mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 4 Indennizzo


CAPITOLO IV L’indennizzo.

50. La previsione di indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
51. L’indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza.
51.1. Le modalità dell’indennizzo per i vincoli scaduti, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
52. I vincoli e il procedimento ablatorio. Criteri per la determinazione dell’indennità di esproprio. Rinvio.



50. La previsione di indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

LEGISLAZIONE: l. 17.8.1942, n. 1150, artt. 7, n. 2 – 3 - 4, 40 - l. 19.11.1968, n. 1187, art. 2, 1° co.

La questione di legittimità costituzionale relativa alla reiterazione dei vincoli è stata successivamente accolta dalla Corte costituzionale.
Essa è stata proposta alla Corte dal Consiglio di Stato che ha rilevato la non manifesta infondatezza della questione, richiedendo una determinazione espressa da parte del legislatore dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisca espropriazione di valore e comporti, di conseguenza, la corresponsione dell'indennizzo.
Il giudice amministrativo, inoltre, ha affermato che devono essere previsti per legge i criteri di determinazione dell'indennizzo stesso.

Non è manifestamente infondata, e va pertanto rimessa alla Corte costituzionale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, n. 2, 3, 4, 40, l. 17.8.1942, n. 1150 e dell'art. 2, 1° co., l. 19.11.1968, n. 1187, nella parte in cui dette disposizioni, pur prevedendo la temporaneità dei vincoli previsti dal piano regolatore, consentono la reiterazione di detti vincoli ancorché divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio.
La mancata determinazione per legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione di valore e comporta la corresponsione dell'indennizzo, non appare conforme, sotto il profilo del difetto di tassatività della fattispecie, alla riserva di legge di cui all'art. 42, 3° co., cost., secondo il quale la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale nei casi previsti dalla legge.
La rilevata mancanza di previsione con legge dei criteri di determinazione dell'indennizzo impedisce la concreta attuazione dello stesso diritto all'indennizzo previsto dal citato art. 42 cost..
La mancata determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo, così attuando un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, appare in contrasto con gli artt. 97 cost. - in quanto deviazione del modello di buon andamento della pianificazione urbanistica – 9, 2° co., e 32, 1° co., cost., ai quali il regime degli standard, nella sua preordinazione forte alla tutela del paesaggio e del diritto alla salute, appare principalmente riconducibile
(Cons. St, A. P., 25.9.1996, n. 20, RGE, 1997, 254).

La dottrina ha aderito a questa impostazione della giustizia amministrativa e propone, quindi, la corresponsione di un indennizzo alla scadenza del temine quinquennale ovvero, quanto meno, l’approvazione di una relazione di massima delle spese occorrenti per l’acquisizione delle aree (Lavitola 1998, 301).
La Corte costituzionale ha accolto i rilievi formulati ed ha disposto l’indennizzo per i vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni.

