso che il procedimento di esproprio deve ritenersi espressamente disciplinato dalle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 20, l. 17.8.1942, n. 1150, che disciplina l'esecuzione coattiva degli obblighi nascenti dal piano particolareggiato, può essere utilizzato anche per l'esecuzione in forma specifica degli obblighi relativi ai piani di lottizzazione, a nulla rilevando che il destinatario della procedura possa essere un soggetto obbligato su base consensuale (Cons. St., sez. IV, 3.11.1998, n. 1412, RGE, 1999, I, 495 T.A.R. Molise, 5.4.1995, n. 78, T.A.R., 1995, 2470).


58. La procedura coattiva. L’intervento sostitutivo del comune.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 21.

Se la sistemazione edilizia è condizionata da un eccessivo frazionamento della proprietà immobiliare sono previste procedure coattive.
Le aree pubbliche, che da sole non possano essere utilizzate per l’edificazione, vengono assegnate ai privati proprietari di aree confinanti, naturalmente dietro pagamento di una somma adeguata.
Il procedimento di assegnazione può essere censurato dai proprietari confinanti.

I proprietari frontisti di aree pubbliche, che ai sensi dell'art. 21, 1° co., l. 17.8.1942, n. 1150, possono acquisire queste ultime non altrimenti utilizzabili a seguito dell'esecuzione di un piano particolareggiato, non possono opporre tale loro qualità a confutazione del giudicato di annullamento dell'atto con cui illegittimamente il comune ha rimosso in autotutela la precedente alienazione di tali aree ad un terzo, atteso che il rapporto controverso è precedente e preliminare a quello cui tali proprietari fanno riferimento
(Cons. St., sez. V, 20.9.2000, n. 4886).

Il prezzo viene determinato sulla base del giovamento che deriva all’area a seguito dell’incorporamento.
La norma ha lo scopo di salvaguardare l’unità dei comparti edilizi consentendo, attraverso l’utilizzazione omogenea delle zone, interventi più razionali (Mengoli 2003, 320).
I criteri devono essere fissati dal regolamento d’attuazione, peraltro mai emanato.
Ove il proprietario non provveda all’accettazione di tale proposta il comune ha la facoltà di espropriare l’immobile cui le aree devono essere accorpate.

Le aree che per effetto della esecuzione di un piano particolareggiato cessino di far parte del suolo pubblico, e che non si prestino da sole ad utilizzazione edilizia, accedono alla proprietà di coloro che hanno edifici o terreni confinanti con i detti relitti, previo versamento del prezzo che sarà determinato nei modi da stabilirsi dal regolamento di esecuzione della presente legge, in rapporto al vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area.
Il Comune ha facoltà di espropriare in tutto o in parte l'immobile al quale debbono essere incorporate le aree di cui al precedente comma, quando il proprietario di esso si rifiuti di acquistarle o lasci inutilmente decorrere, per manifestare la propria volontà il termine che gli sarà prefisso con ordinanza del Sindaco nei modi che saranno stabiliti nel regolamento
(art. 21, l. urb.).

Il comune, anche in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimi, perché conformi all'art. 21, l. 17.10.1942, n. 1150, l'accessione e - quindi - l'acquisto da parte di un privato d’aree che cessino di far parte, a seguito dell’approvazione di strumenti attuativi, del suolo pubblico e che non siano di per sé utilizzabili, una volta corrisposto il prezzo di vendita all'amministrazione, e ciò indipendentemente dalla stipulazione di un atto formale, il cui valore non esce dall'ambito ricognitivo (T.A.R. Lazio, sez. II, 10.10.1989, n. 1402, T.A.R. 1989, 3798).
Sotto il profilo processuale, poiché l'art. 21, l. urb., tutela in modo diretto ed immediato la posizione, qualificabile come diritto soggettivo, dei privati confinanti, le relative controversie sono devolute alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario (Cass. civ., Sez. U., 18.12.1987, n. 9420, GC, 1988, 1558).



59. La rettifica dei confini. L’intervento sostitutivo del comune.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 22.

Un’altra procedura ha lo scopo di favorire il raggiungimento di un accordo fra i proprietari di aree confinanti per consentire la più idonea attuazione del piano modificando consensualmente gli stessi confini.
Se i proprietari non raggiungono un’intesa scatta l’intervento sostitutivo del comune.

Il Sindaco ha facoltà di notificare ai proprietari delle aree fabbricabili esistenti in un determinato comprensorio, l'invito a mettersi d'accordo per una modificazione dei confini fra le diverse proprietà, quando ciò sia necessario per l'attuazione del piano regolatore.
Decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica per dare la prova del raggiunto accordo, il Comune può procedere alle espropriazioni indispensabili per attuare la nuova delimitazione delle aree
(art. 22, l. urb.).

Il comune, anche in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327, ferma restando la validità della norma che non deve intendersi abrogata sotto il profilo sostanziale, ma solo per quanto attiene i possibili riflessi sul procedimento ablatorio.

La ratio che ispira l’art. 22 della l. urb. è volta a consentire la attuazione del piano regolatore. Se non sussiste tale scopo il contratto, con il quale il proprietario di un fondo edificabile acquisti dal comune porzioni limitrofe, non vincolate a destinazione pubblicistica, al fine di poter realizzare un fabbricato di maggiori dimensioni, in relazione al rapporto fra superficie dell'area e volume della costruzione prescritto dagli strumenti urbanistici, esula dall'ambito delle convenzioni di piano regolatore e configura una compravendita stipulata dall'ente territoriale iure privatorum (Cass. civ., Sez. U., 20.1.1987, n. 468, GCM, 1987).

Il mancato rispetto dei termini fissati nel provvedimento comunale comporta la possibilità per il comune di espropriare gli immobili interessati per attuare d’ufficio la nuova delimitazione delle aree.


60. La cessione dei terreni per la formazione di vie e piazze.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 24.

I proprietari della aree antistanti alle vie e piazze in corso di formazione sono tenuti a cedere i terreni necessari per la realizzazione della metà di vie e piazze, fino ad una profondità massima di 15 metri, a scomputo del contributo di miglioria

Per la formazione delle vie e piazze previste nel piano regolatore può essere fatto obbligo ai proprietari delle aree latistanti di cedere, a scomputo del contributo di miglioria da essi dovuto, il suolo corrispondente a metà della larghezza della via o piazza da formare fino a una profondità massima di metri 15. Quando il detto suolo non gli appartenga, il proprietario dell'area latistante sarà invece tenuto a rimborsare il Comune della relativa indennità di espropriazione, fino alla concorrenza del contributo di miglioria determinato in via provvisoria.
Qualora alla liquidazione del contributo di miglioria, questo risulti inferiore al valore delle aree cedute o dell'indennità di esproprio rimborsata, il Comune dovrà restituire la differenza
(art. 24, l. urb.).

Ferma restando la validità della norma, il comune, in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327 per determinare l’indennità di esproprio.
Il contributo di miglioria è stato soppresso dall'art. 1, l. 9.10. 1971, n. 825.
La giurisprudenza non è uniforme nell’affermare la necessità dello scomputo del contributo per l’applicazione della norma.
Per alcune sentenze l’istituzione del contributo è condizione indispensabile perché il comune possa esercitare la facoltà di richiedere la cessione, senza promuovere il procedimento espropriativo, con conseguente corresponsione dell'indennizzo agli interessati.

La facoltà del comune di conseguire dal privato la cessione di aree a scomputo del contributo di miglioria per opere di urbanizzazione primaria, ai sensi e nel vigore dell'art. 24, della l. 17.8.1942, n. 1150, postula l'istituzione di detto contributo, e, pertanto, difettando quest'ultima, non può escludere la responsabilità risarcitoria del comune medesimo per l'occupazione senza titolo di quelle aree
(Cass. civ., sez. I, 19.1.1981, n. 455, GI, 1983, I, 1, 338. Cass. civ., sez. II, 18.4.1987, n. 3872, RGE, 1987, 820).

Contrariamente altra giurisprudenza ritiene che la abrogazione del contributo non renda necessario ricorrere al procedimento ablatorio essendo sufficiente corrispondere il quantum adeguato al valore dei beni ceduti.

Il contratto con cui il privato, ai sensi e sotto il vigore dell'art. 24 della l. urb., cede al comune porzioni di suolo per la realizzazione di vie o piazze pubbliche a scomputo del contributo di miglioria che sarebbe stato successivamente liquidato non è nullo, per un vizio genetico o funzionale della causa, per la impossibilità della istituzione del contributo da parte del comune in seguito alla sua abolizione, giacché resta fermo l'obbligo dell'ente di corrispondere il prezzo della cessione, corrispondente al valore dei beni ceduti
(Cass. civ., Sez. U., 17.6.1982, n. 3674, VN, 1982, 720).

Se la proprietà dell’area antistante non appartiene al privato proprietario dell’immobile, è questo stesso che è tenuto a corrispondere l’indennizzo, per la parte di sua competenza, al proprietario dell’area, ai sensi dell’art. 24 della l. urb. (Cass., sez. I, 19.12.1981, n. 445, FI, 1982, 1, 1394).



61. Il vincolo su aree sistemate a giardini privati.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 25.

Misure dirette a salvaguardare le aree verdi sono dettate dall’art. 25, l. urb., che consente di sottoporre a vincolo di inedificabilità le aree libere adibite a giardini privati confinanti con gli edifici in misura superiore agli standard di zona:

Le aree libere sistemate a giardini privati adiacenti a fabbricati possono essere sottoposte al vincolo dell'inedificabilità anche per una superficie superiore a quella di prescrizione secondo la destinazione della zona. In tal caso, e sempre che non si tratti di aree sottoposte ad analogo vincolo in forza di leggi speciali, il Comune è tenuto al pagamento di un'indennità per il vincolo imposto oltre il limite delle prescrizioni di zona
(art. 25 l. urb.).

Ferma restando la validità della norma, il comune, in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327 per determinare l’indennità di esproprio.
La domanda diretta a conseguire l'indennità prevista dall'art. 25, l. 17.8.1942, n. 1150, per il vincolo di inedificabilità imposto dagli strumenti urbanistici su aree libere sistemate a giardini privati, rientra nella competenza del tribunale e non in quella della Corte d'appello in unico grado.
L'art. 19, l. 22.10.1971, n. 865, non è applicabile poiché la disciplina dettata da questo articolo prevede l’emanazione di un provvedimento ablatorio in senso formale, che intervenga almeno al momento della decisione, anche se non è necessaria la stima, in sede amministrativa, del valore del bene venduto (Cass. civ., sez. I, 12..4.1996, n. 3473, FI, 1997, 1240).
La destinazione a verde pubblico di giardini privati adiacenti a fabbricati può essere disposta dal piano regolatore generale; in tal caso il comune è tenuto al pagamento dell’indennizzo solo nel caso venga superato il limite delle prescrizioni urbanistiche già esistenti nella zona (Cons. St., sez. IV, 7.6.1977, n. 576, RGE, 1978, 773).


