mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 3 Pianificazione generale


CAPITOLO III I vincoli nella pianificazione generale comunale.

SOMMARIO: 33. Il contenuto del piano regolatore generale.
34. La zonizzazione.
35. La localizzazione.
35.1. La localizzazione di opere realizzate da amministrazioni statali.
36. Il procedimento di formazione. L’informazione. Le osservazioni.
37. Le opposizioni.
38. Il recepimento delle osservazioni e l’obbligo di ripubblicazione del piano.
39. L’accesso al procedimento di formazione.
39.1. Le varianti agli strumenti urbanistici nel caso di approvazione di progetto di opera pubblica.
39.2. La partecipazione al procedimento.
39.3. Il silenzio sull’approvazione di variante di p.r.g.
40. I vincoli conformativi nella pianificazione generale comunale.
40.1. Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali.
40.2. L’accesso.
41. I vincoli che rinviano l’edificazione alla pianificazione esecutiva.
42. I vincoli espropriativi.
43. I criteri di distinzione fra vincoli conformativi e quelli destinati all’espropriazione.
44. La illegittimità dei vincoli e tempo indeterminato.
44.1. Il vincolo quinquennale.
45. Gli effetti della decadenza del vincolo.
46. La reiterazione dei vincoli de iure e de facto.
47. La partecipazione al procedimento.
48. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
49. Il rilascio del permesso di costruire in presenza di vincoli di piano.


33. Il contenuto del piano regolatore generale. La zonizzazione. La localizzazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., artt. 7, 11, 18, 30.

Il contenuto del piano regolatore generale è determinato dall’art. 7 della l. 1150/1942, che fissa tassativamente gli elementi che costituiscono lo strumento principale della programmazione urbanistica comunale.
L’indicazione legislativa è quella di un piano di larga massima che incide nelle scelte fondamentali del territorio e che rinvia per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva.

Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l'attuazione del piano
(art. 7, l. 17.8.1942, n. 1150).

Tali indicazioni sono state disattese nella pratica poiché, concretizzando una pianificazione rigida, il piano regolatore ha disciplinato minuziosamente l’assetto del territorio e la pianificazione esecutiva si è trovata costretta in maglie troppo rigide.
La legge urbanistica non prevede gli elaborati che devono costituire il provvedimento di adozione del piano da parte dell’ente locale, salvo la relazione finanziaria.
Il rapporto fondamentale fra programmazione e strumenti finanziari è disciplinato dall'art. 30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario contenuto di concretezza:

Il piano regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano finanziario formato dal comune e approvato, oltre che dai normali organi di tutela, dai ministri dell'interno e delle finanze
(art. 30, l. 17.8.1942, n. 1150).

Evidentemente è estremamente improbabile riuscire a programmare economicamente, con sufficiente autorevolezza, delle scelte che si devono esprimere per un periodo di tempo illimitato, anche se la previsione finanziaria è richiesta solo per l’acquisizione delle aree.

La funzione della previsione di massima della spesa è quella di tradurre in realtà economica e di dimostrare concretamente la possibilità di realizzazione del piano regolatore, senza peraltro che essa costituisca oggi un elemento per mezzo del quale deve essere dimostrata la possibilità economica del Comune di realizzare il piano in ogni sua parte
(Mengoli 2003, 98).

Il dettato legislativo è stato, comunque, minimizzato dalla giurisprudenza, che ha reso le scelte di piano meramente indicatorie.

La relazione finanziaria non è un elemento essenziale del piano regolatore generale e delle sue varianti, potendo anche sopravvenire in un momento successivo, allorquando il comune debba deliberare circa l'espropriazione delle aree private, ai sensi dell'art. 18 della l. 17.8.1942, n. 1150
(T.A.R. Campania, sez. Salerno, 10.7.1991, n. 232, T.A.R., 1991, I, 3144).

Da questo minimizzare la relazione economica inerente al piano dirivano le contraddizioni della pianificazione urbanistica.
Essa diventa spesso il libro delle buone intenzioni che frena la stessa realizzazione del piano.
La mancanza di una pianificazione economica strettamente connessa a quella territoriale impedisce la stessa verifica pragmatica del piano.
Le scelte urbanistiche se non sono supportate dalla disponibilità finanziaria diventano irrealizzabili ed assumono solo una posizione di vincolo a tempo indeterminato.
Le politiche sociali di servizi pubblici possono trovare soluzione solo se le amministrazioni pubbliche recepiscono i finanziamenti necessari per la realizzazione delle scelte, che l’indirizzo politico enuncia senza però curarsi minimamente dei tempi pratici di attuazione.
L’atteggiamento riduttivo dell’importanza della programmazione economica è rimasto anche quando la legislazione ha imposto nell'ambito della normativa di piano di prevedere l’indennizzo, come nel caso di reiterazione dei vincoli espropriativi.

Non è necessaria la contestualità tra piano finanziario per far fronte agli indennizzi, conseguenti al rinnovo dei vincoli di localizzazione, e piano regolatore o variante allo stesso piano
(Cons. St. A Pl., 22.12.1999, n. 24, FA, 1999, 2383).

La legislazione regionale ha normato tale materia richiedendo: la relazione illustrativa, gli elaborati grafici e le norme di attuazione (Mengoli 2003, 103).
La relazione illustrativa contiene, oltre ad una analisi del tessuto urbanistico ed edilizio esistente, le ragioni che motivano le scelte di piano.
Vi sono esposti i motivi che determinano la collocazione delle varie zone (quali il centro storico, le zone di completamento, le zone di espansione, ecc.,) e la localizzazione delle infrastrutture, dei servizi e delle principali opere pubbliche.
Gli elaborati grafici - attraverso la simbologia grafica che caratterizza gli spazi - traducono la relazione illustrativa nella rappresentazione cartolare.

E’ comunque applicabile il principio di specialità per cui, in caso di contrasto apparente tra disposizioni coesistenti rispettivamente contenute nelle norme tecniche di attuazione e nelle norme grafiche si applica quella che ha un contenuto più preciso e dettagliato
(Assini e Mantini 1997, 274).
Le norme di attuazione dettano disposizioni specifiche che regolano gli interventi in materia di urbanizzazione, distanze, indici di edificabilità, volumetria, ecc.
Al posto di optare per una normativa di larga massima che fissi solo le decisioni programmatorie di largo respiro - viabilità, zone a standard, zone agricole - la legislazione regionale ha scelto una normativa rigida di dettaglio.

La legislazione regionale, pur nelle sue differenziate e molteplici articolazioni, delinea un contenuto del p.r.g. sempre più caratterizzato da disposizioni e previsioni di dettaglio, e le stesse amministrazioni comunali concepiscono lo strumento urbanistico generale come volto a disciplinare non solo l’assetto urbanistico del territorio, ma anche al tipologia edilizia, le distanze e le altezze per ogni singola zona
(Assini e Mantini 1997, 290).



34. La zonizzazione.

LEGISLAZIONE: l. 1150/1942, art. 7.

Il piano regolatore generale è lo strumento territoriale a carattere generale che ha funzione programmatoria e vincolante sulla destinazione delle aree, in attesa che l'amministrazione giunga all'attuazione del piano (Bassani 1996, 29).
Nell'esercizio di questa funzione l'amministrazione comunale opera con assoluta discrezionalità sulle scelte da compiere, non essendo ammesso alcun sindacato giurisdizionale sul contenuto di quelle che riguardano il merito del provvedimento.

Rientra nelle scelte di merito insindacabili dell'amministrazione comunale, in sede di zonizzazione tramite piano regolatore generale, destinare un'area a verde e a servizi, così modificando la destinazione urbanistica precedente

Sono censurabili sotto il profilo della legittimità presso il giudice amministrativo solo le procedure di approvazione per verificare la regolarità del procedimento ovvero la logicità e la attendibilità degli obiettivi che la pianificazione stessa deve perseguire.

L'approvazione della variante generale al piano regolatore generale non può esaurirsi in singole votazioni frazionate riferite alle singole zone, ma deve necessariamente comprendere anche una fase conclusiva comportante l'esame, la discussione, la votazione e l'approvazione del documento pianificatorio nel suo complesso - fattispecie nella quale, correttamente, si è proceduto alla votazione separata e frazionata di due tavole di zonizzazione, senza la presenza di quei consiglieri che di volta in volta potevano astrattamente ritenersi interessati, ma omettendo la fase conclusiva sopra descritta

La dottrina ha diviso le prescrizioni contenute nel piano, distinguendo le zonizzazioni dalle localizzazioni.
Sono considerate zonizzazioni quelle prescrizioni di piano che suddividono in zone il territorio comunale, precisando le caratteristiche di ogni singolo comparto.
Esse hanno natura conformativa, perché definiscono quelle che sono le caratteristiche delle opere da realizzare nella zona.

Poiché hanno contenuto conformativo della proprietà privata i vincoli aventi la funzione di definire per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale, mentre hanno contenuto espropriativo, stante la loro portata ablatoria, i vincoli incidenti su beni determinati in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica.
Rientra tra i vincoli della prima specie la destinazione a verde pubblico urbano e comprensoriale di un'area di proprietà privata disposta in sede di variante al piano regolatore generale, atteso che tale classificazione, per lo strumento in cui è contenuta, è espressione del potere di pianificazione.
E’, pertanto, escluso che, ai fini indennitari, il regime urbanistico dell'area suddetta debba essere accertato risalendo ad una pianificazione anteriore non più attuale
(Cass. Civ., sez. I, 28.11.2001, n. 15114, GCM, 2001, 2040).

Ad esempio, sono delimitate le zone destinate alla residenza e quelle riservate all'industria.
Vengono inoltre determinati i vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7 della l. 1150/1942.
Successivamente, con d. m. 2.4.1968 sono fissati gli standard urbanistici di ciascuna zona, stabilendo le opere minime indispensabili di urbanizzazione.
Le norme di zonizzazione hanno natura cogente, come tutti i limiti che la pubblica amministrazione dà all'attività dei privati, e trovano un supporto normativo nell’art. 11, l. urb., che impone l'obbligo ai proprietari degli immobili di osservare nelle costruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.
La zonizzazione detta prescrizioni a carattere programmatico che, per essere tradotte in pratica, abbisognano di ulteriori specifiche disposizioni.
Le norme di zonizzazione non hanno natura ablatoria, in quanto la pubblica amministrazione impone delle direttive ai privati, senza acquisire gli immobili che, di norma, anzi, ottengono dalle prescrizioni di zona una rendita di posizione.
La zonizzazione ha in ogni modo un rilievo fondamentale nel procedimento espropriativo poiché essa determina la misura della indennità, accertando nella sua ultima definizione la natura dell’area e distinguendo chiaramente se essa è agricola o edificabile.
La zonizzazione è determinata dallo strumento urbanistico generale, ma può essere decisa anche da quello attuativo se esso contestualmente determina una variante di piano.

L'accertamento delle possibilità legali ed effettive di edificazione di un'area ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio va effettuato tenendo conto non solo della destinazione attribuita all'area dal piano regolatore generale o dal piano di fabbricazione, ma anche delle varianti apportate in sede di "zonizzazione" del territorio da strumenti urbanistici generali, quali il piano per l'edilizia economica e popolare.
Essi rivestono, riguardo alla destinazione impressa all'area dal piano di fabbricazione, la duplice, contemporanea efficacia di strumento attuativo di terzo livello; mentre non può tenersi alcun conto delle varianti apportate al piano generale allo specifico scopo di realizzare l'opera che viene contestualmente approvata (varianti cosiddette attuative), giacché tali varianti costituiscono fonte di vincolo preordinato all'esproprio e pertanto non può ad esse essere riconosciuta alcuna incidenza in sede di accertamento della vocazione edificatoria



35. La localizzazione.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 7, n. 1, n. 3, n. 4 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 12.

L’amministrazione comunale ha la piena competenza nella localizzazione delle opere pubbliche ossia essa ha la funzione di scegliere le zone di piano nelle quali esse devono essere eseguite.
Con la localizzazione l'amministrazione comunale opera una scelta programmatoria indicando le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico; in tal senso i vincoli di localizzazione differiscono dai vincoli posti dalla zonizzazione.

I vincoli di piano regolatore generale si distinguono in vincoli di mera inedificabilità, detti anche vincoli strumentali, che non preludono ad alcun esproprio futuro, ma si limitano a differire la possibilità di edificare ad un momento successivo al compimento di una certa attività di programmazione-pianificazione (come nel caso di obbligo di piano attuativo) e vincoli preordinati all'espropriazione, detti anche vincoli sostanziali o di localizzazione, che identificano il luogo in cui sono destinate a sorgere opere pubbliche e che si sostanziano in una sorta di "prenotazione" di espropriazione
( T.A.R. Veneto, 30.3.1996, n. 513, T.A.R., 1996, I, 1892).

Attraverso la delibera di localizzazione si identificano la rete delle principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e di navigazione e dei relativi impianti, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a determinate servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale previste, ex art. 7, n. 1, n. 3, n. 4 della legge urbanistica.
La delibera di localizzazione non è censurabile nel merito, ma solo sotto il profilo della legittimità da parte del giudice amministrativo.
La specificazione dell’opera non è ritenuta necessaria dalla giurisprudenza; non è, pertanto, necessaria una variante di piano per specificare la tipologia dell’opera pubblica da realizzare.