3.- Passando all'esame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995) - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
- siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
- superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l'espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all'esproprio) attraverso l'approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge;
- superino sotto un profilo quantitativo ("per la maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto": sentenza n. 6 del 1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).
Nello stesso tempo, occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui "è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche" (sentenza n. 575 del 1989). Essendo i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa destinazione o con altri mezzi, "è costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575 del 1989).
4.- La giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non sono inquadrabili negli schemi dell'espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, "in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge" (sentenze n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n. 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Più in generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un particolare procedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni hanno rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.
Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturati alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.
5.- Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che comportano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene.
Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.
6.- Sulla base delle anzidette premesse può essere confermato che la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni a statuto speciale (v., per quest'ultimo profilo, sentenze n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione) dell'amministrazione preposta alla gestione del territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del 1995; nn. 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all'infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell'indennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo, beninteso, che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).
Del resto la giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei vincoli, ha delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per risolvere la questione di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui la reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Da quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e distinto il profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in conformità ai principi ricavabili dalla giurisprudenza succitata, di modo che la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti: ciò non di meno si realizza un obbligo indennitario.
Infatti, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati), l'obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l'espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi.
In altri termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
Il potere della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla ordinanza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la realizzazione anche se per differenti finalità, per cui deve essere esclusa in radice la denunciata violazione degli artt. 9, 32 e 97 della Costituzione.
Tuttavia, negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione, e di conseguenza ne deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale. Tale dichiarazione non può tradursi in una sentenza caducatoria, posto che una simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri di programmazione del territorio, che devono poter essere esercitati nonostante la intervenuta scadenza dei vincoli, ferma la necessità di previsione di indennizzo.
8.- Neppure si può ottenere in questa sede un completo adeguamento alla legalità costituzionale mediante una pronuncia che provveda a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell'indennizzo nei casi sopra specificati.
Per la determinazione concreta dell'indennizzo in conseguenza della reiterazione di vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere definite in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza additiva, in quanto detto indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa - anche per natura - indennità di esproprio), rapportabile a perdita di proprietà.
Né può essere utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al valore dell'immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o di utilizzabilità. Inoltre l'indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, e deve essere commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale non dell'intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato all'espropriazione o comportante l'assoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli), ove non risulti in modo inequivocabile l'inizio della procedura espropriativa. Con la conseguenza che la reiterazione del vincolo deve comportare la previsione di indennizzo nei sensi suindicati, restando al legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure semplificate, per la concreta liquidazione dell'indennizzo stesso.
Naturalmente - occorre di nuovo sottolineare - non da qualsiasi reiterazione di vincolo urbanistico discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un correlativo obbligo a carico dell'amministrazione di corrispondere un indennizzo. Nell'ambito del modello indennitario si possono presentare una pluralità di soluzioni astrattamente ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio ristoro a favore del soggetto che subisce il vincolo, in armonia con i principi costituzionali, tra le quali il legislatore può operare una scelta.
Il necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del principio dell'indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei sensi sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165 del 1998), mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come esempio di misura sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.
9.- L'esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell'indennizzo non esclude che - anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
10.- In conclusione restano al di fuori dell'ambito dell'indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni - ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici -, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.
Pertanto deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, n. 2, 3 e 4, e 40 della l. 17.8.1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, 1° co., della l. 19.11.1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17.8.1942, n. 1150), nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in conformità ai principi sopra richiamati.
p.q.m
la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della l. 17.8.1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, 1° co., della l. 19.11.1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17.8.1942, n. 1150), nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di indennizzo
(Corte cost., 20.5.1999, n. 179, GD, 1999, n. 22, 133).

La Corte precisa i caratteri che devono distinguere il vincolo perché possa essere soggetto ad indennizzo.
1. Il vincolo deve essere preordinato all’espropriazione o avere carattere espropriativo. Esso deve provocare come effetto pratico uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare - su beni determinati - comportanti inedificabilità assoluta.
2. Il vincolo non deve superare la durata che il legislatore ha fissato come limite, non irragionevole e non arbitrario, affinché il vincolo stesso risulti sopportabile da parte del singolo soggetto titolare del bene,
3. Il vincolo non deve superare, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla sua funzione sociale.
Non rientrano negli schemi del procedimento espropriativo, invece, i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, in virtù delle loro qualità oggettive che li inseriscono in particolari categorie di beni.
Tali beni, infatti, sono sottoposti ad uno speciale regime di utilizzo, in base alle caratteristiche intrinseche che li distinguono.
Devono essere considerati come normali e connaturati alla proprietà i limiti non ablatori posti dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica e relativi alle norme tecniche, i limiti di altezza, di cubatura, di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto relative a determinate opere pubbliche, gli indici di edificabilità e gli standard attinenti alle zone territoriali omogenee.
La Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa.
Possono, infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità.
Qualora i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i principi posti dalle norme costituzionali.

E’ incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, n. 2, 3 e 4, e 40 l. 1942, n. 1150 e art. 2, 1° co., l. 1187/1968 nella parte in cui consente alla amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo
(Corte cost., 20.5.1999, n. 179, GD, 1999, n. 22, 133).

E’ stata pronunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo, che continua a consentire la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione d’indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità oltre i limiti di durata fissati dal legislatore ove non risulti, in modo inequivocabile, l’inizio della procedura espropriativa.
La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione.
Dopo avere avvisato nella procedura di determinazione del risarcimento una serie di variabili che sostanzialmente pongono la diminuzione di valore a seguito della reiterazione del vincolo in rapporto diverso con l’indennizzo relativo alla perdita della proprietà del bene, la Corte afferma che l’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito.
Esso deve essere commisurato al mancato normale uso del bene ovvero alla diminuzione del prezzo di mercato rispetto alla situazione urbanistica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Se spetta al legislatore ordinario fissare i criteri per l’indennizzo la Corte non esclude che, anche in caso di mancanza di tale intervento, il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie considerandole come obbligazioni derivanti dal pregiudizio subito a causa del rinnovo o del protrarsi del vincolo.