62. Il comparto edificatorio.

LEGISLAZIONE: c.c. art. 870 - l. urb., art. 23.

Il comparto edilizio rappresenta l’ultima fase della programmazione esecutiva lasciata alla discrezionalità della amministrazione.
Con tale strumento la fase vincolistica di piano trova attuazione definitiva.
I comparti costituiscono unità fabbricabili, con speciali modalità di costruzione e di adattamento al preesistente tessuto connettivo urbano, diverse l'una dall'altra, dipendendo dalla grandezza del lotto, dalla pendenza del terreno, dalla vicinanza o meno a costruzioni preesistenti e quindi delle distanze da mantenere.


La scelta dell'amministrazione d'inserire, o meno, in un comparto edificatorio alcune aree piuttosto che altre consimili, investe le determinazioni discrezionali riservate all'amministrazione stessa in sede di assetto del territorio; coinvolge, quindi, il merito delle scelte di piano che non necessitano di specifica motivazione qualora, come nella specie, non si concretino in varianti specifiche, ad oggetto limitato, o non siano dirette ad intaccare un concreto affidamento ingenerato dalla pregressa azione dell'amministrazione
(T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 28.2.1998, n. 142).
Per poter giungere alla determinazione del comparto è necessaria la preventiva, o almeno contestuale, adozione del piano particolareggiato.
La validità decennale del piano particolareggiato è, pertanto, un termine di riferimento per l’attuazione del comparto.
Il comparto è, per definizione - data dall'art. 23 della l. urb. - una unità fabbricabile che comprende aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo le prescrizioni del piano particolareggiato.

Indipendentemente dalla facoltà prevista dall'articolo precedente il comune può procedere, in sede di approvazione del piano regolatore particolareggiato o successivamente nei modi che saranno stabiliti nel regolamento, ma sempre entro il termine di durata del piano stesso, alla formazione di comparti costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo speciali prescrizioni.
Formato il comparto, il sindaco deve invitare i proprietari a dichiarare entro un termine fissato nell'atto di notifica, se intendano procedere da soli, se proprietari dell'intero comparto, o riuniti in consorzio alla edificazione dell'area e alle trasformazioni degli immobili in esso compresi secondo le dette prescrizioni.
A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base all'imponibile catastale, i tre quarti del valore dell'intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.
Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il comune procederà all'espropriazione del comparto.
Per l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base di un prezzo corrispondente alla identità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente all'aumento di valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.
In caso di diserzione della gara, il comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati
(art. 23, l. urb.).

I comparto costituisce, a tal punto, l’unità minima fabbricabile per la quale è possibile rilasciare il permesso di costruire.

Dopo la divisione del territorio in “isolati” mediante la formazione del reticolo stradale, si procederà alla divisione degli isolati in lotti fabbricabili, sui quali tuttavia la superficie coperta non potrà estendersi oltre il limite dettato dalle prescrizioni di zona; indi si procederà alla formazione dei veri e propri “comparti edificatori” costituenti unità fabbricabili.
Il concetto di comparto, quindi, è diverso da quello di “isolato” e di “lotto”, in quanto costituisce unità fabbricabile autonoma e topograficamente precisata ed individuata, che può riunire aree ed edifici appartenenti a diverse persone, che per tale effetto devono associarsi e per il quale vengono ulteriormente determinati i vari caratteri delle costruzioni
(Mengoli 2003, 321).

L’individuazione di queste unità fabbricabili ripropone le scelte compiute in sede di piano particolareggiato, salvo che vengano specificate ulteriori modalità esecutive.
Con riguardo ai comparti edificatori, di cui all’art. 870 del c.c., all’art. 23 della l. 17.8.1942, n. 1150 e all’art. 13 della l. 28 1.1977, n. 10, i Comuni sono muniti di poteri autoritativi, a difesa di esigenze generali, pure per quanto attiene al riscontro dei presupposti per la costituzione dei comparti medesimi, alla determinazione della loro dimensione, alle modalità di formazione, alla scelta delle opere da eseguire, alla ripartizione di oneri ed utili (Cass. civ., Sez. U., 22.2.1990, n. 1316).
I comparti costituiscono unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento al preesistente tessuto connettivo urbano che sono diverse l'una dall'altra in quanto variano a seconda della grandezza del lotto, della pendenza del terreno, della vicinanza o meno a costruzioni preesistenti e quindi delle distanze da mantenere, ex art. 870 c.c. e art. 23 della l. urb. (Cass. civ., sez. I, 12.7.1993, n. 7678, GCM, 1993, 1158. Cons. St., sez. IV, 17.7.1996, n. 860, FA, 1996, 2234).
La giurisprudenza riconosce ai soggetti facenti parte del comparto la possibilità di ridistribuire la cubatura realizzabile sull’intero lotto a tutti i proprietari, in relazione all’area posseduta.

Lo strumento del comparto edificatorio si presta ad una ridistribuzione forzosa dei volumi edificabili, essendo proprie del medesimo anche le finalità tipicamente ascrivibili alla c.d. urbanistica perequativa, la quale intende riconoscere a tutti i terreni chiamati ad usi urbani un diritto edificatorio la cui entità sia indifferente alla destinazione d'uso, ma dipenda invece dallo stato di fatto e di diritto in cui essi si trovano al momento della formazione del p.r.g.
(T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 5.7.2002, n. 670, FATAR, 2002, 2653).



63. La diffida ai proprietari ad eseguire gli interventi.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 23, 4°, 5°e 6° co.

Il comparto dà la possibilità di esperire una procedura diversa da quella ablatoria per attuare le scelte di piano.
Esso si presenta, quindi, innovativo rispetto al piano particolareggiato.
Il sindaco deve procedere a notificare ai privati, proprietari degli immobili compresi nel comparto edilizio, una richiesta di adesione alla realizzazione delle edificazioni e delle trasformazioni previste dallo strumento urbanistico.
Il sindaco può essere diffidato ad iniziare la procedura attuativa; il silenzio diniego relativo è impugnabile, infatti, presso la giustizia amministrativa.
I proprietari possono accettare - da soli od uniti in consorzio - di attuare il piano.
I proprietari dei tre quarti del valore dell’intero comparto, valutato sulla base dell’imponibile catastale, possono conseguire la disponibilità dell’intero comparto tramite l’espropriazione delle aree e delle costruzioni dei proprietari che non vi aderiscono e, successivamente, possono costituire un consorzio di proprietari intenzionato ad eseguire le opere.
La formazione del consorzio comporta che la posizione giuridica dei proprietari consorziati si configura come diritto soggettivo, che li esclude dalla possibilità di essere soggetti passivi di un successivo procedimento ablatorio.

Chi non ha aderito nel termine all’invito vede degradare il diritto di proprietà ad interesse legittimo, poiché il suo bene diviene suscettibile d’espropriazione a favore degli altri proprietari aderenti o a favore dell’assegnatario dell’intero comparto.
Egli è titolare di un interesse al regolare svolgimento della procedura d’espropriazione tutelabile davanti al giudice amministrativo.
(Mengoli 2003, 323)

La legislazione regionale della Sardegna consente ad alcuni proprietari di imporre le loro scelte progettuali agli altri proprietari che si rifiutano di aderire alla proposta di piano.

L'art. 3, 3° co., l. r. Sardegna 1.7.1991, n. 20 - nel consentire ai proprietari immobiliari, i quali dimostrino l'impossibilità di elaborare un piano attuativo per mancanza di assenso di altri proprietari, di predisporre il piano stesso esteso all'intera area, previa autorizzazione del comune - non è dettato nell'esclusivo interesse dei proprietari: infatti, solo l'esistenza di un vincolo di utilizzazione coordinata di un determinato comparto edificatorio può consentire a taluni proprietari d'imporre le loro scelte, rispetto ad altri con il quale non abbiano raggiunto un accordo, ad evitare che porzioni di territorio comunale restino inedificate in contrasto con le previsioni del piano, e che i soggetti più forti economicamente siano posti in grado di attuare manovre speculative, in danno dei proprietari che hanno più necessità di realizzare il valore delle loro aree
(T.A.R. Sardegna, 10.6.1999, n. 766, FA, 2000, 231).

Nell’ipotesi di mancata formazione del consorzio, sia qualora i proprietari abbiano espressamente dichiarato di non volere procedere sia nel caso in cui abbiano lasciato trascorrere il termine fissato senza averlo costituito, ovvero nel caso di mancata esecuzione dei lavori da parte dello stesso, il comune procede all’espropriazione dell’intero comparto.
Il comune può iniziare il procedimento ablatorio anche qualora, successivamente all’adesione, i proprietari omettano di formare il consorzio entro il termine concordato con il comune oppure non provvedano alla stipulazione relativa alla costituzione del comparto ovvero non inizino i lavori nei termini fissati per l’attuazione dello stesso.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il Comune procederà all'espropriazione del comparto.
Per l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati in conformità a un prezzo corrispondente alla indennità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente all'aumento di valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.
In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.
(art. 23, 4°, 5°e 6° co., l. urb.).

Il comune, dopo avere effettuato l’esproprio del comparto, avvalendosi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327, per determinare la relativa indennità, deve bandire la gara per la sua assegnazione che deve essere riservata ai soli proprietari.
Il prezzo base deve essere corrispondente alla indennità di espropriazione aumentata di una somma che tenga conto dell’incremento di valore derivante dall’approvazione del piano.
Nel caso di gara deserta, essa deve essere ripetuta, ammettendo tutti coloro che sono interessati.


64. Il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. La programmazione degli interventi.

LEGISLAZIONE: l. 5.8.1978, n. 457, art. 27.