Non occorre l'approvazione di una variante al piano regolatore generale ai fini della localizzazione di aree per attrezzature urbane di interesse generale che risulti conforme alle previsioni del piano.
Nella specie si trattava di area destinata alla costruzione di una caserma dei Vigili del fuoco.
(Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 22.9.1999, n. 391, GBLT, 2000, 159).

Nel caso si debba cambiare la destinazione dell’area per giungere a localizzare un’opera è necessario procedere con una variante di piano; in tal caso la giurisprudenza sottolinea la necessità di una puntuale motivazione.

La deliberazione comunale dei vincoli di localizzazione partecipa della natura del piano regolatore (in parte atto generale e in parte atto normativo); pertanto è sufficiente la motivazione desumibile dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano.
Inoltre è sufficiente, per la giustificazione della variante, l'esigenza di conformare lo strumento urbanistico alle norme sui rapporti tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, a spazi pubblici o destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi
(Cons. St., A. Pl., 22.12.1999, n. 24, FA, 1999, 2383).

La localizzazione è il necessario presupposto del procedimento ablatorio. Con la localizzazione l'amministrazione opera una scelta programmatoria gestionale indicando, scegliendole fra quelle disponibili, le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico.

Le localizzazioni disciplinano soprattutto la scelta urbanistica delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, gli impianti, opere per interventi di dimensione sovracomunale; le attrezzature, impianti, interventi ed opere di interesse pubblico e generale
(Assini e Mantini 1997, 251).

Le disposizioni aventi natura localizzatoria hanno, quindi, in sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, non discende direttamente dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani particolareggiati, o, comunque, da quelli aventi natura attuativa: - come il piano di zona per l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva dichiarazione di pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.
La mera indicazione nel piano regolatore non consente, quindi l’avvio della procedura espropriativa.

La deliberazione di localizzazione di un intervento pubblico, non contenendo ancora la dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle relative opere, pur se intervenuta nel termine quinquennale di vigenza del p.r.g., non è in grado di soddisfare l'esigenza posta dall'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, giacché solo l'approvazione del progetto esecutivo, con la contestuale dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza dell'opera, è in grado di imporre il vincolo espropriativo opponibile all'espropriando
(Cons. St., sez. IV, 30.5.2002, n. 3007, FACDS, 2002, 1214).

Nel caso di inclusione di un compendio immobiliare in un piano regolatore generale che ne contempli la destinazione a centro scolastico, con rinvio alle disposizioni del piano particolareggiato per l'individuazione puntuale del singolo edificio o degli edifici destinati a soddisfare lo specifico interesse pubblico, non è possibile configurare una dichiarazione di pubblica utilità implicita idonea ad avviare il procedimento espropriativo in assenza di una attuazione specifica del programma di edilizia scolastica.
E’ necessaria, infatti, la preventiva l'adozione di un piano particolareggiato o di un decreto di vincolo dell'edificio ai sensi dell'art. 14 l. 641 del 1967
(Trib. Sondrio, 31.5.2000, FI, 2000, I, 2832).

La localizzazione trova fondamento nelle scelte portate dal p.r.g., solamente se l’opera corrisponde alle previsioni dello strumento urbanistico o di una sua variante può essere disposta la dichiarazione di pubblica utilità.
Essa che sarà addirittura implicita qualora si tratti di uno strumento urbanistico attuativo, come, ad esempio, nel caso del piano particolareggiato o del piano di zona per l’edilizia economico popolare, art. 12, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.




35.1. La localizzazione di opere realizzate da amministrazioni statali.

LEGISLAZIONE: d.p.r. 18.4.1994, n. 383, art. 3.

La funzione comunale in materia di localizzazione viene però esercitata dallo Stato nel caso di opere che siano realizzate da amministrazioni statali.

L'intesa tra Stato e regioni prevista dall'art. 81, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, per l'accertamento di conformità alle prescrizioni del piano regolatore generale delle opere da realizzare da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale, non occorre per le opere destinate alla difesa nazionale, alla quale sono equiparate le sedi di servizio dell'Arma dei carabinieri.
La localizzazione di dette opere è di esclusiva competenza degli organi statali
(T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 28.10.1998, n. 432, T.A.R. 1998, I, 4413).

L'art. 2 della l. 537/1993 ha consentito l'emanazione del regolamento di localizzazione delle opere pubbliche approvato con d.p.r. 383/1994 che prevede, in caso di difformità delle opere dagli strumenti urbanistici, la convocazione di una conferenza di servizi cui partecipano la regione, i comuni, le amministrazioni dello Stato interessate, nonché gli enti tenuti ad adottare atti di intesa.

La conferenza dei servizi prevista dall’art. 3, d.p.r. 18.4.1994, n. 383, convocata per la localizzazione di un'opera pubblica di interesse statale non conforme agli strumenti urbanistici vigenti, pronunciandosi all'unanimità, può apportare al progetto le opportune modificazioni, purché queste non comportino uno stravolgimento del progetto esecutivo originario. Quei partecipanti che non intendono approvarle devono espressamente e chiaramente motivare il proprio dissenso
(Cons. St., sez. IV, 24.2.2000, n. 1002, RGU, 2001, 195 nota Nicoletti).

In mancanza di approvazione all'unanimità l’amministrazione interessata può chiedere che si proceda ad approvazione con decreto del Presidente della Repubblica, come previsto dall'art. 81, 4° co. del d.p.r. 616/1977 (Mengoli 2003, 882).

Se l'intesa non si realizza entro novanta giorni dalla data di ricevimento da parte delle regioni del programma di intervento, e il Consiglio dei Ministri ritiene che si debba procedere in difformità dalla previsione degli strumenti urbanistici, si provvede sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro o dei Ministri competenti per materia
(Art. 81, 4° co. del d.p.r. 616/1977).

L'intesa è un provvedimento amministrativo soggetto alle normali impugnative.
Le disposizioni aventi natura localizzatoria, difformemente da quelle che comportano la zonizzazione del territorio comunale, hanno in sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, è determinato dalla imposizione del vincolo.

In sede di adozione dei p.r.g. i vincoli imposti possono essere di mera inedificabilità, detti anche vincoli strumentali, e vincoli preordinati alla espropriazione, detti anche vincoli sostanziali o di localizzazione.
I primi non preludono ad alcun esproprio futuro, ma si limitano a differire la possibilità di edificare ad un momento successivo al compimento di una certa attività di programmazione o pianificazione (come nel caso di obbligo di piano attuativo), mentre i secondi identificano il luogo in cui sono destinate a sorgere opere pubbliche e si sostanziano in una sorta di "prenotazione" di espropriazione.
Pertanto gli effetti che si verificano alla scadenza del piano regolatore sono diversi a seconda che si tratti di vincoli sostanziali o di vincoli strumentali, in quanto, nel primo caso, l'area risulterà priva di specifica destinazione, nel secondo, riprenderà vigenza la destinazione preesistente, in tutta la sua pienezza
(T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 4.10.2001, n. 1366, CI, 2001, 1711).

La pianificazione generale non comporta la dichiarazione di pubblica utilità.
Essa non deriva direttamente dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani particolareggiati o comunque aventi natura attuativa - come il piano di zona per l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva dichiarazione di pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.



36. Il procedimento di formazione. L’informazione. Le osservazioni.

LEGISLAZIONE: l. 1150/1942, artt. 8, 9, 10.

Il procedimento di formazione del piano regolatore è disciplinato dagli artt. 8, 9, 10, l. 1150/1942.
La legislazione regionale impone ai comuni il dovere di informazione sulle procedure di formazione degli strumenti urbanistici per favorire la partecipazione dei soggetti interessati.

14. Il comune, nell'esercizio delle funzioni trasferite, deve assicurare
un'adeguata informazione ai cittadini in merito alla definizione delle scelte
urbanistiche e la trasparenza dell'azione amministrativa, disponendo la
tempestiva pubblicazione su almeno un quotidiano o un periodico a diffusione
locale di appositi avvisi riguardanti:
a) l'avvio del procedimento di formazione dello strumento urbanistico generale e
delle sue varianti, stabilendo il termine entro il quale chiunque ne abbia
interesse possa presentare istanze ai fini della determinazione delle scelte
urbanistiche;
b) l'avvenuta adozione del piano e delle sue varianti, nonché il deposito presso
la segreteria comunale, volto a consentire la loro conoscenza e la presentazione
di osservazioni;
c) l'efficacia del piano e delle sue varianti ai sensi del comma 21
(Art. 3, 14° co., l.r. Lombardia 5.1.2000, n. 1).

La giurisprudenza ha affermato che il dovere di informazione, dopo l’entrata in vigore della l.r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, è costitutivo nell’ambito del procedimento di formazione con conseguente annullamento del procedimento (T.A.R. Lombardia Milano , sez. II, 3.6.2003, n. 2415).
La dottrina conferma che l’inosservanza determina l’illegittimità dell’atto amministrativo.

In caso di mancata notizia con tempestiva pubblicazione su almeno un quotidiano la deliberazione è da ritenersi illegittima per violazione di legge e, come tale, annullabile. L’annullamento, essendo stato causato dalla mancata pubblicazione dell’avviso di avvio di procedimento, comporta la necessità di rinnovare tutti gli atti conseguenti sino alla deliberazione di adozione compresa
(Boccella 2003, 1736)

Il procedimento di formazione prevede la partecipazione obbligatoria dei soggetti aventi interesse alla approvazione dello strumento urbanistico che possono presentare osservazioni al progetto stesso.
Esso si articola:
nella delibera di adozione del piano, soggetta al controllo di legittimità;
nel deposito presso la segreteria comunale per consentire, attraverso la presa visione, la presentazione delle osservazioni;
nella delibera di risposta alle osservazioni e di definitiva adozione della variante, con la conseguente trasmissione degli atti alla regione che è preposta all’approvazione del piano.
Gli atti sono immediatamente impugnabili, poiché immediatamente lesivi.
Trattandosi di provvedimento pianificatorio a contenuto generale non sussistono soggetti cui attribuire natura di controinteressati, quindi non vi è obbligo di notifica delle osservazioni a terzi.
Il piano regolatore comunale ha natura di atto amministrativo generale, ciò esclude la configurabilità di posizioni di controinteressato in capo a quei soggetti, anche nominativamente individuati, che siano avvantaggiati dalle previsioni del piano medesimo o le cui osservazioni sono state accolte
(T.A.R. Umbria, 7.6.2002, n. 389, FATAR, 2002, 2861 nota Montefusco).
I privati possono quindi intervenire nella fase della formazione dello strumento urbanistico, partecipandovi attivamente con i rimedi delle osservazioni e delle opposizioni.

Nella legislazione regionale tutti i soggetti interessati sono legittimati a proporle, configurando l’istituto come una sorta di partecipazione collaborativa alla predisposizione dello strumento urbanistico generale
(Assini e Mantini 1997, 300).

La natura dei due strumenti è diversa.
Per quanto riguarda le prime sussiste una certa tendenza da parte della giurisprudenza a ritenerle mera forma di civica collaborazione, tanto che non occorre una motivazione specifica per respingerle. Sulle opposizioni il comune deve, invece, pronunciarsi con un provvedimento motivato.
Le osservazioni presentate dai privati interessati all'adozione di un piano regolatore generale, costituiscono forme di collaborazione alla formazione degli strumenti urbanistici e non rimedi a tutela degli interessati, sicché il Comune non è tenuto a confutare analiticamente e specificamente tutte le argomentazioni contenute nelle osservazioni; pertanto, al fine di non tenere conto di alcune osservazioni, è sufficiente evidenziare il loro contrasto con gli interessi o le linee portanti del piano regolatore
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 27.9.2002, n. 3826, FATAR, 2002, 2801, 3122 nota Leonardi).
La reiezione delle osservazioni può essere motivata ob relationem con le controdeduzioni del comune, essendo sufficiente che le controdeduzioni, ancorché sintetiche, siano idonee a dimostrare che si è tenuto presente l'apporto collaborativo e critico dei privati.

Le osservazioni dei proprietari dei terreni interessati alla predisposizione d'un piano regolatore generale - se si vuole evitare l'inutilità dello strumento partecipativo in esame - impongono alla amministrazione comunale l'obbligo di motivarne l'eventuale rigetto.
Con le osservazioni da essi presentate al piano regolatore generale, i privati interessati partecipano in sostanza alla formazione del piano stesso, e pertanto l'amministrazione comunale è obbligata a motivarne l'eventuale rigetto adeguatamente - facendo almeno riferimento al fatto che dette osservazioni contrastano con le linee fondamentali del piano regolatore - così che, nell'interesse reale della popolazione, sia assicurata l'adozione di soluzioni urbanistiche, oltre che legittime, anche opportune e razionali.
Nella specie, si è ritenuto che l'amministrazione è tenuta a rispondere alle osservazioni relativamente alle linee logiche e normative tenute presenti nel piano, non con semplice riferimento agli interessi fatti valere, aventi forzatamente e logicamente natura privata
(T.A.R. Liguria, sez. I, 26.11.2002, n. 1153, GM, 2003, 561).

La motivazione di rigetto delle osservazioni dei privati al piano regolatore generale può essere sintetica e non necessariamente riferita alle singole osservazioni, risultando sufficiente che il comune, dopo averle esaminate, le ritenga in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali posti a base del p.r.g.
(T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 13.5.2000, n. 155, FA, 2000, 2780).

La delibera di recepimento delle osservazioni non può essere in contrasto con precedenti determinazioni del comune, pena l’illegittimità del provvedimento.