51. L’indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza.

L’indirizzo giurisprudenziale successivo alla sentenza 179/1999 della Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la delibera di reiterazione di vincoli urbanistici priva della determinazione dell’indennizzo, anche se non ritiene obbligatoria l’indicazione dell’indennità di esproprio.
L’indirizzo, in ogni caso, non collega la mancata previsione dell’indennizzo all’illegittimità del provvedimento di vincolo.

La reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità non richiede una motivazione specifica circa la destinazione di zona delle singole aree, cosiddetta motivazione polverizzata, ma soltanto una motivazione circa le esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante medesima.
È illegittimo il provvedimento col quale il Comune dispone la reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione decaduti per superamento del quinquennio ai sensi dell'art. 2, l. 19 novembre 1968 n. 1187, senza la previsione di indennizzo.
Non può ritenersi illegittima una delibera con la quale si reiterano vincoli per omessa previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di copertura dato che - in difetto dell'intervento legislativo - sarà il giudice competente sulla richiesta di indennizzo che, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica hanno carattere espropriativo, procederà alla liquidazione dell'indennizzo, facendo applicazione delle regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo
(Cons. St., A.P., 22.12.1999, n. 24, UA, 2000, 541 nota Sempreviva).

Il vincolo reiterato deve essere risarcito attraverso la corresponsione di una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto e al tempo della reiterazione.
L’indirizzo è stato confermato dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite 33/2000.
Il caso di specie è indicativo.
Il Comune convenuto ha compreso in una zona destinata a verde pubblico attrezzato, la porzione dell'immobile del ricorrente nel Piano Regolatore Generale approvato con delibera dell'11.1.1969; successivamente l’amministrazione aveva reiterato la localizzazione nella variante al Piano Regolatore Generale adottata con delibera n. 46 del 20.5.1977; l’ente aveva conservato siffatta destinazione anche nei successivi strumenti urbanistici, sino a quelli in vigore alla data della citazione.
Il ricorrente sostiene che, conseguentemente, la sua area era rimasta assoggettata, sia pure per effetto della reiterazione dei provvedimenti impositivi, ad un vincolo urbanistico preordinato all'espropriazione per un periodo superiore a quello di cinque anni fissato dall'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187.
La corte ha riconosciuto che il giudizio ha ad oggetto una posizione che ha l'intrinseca natura di diritto soggettivo: tale è, infatti, ontologicamente, quella che, per un verso, concerne la spettanza di un indennizzo per la compressione del diritto di proprietà conseguente ad un valido provvedimento amministrativo limitativo delle relative facoltà, quale è quello reiterato del vincolo urbanistico.

La controversia avente ad oggetto la spettanza, che si assume riconosciuta dall'ordinamento positivo, di un indennizzo per la compressione del diritto di proprietà conseguente ad un valido provvedimento amministrativo limitativo delle relative facoltà - nella specie, provvedimento reiterativo del vincolo urbanistico - concerne una posizione che ha l'intrinseca natura del diritto soggettivo e che rimane pertanto devoluta al giudice ordinario, mentre la questione sulla sussistenza di una norma astratta idonea al riconoscimento ed alla tutelabilità del diritto medesimo attiene al merito e non alla competenza giurisdizionale
(Cass. civ., Sez. Un., 23.2.2000, n. 33, GCM, 2000, 189).

Dal sistema positivo emerge che il proprietario dell'immobile assoggettato ai vincoli reiterati ha diritto ad un indennizzo, in quanto la reiterazione comporta una limitazione del suo diritto di proprietà per una durata, se non addirittura indefinita come si può verificare nelle ipotesi di plurime continue reiterazioni, quanto meno eccedente il periodo - unico compatibile con i principi della Costituzione - di cinque anni.
Si tratta, in concreto, delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 40 della l. 17.8.1942, n. 1150 e art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, che devono essere correttamente interpretate alla luce dei principi emergenti dalle sentenze della Corte costituzionale n. 55 del 1968 e n. 575 del 1989; nonché delle disposizioni sovranazionali di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo firmata a Roma il 4.11.1950 e 1 del Protocollo addizionale firmato a Parigi il 20.3.1952, vigenti nel nostro ordinamento interno in forza dell'ordine di esecuzione di cui alla l. 4.8.1955, n. 848.



51.1. Le modalità dell’indennizzo per i vincoli scaduti, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.

LEGISLAZIONE: d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 39.

Le modalità di calcolo dell’indennizzo per i vincoli scaduti sono disciplinate dall’art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, in maniera transitoria, in attesa del t.u sulla programmazione urbanistica attuativa.
L’atto che reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo.