Il piano di recupero è strumento urbanistico attuativo delle scelte operate dal piano regolatore generale; la relativa disciplina è contenuta nella l. 457/1978.
Il piano costituisce un vincolo per l’attuazione degli interventi nella zona ivi compresa.
In ogni caso la individuazione delle aree di recupero comporta un limite all’intervento del privato. L’intervento deve, infatti, essere finalizzato al mantenimento del patrimonio esistente mediante lavori conservativi.
Esso dispone un vincolo conformativo delle proprietà in esso rappresentate come le disposizioni che rinviano l’esecuzione degli interventi alla pianificazione esecutiva.
Per potere avere l’effetto di vincolo degli interventi lo strumento urbanistico generale deve individuare le aree oggetto di interventi di recupero, ex art. 27, l. 5.8.1978, n. 457.
Successivamente a detta scelta l'amministrazione comunale o i privati devono predisporre i relativi piani di recupero.
Ai fini del recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, l'art. 27, l. 5.8.1978, n. 457, impone al consiglio comunale di individuare le zone su cui intervenire.

Si sottolinea la posizione ed il ruolo cardine che la legge assegna nel sistema all’individuazione imperativa, preventiva e generale delle zone in condizioni di degrado
(Migliarese 1996, 164).
Ai fini del recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, l'art. 27, l. 5.8.1978, n. 457, consente al consiglio comunale di individuare, in sede di formazione dello strumento urbanistico generale - ovvero al di fuori di esso per i comuni che ne sono già dotati - dapprima una zona di recupero e poi, come operazione logicamente, se non temporalmente, successiva, nell'ambito di questa, immobili od aree da assoggettare a tale tipo di intervento.
Non vi è ragione di dubitare che sia piena facoltà del comune individuare, anche successivamente al piano, le aree di recupero.
L'interpretazione più restrittiva vuole che la delibera sia adottata secondo le modalità di approvazione di variante al piano regolatore.
Questa doppia possibilità non impedisce al comune di individuare, nel proprio territorio, mere zone di recupero o, viceversa, zone interamente assoggettate a piani di recupero, ferma restando, in ogni caso, la diversità di disciplina.

Per il riassetto attraverso lo specifico strumento di pianificazione degli interventi non è consentito alcun assentimento di operazione edilizia al di fuori del piano, mentre la preclusione dell'art. 27 non ha ragion d'essere per gli immobili assoggettati al piano stesso
(T.A.R. Puglia, sez. I, Lecce, 20.8.1991, n. 498, FA, 1992, 1482).



65. I limiti alle disposizioni di piano.

LEGISLAZIONE: l. 5.8.1978, n. 457, art. 28.

Nella scala delle fonti il piano di recupero è subordinato alle disposizioni di legge che impongono limiti inderogabili come quelli fissati in tema di distanze dal d.m. 2.4.1968, n. 1444 o anche dal piano regolatore.

Va disapplicata la norma del piano di recupero che prevede la possibilità di edificare ad una distanza inferiore a m. 10 tra pareti finestrate, in quanto tale distanza rappresenta quella minima inderogabile prestabilita dall'art,. 9, del d.m. 2.4.1968, n. 1444, cioè da un decreto che, in quanto emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41 quinquies, l. 17.8.1942, n. 1150, introdotto dalla l. 6.8.1967, n. 765, ripete dal rango della stessa legge delegante la forza di norma legislativa capace di integrare l'art. 872 c.c.
In presenza di contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare, deve ritenersi disapplicabile la seconda, giacché è consentito al Giudice Amministrativo sindacare gli atti di normazione secondaria, incidenti su diritti soggettivi di terzi, al fine di accertarne l'idoneità ad innovare l'ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa
(T.A.R. Abruzzo Pescara, 27.10.2002, n. 1023, FATAR, 2002, 3309).

Le prescrizioni contenute nei piani di recupero formati ai sensi dell'art. 28, l. n. 457 del 1978, per la rimozione dello stato di degrado del patrimonio edilizio comunale sono soggette all'osservanza delle disposizioni del piano regolatore generale quali norma di grado superiore. Ne consegue che non è ammissibile la deroga, in caso di interventi edilizi previsti in detto piano di recupero, alle previsioni degli strumenti urbanistici generali in tema di distanze tra costruzioni
(Cass. Civ., sez. II, 13.10.2000, n. 13639, DiG, 2000, f. 40-41, 75).

Le norme del piano di recupero devono, inoltre, rispettare le prescrizioni di carattere generale contenute nel piano regolatore, non potendo apportare alcuna deroga che non sia preceduta da una variante di piano.

Il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente, disciplinato dagli artt. 27-30, l. n. 457, del 1978, è strumento di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo che non può contenere norme o prescrizioni difformi da quelle poste col piano regolatore, essendo vincolato al rispetto di ogni previsione contenuta nell'atto di pianificazione generale
( T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 4.6.2002, n. 3725, FATAR, 2002, 2147).

I piani di recupero sono strumenti di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo, aventi i medesimi effetti, ai sensi dell'art. 28, 4° co., l. 457/1978, dei piani particolareggiati, nei confronti dei quali si trovano in rapporto di parità; quindi i due strumenti urbanistici attuativi possono essere alternativamente utilizzati dal comune (T.A.R. Lazio, sez. II, 23.12.1991, n. 1979, T.A.R., 1992, I,83).
I suddetti piani possono avere per oggetto non solo un recupero edilizio - nell'ambito del quale sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro e ristrutturazione edilizia - bensì anche un recupero urbanistico.

Questo intervento ha per oggetto la definizione del tessuto urbanistico di un'area o di un complesso di aree, anche in relazione agli spazi e alle opere pubbliche esistenti o da programmare per le esigenze della collettività; pertanto, solo nel caso in cui il piano riguardi il recupero edilizio può essere ritenuta legittima la limitazione dell'intervento a singoli compendi immobiliari.
Resta l'obbligo, da parte dell'autorità comunale, di dimostrare adeguatamente l'interesse pubblico alla realizzazione del piano in rapporto alle strutture edilizie già esistenti
(Cons. St., sez. IV, 28.5.1988, n. 468, FA, 1988, 1349).

La giurisprudenza consente che il piano preveda anche interventi di nuova costruzione che completano le disposizioni dettate in tema di recupero della zona.

La funzione precipua del piano di recupero è la conservazione del patrimonio edilizio esistente mediante la riqualificazione e la ridefinizione del tessuto urbano ai fini di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico degradato per conservare e riutilizzare il patrimonio, sicché la connotazione tipica dello strumento in questione, che ne individua i limiti oggettivi, è pur sempre caratterizzata dalla conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del patrimonio esistente, con la conseguenza che è del tutto marginale che il recupero edilizio, consistendo in interventi sugli elementi costitutivi degli edifici esistenti, possa comportare incrementi volumetrici ossia nuove edificazioni
(T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 19.9.2002, n. 4016, FATAR , 2002, 2989).

Per le aree e gli immobili non assoggettati al piano di recupero possono attuarsi quegli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali.
Per quanto attiene più specificatamente alla necessità dell'adozione di un piano di recupero la giurisprudenza richiede una specifica individuazione degli immobili su cui si intende intervenire.

Ottenere il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico che si trovi in condizioni di degrado e presuppongono che la condizione di degrado sia riferita, non in modo indiscriminato e generico ad una vasta parte dell'aggregato urbano, agli immobili e complessi edilizi ed aree singolarmente individuate
(T.A.R. Umbria, 13.12.1989, n. 825, TAR, 1990, 725).


66. L'approvazione del piano di recupero.

LEGISLAZIONE: l. 5.8.1978, n. 457, art. 27.

I piani di recupero, che interessano le aree precedentemente individuate dallo strumento urbanistico generale, sono approvati con deliberazione del consiglio comunale, con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano.
Prima di tale approvazione sussiste solo un progetto di piano che non può essere impugnato in quanto non produce ancora i suoi effetti.

Il progetto preliminare di un piano di recupero è strumento di studio e di predisposizione di interventi, ma non individua, come invece fa il progetto esecutivo, le singole aree e l'oggetto definitivo delle statuizioni amministrative.
Pertanto il progetto preliminare non è direttamente impugnabile, per carenza di quegli effetti lesivi che derivano esclusivamente dal successivo progetto esecutivo
(Cons. St., sez. IV, 22.6.2000, n. 3557, FA, 2000, 2148).

L’adozione del piano comporta l’obbligo di imporre le misure di salvaguardia, intese a sospendere la richiesta di provvedimenti autorizzatori in contrasto con le disposizioni di piano.

In seguito a domanda di concessione edilizia è legittima l'adozione di misure di salvaguardia con l'individuazione delle aree oggetto del piano di recupero ex art. 27, l. 5.8.1978, n. 457
(Cons. St., sez. V, 26.7.1999, n. 895, GBLT, 2000, 152).

La legge non precisa i termini entro i quali devono essere presentate le opposizioni.
Esse possono essere validamente prodotte, anche direttamente, alla commissione regionale di controllo, fino a che questa non abbia apposto il visto di legittimità ovvero non siano passati i venti giorni dalla presentazione, dopo i quali le delibere comunali diventano esecutive.
I piani di recupero hanno il compito di individuare le unità minime di intervento e, fino alla loro approvazione, non è consentito il rilascio dei permessi di costruire nell'ambito delle zone di recupero.
Il piano di recupero deve, come è di norma per i piani attuativi, essere individualmente notificato ai proprietari delle aree in esso comprese e sottoposte a vincolo (Mengoli 2003, 366).
La mancata notifica non rileva ai fini della validità del piano, ma è importante ai fini della sua impugnabilità:

In caso di omessa notifica individuale, ai proprietari interessati non è opponibile l'inoppugnabilità del piano, sicché il ricorso giurisdizionale ben può essere notificato da costoro ancorché sia decorso il termine di sessanta giorni dalla conclusione del periodo di pubblicazione della delibera comunale che quel piano abbia adottato
(Cons. St., sez. IV, 28.5.1988, n. 468, FA, 1988, 134).




67. Gli effetti della individuazione delle aree di recupero comunale. La decadenza dei vincoli di piano.

LEGISLAZIONE: l. 5.8.1978, n. 457, art. 27, 4°, 5° co., 28.

La individuazione delle aree di recupero costituisce un vincolo per l’attuazione degli interventi nella zona ivi compresa.
Se le aree non sono soggette al piano di recupero sono consentiti degli interventi minimali – dalla manutenzione alla ristrutturazione edilizia purché riguardino singole unità immobiliari - da realizzarsi con provvedimento autorizzatorio.
Detti interventi minimali sono consentiti, anche qualora il piano di recupero sia previsto, ma non sia stato attuato nei tempi stabiliti o sia decaduto per scadenza dei termini.
In tal caso si possono realizzare gli interventi conformi agli strumenti urbanistici senza necessità di strumentazione esecutiva.