È illegittima la deliberazione con la quale la giunta comunale, che in un primo tempo aveva manifestato la volontà di non condividere le proposte regionali di modifica del piano regolatore generale, recepisce le osservazioni per non ritardare l'entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico; tale decisione, infatti, soddisfa le esigenze di celerità, ma priva il procedimento degli approfondimenti e delle analisi che la situazione avrebbe richiesto
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10.6.2002, n. 2441, FATAR, 2002, 1896).
L’accoglimento delle osservazioni deve essere motivato con riferimento agli interessi contrapposti che sottintendono la pianificazione.
La motivazione deve essere particolarmente puntuale qualora vi siano delle aspettative dei proprietari in relazione a provvedimenti lottizzatori già approvati dall’amministrazione.

È illegittima la delibera di adozione di un piano regolatore generale, nella parte in cui vincola a verde pubblico aree già destinate ad edilizia residenziale, in accoglimento parziale delle osservazioni di terzi volte ad ottenere lo stralcio delle previsioni lottizzatorie, senza motivazione o con la mera indicazione della nuova destinazione d'uso o sul rilievo che la stessa persegua la salvaguardia del territorio comunale, dovendo, l'accoglimento delle osservazioni predette, essere motivato da ragioni idonee a render conto della compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 6.3.2002, n. 973, FATAR, 2002, 815).
È illegittima, per carenza istruttoria, la delibera di adozione di piano regolatore generale, ove il provvedimento si riveli complessivamente approssimativo ed inadeguato nell'elaborazione, in relazione alle osservazioni puntuali e concrete svolte dalla commissione edilizia
(T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 6.6.2000, n. 1863, FA, 2000, 2864)

È illegittima la delibera con cui l'amministrazione rigetta osservazioni di privati al piano regolatore generale in itinere con la semplice motivazione di un generico interesse privato
(Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 11.10.1999, n. 417, GBLT, 2000, 166).




37. Le opposizioni.

LEGISLAZIONE: l. 1150/1942, art. 9.

Le opposizioni, che spettano solo ai proprietari degli immobili compresi nel piano stesso, hanno carattere di veri e propri rimedi giuridici, in quanto obbligano l'autorità competente ad esaminarle ed a decidere sulle stesse, ex l. 1150/1942, art. 9.

Le osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale di un comune si riferiscono a due concentrici livelli di interessi: le osservazioni, infatti, si concretano in suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o di previsioni specifiche di esso che incidono su situazioni di interesse diffuso su tutti i residenti nella zona.
Le opposizioni, invece, si concretano in vere e proprie censure a specifiche previsioni urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di pianificazione e non rientrano quindi nel modello partecipativo, ma costituiscono esercizio di un vero e proprio interesse partecipativo.
(Cons.giust.amm. Sicilia, 1.6.1993, n. 227, CS, 1993, I, 795).

La giurisprudenza tende a dare una risposta sempre più univoca in ordine al contenuto delle motivazioni che devono concretizzare l’atto che respinge sia le osservazioni sia le opposizioni al piano.
Le osservazioni ed opposizioni non possono, però, essere respinte con una pura formula di stile che, sia per la schematica astrattezza del testuo, sia per il fatto di potersi, in pratica, riferire a qualsiasi rilievo, pone nella assoluta impossibilità di chiarire se l'amministrazione abbia effettivamente valutato il rilievo presentato e quindi si sia determinata a respingerlo proprio ai fini di quel pubblico interesse che essa asserisce di volere tutelare.
E’, invece, necessaria una adeguata e puntuale motivazione.

Legittimamente l'amministrazione, nell'accogliere solo in parte le osservazioni presentate da un privato, accorda una limitata edificabilità ad una porzione ridotta dell'area di proprietà di quest'ultimo destinata a verde e parco pubblico, motivando tale scelta con la volontà di colmare, seppure in parte, il sacrificio imposto al proprietario stesso nell'interesse della collettività
(Cons. St., sez. IV, 1.7.1992, n. 654, GC, 1993, I, 284).

Secondo la dottrina le osservazioni, poiché si rivolgono contro un atto non ancora perfetto, sono dei semplici mezzi istruttori che non pregiudicano i futuri rimedi giurisdizionali.




38. Il recepimento delle osservazioni e l’obbligo di ripubblicazione del piano.

LEGISLAZIONE: l. 1150/1942, art. 9.

La giurisprudenza ha fissato i criteri per definire, quando le osservazioni e le opposizioni vengano recepite, se sussiste la necessità di ripubblicare il piano, con la medesima procedura, e di porlo a disposizione del pubblico per nuove eventuali osservazioni, ai sensi dell’art. 9 della l. 1150/1942.
La giurisprudenza ritiene che, nel procedimento di formazione dei piani regolatori, la pubblicazione prevista dall'art. 9 della l. 17.8.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione, da parte dei soggetti interessati al progetto di piano, di osservazioni che hanno solamente una funzione collaborativa.
Queste non sono richieste nelle successive fasi del procedimento, anche se il piano regolatore generale originario viene modificato in sede di approvazione (Cons. St., Sez. IV, 7.12.2000, n. 6507. Cons. St., Sez. IV, 16.3.1998, n. 437).
Solo in particolari casi, qualora le variazioni introdotte siano di rilevante entità, conseguenti a scelte dell'Amministrazione che approva il progetto di piano e tali da configurare una nuova adozione dello strumento in itinere, la giurisprudenza ammette che possano riaprirsi i termini per la presentazione di nuove osservazioni da parte dei privati.

Nel procedimento di formazione dei piani regolatori, la pubblicazione prevista dall'art. 9, l. 17.8.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione, da parte dei soggetti interessati al progetto di piano, di osservazioni che hanno funzione collaborativa e non sono richieste nelle successive fasi del procedimento, anche se il piano regolatore generale originario viene modificato in sede di approvazione regionale.
Solo in particolari casi, qualora le variazioni introdotte siano di rilevante entità, conseguenti a scelte dell'amministrazione che approva il progetto di piano e tali da configurare una nuova adozione dello strumento in itinere, si può configurare la riapertura dei termini per la presentazione delle nuove osservazioni da parte dei privati
(Cons. St., Sez. IV, 20.11.2000, n. 6178).

La giurisprudenza ha escluso la necessità di ripubblicazione dello strumento urbanistico adottato quando il progetto originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di osservazioni, anche nel caso in cui esse incidano sulle posizioni giuridiche di altri.
Non è richiesta la pubblicazione qualora la Regione abbia basato il suo intervento correttivo per ridefinire, in primo luogo, le esigenze abitative e le capacità insediative produttive previste dal piano.
La pubblicità non è richiesta neppure qualora la Regione abbia adottato altri interventi per salvaguardare valori archeologici, paesistici e ambientali presenti sul territorio comunale, e anche per adeguare, in talune zone, le aree destinate a verde pubblico e a servizi pubblici agli indici stabiliti dal d.m. 2.4.1968, n. 1444.
Il mancato rispetto dei parametri di cui al d.m. n. 1444 del 1968, rende l’intervento indispensabile per apportare le integrazioni ritenute necessarie e pervenire a una dotazione pro capite effettivamente godibile di 24 mq/abitante, secondo quanto prescritto dall'art. 4, 3° co., d.m. 2.4.1968, n. 1444.
Di ciascuna misura deve essere dato conto attraverso l'indicazione dei criteri, dei parametri e delle fonti normative che giustificano gli interventi, sia in ordine al fabbisogno abitativo, in rapporto alla popolazione residenziale e stagionale; sia per le previsioni riferite alle attività produttive industriali e artigianali, ritenute non commisurate alle obiettive possibilità di sviluppo del settore; sia per la tutela del paesaggio, dei complessi storici, ambientali e archeologici, con riferimento, in particolare, ai vincoli già esistenti su tutto il territorio comunale e alla esigenza di tutela di un patrimonio archeologico di particolare rilievo.
Non sussite una sostanziale modifica del piano adottato e quindi la necessità di una nuova pubblicazione qualora gli interventi decisi dalla Regione non provengano da scelte discrezionali, ma siano tutti diretti alla salvaguardia di valori vincolanti sotto l’aspetto normativo ai quali l'ente sovraordinato abbia ritenuto di adeguare le previsioni dello strumento urbanistico sottoposto alla sua approvazione (Cons. St., sez. IV, 25.9.2002, n. 4902).

Nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione, prevista dall'art. 9 della l. 17.8.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione di osservazioni al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni; pertanto, non è necessaria la ripubblicazione del piano regolatore, allorché il comune prenda atto della approvazione regionale, con modificazioni, del piano medesimo
(Cons. St., sez. IV, 21.11.1992, n. 958, FA, 1992).

E’ valutata con maggiore rigore l’esigenza di ripubblicazione del piano qualora il provvedimento di accoglimento riguardi le modifiche presentate non dalla regione, ma da soggetti non proprietari dell’area interessata.

L'accoglimento di un'osservazione ad un piano regolatore generale in itinere che sia stata presentata da un soggetto diverso dal proprietario dell'area interessata e che possa arrecare a questo un nocumento rende necessaria una ripubblicazione del piano, al fine di permettere alla proprietà di presentare a sua volta memorie ed osservazioni al riguardo
(T.A.R. Lombardia Brescia, 3.6.2003, n. 826).

La l.r. Lombardia 51/1975 ha escluso la necessità di ripubblicazione (Assini e Mantini 1997, 304).

La giurisprudenza anche in presenza della normativa regionale si ispira ai principi generali richiedendo la ripubblicazione in caso di sostanziali modifiche.

Nel caso in cui il Comune, a seguito dell'adozione di piano regolatore generale, accolga osservazioni formulate da privati, l'obbligo di ripubblicazione della deliberazione si pone solo nel caso in cui le osservazioni accolte comportino una profonda modifica dei criteri posti a base del piano già adottato, mentre negli altri casi la deliberazione comunale non implica volontà di modifica immediata del piano, costituendo una proposta di modifica d'ufficio rivolta alla Regione
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 9.4.2002, n. 1393, FATAR, 2002, 1167).

La legislazione regionale della provincia di Trento prevede, invece, un vero e proprio subprocedimento amministrativo avente ad oggetto l'esame delle osservazioni (T.A.R. Trento, 17.12.1991, n. 447, FA, 1992, 589).
Il piano con le controdeduzioni comunali è poi trasmesso agli organi regionali competenti.
Trattandosi di atto complesso cui partecipano il comune e la regione, la mancata trasmissione impedisce la rituale conclusione del procedimento.
La legislazione regionale ha trasferito alle province la competenza relativa all’approvazione dei piani regolatori comunali; ad esempio la l. r. Emilia Romagna 30.1.1995, n. 6, ha affidato tale compito alla giunta provinciale.

È manifestamente infondata, in relazione agli artt. 97, 117 e 128 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, l. r. Emilia Romagna 30.1.1995, n. 6, sotto il profilo che, nella parte in cui attribuisce la competenza ad approvare i piani regolatori alla giunta provinciale anziché ai consigli provinciali, finirebbe per porre una norma sull'organizzazione interna degli enti locali che trascende dalla materia urbanistica riservata dall'art. 117 cost. alla competenza legislativa regionale
(T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 21.9.1999, n. 418, T.A.R., 1999, I, 4377).



39. L’accesso al procedimento di formazione.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, artt. 7, 24, 2° co.

La legge sull'accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità di partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici.
Tale divieto è stato esteso dalla giurisprudenza anche ai consiglieri comunali, sebbene l’indirizzo non sia conforme.

Un consigliere comunale non è titolare del diritto di accesso o di visione degli elaborati progettuali relativi ad una variante al piano regolatore generale quando detti elaboratori non siano stati ancora recepiti dalla giunta, rimanendo così al livello di mero studio preliminare
(T.A.R. Umbria, 21.12.1994, n. 899, T.A.R., 1995, I, 692).

Un altro indirizzo giurisprudenziale, invece, riconosce ai consiglieri comunali la facoltà di consultare la documentazione preparatoria alla redazione del piano al fine di esercitare la loro funzione.

Sussiste il diritto del consigliere comunale alla visione ed all'accesso alla documentazione relativa alla fase preparatoria della revisione del piano regolatore generale
(T.A.R. Liguria, sez. I, 3.12.1994, n. 448, T.A.R., 1995, I, 613).

Non è comunque stato modificato il sistema di intervento dei privati dopo l'adozione dello strumento da parte del consiglio comunale.
Il d.p.r. 27.6.1992, n. 352 approva il Regolamento che disciplina le modalità di esercizio nei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 24, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241.
Questa normativa consente la attuazione del più generale diritto, sancito dagli artt. 7 e ss., l. 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo, che consiste nel prendere visione degli atti compiuti dall'amministrazione e nel poterne estrarre copia.
Soggetto attivo del diritto è chiunque abbia un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti; rispetto al testo legislativo il regolamento definisce ulteriormente tale interesse che deve essere personale e concreto, fatte salve le richieste di accesso di portatori di interessi pubblici e diffusi quali amministrazioni, associazioni e comitati.
Emerge dall'identificazione del soggetto anche l'ipotetico contenuto delle domande di accesso.
Il privato che vuole esercitare il diritto all’accesso, ad esempio per prendere visione della documentazione nella fase formativa di uno strumento urbanistico, non si troverà in una posizione giuridica dissimile da quella prevista dall'art. 9 della l. urb., che prevede la possibilità di prendere in visione, presso gli uffici comunali, il progetto di piano.
Il comune non può sottrarsi all'obbligo di consentire la visione del progetto di piano, neppure nella fase di nuova pubblicazione dovuta a modifiche richieste dalla regione, in sede di approvazione.
La giurisprudenza ha invece escluso la possibilità di accedere alle osservazioni presentate da privati prima che esse siano state valutate nella delibera con cui il comune presenta le sue controdeduzioni, salvo uno specifico interesse da qualificare nella domanda di accesso.
Resta, comunque, il dubbio di come il richiedente possa specificare il suo interesse non conoscendo ovviamente il contenuto delle osservazioni presentate da altri soggetti.