1. In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto. (L)
2. Qualora non sia prevista la corresponsione dell'indennità negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1, l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali. (R)
omissis
5. Dell'indennità liquidata ai sensi dei commi precedenti non si tiene conto se l'area è successivamente espropriata. (L)
(art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327).

La dottrina coglie la contraddizione della dizione legislativa che impone il risarcimento del danno, ma lo subordina al fatto che questo sia effettivamente prodotto.
La dottrina si chiede se il risarcimento sia dovuto anche se il proprietario continua ad utilizzare l’area nonostante l’imposizione del vincolo attraverso l'esercizio di una attività, ad esempio agricola o relativa all’esercizio di un campeggio, e se il privato sia tenuto alla dimostrazione del danno.

Il privato è tenuto a cooperare nella dimostrazione del danno patito, essendo solo lui a conoscenza precisa del tipo di utilità ritratta dalla perdurante utilizzazione non edificatoria, da mettersi a confronto con il pregiudizio collegato al non sfruttamento edificatorio
(Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 487).

Non è chiaro in questa ricostruzione quando deve essere determinato l’obbligo, per l’autorità che dispone il vincolo, di prevederne il pagamento nell’atto stesso di vincolo o a successiva richiesta dell'istante.
L’interpretazione proposta induce quindi l’amministrazione a non determinare l’indennizzo per il vincolo.
In tal caso, costringendo alla richiesta il proprietario vincolato, lo induce ad esporre motivatamente il danno subito aggiungendo, quindi, al danno oggettivo i proventi derivanti dall’attività eventualmente esercitata.
Altro problema è determinare se una variante generale di piano comporti la reiterazione del vincolo anche in presenza di mutamenti programmatori.
Si tratta evidentemente di verificare, volta per volta, se sostanzialmente il vincolo è reiterato.
Qualora l’amministrazione non provveda il privato può inoltrare domanda documentata di risarcimento e l’autorità responsabile dell’imposizione del vincolo è tenuta a corrisponderlo entro i successivi trenta giorni, pena la decorrenza degli interessi legali.
L’indennità è autonoma rispetto a quella corrisposta per un successivo esproprio.
Per alcuni autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura indennità di esproprio. La dottrina lamenta comunque il fatto che non sussistano criteri automatici per la determinazione dell’indennità.

La scelta di fare provare il danno al proprietario non appare condivisibile, dal momento che si impone al proprietario un iter per ottenere il ristoro delle proprie pretese certamente più complesso ed oneroso. Parimenti, come già suggerito dai primi commentatori della norma, sarebbe stato preferibile collegare l’indennità dovuta al successivo art. 50, d.p.r. l’8.6.2001, n. 327, che prevede il criterio di determinazione dell’indennità di occupazione
(Saturno e Stanzione 2002, 382).

Altri autori ritengono che sia ammissibile proporre un risarcimento anche parziale – ancorato sulla base di parametri che tengano conto della durata all’indennità di esproprio - del danno provocato dal vincolo, ma tale interpretazione sembra dubbia in carenza di precise indicazioni in tal senso.

Sembra che l’indennizzo venga commisurato, in ragione del tempo previsto o prevedibile del vincolo, al danno prodottosi sulla base degli stessi parametri adattati in relazione all’entità del pregiudizio, che prevedono l’indennizzo, a seconda del tipo di aree, per l’espropriazione in senso stretto.
(Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 487).

La dottrina lamenta, inoltre, come nel d.p.r. 8.6.2001, n. 327 manchi la possibilità per i proprietari di monetizzare destinazioni pubbliche attribuendo destinazioni private, operando attraverso comparti, perequazioni, trasferimenti di cubatura, accordi sulle aree da cedere o addirittura eseguendo essi stessi le opere pubbliche.
Ad esempio, il vincolo di una area a verde pubblico potrebbe essere compensato con la possibilità di realizzare la cubatura media della zona su di una altra area della stessa o di diversa proprietà attraverso un atto che trasferisca al comune l’area ed al privato la cubatura convenzionale.
Tale normativa evidentemente avrebbe costituito un eccesso di deroga anche se la giurisprudenza ha riconosciuto legittime le forme di perequazione contenute nella normativa di piano regolatore generale (Saporito 2001, 42).
Vi sono, però, alternative al sistema degli indennizzi dei vincoli.
La dottrina propone la fissazione di un indice virtuale di edificabilità per le aree ricadenti in ogni singolo comprensorio, dividendo la cubatura complessivamente consentita dal piano regolatore nel comprensorio per il numero dei metri quadri dell’intera superficie interessata dal comprensorio medesimo.
In tal modo si identifica il diritto ad edificare di ogni singolo proprietario.
Questo diritto, reso commerciabile fra i privati e tra i privati e la pubblica amministrazione, a prezzi concordati, consentirebbe l’attuazione automatica del piano regolatore.
Al legislatore restano da disciplinare le procedure coattive di attuazione del piano in caso di inottemperanza dei privati a realizzare le sue previsioni (D’Angelo 1999, 1184).