Per le aree e gli immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in questo si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali. Ove gli strumenti urbanistici generali subordinino il rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell'ambito delle zone destinate a servizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'art. 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell'art. 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti purché il concessionario si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell'interessato, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi della l. 28.1.1977, n. 10 e successive modificazioni
(art. 27, 4°, 5° co., l. 457/1978 e mod.).

Nel caso in cui il piano regolatore individui la necessità di procedere attraverso strumenti urbanistici attuativi ovvero qualora il piano di recupero non sia approvato dall'amministrazione entro i tre anni dalla localizzazione si manifestano gli effetti previsti per la carenza di approvazione di piano, ai sensi dell'art. 28, 3° co., l. 457/1978.

I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente art. 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento.
I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui al'art. 59, l. 10.2.1953, n. 62.
Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al terzo comma del precedente art. 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l'individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente art. 27, l. 457/1978
(art. 28, 1°, 2°, 3° co., l. 5.8.1978, n. 457).

L'individuazione del piano di recupero decade ad ogni effetto e si applica l'art. 27, 4°, 5° co., l. 457/1978, così come modificato dall'art. 14 della l. 179/199.
In tal caso per le aree comprese nel piano di recupero, ma per le quali il temine triennale per l'approvazione è scaduto, sono consentiti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di restauro e di ristrutturazione edilizia che debbono riguardare opere interne e singole unità immobiliari con il mantenimento delle destinazioni d'uso residenziali (Gambaro 1979, 28).

Ai sensi degli artt. 27 e ss., l. 5.8.1978, n. 457, il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente si perfeziona, dapprima, con la definizione (in sede di p.r.g. o con apposita deliberazione del consiglio comunale) delle aree e dei fabbricati d'intervento con conseguente inibizione per il triennio successivo dell'attività edificatoria e, poi, con l'approvazione del piano stesso (che ha la giuridica efficacia degli strumenti urbanistici attuativi), per cui già l'atto di definizione legittima l'adozione delle misure di salvaguardia per le aree interessate.
Pertanto, non integra il presupposto per l'intervento sostitutivo del comune reputato inadempiente la risposta che detta p.a. fornisce al privato nel sospendere ogni determinazione sulla di lui istanza di concessione edilizia per un intervento costruttivo in area ricadente tra quelle individuate per il recupero, in pendenza del termine per l'approvazione del relativo piano, non avendo tale risposta alcun carattere elusivo o defatigatorio
(Cons. St., sez. V, 26.7.1999, n. 895, FA, 1999, 1469)

Se il rinvio al piano particolareggiato è previsto per interventi che riguardano globalmente edifici costituiti da più alloggi è consentito l'intervento, purché siano mantenute le destinazioni d'uso residenziali e sia convenzionato col comune il prezzo di cessione (Barbieri 1983, 2329).
Sono consentiti, pertanto, in attesa degli strumenti urbanistici attuativi, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di risanamento e ristrutturazione edilizia che riguardino singole unità immobiliari.
Gli interventi sopra citati sono legittimi anche qualora vi sia un vincolo sulla zona con destinazione a servizi che sia scaduto per decorso del quinquennio.
Inoltre sono consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia che riguardino uno o più edifici anche se con tali interventi il costruttore modifichi fino al 25% delle destinazioni preesistenti: ad esempio, in un fabbricato di quattro piani residenziali il progetto ricavi il piano terreno a destinazione negozi od uffici.
In tal caso il concessionario deve impegnarsi alla stipula di una convenzione col comune per determinare i prezzi di vendita (Centofanti 2002, 95).



68. La lottizzazione del territorio. Il piano esecutivo di iniziativa privata.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28 - l. 765/1967, art. 7.

Il piano di lottizzazione costituisce la forma di urbanizzazione del territorio lasciata prevalentemente all'iniziativa privata.
Il costruttore si impegna col comune a realizzare l’intervento ed a cedere le aree per l’urbanizzazione primaria e secondaria.
Il vincolo di piano esecutivo si realizza attraverso l’accordo fra costruttore e comune che sostituisce il procedimento attuativo della pianificazione generale.

Per lottizzazione si intende l’operazione che consiste nel frazionamento di un terreno agricolo o improduttivo in lotti edificabili, ossia in superfici minori idonee per una edificazione sistematica
(Travi 1996, 147).

L'art. 7 della legge ponte 765/1967, modificando l'art. 28 della l. urb., vieta la lottizzazione prima dell'approvazione degli strumenti urbanistici generali.

1. Prima dell'approvazione del piano regolatore generale o del programma; di fabbricazione di cui all'art. 34 della presente legge è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio.
2. Nei Comuni forniti di programma di fabbricazione ed in quelli dotati di piano regolatore generale fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione, la lottizzazione di terreno a scopo edilizio può essere autorizzata dal Comune previo nulla osta del presidente della giunta regionale.
3. L'autorizzazione di cui al comma precedente può essere rilasciata anche dai Comuni che hanno adottato il programma di fabbricazione o il piano regolatore generale, se entro dodici mesi dalla presentazione alla regione la competente autorità non ha adottato alcuna determinazione, sempre che si tratti di piani di lottizzazione conformi al piano regolatore generale ovvero al programma di fabbricazione adottato.
6. Il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi.
7. Sono fatte salve soltanto ai fini del quinto comma le autorizzazioni rilasciate sulla base di deliberazioni del Consiglio comunale, approvate nei modi e forme di legge, aventi data anteriore al 2.12.1966.
8. Il termine per l'esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, salvo che non sia stato previsto un termine diverso.
9. Le autorizzazioni rilasciate dopo il 2.12.1966 e prima dell'entrata in vigore della presente legge e relative a lottizzazioni per le quali non siano stati stipulati atti di convenzione contenenti gli oneri e i vincoli precisati al quinto comma del presente articolo, restano sospese fino alla stipula di dette convenzioni.
(art. 28, 1°, 2°, 3°, 6°,7°, 8° , 9° co., l. urb.).

Una ulteriore limitazione deriva dall'art. 13 della l. 10/1977 che subordina l'attuazione delle lottizzazioni all'inserimento delle stesse nei piani pluriennali di attuazione.



69. L’obbligatorietà del piano di lottizzazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28 - l. 1187/1968, art. 2 - d.p.r. 327/2001, art. 9.

Il piano di lottizzazione è obbligatorio tutte le volte che è necessario intervenire in una zona di notevoli estensioni e priva di opere di urbanizzazione.
Le aree, in tal caso, sono soggette al vincolo della presentazione da parte del privato di uno strumento attuativo per conseguire ad un provvedimento autorizzativo alla edificazione.

La necessità di un piano esecutivo sia di lottizzazione o particolareggiato, quale presupposto per il rilascio di una concessione edilizia, si pone allorché si tratti di asservire per la prima volta un'area non urbanizzata ad un insediamento edilizio mediante la costruzione di un fabbricato che esiga la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione. Ove, peraltro, l'area di sedime sia sufficientemente urbanizzata, deve ritenersi illegittimo il diniego di concessione fondato sulla carenza del piano di lottizzazione
(Cons. St., sez. V, 31.12.1993, n. 1398, CS, 1993, I, 1634).

La lottizzazione è necessaria qualora l'area in relazione al progettato insediamento venga per la prima volta interessata da una attività capace di provocare una profonda trasformazione socio economica - oltre che strutturale - della zona stessa, per cui è necessario dotarla di una struttura viaria e di tutte le relative infrastrutture idonee a consentire un insediamento ordinato e razionale, tenuto conto delle costruzioni già realizzate nella zona, di quelle in corso di presentazione e di quelle realizzabili.
La lottizzazione è pure necessaria nel caso in cui in una zona, anche se già urbanizzata, sia edificato un complesso di notevoli dimensioni, in grado di mutare l'assetto territoriale e rendere così inadeguate le opere di urbanizzazione esistenti (Cons. St., sez. V, 10.4.1986, n. 212, RGE, 1986, 565).
Contrariamente, la realizzazione di un singolo edificio in una area edificata ed adeguatamente urbanizzata non può essere subordinata alla preventiva adozione di un piano di lottizzazione, ancorché ciò sia prescritto dalla normativa urbanistica di piano (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12.11.1990, n. 864, RGE, 1991, 158. Cons. St., sez. V, 28.2.1987, n. 142, RGE, 1987,292).
La giurisprudenza si è posta il problema se il vincolo di lottizzazione sia soggetto al termine del quinquennio, ex art. 2, l. 1187/1968, sost. art.9, d.p.r. 327/2001.
Non sussiste termine per il vincolo di piano se il piano esecutivo può essere predisposto dai privati ossia se la lottizzazione è ritenuta possibile in rapporto all’estensione minima di intervento.
Qaulora l’estensione sia considrata tale da bloccare l’iniziativa privata il limite quinquennale di durata del vincolo è, invece, considerato operante.

La decadenza ex l. 19.11.1968, n. 1187, dei vincoli strumentali previsti dallo strumento urbanistico non s'applica al caso in cui quest'ultimo, pur subordinando l'attività edificatoria alla preventiva formazione d'un piano attuativo, lo considera fungibile con il piano di lottizzazione, consentendo così ai privati di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della p.a.
Questa regola non è invocabile se la lottizzazione riguardi estensioni notevoli, tali da non essere nella normale disponibilità dei privati, perché così lo strumento urbanistico limita l'edificazione e confina di fatto l'iniziativa privata nella formazione del piano attuativo a ipotesi marginali.
Si pone in pratica un vero e proprio vincolo d'inedificabilità assoluta, come tale soggetto alla l. 19.11.1968, n. 1187.
Nella specie si tratta di lottizzazione di circa 50.000 mq.
(Cons. St., sez. V, 3.4.2000, n. 1908, RGE, 2000, I, 646).



70. Il procedimento di approvazione.

LEGISLAZIONE: l. 17.8.1942, n. 1150, artt. 9 e 15 - d.p.r. 3/1957, art. 25 - l. 47/1985, art. 24.

L'approvazione della lottizzazione è stata condizionata dal preventivo rilascio del nulla osta regionale.
Successivamente la l. 47/1985, all'art. 24, ha disposto che gli strumenti attuativi non siano soggetti ad approvazione regionale (Mengoli 2003, 284).
La giurisprudenza nega ai terzi il diritto di accesso agli atti di un progetto di lottizzazione non ancora autorizzato.