È legittimo il diniego di accesso alle osservazioni presentate dai cittadini allo strumento urbanistico adottato, motivato sul fatto che a tale richiesta il comune avrebbe provveduto solo dopo l'avvenuta esecutività dell'atto consiliare di controdeduzione alle osservazioni stesse, in quanto il richiedente, al pari di tutti gli altri cittadini, ben può prendere visione del piano regolatore adottato e presentare le proprie osservazioni, mentre non ha alcun interesse ad effettuare l'esame demandato dalla legge al consiglio comunale, laddove non ne indichi uno qualificato e, anzi, indichi l'accesso come fine e non come mezzo di tutela
(Cons. St., sez. V, 23.5.1997, n. 549, FA, 1997, 1399).

L'art. 24, 6° co., l. 241/1990, che non consente l'accesso agli atti preparatori dei provvedimenti di pianificazione, non modifica, anzi lascia pienamente in vigore, le altre disposizioni di legge - come appunto la legge urbanistica - che disciplinano già un procedimento di accesso.
Della l. 241/1990 si può utilizzare il nuovo sistema di tutela presso la giustizia amministrativa.
La richiesta di accesso può essere evasa direttamente, in via informale, mediante l'esibizione del documento o la estrazione di copia, ovvero in via formale mediante un procedimento puntualmente previsto dal regolamento, che inizia con rituale domanda e finisce con un provvedimento di diniego nei casi di esclusione da tale diritto.
Essi sono tassativamente previsti, ad esempio, per la sicurezza e difesa nazionale, per ragioni di politica monetaria, per ragioni di ordine pubblico o sicurezza di terzi ovvero per salvaguardare esigenze di riservatezza dell'amministrazione.
Il procedimento di accesso è affidato al responsabile del procedimento amministrativo, individuato ai sensi dell'art. 4 della l. 241/1990.
Contro le determinazioni amministrative concernenti l'accesso o contro il silenzio rifiuto che si forma nei trenta giorni successivi alla presentazione della richiesta, può essere presentato ricorso, entro trenta giorni, al T.A.R. che decide in camera di consiglio, in termini abbreviati, ai sensi dell'art. 25, l. 241/1990.
Questa azione ad exhibendum è stata espressamente riconosciuta, in tema di accesso, ai procedimenti pianificatori dalla giurisprudenza.
Le decisioni dei T.A.R. hanno testualmente affermato che la pretesa di prendere visione degli atti del procedimento - di cui sono titolari coloro che collaborano alla formazione dello strumento di pianificazione urbanistica - costituisce concettualmente una species della più generale facoltà di intervento contemplata dall'art. 9, l. 7.8.1990, n. 241 e alla quale è correlato naturaliter il diritto di visione enunciato dal successivo art. 10, lett. a), l. 241/1990:

Con riguardo agli atti di formazione di uno strumento urbanistico primario, la cui visione era già garantita dall'art. 9, l. 17.8.1942, n. 1150, può essere esperita l'actio ad exhibendum di cui all'art. 25, 5° co., l. 241/1990
(T.A.R. Lombardia, Brescia, 27.11.1991, n. 905, RGE, 1992, 176).



39.1. Le varianti agli strumenti urbanistici nel caso di approvazione di progetto di opera pubblica.

LEGISLAZIONE: d. lg. 18.8.2000, n. 267, artt. 42, 2° co., lett. b), e 48 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 10, 2° co., 19 - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co. lett. g), art. 1, 1° co. lett. q).

Il t.u. espr. pone delle modifiche sostanziali alla procedura di variante di piano regolatore.
Queste procedure, che modificano i vincoli di piano, sono redatte sovente per porre in essere procedimenti ablatori al fine di realizzare le opere previste dal piano.
Per la variante di piano contenente anche vincoli espropriativi si applicano le regole generali che impongono il procedimento di adozione di variante che ricalca lo schema del procedimento di approvazione del p.r.g. (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 179).
Le novità riguardano le varianti portate dall’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica.
Se l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, l’approvazione del suo progetto definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione di variante allo strumento urbanistico, art. 19, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.

1. Quando l'opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all'art. 10, comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti. (L)
2. L'approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale, costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico. (L)
3. Se l'opera non è di competenza comunale, l'atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte della autorità competente è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre l'adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico. (L)
(art. 19, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. q), d.lg. 302/2002).

In tal modo la norma, richiedendo l’intervento del consiglio comunale, modifica la competenza all’approvazione del progetto definitivo che era attribuita dagli artt. 42, 2° co., lett. b), e 48, d. lg. 18.8.2000, n. 267, alla giunta.
La dottrina nota che si tratta di una modifica implicita, vietata in quanto la normativa può solo dettare disposizioni abrogative esplicite.

Lo stesso legislatore aveva prescritto nell’art. 1, 4° co., d. lg. 18.8.2000, n. 267 – ricalcando una disposizione già introdotta con la l. 142/1990 – che il t.u. sugli enti locali non possa essere modificato mediante abrogazione implicita, per incompatibilità, ma solo mediante disposizioni espresse
(Carbone 2001, 1265).

L’approvazione del progetto di opera pubblica sollecita, quindi, l’approvazione di una variante che avviene successivamente e per effetto del progetto; essa è approvata contestualmente a questo e richiede una forma particolare di pubblicità.
E’ da notare che l’approvazione della variante può scaturire dall’approvazione del progetto preliminare oltre che dal progetto definitivo, consentendo un maggior lasso di tempo tra l’approvazione del progetto e la realizzazione delle opere (Conti 2003, 259).
Per effettuare un miglior coordinamento con le disposizioni impositive di vincoli, l’art. 10, 2° co., d.p.r. 302/2001, sost. art. 1, 1° co. lett. g), d.lg. 302/2002, afferma che il vincolo può essere direttamente imposto attraverso l’approvazione della variante semplificata allo strumento urbanistico.

39.2. La partecipazione al procedimento.

LEGISLAZIONE: d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 16, 17, 18 - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co. lett. o).

Nel caso in cui l’opera da realizzare non risulti conforme alle previsioni urbanistiche, la presentazione del progetto dell’opera pubblica deve avvenire attraverso le forme di partecipazione del proprietario del terreno su cui l’opera deve sorgere, art. 18, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Poiché, infatti, al proprietario non sono assicurate le garanzie partecipate previste in sede di approvazione dello strumento urbanistico la localizzazione dell’opera pubblica deve avvenire in contraddittorio.
Le garanzie partecipative in sede di presentazione del progetto di opera pubblica sono, peraltro, garantite anche qualora l’opera sia conforme alle disposizioni di piano

4. Al proprietario dell'area ove è prevista la realizzazione dell'opera è inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento. (L)
omissis
9. L'autorità espropriante non è tenuta a dare alcuna comunicazione a chi non risulti proprietario del bene. (L)
10. Il proprietario e ogni altro interessato possono formulare osservazioni al responsabile del procedimento, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dalla pubblicazione dell'avviso. (L)
(Art. 16, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. o), d.lg. 302/2002).

Il proprietario può formulare osservazioni sia sulla localizzazione sia sugli aspetti tecnici e dimensionali dell’opera (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 167).
Egli deve essere notiziato della data in cui il progetto definitivo è stato approvato, ex art. 17, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.


39.3. Il silenzio sull’approvazione di variante di p.r.g.

LEGISLAZIONE: l. 24.11.2000, n. 340, all. 1, n. 13 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 9, 5° co., 19, 4° co. - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co., lett. f), art. 1, 1° co. lett. q), d.lg. 302/2002).

Anticipando il t.u. sul procedimento per la formazione dei piani attuativi, previsto dalla l. 24.11.2000, n. 340, all. 1, n. 13, il t.u. sulle espropriazioni disciplina due fattispecie di silenzio assenso in materia urbanistica.
La prima ipotesi di silenzio assenso regionale è relativa all’approvazione di variante del piano urbanistico generale nel caso di opera pubblica non conforme alle previsioni di p.r.g., ex art. 19, 4° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
L’approvazione del progetto di opera pubblica o di pubblica utilità da parte del consiglio comunale comporta, infatti, variante al piano regolatore.
Il silenzio della regione o dell’ente competente all’approvazione, protratto per 90 giorni dalla ricezione della delibera del consiglio che adotta il piano, equivale ad assenso dopo che il consiglio comunale ne disponga l’efficacia.

4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l'efficacia. (L)
(art. 19, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. q), d.lg. 302/2002).

La seconda ipotesi di silenzio assenso riguarda la modifica del tipo di opera programmata, ex art. 9, 5° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Nel corso della durata quinquennale del vincolo il consiglio comunale può motivatamente deliberare il cambiamento di tipologia dell’opera pubblica.
La regione o l’ente preposto all’approvazione deve manifestare il proprio dissenso entro 90 giorni dalla ricezione della delibera comunale.
Nel caso di silenzio si forma l’assenso sulla delibera trasmessa, il consiglio comunale ne dispone successivamente l’efficacia.
Tale ipotesi modifica l’art. 1, 4° co., l. 1/1978, ora abrogata.
Esso prevede la possibilità di approvare opere pubbliche senza variare il piano urbanistico, quando siano destinate a servizi pubblici, anche se con diversa destinazione.
A seguito di detta modifica, dal 1.1.2002 nel caso di varianti, non considerate finora come tali, si deve modificare il piano urbanistico attraverso l’approvazione da parte del consiglio comunale del progetto definitivo dell’opera programmata.

5. Nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all'esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l'efficacia. (L) 6. Salvo quanto previsto dal comma 6, nulla è innovato in ordine alla normativa statale o regionale sulla adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici. (L)
(art. 9, 5° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co. lett. f), d.lg. 302/2002).



40. I vincoli conformativi nella pianificazione generale comunale.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 40.

L’art. 40 della l. urb. ha posto il principio della non indennizzabilità dei vincoli di piano.
Alla pianificazione urbanistica è riconosciuto, infatti, il potere conformativo della proprietà che è esercitato senza che l’amministrazione debba corrispondere alcun indennizzo.

Nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni ed i vincoli previsti dal piano regolatore generale nonché per le limitazioni e per gli oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove costruzioni.
Non è dovuta indennità neppure per la servitù di pubblico passaggio che il Comune creda di imporre sulle aree di portici delle nuove costruzioni e di quelle esistenti. Rimangono a carico del Comune la costruzione e manutenzione del pavimento e la illuminazione dei portici soggetti alla predetta servitù
(art. 40, l. urb., mod. art. 5, l. 19.11.1968, n. 1187).

I vincoli conformativi sorgono dalla zonizzazione del territorio comunale contenuta negli strumenti urbanistici comunali.
L’effetto della pianificazione generale è quello di dividere in zone il territorio.
Essa definisce i limiti e le caratteristiche dell’edificabilità dei terreni siti nelle diverse zone secondo criteri omogenei per ciascuna di queste.
La dottrina esclude che la destinazione di zona possa configurare un vincolo preordinato all'esproprio e dunque di durata quinquennale; infatti, non sussistendo alcun impedimento a che alle necessità collettive ivi perseguite si provveda mediante soluzioni diverse da quelle proprietarie, i vincoli in questione possono ricomprendersi tra quelli che, secondo la decisione della Corte cost. n. 179 del 1999, importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata.
La destinazione a servizi relativi alle zone residenziali, ad esempio, comporta l'attribuzione al suolo di una vocazione edificatoria ancorché specifica la cui realizzazione è attuabile anche da privati.
Pertanto, la relativa zonizzazione urbanistica non costituisce vincolo preordinato irreversibilmente all'espropriazione; neppure comporta l'inedificabilità assoluta; né, tanto meno, svuota di contenuto - azzerandolo economicamente in termini di valore di scambio - il diritto dominicale.
Si tratta, invece, di una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico, la cui validità è a tempo indeterminato.

I vincoli conformativi pongono limitazioni alle proprietà che vi ricadono che la peculiare elasticità del diritto consente, comprimendo le facoltà ed i poteri che nella loro posizione dovrebbero sussistere e limitando la portata e la fruibilità di essa nell’interesse pubblico. In effetti gli strumenti di pianificazione urbana qualificano lo stesso diritto dominicale, determinando le possibilità legali di edificazione e il valore economico del suolo in maniera proporzionale all’edificabilità
(Forte 2002, 316).

Il potere conformativo, che deve essere adeguatamente motivato, è certamente potere di vincolo, ma nel contempo accerta la rendita che viene attribuita dal piano alle aree oggetto di espansione edilizia.
Il legislatore ha da sempre ritenuto che la normativa di vincolo non sia soggetta ad indennizzo, essendo evidente che ogni scelta programmatoria sarebbe, in caso contrario, paralizzata dal costo economico.
Il vincolo conformativo acclara la destinazione di inedificabilità dell’area per la sua stessa conformazione.

In tema di determinazione dell'indennità d'espropriazione, con riguardo ad un'area compresa in zona urbanistica destinata a verde sportivo, di cui va ritenuta l'inedificabilità in forza di un vincolo a carattere conformativo, disposto nel quadro della ripartizione del territorio comunale in conformità a criteri generali e astratti, vale l'equiparazione, stabilita dall'art. 5 bis, 4° co., l. n. 359 del 1992, ai terreni agricoli
(Cass. Civ., sez. I, 21.9.2001, n. 11932, UA, 2001, 1307).