52. I vincoli e il procedimento ablatorio. Criteri per la determinazione dell’indennità di esproprio. Rinvio.

LEGISLAZIONE: d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 32.

Il collegamento fra indennità di esproprio e vincoli di piano risente dell’inquadramento dottrinale dato al provvedimento autorizzativo della realizzazione di opere edilizie.
Tale costruzione incide sulla stessa definizione del diritto di proprietà, è effettuata dal legislatore nella l. rif. casa, ma soprattutto tale connessione è sviluppata nella successiva legge sul regime dei suoli.
La dottrina afferma che la concessione ha la prerogativa di aggiungere alla proprietà fondiaria una attribuzione che prima questa non possedeva: la possibilità di costruire che perviene al proprietario per effetto dell’approvazione dello strumento urbanistico.

Definisco la concessione additiva, perché uno dei suoi caratteri salienti è aggiungere una facoltà ad un soggetto che ha una particolare situazione, quella proprietaria.
(Predieri 1977, 122).

Le conseguenze dell’impostazione sono logiche: se lo Stato attribuisce la possibilità di costruire alla proprietà fondiaria a prescindere dalle caratteristiche dell’immobile è evidente che l’indennizzo si rapporta al valore di quello che residua ossia al valore agricolo:

E’ chiaro che il mutamento del metodo (colla l. 10/1977 si considera il valore agricolo delle culture effettivamente praticate invece che quelle al valore agricolo medio della l. 865/1971) non altera il principio basilare per cui nessun plusvalore edificatorio potrà essere riconosciuto, e che il valore di cui parla il legislatore è solo ed esclusivamente quello agricolo
(Predieri 1977, 412).

La costruzione dottrinale è stata completamente rivista dalla dottrina successiva.
Essa ha affermato, infatti, che per le aree destinate ad edilizia privata solo il proprietario o chi ha il titolo per costruire può presentare la domanda di concessione.
Il sistema non consente che altri soggetti possano d’autorità sostituirsi a questi per ottenere la concessione alla realizzazione dell'opera; necessariamente, non si tratta di un rapporto concessorio che presuppone che le facoltà attribuite siano proprie della amministrazione, ma di un rapporto autorizzatorio che prevede la rimozione di limiti all’esercizio di facoltà proprie del richiedente.
La concessione non attribuisce nuovi diritti al richiedente, ma presume delle facoltà preesistenti ossia una titolarità dell'area che si configura solo nei confronti del proprietario o di altri soggetti ben identificati (Assini e Mantini 1997, 544).
La dichiarazione della illegittimità costituzionale dei criteri di determinazione dell’indennizzo è stata sicuramente condizionata dalla configurazione giuridica del diritto ad edificare.
La Corte sancisce l’interpretazione corretta del rapporto tra la proprietà e la facoltà di edificare e ribadisce la natura autorizzatoria della concessone edilizia respingendo le teorie che consideravano l’attribuzione dello ius aedificandi al proprietario dipendente solo da un provvedimento oneroso della pubblica amministrazione (Predieri 1977, 127).
La Corte ha affermato che il diritto ad edificare spetta al proprietario e che, pertanto, l’indennizzo deve essere serio ristoro del valore del bene oggetto del procedimento ablatorio.

Le norme che disciplinano lo ius aedificandi, introducendo il sistema della concessione edilizia, non comportano che la relativa facoltà non inerisca più al diritto di proprietà poiché la concessione, al pari della precedente licenza, non è attribuita di diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza.
(Corte cost., 30.1.1980, n. 5, GiC, 1980, I, 21).

La Corte ha, inoltre, ribadito che si deve fare riferimento al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali che, nel caso di aree edificabili, corrispondono alle potenzialità edificatorie del terreno.
L’impostazione non muta con l’introduzione del permesso di costruire di cui al d.p.r. 380/2001, poiché la natura giuridica del provvedimento non cambia. Il d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 32 e ss., determina il sistema del calcolo dell’indennità, seguendo le indicazioni giurisprudenziali che hanno dichiarato incostituzionale il sistema di indennizzo basato sul valore agricolo medio formulato dalla l. 865/1971, vedi Cap. VIII, n. 127 e segg.

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