Gli atti di fonte privata aventi per oggetto la lottizzazione di un terreno a scopo di edificazione, al pari dei piani particolareggiati, rispetto ai quali sono alternativi, hanno natura di strumento urbanistico di attuazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione e, in quanto tali, hanno, a loro volta, natura e funzioni pianificatorie
In virtù del combinato disposto degli art. 13 e 24 l. 7 agosto 1990 n. 241, non è ammesso l'accesso agli atti preparatori anche dei piani di lottizzazione convenzionata che, al pari dei piani particolareggiati rispetto ai quali sono alternativi, hanno natura di strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale o del piano di fabbricazione e, quindi, ha a sua volta una funzione pianificatoria, che l'esclude dagli atti amministrativi accessibili, a nulla rilevando la norma ex art. 31, 9° co., l. 17.8.1942, n. 1150, la quale concerne soltanto l'accesso agli atti relativi alla concessione edilizia, o quella di cui al combinato disposto dei precedenti artt. 9 e 15, l. 17.8.1942, n. 1150, che riguarda invece la formazione del piano regolatore
(Cons. St., sez. V, 14.10.1998, n. 1479, AUE, 2000, 180).
Coll'art. 13, l. 10/1977 la lottizzazione può essere attuata solo se le relative aree sono inserite nel programma pluriennale di attuazione, che consente l'esecuzione della lottizzazione nel periodo di tempo in esso considerato, secondo le indicazioni date dalla legislazione regionale.
La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del t.u. ed. ha precisato che il diniego sulla domanda di lottizzazione è sufficientemente motivato, e quindi legittimo, in presenza di diniego di nulla osta da parte della soprintendenza ai BB.CC.AA.

Il provvedimento deve dare conto del pregio paesistico dell'area interessata dal progetto e sia messo in evidenza che l'eccessivo sviluppo planovolumetrico delle costruzioni inciderebbe negativamente sulle caratteristiche e sull'immagine della zona
(T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27.2.1993, n. 156, GASic., 1993, 142).

E' illegittimo, inoltre, il diniego di concessione edilizia fondato sulla carenza di un piano di lottizzazione, quando l'area sia urbanizzata e manchi una rigorosa valutazione del nuovo insediamento rispetto alla situazione generale del comprensorio (Cons. St., A. P., 6.10.1992, n. 12, GI, 1993, III, 1, 247).
Qualora la domanda di lottizzazione non trovi un conseguente provvedimento espresso da parte della amministrazione, il silenzio è, per definizione, illegittimo.
La giurisprudenza non ha ritenuto applicabile la procedura relativa al silenzio rifiuto, prevista dall'art. 31, 7° co., l. urb., per cui il richiedente la lottizzazione deve esperire la procedura di messa in mora dell'amministrazione prevista dall'art. 25 del d.p.r. 3/1957 (T.A.R. Piemonte, sez. I, 25.5.1990, n. 282, RGE, 1991, 161. Mengoli 2003, 287).
71. Il termine perentorio per il procedimento di approvazione.

LEGISLAZIONE: l. 30.4.1999, n. 136, art. 22.

Il legislatore nazionale ha recepito anche per i procedimenti attuativi gli schemi fissati dalla l. 241/1990, ribaltando l’impostazione precedente che riteneva come il procedimento attuativo rientrasse nella piena discrezionalità dell’amministrazione comunale.
La l. 30.4.1999, n. 136, all’art. 22, prevede due distinte ipotesi a seconda che il piano attuativo sia d’iniziativa privata, ad esempio, una lottizzazione od un piano di recupero, o d’iniziativa pubblica, ad esempio, una lottizzazione d’ufficio od un piano di recupero ad iniziativa pubblica (Forlenza 1999, 44).
La domanda del privato impone all’amministrazione l'obbligo di provvedere entro il termine di novanta giorni, che si protrae, nel caso di necessità di pareri, in quanto il suddetto termine decorre dal momento della loro acquisizione.
La giurisprudenza distingue in ogni modo l’obbligo a provvedere dall’obbligo dell’approvazione che rimane pur sempre nella discrezionalità dell’amministrazione.
Il provvedimento naturalmente deve essere sorretto da una congrua motivazione.

Nella l. r. Lombardia 12.3.1984, n. 14, che delinea il procedimento di approvazione delle lottizzazioni, non è previsto l'obbligo del comune di approvare il piano di lottizzazione adottato, in quanto permane invariata la discrezionalità dell'ente in ordine alla conclusione definitiva del procedimento di pianificazione attuativa
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18.7.2002, n. 3197, FATAR, 2002, 2339).

Più complessa appare l’ipotesi di interventi d’ufficio da parte dell’amministrazione.
In tal caso è, infatti, richiesto un atto dell’amministrazione che assuma l’impegno di procedere alla redazione degli strumenti attuativi.
Nel caso di un piano di recupero non attuato dai privati in carenza della maggioranza dei tre quarti degli interessati prevista dall’art. 30, l. 457/1978, l’obbligo a provvedere scatta solo qualora l’amministrazione assuma un impegno al riguardo, ma non è attribuita al privato, che pure ne abbia interesse, la possibilità di chiedere l’approvazione del piano all’amministrazione né di attivare interventi sostitutivi.

L’approvazione da parte dei consigli comunali di piani attuativi di iniziativa privata, conformi alle norme ed agli strumenti urbanistici vigenti, deve intervenire entro il termine di novanta giorni a decorrere dalla data di presentazione dell’istanza corredata dagli elaborati previsti. Qualora vi sia la necessità di preventivi pareri o nulla osta, il termine di novanta giorni decorre dalla data in cui tali atti siano acquisiti. Nel caso di strumenti urbanistici attuativi di iniziativa pubblica a seguito di inerzia di privati la predisposizione dei medesimi deve avvenire entro centottanta giorni a decorrere dalla data in cui l’amministrazione ha assunto con provvedimento l’impegno di procedere alla redazione di detti strumenti e la conseguente adozione deve avvenire nei successivi novanta giorni.
(art. 22, 1° co., l. 30.4.1999, n. 136).

Nel caso di carenza di provvedimento il privato interessato può richiedere il procedimento sostitutivo, chiedendo la nomina di un commissario che rediga l’atto negato dall’amministrazione.
La norma rende, sicuramente, operativa la disposizione ed accelera i tempi per l’approvazione degli strumenti attuativi.

L’infruttuosa decorrenza dei termini di cui ai precedenti commi costituisce presupposto per la richiesta di intervento sostitutivo. A tal fine è data facoltà all’interessato di inoltrare istanza per la nomina di un commissario ad acta al presidente della giunta regionale il quale provede nel termine di quindici giorni. Gli oneri derivanti dall’attività del commissario ad acta sono posti a carico del comune inadempiente
(art. 22, 5° co., l. 30.4.1999, n. 136).

La norma non prevede la necessità di una preventiva diffida al responsabile del procedimento che, peraltro, è richiesta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Il sistema delle decadenze, che condiziona pesantemente il regime dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali fissando termini perentori, comporta, invece, per il privato la necessità di esperire la particolare procedura della diffida, anche dove la legge impone all’amministrazione termini a provvedere
(Centofanti 2002 (3), 47).

La giurisprudenza, in particolare, richiede l’esperimento della procedura, in via generale, per tutti i procedimenti che tendono ad acclarare il comportamento di rifiuto a provvedere.

Perché il comportamento tacito dell'amministrazione possa configurare il silenzio-rifiuto, impugnabile davanti al giudice amministrativo, è necessaria, ai sensi dell'art. 25, t.u. 10.1.1957, n. 3, la presentazione dell'istanza da parte dell'interessato diretta all'emanazione del provvedimento amministrativo richiesto
(Cons. Giust. Amm. Sicilia, 25.2.1994, n. 73, CS, 1994, I, 262).

Nell’ipotesi in esame il procedimento è alquanto articolato poiché, passati i novanta giorni dalla richiesta, è necessaria l’adozione dello strumento da parte del consiglio con fissazione di termine per le osservazioni od opposizioni.
Deve intervenire, ex art. 22, 2° co., l. 30.4.1999, n. 136, la successiva delibera di approvazione del piano con accoglimento o diniego delle osservazioni od opposizioni presentate.
Il piano, infine, deve essere depositato nella segreteria del comune entro trenta giorni dalla data della delibera di approvazione, ex art. 22, 3° co., l. 30.4.1999, n. 136.
La normativa regionale, precedentemente, ha previsto che, nel caso di piani regolatori approvati di recente, i piani attuativi siano approvati direttamente dal comune, anche in variante al piano regolatore.
La legislazione regionale è intervenuta anche a dare delle scansioni temporali obbligatorie alla pianificazione esecutiva, disponendo che, qualora intervenga la richiesta del privato, l’amministrazione comunale è obbligata ad istruire il procedimento di approvazione del piano esecutivo, ipotizzando poteri sostitutivi, vedi art. 6, l. r. Lombardia n. 23/1997.



72. La convenzione comunale e gli oneri di urbanizzazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28, 4° co.

La domanda di lottizzazione deve contenere oltre al progetto uno schema di convenzione urbanistica.
Il contenuto della convenzione è stabilito dall'art. 28, 4° co., l. urb.

L'autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della l. 29.9.1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.
La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge
(art. 28, 4° co., l. urb.).

La convenzione deve prevedere le modalità di urbanizzazione dell'area che si intende lottizzare (Mengoli 2003, 267).
I terreni necessari per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria devono essere ceduti gratuitamente all’amministrazione comunale.

L'obbligo da parte del privato di cedere all'amministrazione una determinata area per la realizzazione di parcheggi sorge esclusivamente in dipendenza di una espressa statuizione nella convenzione di lottizzazione, non essendo allo scopo sufficienti, né la generica previsione dell'assoggettamento a vincolo di destinazione contenuta nella detta convenzione, né l'asservimento alla destinazione previsto esclusivamente da un atto unilaterale
(T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 29.3.2001, n. 839, GM, 2002, 1087).