L’equivoco è evidente poiché in una zona edificabile vi sono lotti che nel comparto sono destinati a inedificabilità, quali strade o verde pubblico o servizi, per una scelta assolutamente discrezionale dell’amministrazione.
Tale scelta privilegia un ambito piuttosto che un altro di una medesima zona che di fatto è omogenea.
La logica vuole che i vincoli conformativi incidano su tutto in comparto attribuendo degli indici di edificabilità media.
Dopo di che le proprietà presentano un progetto comune dividendosi la cubatura realizzabile su tutto il lotto.
I principi costituzionali prevedono un congruo indennizzo per ogni limitazione al diritto di proprietà e sanciscono il pieno rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini.
La normativa deve evitare che alla creazione di rendite di posizione, che automaticamente si formano per le altre aree che si collocano libere da vincoli sul mercato, faccia riscontro l'espropriazione senza indennizzo.





40.1. Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali.

LEGISLAZIONE: d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 10 - d.lg. 27.12.2002, n. 302, art. 1, 1° lett. g).

La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del t.u. espr. non consente che la conferenza di servizi possa comportare alcuna variante allo strumento urbanistico generale vigente.
Nel caso di difformità urbanistica dell'opera il progetto richiede il previo assenso del consiglio comunale, non essendo sufficiente il consenso del Sindaco, in sede di conferenza di servizi.
In una fattispecie relativa all’art. 1, 8° co., l. 424 del 1989, la giurisprudenza ha precisato che la conferenza si esprime, nel rispetto delle disposizioni relative ai vincoli archeologici, ambientali, storici, artistici e territoriali e che l'approvazione assunta all'unanimità dei componenti la conferenza sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti dalle leggi statali e regionali.
La sentenza rileva che manca un'espressa previsione, per cui la determinazione assunta dalla conferenza di servizi assuma significato ed effetto di variante urbanistica; al contrario, la norma prevede un puntuale obbligo di rispetto delle disposizioni relative alle prescrizioni territoriali. Pertanto, a tal fine, è insufficiente la partecipazione ed il consenso del Sindaco.

La disposizione secondo la quale le determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi sostituiscono a tutti gli effetti i concerti, le intese e i nulla - osta, non vale a riconoscere alla conferenza poteri di deroga rispetto agli atti amministrativi generali vigenti né il potere d'introdurre varianti urbanistiche
(Cons. St., sez. IV, 7.7.2000, n. 3830, FA, 2000, 2603. Conforme Cons. St., Sez. V, 7.3.2000, n. 1078).

L'approvazione assunta all'unanimità dei componenti la conferenza sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti dalle leggi statali e regionali.
Un'eguale dizione, successivamente ripresa dal comma 2 dell'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - che afferma come le determinazioni concordate nella conferenza sostituiscono a tutti gli effetti i concerti, le intese, i nulla - osta e gli assensi richiesti - è stata interpretata nel senso che tale disposizione non comporta poteri di deroga rispetto agli atti amministrativi generali vigenti (Cons. St. sez. I, 5.11.1997, n. 1622).
Il t.u. espr. consente che il vincolo preordinato all’esproprio non sia imposto con un atto di pianificazione urbanistica generale od attuativa, ex art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° lett. g), d.lg. del 27.12.2002, n. 302.
Il vincolo preordinato all’esproprio può essere imposto, infatti, con una conferenza di servizi, un accordo di programma o un’intesa.
Tali atti vanno considerati come atti che producono gli stessi effetti del p.r.g., producendo variante allo strumento urbanistico vigente (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 125).

1. Se la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all'esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su richiesta dell'interessato ai sensi dell'articolo 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell'amministrazione competente all'approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico. (L)
2. Il vincolo può essere altresì disposto, dandosene espressamente atto, con il ricorso alla variante semplificata al piano urbanistico da realizzare, anche su richiesta dell'interessato, con le modalità e secondo le procedure di cui all'articolo 19, commi 2 e seguenti. (L)
3. Per le opere per le quali sia già intervenuto, in conformità alla normativa vigente, uno dei provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 prima della data di entrata in vigore del presente testo unico, il vincolo si intende apposto, anche qualora non ne sia stato dato esplicitamente atto. (L)
(art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° lett. g), d.lg. del 27.12.2002, n. 302).





40.2. L’accesso.

LEGISLAZIONE: l. 241/1990, art. 8, 2° e 3° co. - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 11 - d.lg. 27.12.2002, n. 302, art. 1, 1° lett. h).

Nell’elaborazione dell’art. 11, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, si afferma il principio che il proprietario oggetto di esproprio può accedere al procedimento sin dalla fase della pianificazione territoriale, recependo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente.
Fin dalla fase dell’istituzione del vincolo preordinato all’esproprio - che si concretizza con l’approvazione del piano urbanistico generale, ex art. 9, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, anche se manca ancora la dichiarazione di pubblica utilità - può essere esercitato il diritto di accesso.
L’obbligo di consentire il diritto d’accesso non sussiste nel caso di adozione ex novo di uno strumento urbanistico o variante generale, ma sussiste nel caso in cui sia in corso l’adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di un’opera pubblica, anche nell’ipotesi che la variante sia adottata mediante conferenza di servizi o accordo di programma che comporti variante allo strumento urbanistico, art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.

Le disposizioni dell’art. 11, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, valgono a rendere quanto più possibile tempestiva e significativa la partecipazione del proprietario, senza rallentamenti procedimentali, senza peraltro eliminare le disposizioni che già regolano le modalità di partecipazione procedimentale degli interessati alle fasi di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici
(Volpe 2001, 69).

Al proprietario, che risulti tale dai registri catastali, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento venti giorni prima dell’adozione.

1. Al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, va inviato l'avviso dell'avvio del procedimento:
a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;
b) nei casi previsti dall'articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell'emanazione dell'atto se ciò risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento. (L) (2)
2. L'avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L'avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall'autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni. (L)
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica ai fini dell'approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ricompresi nei programmi attuativi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443. (L)
4. Ai fini dell'avviso dell'avvio del procedimento delle conferenze di servizi in materia di lavori pubblici, si osservano le forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 . (L)
5. Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell'area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici. (L)
(art. 11, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° lett. h), d.lg. del 27.12.2002, n. 302).

Il diritto all’accesso consente due distinte forme di tutela.
La prima sotto il profilo procedimentale fa sì che la mancata comunicazione vizi l’intera procedura, consentendo l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.
La seconda forma di intervento si sviluppa sul provvedimento con il quale l’amministrazione recepisce, motivandole, le osservazioni presentate nella fase di accesso del procedimento.
Le osservazioni sono valutate ai fini dell’approvazione della variante degli strumenti urbanistici o nell’approvazione del progetto dell'opera pubblica che si intende realizzare e le relative determinazioni possono essere sottoposte al vaglio della giustizia amministrativa.
Naturalmente il proprietario può censurare le scelte anche sotto il profilo urbanistico seguendo le norme che consentono di portare osservazioni e opposizioni al piano urbanistico (Pagliari 1999, 106).
Il t.u. espr., in linea con la costante giurisprudenza, distingue fra la comunicazione personale la comunicazione nei procedimenti di massa, ossia nei casi in cui vi siano più di cinquanta destinatari (Conti 2003, 256)
La giurisprudenza ha osservato che nei procedimenti di massa l'avviso del procedimento non può essere notificato personalmente ai singoli soggetti espropriandi, dato l’elevato numero di soggetti interessati.
In tal caso trova applicazione l'art. 8, 3° co., l. 241 del 1990, sui procedimenti di massa, secondo cui qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al l'art. 8, 2° co., l. 241 del 1990, mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima.

Il procedimento di cui all'art. 6, l. 18.4.1962, n. 167, in materia di interventi di edilizia economica e popolare, il quale si articola in una serie di fasi prodromiche alla dichiarazione di pubblica utilità implicita, garantisce adeguatamente le esigenze del giusto procedimento espresse in termini generali dalla l. 7.8.1990, n. 241.
Nella fattispecie il consiglio rileva che l'art. 8, l. 7.8.1990, n. 241, consente forme alternative alla comunicazione individuale dell'avvio di procedimento nel caso di rilevante numero degli interessati.
(Cons. St., sez. IV, 15.12.2000, n. 6684, GI, 2001, 609).

Tale norma è stata definita dalla Adunanza plenaria di chiusura dell'ordinamento il quale, in presenza di ipotesi marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio all'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, con applicazione soggetta al controllo giurisdizionale.

L'art. 8, 3° co., l. 241 del 1990, applicabile anche in materia espropriativa, consente l'adozione di forme di pubblicità sostitutive della comunicazione individuale laddove quest'ultima, per il numero dei destinatari, risulti impossibile o particolarmente gravosa.
Nel caso di procedimenti espropriativi che concernono un numero indeterminato di interessati è applicabile l'art. 8, l. 7.8.1990 n. 241 che nell'ipotesi di procedimenti di massa, ai fini del sollecito svolgimento del procedimento amministrativo, consente di provvedere agli adempimenti partecipativi con forme di pubblicità idonee di volta in volta scelte dall'amministrazione, indipendentemente dalla comunicazione personale agli interessati
(Cons. St., A. Pl., 15.9.1999, n. 14, GI, 2000, 412, nota Verzaro).

Nel caso di comunicazioni di massa fra le comunicazioni in forma collettiva è previsto l’inserimento della comunicazione nel sito informatico. L’avviso di avvio del procedimento deve contenere del luogo e delle modalità di consultazione del piano e del progetto nonché i termini per la presentazione delle osservazioni.




41. I vincoli che rinviano alla pianificazione esecutiva.

LEGISLAZIONE: l. 19.11.1968, n. 1187, art. 2.

Altro vincolo conformativo della proprietà è quello che limita l’edificazione all’approvazione della pianificazione attuativa di iniziativa comunale o privata.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale afferma che l'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, si riferisce a tutti i vincoli di piano sia sostanziali - ossia preordinati all'espropriazione - sia formali - che limitano l'edificabilità al fine di meglio definire in futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di piano particolareggiato.
Dalla decadenza del vincolo di piano particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che derivare i medesimi effetti, essendo sia i vincoli sostanziali sia quelli formali rivolti alla tutela dei medesimi valori urbanistici e le aree da essi interessate soggiacciono comunque ai limiti di edificabilità di cui all'art. 4, l. 28.1.1997, n. 10 (Cons. St., sez. IV, 28.1.1987 n.49. Cons. St., sez. V, 28.1.1992, n. 82. Cons. St., sez. V, 23.11.1996, n. 1413, e Cons. St., sez. V, 30.10.1997, n.1225).
La giurisprudenza consente l’impugnativa della lesione solo dopo che il proprietario abbia presentato una domanda di permesso di costruire cui l’amministrazione abbia risposto negativamente.

La prescrizione di piano regolatore generale che sottopone un'area ad un vincolo di previa pianificazione urbanistica attuativa, pur costituendo una disposizione puntuale di natura provvedimentale in relazione alla perimetrazione della specifica porzione del territorio comunale cui si riferisce, non può essere di norma considerata ex se quale atto immediatamente lesivo, potendo la lesività apprezzarsi solo con riferimento ad un preciso tipo di intervento che si intenda realizzare
(T.A.R. Lombardia Brescia, 6.12.2002, n. 2206).

Secondo i principi generali che sanciscono la durata quinquennale del vincolo anche quello imposto dalla pianificazione esecutiva decade dopo il termine di rito.

L'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, si riferisce a tutti i vincoli di piano sia sostanziali, preordinati all'espropriazione, sia formali, che limitano l'edificabilità al fine di meglio definire in futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di piano particolareggiato, non essendovi nel testo della disposizione alcuna distinzione che consenta di ritenere il contrario.
Dalla decadenza del vincolo di piano particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che derivare i medesimi effetti, essendo sia vincoli sostanziali e che quelli formali rivolti alla tutela dei medesimi valori urbanistici e le relative aree soggiacciono comunque ai limiti di edificabilità di cui all'art. 4, l. 28.1.1977, n. 10
(Cons. St., sez. V, 2.10.2002, n. 5178, FACDS, 2002, 2415).





42. I vincoli espropriativi.

LEGISLAZIONE: l. 1187/1968, art. 2.

La localizzazione di aree destinate a servizi o di opere pubbliche, effettuata dagli strumenti urbanistici generali e da quelli attuativi, con adeguata motivazione, impone un vincolo di destinazione che toglie alla proprietà la possibilità di esercitare lo ius aedificandi e la rende oggetto del successivo procedimento espropriativo.

E' illegittima la previsione del piano regolatore generale che pone un vincolo preordinato all'espropriazione privo di sufficiente specificazione in ordine al servizio localizzabile nell'area interessata
(T.A.R. Piemonte, sez. I, 25.2.1998, n. 62, RGE, 1998, 449).

La differenza fra i vincoli conformativi e quelli espropriativi è evidente, poiché i primi non necessariamente comportano la qualifica del bene come oggetto del procedimento di espropriazione, ma - conformando le modalità di esercizio del diritto di proprietà - lasciano il proprietario nella condizione di gestire la eventuale trasformazione dell’immobile.