Il lottizzante deve assumersi l'onere delle opere di urbanizzazione primaria, di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria e di quelle necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi.
Per la costruzione delle opere a carico del lottizzante devono essere presentati i relativi progetti, a firma di tecnici abilitati per il rilascio del permesso di costruire.
I lavori sono eseguiti sotto la sorveglianza dei tecnici comunali.
Le aree e le opere di urbanizzazione realizzate direttamente dal lottizzante passano gratuitamente in proprietà al comune, su richiesta del lottizzante, quando il comune ne ravvisi l'opportunità.
In tal caso deve essere accertata dai tecnici comunali la regolare esecuzione delle opere stesse.
Solo con il passaggio in proprietà passa al comune l'obbligo che ha il lottizzante di curare la manutenzione delle opere.
Devono essere previsti i tempi di esecuzione delle opere e devono essere fornite idonee garanzie finanziarie per assicurarne l'effettiva esecuzione.
La convenzione è trascritta a garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti.
In caso di inadempimento degli obblighi assunti da parte del lottizzante il comune può riservarsi, in convenzione, la possibilità di provvedere direttamente all'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria in sostituzione del lottizzante ed a spese del medesimo, dandogli preventiva diffida a provvedere, utilizzando se del caso le garanzie fideiussorie.


73. L’adeguamento della lottizzazione alla pianificazione urbanistica comunale sopravvenuta.

LEGISLAZIONE: d.lg. 80/1998, art. 35 - d.p.r. 380/2001, art. 15, 2° co.

La lottizzazione è strumento urbanistico di iniziativa privata che attua le disposizioni di piano.
I rapporti tra potere pubblico di programmazione e interessi legittimi del privato comportano un particolare esame dei rapporti intercorrenti tra comune e lottizzante.
La posizione di interesse legittimo del privato - che si trasforma in diritto soggettivo nel momento del rilascio del permesso di costruire - trova, comunque, oggi tutela diretta in quanto la lesione dell’interesse legittimo, che provochi un danno, è sanzionata con l’azione di risarcimento dall’art. 35, d.lg. 80/1998, vedi par. 79.
La dottrina riconosce nella stipula della convenzione urbanistica una sostanziale differenza rispetto dallo schema privatistico contrattuale per la posizione prevalente riconosciuta all’ente pubblico.

Rispetto allo schema tipico del contratto le convenzioni urbanistiche evidenziano un profilo fondamentale di diversità. Elemento discriminante tra il contratto di diritto comune dell’amministrazione e la convenzione urbanistica è la salvezza, in capo all’amministrazione, di un potere di incidere unilateralmente sulla disciplina determinata dalla convenzione
(Travi 1996, 156).

La giurisprudenza ammette concordemente la possibilità che nuovi strumenti urbanistici dettino prescrizioni in contrasto con i piani di lottizzazione precedentemente approvati, solo qualora si verifichino alcuni presupposti, art. 10, 7° co., l. urb.
E’ necessaria anzitutto la formale adozione dello strumento urbanistico da parte del consiglio comunale.
Tale provvedimento deve motivare le esigenze di pubblico interesse che hanno comportato la variante (Assini e Mantini 1997, 359).
La semplice previsione di adottare un nuovo strumento urbanistico, sia pure espressa dal massimo organismo comunale, non legittima né la revoca né l’annullamento né la decadenza del piano.
L’adozione del piano comporta la immediata applicabilità delle misure di salvaguardia, legittimando la sospensione di ogni determinazione sulle singole richieste di permesso conformi alla lottizzazione, sia pure approvata, ma contrastanti colle disposizioni di piano adottate.
Il provvedimento di salvaguardia deve essere espresso, deve specificare la disposizione contrastante e motivarne la consistenza.
La approvazione dello strumento implica, infine, la decadenza della convenzione per quanto riguarda la parte che risulti in contrasto con le nuove disposizioni.
Possono essere completate solo quelle costruzioni che risultino già iniziate; esse devono essere ultimate entro i tre anni dall’inizio, pena la decadenza, secondo la disposizione di carattere generale di cui all’art. 15, 2° co., d.p.r. 380/2001.
Tali conseguenze non sono attenuate dal fatto che il lottizzante abbia completato le relative opere di urbanizzazione, poiché l’adempimento degli obblighi assunti in convenzione non fa nascere alcun diritto soggettivo in ordine all’esecuzione delle opere prima del rilascio del permesso di costruire e dell’inizio effettivo dei lavori.

74. L’obbligo di motivazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28.

La giurisprudenza ha analizzato i caratteri del potere comunale di programmare il proprio territorio e quindi di modificare la precedente disciplina urbanistica, sia pure dopo l’approvazione di una convenzione di lottizzazione.
Il comune deve indicare - nella stesura del nuovo piano - gli interessi pubblici che inducono a comprimere gli interessi privati, nonostante gli oneri a suo tempo imposti ai lottizzatori.

L'adozione di variante generale al p.r.g., finalizzata a reintrodurre un vincolo di inedificabilità, e con la quale vengono disattese le aspettative dei privati, fa insorgere nei confronti dell'amministrazione l'obbligo di fornire una puntuale motivazione, obbligo che non può considerarsi soddisfatto con l'ipotetica impossibilità futura di rilasciare le concessioni edilizie.
In altre parole, la disciplina vincolistica della zona in cui ricadono i terreni e la conseguente impossibilità di rilasciare le eventuali future concessione edilizia costituirebbero, allo stato, elementi idonei a giustificare il mantenimento dell'attuale destinazione urbanistica della zona in questione.
Ulteriore ragione per giustificare la decisione di non mutare la destinazione urbanistica viene individuata nel fatto che il piano di lottizzazione convenzionato risulterebbe anche privo delle aree da destinare alla misura minima degli standar urbanistici, in quanto parte di tali aree sono state espropriate dal comune per la realizzazione del centro sportivo La Croce.
Ora, è facile osservare che la sorte delle future ed eventuali domande di concessione edilizia è circostanza non pertinente all'argomento sul quale l'amministrazione era chiamata a pronunciarsi e, quindi, del tutto irrilevante rispetto alla decisione di modificare o meno, nel senso richiesto dai ricorrenti, la destinazione urbanistica dei terreni di loro proprietà.
E' evidente, infatti, che ove l'amministrazione si fosse determinata a restituire ai terreni in questione la destinazione che essi avevano prima dell'adozione delle due varianti generali, le domande di concessione edilizia non avrebbero trovato alcun ostacolo connesso alla destinazione urbanistica.
Posto che nella specie e per effetto di pronunce passate in giudicato, l'amministrazione si trovava di fronte ad una lottizzazione pienamente valida ed efficace, l'obbligo di motivazione che alla medesima incombeva, nel momento in cui in sede di variante generale si determinava a confermare il vincolo di inedificabilità già introdotto con la variante del 1983 ed a disattendere le aspettative dei privati, non può considerarsi soddisfatto con l'ipotetica impossibilità futura di rilasciare le concessioni edilizie.
La tesi dell'amministrazione non considera che sulla questione della lottizzazione si era formato un giudicato, che ne aveva riconosciuto la validità, per cui correttamente il primo giudice ha precisato che il sacrificio della posizione dei privati postulerebbe una penetrante, articolata e congrua motivazione, che ovviamente dovrebbe tenere conto anche della situazione esistente nel 1998.
Invece di limitarsi ad invocare, come fa il comune, le ragioni poste a base della variante generale del 1983, era necessario verificare se tali ragioni permanessero anche nel momento in cui è stata adottata la variante generale del 1998 ovvero se, nel frattempo, la situazione era mutata a tal punto da consentire una diversa destinazione della zona interessata dalla lottizzazione.
Ciò che nella specie è mancato è proprio la necessaria comparazione tra le ragioni di interesse pubblico sottese alla variante e gli interessi privati fondati sulla convenzione, comparazione che, come sopra precisato, costituisce l'aspetto fondamentale sul quale l'autorità urbanistica era tenuta a soffermarsi.
Nella specie i lottizzatori sono titolari di un diritto alla stipula di una convenzione di lottizzazione
(Cons. St., sez. IV, 30.9.2002, n. 4980, FACDS, 2002, 2025).

Il provvedimento amministrativo può essere censurato solo per i suoi vizi logici e per il contrasto con precedenti provvedimenti comunali non certo per il merito
(Cons. St., sez. IV, 17.12.1991, n. 1126, FA, 1991, 2923).

L'adozione di un nuovo atto di pianificazione urbanistica non è vincolata al rispetto delle aspettative, pur legittimamente sorte sulla base del precedente strumento urbanistico, come quelle derivanti da una convenzione di lottizzazione stipulata.

Il provvedimento di pianificazione deve essere tuttavia congruamente motivato, dimostrando non solo che la variante è oggettivamente giustificata, ma anche che l'autorità emanante è stata positivamente consapevole dell'esistenza di quelle aspettative legittime e si è data carico di compararle esplicitamente con l'interesse pubblico contrastante, nonché di valutare se ed in quale misura esse potessero venire fatte salve
(Cons. St., sez. IV, 13.7.1993, n. 711, FA, 1993, 1510).

La variante di piano che modifica una precedente lottizzazione deve essere particolarmente motivata in rapporto all’interesse che il privato lottizzante ha dimostrato nell’attuazione dell’intervento.
Se all’approvazione della lottizzazione non è seguito per lungo tempo alcun intervento edilizio, l’aspettativa all’urbanizzazione del territorio è sicuramente meno pressante.
Le modifiche al piano da parte dell’amministrazione richiedono una motivazione rapportata all’interesse dei proprietari soggetti alle disposizioni di vincolo di piano.

L'obbligo di specifica motivazione, in funzione limitativa del potere discrezionale di cui dispone la p.a. in sede di pianificazione urbanistica, sussiste solo a fronte di situazioni meritevoli di particolare tutela, tra cui l'esistenza di un piano di lottizzazione approvato e convenzionato, ovvero di un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dichiarativo dell'obbligo di sottoscrivere una convenzione.
Nel caso di specie il T.A.R. ha giudicato tutt'altro che decisiva la circostanza che nel previdente programma di fabbricazione l'area in questione, successivamente destinata a verde agricolo, fosse inserita in zona residenziale esterna, come tale suscettibile di sfruttamento edilizio: la sezione ha affermato che ciò che rileva è che l'area in questione, pur dopo l'approvazione di un piano di lottizzazione risalente al 1981, era rimasta inedificata per oltre un decennio, e tale era ancora al momento della approvazione del nuovo p.r.g., con la conseguenza, ai fini della ampiezza della motivazione, che la posizione della ricorrente era quella di una mera aspirante all'edificazione di un terreno inedificato, situazione non diversa rispetto a quella generale dei proprietari di aree virtualmente edificabili
(T.A.R. Veneto, sez. I, 18.7.2002, n. 3491, FATAR 2002, 2384).

Nel caso di variazione di destinazione urbanistica la pianificazione attuativa realizzata con l’approvazione del piano di lottizzazione comporta la necessità di una particolare motivazione; essa non è richiesta nei confronti del proprietario di un’area che non abbia ancora trovato concreta attuazione.

L'obbligo di motivare specificamente la variazione di destinazione urbanistica di un'area in rapporto all'affidamento dei proprietari sussiste solo nel caso in cui la variante riguardi un terreno determinato o incida su aspettative assistite da speciale affidamento, quali ad esempio quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato e convenzionato
Nel caso concreto, caratterizzato dal fatto che il ricorrente aveva acquistato dal comune di Treviso un'area la cui destinazione urbanistica, in base al p.r.g. vigente all'epoca, era "zona residenziale di tipo C", e che con la variante adottata il Comune ha destinato l'area in questione a verde pubblico e ad attrezzature di interesse collettivo, il T.A.R. ha ritenuto insussistente alcuno speciale affidamento in capo al ricorrente
(T.A.R. Veneto, sez. I, 16.1.2002, n. 72, FATAR, 2002, 44).


75. I rapporti tra lottizzazione e i vincoli ambientali.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28, 2° co.

Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale il vincolo paesaggistico, come ad esempio quello boschivo, quando si risolva in un divieto assoluto di edificazione su una vasta area di territorio, deve essere rigorosamente motivato sotto il profilo della connessione funzionale con le esigenze di tutela e valorizzazione dell'immobile direttamente vincolato nonché, trattandosi di provvedimento discrezionale, sotto il profilo della comparazione degli interessi coinvolti e della necessaria proporzionalità della misura adottata rispetto agli interessi sacrificati (Cons. St., sez. VI, 20.2.1998, n. 188. Cons. St., sez. VI, 17.4.1997. n. 610).
Certamente illogico e sproporzionato è il provvedimento di vincolo nella parte in cui travolge un piano di lottizzazione, estendendosi anche alle costruzioni non ricadenti nell'area sottoposta a vincolo.
Il provvedimento di vincolo deve verificare la possibilità che eventuali errori di pianificazione attuativa contenuti nella lottizzazione possano essere sanati.
Una modifica del piano può essere sufficiente a ricondurre la stessa lottizzazione nei limiti del rispetto del vincolo.

È illegittimo un provvedimento di vincolo di un'intera area per la tutela boschiva allorché le esigenze di tutela sarebbero garantite da una prescrizione, da inserire nel nulla osta, al fine di condizionarlo alla approvazione di una variante tecnica al piano di lottizzazione originario che, compatibilmente con la situazione dei luoghi e degli strumenti urbanistici, faccia salvi gli opposti interessi in causa con un arretramento delle costruzioni nell'ambito della area di lottizzazione non oggetto di vincolo; ciò in quanto il vincolo paesaggistico (quale quello boschivo) quando si risolva in un divieto assoluto di edificazione su una vasta area di territorio, deve essere rigorosamente motivato sotto il profilo della connessione funzionale con le esigenze di tutela e valorizzazione dell'immobile direttamente vincolato nonché, trattandosi di provvedimento discrezionale, sotto il profilo della comparazione degli interessi coinvolti e della necessaria proporzionalità della misura adottata rispetto agli interessi sacrificati.
(T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 22.5.2002, n. 900, FATAR, 2002, 1791).
Qualora sussistano le autorizzazioni ambientali da parte della Soprintendenza i provvedimenti di secondo grado, come l’annullamento del provvedimento autorizzativo della stessa Soprintendenza, sono soggetti a puntuale motivazione pena la loro illegittimità.

Qualora un intervento edilizio ricada nell'ambito di un piano di lottizzazione in area sottoposta a vincolo paesistico, e la Soprintendenza abbia espresso parere favorevole circa la compatibilità ambientale del piano ai sensi dell'art. 28, 2° co., l. 1150 del 1942, risulta inficiato, sotto il profilo della contraddittorietà e del difetto di motivazione, il successivo atto di annullamento dell'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 7, l. n. 1497 del 1939.
La nullità deriva dal fatto che il provvedimento non dà conto di sopravvenuti elementi di rispetto alla precedente determinazione, ovvero di difformità o elementi integrativi dei progetti relativi ai singoli interventi rispetto alle soluzioni prospettate in sede di piano di lottizzazione
(Cons. St., sez. VI, 18.10.2000, n. 5601, RGE, 2001, I, 238).


76. Il rilascio della super d.i.a. in presenza di pianificazione attuativa.

LEGISLAZIONE: l. 241/1990, art. 19 - t.u. ed., art. 22 - d.lg. 301/2002 art. 1.

Gli effetti della pianificazione esecutiva si riflettono anche sui provvedimenti che autorizzano la realizzazione degli interventi edilizi.
La disciplina della denuncia di attività introdotta dall’art. 19, l. 241/1990, prevede infatti che, in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività sia subordinato ad autorizzazioni, licenze, nulla osta, permessi o altri atti di consenso il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti o dei requisiti di legge, senza la necessità che ai fini di tali accertamenti sia necessario esperire prove che comportino valutazioni tecnico discrezionali, l’attività medesima possa essere iniziata dal soggetto interessato con la presentazione di una denuncia alla autorità amministrativa competente, salvo il controllo successivo dell’amministrazione.
Coll’art. 22, t.u. ed., mod. art. 1, d.lg. 301/2002, sono assentibili attraverso la d.i.a. alcune figure particolari di intervento rimettendo al richiedente la facoltà, per detti interventi, di domandare, in via alternativa alla d.i.a., il permesso di costruire.
La presentazione della d.i.a. consente di realizzare i seguenti interventi:
a) gli interventi di ristrutturazione edilizia;
b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, se disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive.
La disposizione comprende, quindi, fra i piani attuativi anche le convenzioni di lottizzazione.
Il ricorso alla disciplina statale della d.i.a. è subordinata al fatto che le regioni non abbiano già disposto in materia.
Le regioni possono, comunque, differenziarsi sia in senso ampliativo sia in senso restrittivo rispetto alla disciplina statale (Forlenza 2003, 42).
La norma non ammette soluzioni interpretative, poiché la disposizione di piano deve espressamente prevedere nella sua formulazione la possibilità di realizzare con d.i.a. gli interventi successivi.
In caso contrario il progetto di costruzione deve essere accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale è asseverata l’esistenza di piano attuativi
c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali.
Lo strumento urbanistico generale può prevedere, recando precise disposizioni planovolumetriche, interventi diretti di costruzione.
Tale ipotesi consente di evitare la predisposizione di uno strumento attuativo di iniziativa privata, la cui richiesta è stata, peraltro, dichiarata illegittima dalla giurisprudenza, qualora si tratti di modesti insediamenti in zona già urbanizzata.

Ai fini del rilascio di una concessione edilizia non è necessario uno strumento urbanistico attuativo, ancorché previsto dal piano regolatore generale, senza che si conduca una previa verifica della concreta urbanizzazione dell'area in cui verrebbe ad inserirsi l'intervento costruttivo del privato, se non quando si tratti di asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata ad insediamento edilizio.
Esso deve esigere, per il suo armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per cui il comune è tenuto ad accertare la compatibilità effettiva del nuovo insediamento edilizio rispetto allo stato di urbanizzazione della zona, senza che ciò implichi qualsivoglia disapplicazione del piano regolatore stesso, tenendo conto della situazione esistente e non delle opere solo programmate; tuttavia, vi può essere talora la necessità del piano attuativo quando, pur trattandosi di porzioni di territorio completamente edificate ed urbanizzate, occorra mantenere entro limiti opportuni la densità abitativa ed assicurare gli standard inderogabili al fine di non aggravare situazioni di congestione edilizia ed urbanistica
(T.A.R. Lombardia, sez. II, Milano, 29.12.2001, n. 8448, FA, 2001, 3227).

Le regioni possono differenziarsi nelle determinazione delle ipotesi che sono soggette a d.i.a., ma nell’ambito delle ipotesi facoltative restano ferme le sanzioni penali relative ad infrazioni commesse per avere realizzato delle costruzioni in assenza o in difformità al permesso di costruire.


77. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

LEGISLAZIONE: c.c. art. 2932 - l. 28.1.1977, n. 10, art. 16 - l. 21.7.2000, n. 205, art. 7.

L'art. 7, l. 21.7.2000, n. 205, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparate in materia urbanistica ed edilizia; esso aggiunge che la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio.
La disposizione si riconnette all'art. 16, l. 28.1.1977, n. 10, sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistica, ampliandone sia sul piano semantico che contenutistico la portata, in origine circoscritta ai ricorsi giurisdizionali aventi ad oggetto il permesso di costruire, gli oneri urbanistici e il relativo regime sanzionatorio.
La norma estende la giurisdizione esclusiva amministrativa in materia urbanistica, tanto da abbracciare, oltre alle attribuzioni normative, l'attività di gestione, nell'accezione onnicomprensiva di governo ed uso del territorio (Corte cass., Sez. U., 29.1.2001, n. 29. Corte cass., Sez. U., 14.7.2000 n. 494).
Il modello di gestione è sostanzialmente neutro ai fini della giurisdizione sia esso strettamente pubblicistico sia esso realizzato con il concorso dell'iniziativa privata.
Rientrano a pieno titolo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie sul piano di lottizzazione, sulla convenzione, che è allegata al piano, sulla disciplina inerente al piano negoziale, sulle modalità di assolvimento degli obblighi di urbanizzazione, sulle cessioni di aree e sulle opere di urbanizzazione.
La convenzione è strumento negoziale che integra la gestione pubblicistica del territorio urbano, già individuata nel piano di lottizzazione.
L'inadempimento degli obblighi previsti nella convenzione rientra pertanto nell'ambito della giurisdizione esclusiva.
Né in contrario rileva il fatto che la controversia sia promossa dall'amministrazione, anziché dal privato.
Il comune, data la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, può agire in giudizio per chiedere la pronuncia di sentenza, ex art. 2932 c.c., che produca gli effetti del contratto di cessione non concluso, con la conseguente affermazione della proprietà del Comune delle aree indicate.
La giurisprudenza ritiene ammissibile la sentenza costitutiva, ex art. 2932 c.c., in quanto l'ente territoriale, rappresentante degli interessi della collettività insediata sul territorio, agisce nella duplice veste di contraente e di portatore degli interessi di terzi, ossia dei cittadini, aventi un interesse qualificato all'esecuzione dell'obbligo.
L'esecuzione degli obblighi previsti in convenzione, con riferimento alla dotazione degli standard previsti dal d.m. 1444 del 1968, nei confronti della generalità dei cittadini residenti nel territorio comunale, va compresa nel genus dell'esecuzione di prestazioni di pubblici servizi.
L'eseguibilità dell'obbligo a contrarre trova titolo non solo nel contratto preliminare a cui non si è data attuazione, ma anche negli accordi sostitutivi o integrativi dei provvedimenti amministrativi aventi fondamento nella legge, ex artt. 2597 e 1679 c.c.
Il riferimento agli obblighi a contrarre del monopolista o del concessionario dei servizi pubblici di linea, dà ancor più fondamento alla richiesta di sentenza costitutiva per ottenere l'acquisizione di aree da destinarsi a standard.