Si distinguono le prescrizioni urbanistiche generali, riguardanti cioè tutti i beni ricompresi in una data zona, da quelle speciali, relative a singoli beni, affermandosi che le prime sono esercizio del potere pianificatorio, mentre le seconde, quando determinano la soggezione all’espropriazione o l’impossibilità dell’edificazione, costituiscono dei vincoli urbanistici compressivi del diritto di proprietà con le conseguenze evidenziate dalla Corte costituzionale.
La differenza è assolutamente evidente sotto il profilo giuridico: nel primo caso, infatti, il proprietario si trova a disposizione un bene con una destinazione urbanistica, più o meno interessante, ma tale, comunque, da consentire l’effettivo esercizio del diritto di proprietà; nel secondo caso, invece, il proprietario non è nelle condizioni di esercitare il proprio diritto perché la disciplina del bene ha reso l’esercizio del diritto di proprietà, se non impossibile, privo, comunque, di reale utilità
(Pagliari 1999, 88).

Con l’imposizione del vincolo espropriativo non vi è alcuna compressione dei diritti del proprietario fino all’espletamento della procedura ablatoria; ma i vincoli vietano ad esso di realizzare opere in contrasto con le localizzazioni effettuate dal piano.

I vincoli di tipo espropriativo derivano dalla localizzazione nello stesso territorio comunale di opere, strade, servizi, per i quali sono espressamente indicate le aree sulle quali essi dovranno sorgere, con preordinazione all’esproprio, analogamente a ciò che accade per gli spazi che gli strumenti stessi o la legge riservano all’uso pubblico ovvero vietano comunque di edificare in ragione della loro posizione, precludendo ogni utilizzabilità privata ai fini edificatori delle aree stesse.
(Forte 2002, 316).

In una fattispecie specifica di imposizione di vincolo relativo alla realizzazione di servizi pubblici in aree residenziali nel p.r.g. di Bari, la giurisprudenza ha ravvisato il vincolo espropriativo.

Ai sensi dell’art. 40, 1° e 3° co., delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale di Bari, le zone residenziali sono destinate alle abitazioni ed ai servizi di seguito specificati: "asili nido, scuole materne, scuole dell'obbligo; il successivo art. 52 prevede che "le aree per i servizi delle residenze sono destinate esclusivamente alle attività elencate nel precedente articolo 40, 3° co., e sono riservate all'intervento pubblico".
Una tale riserva alla mano pubblica della facoltà di realizzare i predetti servizi pubblici non lascia dubbi sulla natura della destinazione di piano quale vincolo preordinato all'espropriazione.
Pertanto, il decorso infruttuoso del quinquennio, ex art. 2, n. 1187/68, determina la cessazione di efficacia della destinazione di zona che impone il vincolo urbanistico, con l'ulteriore conseguenza che l'approvazione del progetto dell'opera pubblica risulta priva della necessaria conformità urbanistica.

La decadenza del vincolo preordinato all'espropriazione comporta il difetto del necessario presupposto della conformità dell'opera pubblica alle previsioni del piano urbanistico vigente, con la conseguenza che l'approvazione del progetto dell'opera pubblica risulta priva della necessaria conformità urbanistica
(Cons. Stato, sez. IV, 8.6.2000, n. 3248, FA, 2000, 2119).

Il proprietario utilizza il bene e si assume ogni responsabilità riguardo alla sua conduzione poiché il vincolo non comporta nessuna gestione di tipo pubblicistico fino all’espletamento del procedimento ablatorio:

L'assoggettamento di un bene ad un vincolo preordinato all'espropriazione non implica alcun immediato spossessamento, né tampoco la cessazione di tutte le facoltà e le responsabilità ad esso connesse - vicende, queste, che si potranno verificare solo se ed in quanto si verificherà l'ipotizzata ablazione - per cui il proprietario è tenuto ad adempiere agli oneri che la pubblica amministrazione impone sul bene stesso, prima o indipendentemente dalla procedura espropriativa.
Nella specie, è legittimo l'ordine di un comune al proprietario affinché questi provveda all'ordinaria manutenzione di una strada privata, a nulla rilevando che la nuova destinazione urbanistica di zona stabilisca la futura espropriazione della strada per la costruzione di opere di viabilità pubblica.
(Cons. St., sez. V, 27.2.1998, n. 199, FA, 1998, 440).



43. I criteri di distinzione fra vincoli conformativi e quelli destinati all’espropriazione.

LEGISLAZIONE: l. 17.8.1942 n. 1150, artt. 7, 2° co., n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, 13 - d.m. 2.4.1968 n. 1444, art. 2.

L’inedificabilità dei suoli è disposta dalle disposizioni di p.r.g.
Esse identificano le parti del territorio comunale destinate alla realizzazione di opere, impianti, attrezzature pubbliche o di interesse generale.
Le previsioni del piano regolatore generale, pur preparando ad un’acquisizione alla pubblica amministrazione delle aree ivi comprese, sono programmatiche.
La dottrina rileva l’incertezza giurisprudenziale nella classificazione dei vincoli e propone un criterio di differenziazione che appare eccessivamente discrezionale.

La medesima destinazione di zona a servizi pubblici è stata qualificata dal Consiglio di Stato sia alla stregua di un vincolo destinato all’esproprio sia a quella di un vincolo conformativo, e quindi sottratto alla categoria delle limitazioni espropriative.
La diversa qualificazione del vincolo a fronte della medesima destinazione di zona è derivata dalla rilevanza riconosciuta dal giudice amministrativo alla differente scelta di politica del territorio, emergente dalla disciplina contenuta nelle norme tecniche di attuazione, in relazione alle modalità d realizzazione della previsione di piano
(Iacovone 2002, 247).

Un indirizzo giurisprudenziale enuncia tra i vincoli conformativi delle facoltà del proprietario, prima tra tutte l'edificazione, quelli imposti dalla legge e quelli stabiliti dal piano regolatore.
I suoli inseriti in zona F, secondo gli standard indicati dall’art. 2, d.m. 2.4.1968, n. 1444, e comprendente "le parti del territorio destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale", sono da considerare non edificabili, e indennizzabili a valore agricolo.
Uguali considerazioni valgono per le zone del territorio comunale destinate a verde pubblico ed attrezzature pubbliche.
Esse non rientrano tra le specifiche destinazioni delle singole aree del comprensorio, cui va attribuito carattere espropriativo, e, non essendo soggette al procedimento ablatorio, non è prevista per loro la corresponsione dell'indennità.
La relativa previsione, infatti, ha natura di conformazione, siccome connessa alla ripartizione del territorio in conformità a criteri generali e predeterminati.

Il vincolo impresso su aree private destinate a servizi relativi alle zone residenziali sulle quali lo strumento urbanistico consenta interventi riguardanti il verde di quartiere nonché la costruzione, secondo precisi indici di fabbricabilità fondiaria, altezze e rapporti di copertura, di asili nido, edifici scolastici, nonché attrezzature di interesse comune - religiose, culturali, sociali, amministrative, per pubblici servizi - ha natura conformativa e non espropriativa.
Nella specie, il tribunale - sul presupposto della durata indeterminata dei vincoli conformativi - ha escluso l'esistenza di un obbligo in capo all'amministrazione di provvedere alla ritipizzazione dei suoli per infruttuoso decorso del quinquennio dall'approvazione del Piano
(T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 21.10.2002, n. 4632, FATAR, 2002, 3382).

La giurisprudenza considera vincoli conformativi anche quelli che impongono delle fasce di rispetto alle opere previste dal p.r.g. come, ad esempio, i vincoli di rispetto per la sede stradale.

La destinazione dell'area a fascia di rispetto della sede viaria non costituisce una utilizzazione a fini pubblici dell'area né introduce un vincolo preordinato a futura espropriazione, ma integra un vincolo di natura conformativa costituente un limite all'edificabilità dell'area che la amministrazione può imporre nell'esercizio dei suoi poteri ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del territorio, trovando la sua giustificazione nella esigenza di tutela del superiore interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 6.6.2003, n. 3722).

La giurisprudenza ha affermato che non sono vincoli preordinati alla espropriazione o comportanti inedificabilità assoluta quelli per i quali la edificazione è subordinata alla approvazione di strumento urbanistico attuativo di secondo livello.

Il verde attrezzato a servizi pubblici da realizzare sulla base di uno strumento attuativo costituisce vincolo urbanistico conformativo, la cui efficacia permane a tempo indeterminato
(Cons. St., sez. V, 6.10.2000, n. 5327, UA, 2001, 318 nota VIRGA).

Il problema è allora quello di identificare, tra i vincoli di inedificabilità, quelli che debbano considerarsi preordinati all'ablazione, e quelli che, viceversa, per una loro inerenza al bene, siano conformativi della proprietà, rilevando solo questi ultimi alla determinazione del valore ai fini indennitari.
I vincoli conformativi sono stati posti dalla legge a tutela di interessi superindividuali, che non incidono sul valore del bene - quali il vincolo paesaggistico, il vincolo storico-artistico, il vincolo di rispetto stradale.
In primo luogo devono considerarsi i vincoli connessi alla ripartizione del territorio comunale in zone omogenee.
In tali ipotesi la previsione di piano regolatore l'inedificabilità, ma non equivale ad un vincolo preordinato ad esproprio, essendo diversamente identificabile tale momento con l'approvazione del piano attuativo, o del progetto dell'opera pubblica, comunque con la dichiarazione di pubblica utilità.
L'assimilazione degli spazi destinati ad attrezzature e servizi pubblici alla zonizzazione del territorio non può riguardare, però, tutti gli interventi pubblici previsti dal piano regolatore.
La previsione del vincolo conformativo è per sua natura generale, e risponde a scelte dettate dalla programmazione a grandi linee del territorio nelle sue direttrici di sviluppo e comunicazione, essendo condizionata, al più, dalle caratteristiche fisico-geografiche dell'estensione territoriale sulla quale il piano si trova ad operare.
Nelle ipotesi delle localizzazioni, invece, rientrano i vincoli imposti dal piano regolatore che comportano la riduzione delle facoltà di godimento e di disposizione in conformità a criteri predeterminati da esigenze obiettive, condizionate dalle caratteristiche fisiche del territorio.
Esse riguardano l'allocazione sul territorio comunale di particolari opere pubbliche, come quelle previste dall'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150, rispettivamente al n. 3 - aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù - al n. 4 - aree destinate ad edifici pubblici.
Alla divisione in zone ed alla loro caratterizzazione si riferisce l'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150, n. 2; la norma fa emergere il carattere conformativo della ripartizione funzionale del territorio comunale in contrapposizione a quello espropriativo della localizzazione.
I collegamenti stradali sono previsti dall'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150 n. 2, n. 1 - vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili ed i rispettivi impianti - nell'indicazione dei contenuti del p.r.g.; per lo strumento di attuazione dispone l'art. 13, l. 1150/1942, stabilendo che il piano particolareggiato deve indicare le reti stradali di ciascuna zona.
Si tratta di opere a servizio delle singole zone che, rientrando nel novero delle previsioni particolari, è da ritenere determinino l'ablazione dei suoli necessari alla loro realizzazione.

Premesso che il piano regolatore generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, e che le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono condizionate dalle caratteristiche fisico - geografiche del territorio comunale, la destinazione di parti del territorio a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta estranea alla vicenda espropriativa.
Non si può escludere, in particolari casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano generale, l'indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale, art. 7, 2° co., n. 1, l. 17.8.1942 n. 1150, pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio.
A meno che tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno e a servizio delle singole zone, art. 13, l. 1150 del 1942, di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo.
(Cass. Civ., sez. I, 7.12.2001, n. 15519, GCM, 2001, 2115)




44. La illegittimità dei vincoli a tempo indeterminato.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 7 - l. 19.11.1968, n. 1187, art. 2.

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 7 della l. urb., che prevede la possibilità di istituire vincoli senza indennizzo, a tempo indeterminato.
Per essere in sintonia col sistema, le disposizioni di piano devono trovare attuazione entro termini precisi, in modo che il potere ablatorio della pubblica amministrazione si accompagni alla corresponsione del risarcimento entro termini ben definiti (Corte cost., 29.5.1968, n. 55, RGE, 1968, 777).
Per rispondere alle censure della Corte il legislatore ha approvato la l. 1187/1968 che dispone la perdita di efficacia dei vincoli di piano qualora non siano emanati i relativi piani attuativi ovvero non sia perfezionato l'esproprio delle aree interessate al vincolo entro cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico.
La norma stabilisce che le indicazioni di Piano regolatore che incidono su beni determinati e che assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o ne comportano l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione dello strumento urbanistico non sono stati adottati i relativi piani particolareggiati.
I vincoli cui fa riferimento la prefata normativa sono quelli che imprimono al bene limitazioni tali da svuotare di contenuto il relativo diritto di proprietà; capaci, quindi, di incidere sul godimento in modo così profondo da renderlo inutilizzabile ai fini cui naturalmente è preordinato o da causare un azzeramento del relativo valore di scambio.

Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati.
L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione.
Per i piani regolatori generali approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, il termine di cinque anni di cui al precedente comma decorre dalla predetta data
(art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187).