Ove l'obbligo a contrarre trovi titolo in una convenzione di lottizzazione, rientra nell'ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. l'azione diretta ad ottenere una sentenza che produca, ai sensi dell'art. 2932 c.c., gli effetti del contratto non concluso.
Rileva a tal fine l'art. 11, 5° co., l. n. 241 del 1990 che devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie che trovano titolo negli accordi sostitutivi o integrativi dei provvedimenti amministrativi, ivi incluse le controversie nelle quali la p.a. è parte attrice
(T.A.R. Lombardia Brescia, 19.12.2001, n. 1604, FA, 2001, 3232).

Il termine per adempiere all’obbligo di cedere gratuitamente al Comune le aree standard e quelle necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, in mancanza di specifica previsione, scade, ai sensi dell'art. 28, l. 1150/42, al decimo anno dalla data di stipulazione della convenzione.

La scadenza del termine non superiore ai dieci anni che la convenzione di lottizzazione deve assegnare per l'ultimazione dell' esecuzione delle opere di urbanizzazione, ai sensi dell' art. 28, l. urb., non fa venire meno la relativa obbligazione, la quale, al contrario, diventa esigibile proprio da tale momento, dal quale inizia a decorrere l'ordinario termine di prescrizione.
(T.A.R. Lombardia Brescia, 3.2.2003, n. 65).

Ai sensi dell'art. 28, l. n. 1150 del 1942, il termine decennale entro il quale si prescrive l'obbligo del lottizzante di cedere gratuitamente al comune le aree a standard e quelle necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, decorre dal decennio successivo alla stipula della convenzione
(T.A.R. Lombardia Brescia, 28.11. 2001, n. 1126, RGE, 2002, I, 250).

In tema di oneri di urbanizzazione la giurisprudenza ha precisato che appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il recupero, da parte del comune, delle spese sostenute per l'esecuzione di opere di urbanizzazione della zona sulla quale insistono immobili edificati a seguito di convenzione di lottizzazione. (Cass., Sez. U., 28.4.1993, n. 4995, GCM, 1993, 772).
Colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi del provvedimento rilasciato al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (Cass. civ., sez. III, 17.6.1996, n. 5541).

L'assunzione, a carico del proprietario del terreno, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione costituisce un'obbligazione propter rem. Ciò comporta che essa va adempiuta non solo da colui che ha stipulato la convenzione con il Comune, ma anche da colui (se soggetto diverso) il quale richiede la concessione edilizia.
Colui che realizza opere di trasformazione edilizia, valendosi della concessione rilasciata al suo dante causa, è solidalmente obbligato con quest'ultimo per il pagamento degli oneri anzidetti
(Cass. civ., sez. II, 27.8.2002, n. 12571.

La natura reale dell'obbligazione in esame riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa; non anche i soggetti che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con i primi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, devono pagare al Comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione.
La natura reale dell'obbligazione non riguarda, invece, i soggetti che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con i primi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, devono pagare al Comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione
(Cass. civ., sez. II, 27.8.2002, n. 12571, GCM, 2002, 1589. Cass. civ., sez. II, 20.12.1994 n. 10947, FI, 1995, I, 3534).




78. Il giudizio di ottemperanza all’obbligo di provvedere.

LEGISLAZIONE: r.d. n. 1054/1924, art. 27, n. 4 - l. urb., art. 28.

La lottizzazione è approvata con deliberazione consiliare.
Il sindaco ha l’obbligo di stipulare la convenzione relativa alla lottizzazione deliberata dal consiglio.
L’obbligo alla sottoscrizione della convenzione può essere accertato con sentenza mediante il ricorso al giudice amministrativo.
In carenza di adempimento alla decisione della giustizia amministrativa il richiedente può agire per l'esecuzione del giudicato con ricorso per ottemperanza, chiedendo che sia ordinato al Comune di provvedere alla designazione dell'ufficiale rogante e alla convocazione dei ricorrenti per il compimento delle formalità per la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione.
Il giudizio di ottemperanza risponde all'esigenza di garantire che l'azione amministrativa si conformi ad una decisione vincolante del giudice amministrativo od ordinario.
Nel giudizio di ottemperanza è ammesso l'esame nel merito, ex art. 27, n. 4, r.d. n. 1054/1924.
Il giudice deve approfondire anche i motivi di opportunità che possono meglio indicare le modalità per l'esecuzione del giudicato, poiché esso ha la funzione di individuare l'azione più opportuna fra quelle possibili con i limiti derivanti dai motivi di interesse pubblico che regolano l'azione amministrativa.
Il giudice amministrativo può nominare un commissario ad acta con l'incarico di provvedere ai suindicati adempimenti qualora a ciò non avesse provveduto l'amministrazione intimata entro il termine stabilito.
Decorso inutilmente il termine assegnato al Comune, il Commissario ad acta deve sottoscrivere la stipula della convenzione di lottizzazione.

79. Il risarcimento del danno ingiusto.

LEGISLAZIONE: d.lg. 80/1998, art. 35 - l. 205/2000, art. 7.

Il provvedimento di variante di piano regolatore che modifica un piano di lottizzazione precedentemente rilasciato può essere impugnato presso il giudice amministrativo chiedendo l’annullamento del nuovo piano.
A tale proposito la Suprema Corte, con una sentenza che ha radicalmente mutato l’indirizzo precedente, ha sostenuto che l’atto illegittimo della pubblica amministrazione, che sia causa di un danno ingiusto, comporta la possibilità di agire contro l’amministrazione per ottenere il risarcimento del danno, prima ancora che sia stato disposto l’annullamento del provvedimento da parte del giudice amministrativo.
La fattispecie riguarda la richiesta di danno per mancata inclusione in una variante di piano regolatore di una lottizzazione precedentemente convenzionata con la proprietà.
La Corte ha respinto la richiesta di regolamento di giurisdizione fondata sulla mancanza di una preventiva sentenza del giudice amministrativo che accertasse l’illegittimità del provvedimento lesivo.
La sentenza ha grande valore di principio, anche se bisogna considerare che l’introduzione della giurisdizione esclusiva, ex art. 35, d.lg. 80/1998, comporta che sia il giudice amministrativo a determinare il risarcimento del danno nelle materie tassativamente indicate dell’urbanistica, edilizia e servizi pubblici.

Alla presenza di un atto illegittimo della pubblica amministrazione, che sia stato posto in essere con dolo o colpa e che sia stato causa di un danno ingiusto - diretta conseguenza del provvedimento – il suo destinatario ha titolo al risarcimento dei danni, anche se titolare non di un diritto soggettivo, ma di un interesse giuridicamente rilevante (diverso dalla mera aspettativa), tenuto presente che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, essendo la tutela risarcitoria assicurata esclusivamente in relazione all’ingiustizia del danno. La relativa controversia, ove non riguardi materia devoluta per legge alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, è di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria la quale può pronunciarsi sulla domanda senza ottenere l’esito del giudizio di annullamento dell’atto, di competenza della giurisdizione amministrativa di legittimità.
(Cass. civ., Sez. U., 26.3.1999, n. 500, GD, 1999, n. 31, 37).

Il giudice amministrativo, ex art. 35 d.lg. 80/1998, mod. art. 7, l. 205/2000, ha la giurisdizione esclusiva sul risarcimento del danno per provvedimenti in materia di urbanistica.

L'art. 7, 3° co., primo periodo, l. n. 1034 del 1971, nello stabilire che il T.A.R., nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, va interpretato nel senso che vanno decise dal giudice amministrativo le domande di risarcimento del danno proposte dopo l'entrata in vigore della citata l. n. 205 del 2000, a nulla rilevando in contrario il fatto che alla data del 30.6.1998 pendesse il giudizio di annullamento della determinazione amministrativa lesiva in seguito all'accoglimento del quale è stata proposta l'azione di condanna al risarcimento del danno.
Fattispecie relativa a domanda giudiziale di risarcimento del danno proposta nel 2002 in seguito all'annullamento, in sede giurisdizionale, intervenuto nel 1999, di un diniego di concessione edilizia opposto al ricorrente nel 1995.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 31.3.2003, n. 2166).


La giurisprudenza amministrativa ha dichiarato che l’atto illegittimo deve essere ritualmente impugnato presso il giudice amministrativo per richiedere il risarcimento del danno ingiusto.

Chi lamenti un danno da lesione di interessi legittimi, causata da un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, non può pretenderne il risarcimento se non provveda, nel termine decadenziale, ad impugnare l'atto che ritiene fonte di danno chiedendone l'annullamento
(Cons. St., A. Pl., 26.3.2003, n. 4, DeG, 2003, f. 15, 65 nota Proietti).

In ogni caso il nuovo piano, che preveda una diversa programmazione urbanistica, pone il problema della soluzione dei rapporti di natura privatistica concernenti la convenzione siglata tra comune e privati.
E’ necessario trovare una nuova regolamentazione dei rapporti intervenuti tra lottizzante e comune.
Come ad esempio nell’ipotesi della cessione di aree, a titolo gratuito, per potere ottenere la stipula della convenzione, e nell’ipotesi dell’esecuzione di opere di urbanizzazione che non possono più ritenersi a carico del lottizzante, ma che, per la mutata destinazione urbanistica, diventano a carico della collettività.
In tal senso, in carenza di accordo tra le parti, la giurisprudenza ha configurato un’azione di arricchimento senza causa nei confronti del comune, per ottenere il ristoro economico dei costi eseguiti per opere che restano a disposizione del comune (T.A.R. Lombardia, sez. I, 27.5.1991, n. 308, TAR, 1991, 2294).










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