I comuni, nella maggior parte dei casi, non hanno disposto la programmazione esecutiva per tutte le aree vincolate ed il legislatore è stato costretto all'emanazione di numerose leggi tampone fino all'approvazione della legge sul regime dei suoli.
Secondo alcuni autori essa ha comportato il superamento delle obiezioni fatte dalla Corte costituzionale in quanto l'attività edificatoria è subordinata alla concessione rilasciata dalla pubblica autorità.
Non vi sono vincoli che colpiscono la proprietà fondiaria poiché è impossibile esercitare lo ius aedificandi prima del rilascio della concessione edilizia ovvero dell'esercizio del potere programmatorio comunale attraverso il programma pluriennale di attuazione (Predieri 1977, 337).
Altri autori ritengono che, pur con l'entrata in vigore della legge sul regime dei suoli, il sistema non sia affatto perequato, rimanendo di fatto il vincolo senza indennizzo a tempo indeterminato, poiché lo ius aedificandi, pur con la nuova legislazione, rimane in capo alla proprietà fondiaria.
Lo stesso problema si ponge fino a che la strumentazione urbanistica non dia, attraverso gli strumenti esecutivi, attuazione ai piani generali nei termini di legge, procedendo ove del caso all’esproprio.
La Corte costituzionale ha avvalorato questa impostazione affermando che il principio del vincolo quinquennale fissato dalla l. 1187/1968 deve intendersi tuttora vigente, mentre la giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori indicazioni in ordine agli effetti che derivano dalla scadenza del termine quinquennale dei vincoli.


44.1. Il vincolo quinquennale.

LEGISLAZIONE: l. 10/1977, art. 4, 8° co. - d.p.r. 327/2001, art. 9, 3° co., 10.

Il comune, con la approvazione dello strumento urbanistico generale, determina il sorgere del vincolo all’esproprio per le aree da destinare a servizi o opere pubbliche.
Solo da quel momento può essere legittimamente iniziato il procedimento ablatorio.
I tempi per la realizzazione dell’opera non possono essere indeterminati, ma il procedimento, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare delle scansioni temporali ben precise.
Il d.p.r. 8.6.2001, n. 327, all’art. 9, disciplina gli effetti espropriativi dei vincoli dei piani regolatori generali fissando la loro durata in cinque anni.

1. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità. (L)
2. Il vincolo preordinato all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. (L)
3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 24 maggio 2001 (1). (L)
(Art. 9, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co., lett. f), d.lg. 302/2002).

Lo stesso vincolo quinquennale può essere disposto, riconoscendone espressamente la natura mediante un atto di approvazione di progetto di opera pubblica che abbia natura di variante allo strumento urbanistico, come, ad esempio, tramite un provvedimento della conferenza di servizi, ex art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327 (Conti 2003, 256).
Se, nel termine di cinque anni dalla approvazione del vincolo, non viene emanata la dichiarazione di pubblica utilità, il vincolo decade, ex art. 9, 3° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
In tal caso il privato, liberato dal vincolo, può realizzare gli interventi consentitigli dalla normativa in carenza di pianificazione urbanistica.
L’art. 9, d.p.r. 380/2001, che sost. l’art. 4, 8° co., l. 10/1977, fissa, in carenza di tale normativa, dei limiti rigorosi.
Fuori dal perimetro dei centro abitato, infatti, l’edificazione a scopo residenziale non può superare l'indice di metri cubi 0,03 per metro quadrato di area edificabile, mentre, nell'ambito del centro abitato, sono consentite soltanto opere di restauro o di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico o di risanamento igienico.
La disposizione ha valore di norma quadro per il legislatore regionale.



45. Gli effetti della decadenza del vincolo.

LEGISLAZIONE: l. 10/1977, art. 4 - d.p.r. 380/2001, art. 9.

In mancanza di un provvedimento di pianificazione che determini, dopo la decadenza del vincolo di piano, la destinazione urbanistica dell’area ed il suo indice di edificabilità si pone la possibilità di due alternative praticabili.
Una prima teoria prevede la inedificabilità assoluta, una seconda la completa liberalizzazione dell’attività costruttiva.
Prima che il legislatore intervenisse a disciplinare questa ipotesi la giurisprudenza si era incaricata di escludere la teoria della inedificabilità assoluta.
La teoria prevalente privilegiava l’edificabilità con qualche temperamento.
La giurisprudenza richiedeva, infatti, che l’edificazione del suolo avvenisse secondo i limiti previsti dal codice civile del regolamento edilizio comunale ove esistente e, tutt’al più nel rispetto degli standard, fissati dall'art. 17 l.6.8.1967, n.765.
L’impostazione finiva però per sacrificare le esigenze della programmazione dello sviluppo del territorio, privilegiando le ragioni economiche del proprietario.
Essa consentiva, infatti, uno sviluppo edilizio dei suoli libero da qualsiasi limitazione funzionale e qualitativa che non fosse immediatamente desumibile dalla disciplina civilistica e dagli standard urbanistici imposti dalla legge (Mandanaro 2003, 1192).
Le aree interessate al vincolo decaduto sono ora soggette alla disciplina prevista dall'art. 9, d.p.r. 380/2001, che abroga l’art. 4, l. 10/1977, per i comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali.
La edificazione può avvenire qualora le disposizioni di piano, siano considerate decadute, secondo gli indici fissati dallo stesso articolo che prevede per l'edificazione residenziale l'indice dello 0,03 metri cubi per ogni metro quadrato di area edificabile, consentendo opere di restauro conservativo per gli edifici già costruiti e opere in cui il rapporto della superficie coperta non sia superiore ad un decimo dell'area di proprietà.

L'inutile decorso del termine quinquennale del vincolo del piano regolatore generale preordinato alla espropriazione o l'annullamento in sede giurisdizionale della relativa previsione di piano implicano che l'area interessata dall'atto impositivo del vincolo, successivamente scaduto, risulta sprovvista di una regolamentazione urbanistica, essendo abrogata la disciplina preesistente all'imposizione del vincolo stesso ed essendo divenuta inefficace quella sopravvenuta, recata da quest'ultimo, per cui l'area medesima va assoggettata alla disciplina che l'art. 5, ultimo co., l. 28.1.1977 n. 10, detta per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali
(T.A.R. Veneto, sez. I, 4.11.2002, n. 6207, FATAR, 2002, 3574).

Scaduto infruttuosamente il quinquennio, la cessazione di efficacia del vincolo urbanistico comporta il venire meno della sua esecutività e della sua sussistenza quale previsione urbanistica, cui corrisponde la necessaria riespansione delle ordinarie facoltà del diritto di proprietà, nei limiti dell'art. 9, d.p.r. 380/2001, che abroga l’art. 4, l. 10/1977 (Sandulli 1993, 128).
Così, ad esempio, la presenza di un vincolo a parco, oramai decaduto, rende illegittima la delibera di approvazione del progetto del parco ed i conseguenti atti ablatori (Cons. St., sez. IV, 3.12.1990, n. 941, RGE, 1990, 90).
La giurisprudenza precisa che il termine massimo di cinque anni per la durata di ogni vincolo che comporti l'inedificabilità dei suoli, previsto dall'art. 2, l. 1187 del 1968, si applica ai vincoli di qualsiasi specie, sia sostanziali che strumentali; tra questi ultimi è da annoverarsi quello che impone la subordinazione della edificabilità alla formazione di un piano esecutivo.
Il principio vale perciò anche in riferimento ai programmi pluriennali di attuazione, soprattutto quando, come nella specie, la parte privata abbia chiesto invano l'inclusione della propria area nel programma e il comune sia rimasto inerte al riguardo (Cons. St., sez. V, 22.10.1992, n. 1058, GC, 1993, I, 820).
Altra giurisprudenza legittima, pur con l'intervenuta decadenza, l'attuazione delle previsioni di piano, purché il proprietario, nei cui confronti il vincolo non è più opponibile, consenta la realizzazione dell'opera pubblica o sia acquiescente alla sua esecuzione; essa in tal caso non può essere considerata abusiva, pur in presenza della sopravvenuta decadenza del vincolo (Cons. St., sez. IV, 20.3.1992, n. 254, RGE, 1992, 441).

46. La reiterazione dei vincoli de iure e de facto.

LEGISLAZIONE: l. urb., art. 8 - l. 10/1977, art. 4 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 9 - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co., lett. f).

I vincoli di piano che hanno perso efficacia per il decorso di un quinquennio dalla loro imposizione possono essere reiterati, nonostante le critiche della dottrina che ritiene il sistema contrario all’obbligo del pagamento immediato dell’indennizzo.

Il riconosciuto potere di reiterazione dei vincoli veniva ancora una volta a frustrare il principio del necessario indennizzo del divieto di edificabilità a tempo indeterminato
(Sandulli 1993, 128).

Il t.u. espr. rinnova legislativamente il principio della reiterazione dei vincoli, essi sono, però, soggetti al pagamento dell’indennizzo con le modalità fissate dall’art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, vedi Cap. IV, n. 51.

4. Il vincolo preordinato all'esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. (L)
(Art. 9, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co., lett. f), d.lg. 302/2002).

La delibera impositiva dei vincoli deve congruamente motivare l’asserita necessità e il pubblico interesse che giustificano la riproposizione del vincolo e deve riportare le ragioni della loro mancata attuazione.

La deliberazione deve osservare la procedura prevista per l'adozione degli atti pianificatori quali ad esempio il deposito del progetto, la ricezione delle osservazioni e delle opposizioni da parte dei privati, pena l'illegittimità
(Cons. St., sez. V, 28.1.1992, n. 82, RGE, 1992, 86).

Una tutela ancora minore ha il privato qualora il comune non si preoccupi di reiterare il vincolo. In tal modo le aree comprese nel perimetro dei centri abitati passano, per effetto della caducazione del vincolo, da un regime di inedificabilità temporanea ad un regime di inedificabilità permanente, dati gli indici ridottissimi di edificabilità, di cui all'art. 9, d.p.r. 380/2001, che abroga l’art. 4, l. 10/1977.
Teoricamente i comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che ricopra l'intero territorio e di conseguenza si ritiene che l'inedificabilità, prevista dall’art. 9, d.p.r. 380/2001, sia solo provvisoria.
In caso di inerzia del comune nell’adottare la nuova programmazione il privato può sempre promuovere gli interventi sostitutivi della regione, ai sensi dell’art. 8, l. urb., oppure agire in via giurisdizionale, seguendo il procedimento del silenzio rifiuto, per fare acclarare l'obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica della zona.

L'amministrazione comunale ha l'obbligo di provvedere sulla diffida a dotarsi di una nuova pianificazione urbanistica.
Il silenzio serbato sulla stessa deve essere dichiarato illegittimo.

La decadenza del vincolo di inedificabilità comporta per la amministrazione comunale l'obbligo di reintegrare la disciplina urbanistica della area già interessata dal vincolo decaduto.
Ne discende che il comune deve rinnovare, con le modalità, le formalità e le garanzie proprie del metodo pianificatorio, la scelta della destinazione dell'area, fermo restando che la eventuale reiterazione del vincolo richiede una puntuale valutazione sulla persistenza della specifica esigenza pubblica comparata con l'interesse del privato già gravato inutilmente dal vincolo rimasto inattuato per oltre un quinquennio.
Tale obbligo può essere assolto esclusivamente attraverso una variante generale, sia attraverso una variante specifica, sia verso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di verificare la persistenza della compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse
(Cons. St., sez. IV, 17.4.2003, n. 2015, FACDS, 2003, 1280).

Il comune è obbligato a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica (Cons. St., sez. V, 21.5.1999, n. 593. Cons. St., sez. IV, 27.12.2001, n. 6415).
Tale obbligo può essere assolto sia attraverso una variante specifica, sia attraverso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse (Cons. St., sez. IV, 12.6.1995, n. 439).
Da tale obbligo il comune non è esonerato per l'applicabilità, nei casi in questione, della disciplina dettata dall'articolo 4, ultimo comma, lett. a) e b) della l. 28.1.1977, n. 10, la quale ha invero natura provvisoria, non può sostituirsi alla disciplina che la legge affida alle responsabili valutazioni del Comune (Cass. civ., sez. I, 6.11.1998, n. 1158).
La giurisprudenza considera illegittimo il silenzio serbato dall'amministrazione comunale sulla diffida con consequenziale assegnazione al predetto ente locale di un termine, decorrente dalla comunicazione ovvero dalla notifica, se anteriore, della presente decisione per provvedere alla nuova destinazione urbanistica della zona. La sentenza di condanna può, inoltre, nominare, in caso di ulteriore inadempienza, un commissario ad acta, cui il ricorrente può rivolgersi direttamente, una volta fatto constare formalmente l'avvenuto inutile decorso del tempo.
La giurisprudenza, peraltro, ritiene che petti sempre al comune, discrezionalmente, la scelta della nuova destinazione da imprimere all'area, mediante adeguata motivazione (Cons. St., sez. IV, 28.2.1992, n. 226, RGE, 1992, 410).

47. La partecipazione al procedimento.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.

La delibera deve prevedere che l’indennizzo venga quantificato contestualmente alla reiterazione del vincolo scaduto.
Essa ha una duplice funzione: pianificatoria, per ciò che concerne l'aspetto generale di sistemazione del territorio, ed anche espropriativa, incidendo immediatamente sul diritto soggettivo del proprietario inciso, cui è riconosciuto il contestuale diritto all'indennizzo. Questi effetti presuppongono la notificazione espressa e personale del provvedimento.
La giurisprudenza prevede che tale procedimento sia soggetto alla legge sull’accesso.
La conseguenza della mancata comunicazione dell'atto all'interessato, comporta pertanto, la possibilità per quest'ultimo di impugnare la riproposizione del vincolo al momento della conoscenza legale dello stesso, termine rispetto al quale il ricorso risulta tempestivo.
L'Amministrazione deve dovuto motivare diffusamente gli interessi coinvolti nel procedimento.

L'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, che pone l'obbligo della comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ha innestato nell'attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell'introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire.
L'obbligo della p.a. di dare comunicazione dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, sussiste anche in caso di dichiarazione di p.u. implicita nell'approvazione del progetto di opere pubbliche, ex art. 1, l. 3.1.1978, n. 1
(Cons. St., A. P., 15.9.1999, n. 14, FI, 1999, III, 529).

L'assenza di un'idonea motivazione, non rinvenibile nemmeno per relationem negli atti impugnati, determina l'illegittimità degli atti impugnati, sotto il profilo della mancata partecipazione per l’assenza della comunicazione prevista dall'art. 7 della l. 41/90.
L'art. 7 della L. 241/90 sull'avviso del procedimento è espressione di un principio generale dell'ordinamento giuridico e si applica anche in materia espropriativa; nell'attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione non ha valore una partecipazione differita.
L'amministrazione comunale deve avviare e concludere il procedimento diretto alla localizzazione dell'opera e dell'approvazione del progetto consentendo ai soggetti interessati di partecipare fattivamente a tale determinazione.

L'amministrazione comunale che proceda alla reiterazione di un vincolo a contenuto sostanzialmente espropriativo ha l'obbligo di comunicare tempestivamente l'avvio del procedimento ai soggetti potenzialmente interessati. La mancata comunicazione dell'avvio del procedimento comporta la possibilità per i soggetti lesi di impugnare la riproposizione del vincolo.
Il termine per la proposizione del ricorso decorre dal momento della conoscenza legale della reiterazione del vincolo.
A seguito della sentenza della C. cost. n. 179 del 1999, la p.a. che proceda alla reiterazione di un vincolo urbanistico a contenuto sostanzialmente espropriativo deve quantificare l'indennizzo riconosciuto al privato, contestualmente alla reiterazione del vincolo.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 1.2.2001, n. 89, CI, 2001, 605).

48. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

LEGISLAZIONE: l. 4.8.1955, n. 848, prot. add. n. 1, art. 1.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha valutato il regime dei vincoli di piano fissato dal legislatore italiano, ponendo i criteri per ritenere lo stesso conforme all'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'uomo del 20.3.1952, ratificata con l. 4.8.1955, n. 848.
Il discrimen sta nella possibilità che l’amministrazione preposta al vincolo dia al proprietario la facoltà di realizzare le sue aspettative nell’ambito di una programmazione urbanistica che gli consenta di intervenire in tempi che non limitino il suo diritto (Rossi 2001, 2000).
Il Governo italiano è stato assolto nel caso di un vincolo ultraventennale nel corso del quale l’interessato avrebbe avuto la possibilità di convenzionarsi con il comune.

Va esclusa la violazione del principio del rispetto della proprietà, ex art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'Uomo firmato a Parigi il 20.3.1952, se l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del privato risponda - con un giudizio che compete alla Corte - alle esigenze dell'interesse generale.
Nel caso di specie la ricorrente, in lite fin dal 1965 con il comune, avrebbe potuto dal 1974 in poi concludere una convenzione di lottizzazione: tale possibilità è stata ritenuta sufficiente ad assicurare la tutela del diritto al rispetto dei beni
(Corte europea dir. uomo, 2.8.2001, RGE, 2002, I, 293).

Il Governo italiano è stato, invece, condannato nel caso di un vincolo più volte rinnovato senza che il propietario abbia avuto la possibilità di intervento sul suo immobile.

Sussiste violazione del principio del rispetto della proprietà, secondo quanto previsto dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'uomo (firmato a Parigi il 20.3.1952), qualora vi sia una continua rinnovazione dei vincoli su aree.
Tale comportamento, pur non potendo essere assimilato ad una privazione della proprietà, può violare il giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi a salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo.
Nel caso di specie, un vincolo protrattosi per 33 anni senza indennizzi e con sola utilizzabilità agricola con una completa incertezza sull'utilizzazione edilizia del bene ha generato un peso speciale ed esorbitante, con violazione del principio del rispetto della proprietà; lo Stato italiano ed il ricorrente sono stati quindi invitati a raggiungere un accordo che possa dare al privato equa soddisfazione, ex art. 41 della convenzione
(Corte europea dir. uomo, 2.8.2001, RIDPC, 2001, 1259).

La dottrina ritiene che i principi enunciati dalla Corte Europea, diretti a condannare un vincolo ultraquinquennale non indennizzato, siano recepiti dalla previsione dell'art. 39, d.p.r. 327/2001.
La norma, infatti, soddisfa le esigenze di un giusto equilibrio fra gli interessi pubblici e quelli privati (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 490).





49. Il rilascio del permesso di costruire in presenza di vincoli di piano.

LEGISLAZIONE: d.p.r.380/2001, art. 9 - l. 10/1977, art. 4.

L’istituzione dei vincoli di piano e il rilascio del provvedimento autorizzatorio per la realizzazione un intervento edilizio sono due procedimenti autonomi i cui effetti sono strettamente connessi.
L’istituzione del vincolo determina come conseguenza obbligatoria il diniego alla richiesta di permesso di costruire che contrasti con detta imposizione.
La risposta alla domanda di costruzione acquista in ogni caso rilevanza diversa in rapporto alle varie fasi in cui l’atto programmatorio può trovarsi.
Nella fase di adozione del piano si devono applicare le misure di salvaguardia.

Ove la domanda di autorizzazione edilizia contrasti con il nuovo piano adottato e non ancora definitivamente approvato, ai sensi della l. n. 1902 del 1952, deve essere emanato un provvedimento cautelare di sospensione di ogni determinazione al riguardo
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 3.2.2003, n. 192, FATAR, 2003, 389).

Fino alla data dell’adozione del piano deve applicarsi la normativa in vigore e, quindi, la risposta alla domanda di costruire deve ad essa rapportarsi.

È illegittimo il diniego di concessione edilizia motivato facendo riferimento ad un vincolo non ancora apposto al momento di adozione dell'atto che limita lo ius aedificandi del ricorrente.
Nel caso di specie non determina la costituzione di un vincolo preordinato alla espropriazione la deliberazione consiliare che ha disposto una semplice localizzazione di massima dei parcheggi senza che la stessa abbia disposto l'approvazione del piano con effetto di variante allo strumento urbanistico.
(T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 1.10.2002, n. 1653, FATAR, 2002, 3410).

La giurisprudenza ha precisato che il vincolo imposto successivamente al rilascio di un provvedimento autorizzatorio è illegittimo, a meno che il comune non dimostri, con un’adeguata motivazione, le ragioni che hanno indotto ad introdurre detta variante di piano in contrasto colle precedenti determinazioni dell’amministrazione.
Il permesso di costruire non ha natura recettizia essendo di per sè idoneo a produrre gli effetti suoi propri fin dalla data della sua emanazione, indipendentemente dalla comunicazione all'interessato.
L'acquisita validità del titolo edilizio alla data della emissione del documento formale comporta conseguentemente l'illegittimità del vincolo di inedificabilità impresso al lotto di terreno in questione dal nuovo piano regolatore generale, perchè adottato successivamente.
Risulta pertanto illegittimo il provvedimento di diniego secondo cui il permesso di costruire non può più essere operativo in quanto ormai superato dalla nuova destinazione vincolata del lotto di terreno.

L'acquisita validità del titolo edilizio alla data della emissione del documento formale comporta l'illegittimità del vincolo di inedificabilità impresso al lotto di terreno in questione dal nuovo piano regolatore generale, quando quest'ultimo sia stato adottato successivamente
(T.A.R. Liguria, sez. I, 11.3.2003, n. 279).

Nella fase di durata del piano il diniego non può essere che motivato col contrasto alle disposizioni di piano.
La giurisprudenza precisa che i vizi del piano non possono supportare l’impugnazione del provvedimento di rilascio di permesso di costruire.

Tra disposizione di p.r.g. che impone un vincolo di destinazione e diniego di concessione edilizia non intercorre nessun rapporto di presupposizione, poiché il primo, atto complesso di pianificazione urbanistica, scaturisce da un procedimento autonomo e separato rispetto al secondo che è posto in essere non solo successivamente, ma a procedimento di pianificazione già concluso.
E' inammissibile l'impugnativa del diniego di concessione edilizia, prospettandone un vizio derivato dalla disposizione, ritenuta illegittima ma inoppugnabile, di piano regolatore che ha imposto un vincolo e di cui il primo costituisce esecuzione
(Cons. St., sez. IV, 25.3.2003, n. 1546).

Nel caso in cui il vincolo sia decaduto non può negarsi il rilascio del provvedimento richiesto.

Nel caso in cui il vincolo di inedificabilità previsto dal piano regolatore vigente sia decaduto per decorso del termine quinquennale ai sensi della l. n. 1187 del 1968, il diniego di autorizzazione non può fondarsi sul contrasto con tale piano
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 3.2.2003, n. 192, FATAR, 2003, 389).

Il rilascio del permesso di costruire è in ogni modo limitato oltre che dai parametri di edificabilità imposti per le zone bianche di p.r.g. dall’art. 9, d.p.r.380/2001, che abroga l’art. 4, l. 10/1977, dalla esistenza delle opere di urbanizzazione.

La cessazione del vincolo di un'area ad una specifica destinazione di uso, impressale dallo strumento urbanistico, non può in alcun caso essere assimilata all'inesistenza del piano regolatore; per questo il sindaco, di fronte ad un'istanza di concessione edilizia, non si può limitare al controllo degli standard generali, ex art. 4, l. 28.1.1977, n. 10, in quanto la concessione è lo stesso subordinata all'esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione comunale della loro costruzione entro un triennio o all'impegno del privato di costruirle contemporaneamente con l'opera progettata, senza l'obbligo di rilasciare la concessione stessa sulla base delle sole disposizioni dell'art. 4, l. 28.1.1977, n. 10
(Cons. St., sez. V, 4.8.2000, n. 4295, FA, 2000, 2660).

La giurisprudenza ritiene, quindi, congruo il provvedimento di diniego di permesso di costruire parametrato secondo indici di piano della zona di cui fa parte integrante il lotto il cui vincolo sia scaduto.

L'inutile decorso del termine quinquennale del vincolo del piano regolatore, preordinato all'espropriazione, implica che l'area interessata risulta sprovvista di una regolamentazione urbanistica, essendo abrogata quella preesistente al vincolo stesso ed essendo divenuta inefficace quella recata da quest'ultimo, onde l'area resta soggetta alla disciplina che l'art. 4, ult. co., l. 28.1.1977, n. 10, detta per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali.
Pertanto, è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia, per un'area all'interno del perimetro del centro abitato, fin quando a quest'ultima non sia impressa una nuova destinazione di zona che ne consenta l'ulteriore uso a fini edificatori
(Cons. St., sez. V, 25.9.1998, n. 1326, FA, 1998, 2360).

La giurisprudenza ha limitato la definizione dei vincoli urbanistici disciplinati dall'art. 2 della l. 1187/68 e del principio della temporaneità che ne determina la relativa perdita di efficacia legittimando quindi il diniego del permesso di costruire pur dopo la scadenza del vincolo.
I vincoli a tempo determinato sono, infatti, soltanto quelli che incidono su beni specifici assoggettandoli a vincoli preordinati all'espropriazione ed a vincoli che ne comportano l'inedificabilità.
Essi, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua

destinazione naturale ovvero diminuendo in modo significativo il suo valore di scambio. La previsione di una determinata tipologia urbanistica, come quella del restuaro, invece, non è un vincolo preordinato all'espropriazione né comportante l'inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia che è destinata a perdurare nel tempo.

I vincoli previsti nel caso di area in cui sono consentiti esclusivamente interventi di restauro e ristrutturazione interna, nonché di manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati esistenti, non sono qualificabili come vincoli di inedificabilità assoluta, comportando la possibilità di un utilizzo del potere edificatorio in senso conservativo, pertanto non è applicabile l'art. 2 l. 19.11.1968, n. 1187, secondo il quale decorso il termine quinquennale si avrebbe decadenza del vincolo; tale norma è applicabile soltanto nel caso di vincoli che incidono su beni determinati, preordinandone l'espropriazione o comportandone l'inedificabilità, vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile ovvero diminuendone in modo significativo il valore di scambio.
La previsione di una determinata tipologia urbanistica, invece, è una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall'art. 11, l. 17.8.1942, n. 1150.
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 6.3.2003, n. 734. Cons. St., sez. V, 6.10.2000, n. 5326. Cons. St., sez. V, 24.11.97, n. 1357).

La giurisprudenza ha posto dei limiti alla possibilità di porre dei vincoli di piano che di fatto non permettono il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Essi, infatti, devono essere considerati compatibili con l’esercizio delle facoltà attribuite alla proprietà.
E’ stato sancito che il completamento della recinzione di un fondo non può essere impedito dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo esercizio dello ius excludendi alios, di per sé, non contrasta con detta previsione.
Esso, infatti, non ha per fine quello di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limita in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono.
Il legittimo esercizio dello ius excludendi alios non contrasta di per sé con la previsione vincolistica del piano regolatore interessante l'area in questione, non avendo per fine quello di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono; pertanto, è illegittimo il diniego della concessione edilizia per la realizzazione di un cancello di recinzione di un fondo, motivato in ragione della collocazione di tale opera in zona destinata dal piano di recupero a verde pubblico
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 24.2.2003, n. 351. T.A.R. Milano, sez. II, 20.5.1993 n. 334).


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