mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 2 Pianificazione sovracomunale.


1.1         PARTE PRIMA LA PIANIFICAZIONE


CAPITOLO II I vincoli alla proprietà privata disposti dalla pianificazione sovracomunale.

SOMMARIO: 7. Il piano territoriale di coordinamento.
8. Il contenuto. Gli effetti.
9. Le funzioni regionali in materia.
10. Il piano territoriale regionale.
11. La procedura di formazione.
12. La difformità delle disposizioni di piano regolatore rispetto al piano territoriale regionale.
13. Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia.
14. Gli effetti. La tutela.
15. I limiti alle disposizioni del piano provinciale.
16. La procedura di formazione nella legislazione regionale dell’Emilia Romagna.
17. La procedura di formazione nella legislazione regionale della Lombardia.
18. Il piano territoriale paesistico.
19. Le questioni di costituzionalità.
20. La procedura di approvazione. La partecipazione dei comuni.
21. L’obbligatorietà del piano paesistico.
22. Gli effetti dell’approvazione. Il recepimento da parte dei comuni. 22.1. L'applicazione delle misure di salvaguardia.
23. Il piano di bacino.
24. I parchi nazionali.
25. I parchi regionali.
26. La legislazione regionale della Lombardia. Il piano territoriale di coordinamento del parco.
27. La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase amministrativa.
28. La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase legislativa eventuale.
29. I rapporti con gli strumenti di pianificazione territoriale.
30. Le misure di salvaguardia.
31. La non indennizzabilità del vincolo di interesse storico o ambientale.
32. La conformità ai principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.



7. Il piano territoriale di coordinamento.

LEGISLAZIONE: l. urb. 1150/1942, artt. 5, 6.

La programmazione sovracomunale ha come obiettivo la sistemazione complessiva del territorio e riguarda tutta l’area considerata; mentre la programmazione settoriale persegue finalità specifiche di assetto e, di conseguenza, prende in considerazione solo le zone del territorio da esse interessate, secondo gli indirizzi di quella generale cui deve necessariamente conformarsi.
La dottrina, rilevando la connessione fra programmazione economica e assetto territoriale, afferma che la gestione del territorio deve partire dalla pianificazione generale (Abbamonte 1998, 812).
I piani territoriali istituiti dagli artt. 5, 6 della legge urbanistica del 1942 trovano, di fatto, attuazione solo dopo che la pianificazione urbanistica comunale è stata realizzata nella quasi totalità dei comuni.

Il piano territoriale è strumento di indirizzo generale della politica del territorio che autorità diverse adottano al fine di sovrapporre alla pianificazione comunale determinazioni di carattere e portata di direttive, scaturenti da una più globale problematica valutazione complessiva del territorio in quanto assunto e preso in considerazione su più larga scala ed estensione
(Assini 2000, 77).

Viene alterato così dai fatti il processo logico che vuole prima uno strumento generale programmatico di intervento sul territorio e poi la programmazione settoriale comunale.
I piani si possono definire a livello regionale, sovralocale, comunale, classificandoli in rapporto all’ambito territoriale compreso nella programmazione,
Si può, inoltre, definire la pianificazione: come progettuale, determinativa o pianificazione-provvedimento, a seconda della specificità delle previsioni.
La classificazione più diffusa distingue, comunque, la pianificazione di direttive, quella operativa e quella di attuazione. Essa comprende i criteri della rilevanza del territorio, dei destinatari, dell’analiticità delle previsioni e dell’efficacia dei piani.
La prima comprende i piani di ampia estensione spaziale, che contengono essenzialmente direttive generali, rivolte alle pubbliche autorità, par la programmazione del territorio; la seconda si riferisce ai piani che hanno lo scopo di realizzare le previsioni dei precedenti a livello comunale, vedi il piano regolatore generale; la terza è costituita dai piani che stabiliscono prescrizioni più precise per zone infracomunali, vedi il piano particolareggiato

In particolare, alla base di tale classificazione sussiste l’idea che la pianificazione attinente al territorio si snodi in una sequenza gradualistica di comandi sempre meno astratti e sempre più concreti nella quale i vari piani sono collegati da relazioni di sovra-sottordinazione, nel senso che quelli a scala più ridotta risultano vincolati a quelli a scala più ampia
(Sciullo 1996, 139).

In relazione ai destinatari si può chiamare autopianificazione, eteropianificazione e pianificazione plurisoggettiva.
La prima definizione si utilizza qualora il piano riguardi soggetti che ne sono gli autori; la seconda nel caso di altri soggetti pubblici, l’ultima per i destinatari privati.
La dottrina critica la abbondanza di normative che finisce, nella sovrapposizione di enti addetti alla gestione del territorio, per creare una completa confusione.
La pluralità di enti dà origine, infatti, inevitabilmente a una pluralità di ordinamenti che, se mal coordinati, determinano uno stato di incertezza e paralizzano anche attività minime essenziali per gli utenti.

Esistono vaste zone del territorio nazionale che - soggette, come tutte, alla disciplina urbanistica - rientrano contemporaneamente tra le aree dei parchi naturali ( nazionali o regionali), nonché di interesse paesistico oppure storico-artistico-archeologico (e tra poco, dovrebbero sovrapporsi anche i piani di bacino, previsti dalla legge sulla difesa del suolo). In tali casi, anche per aprire una finestra, il proprietario di un fabbricato dovrebbe ottenere quattro diverse e defatiganti autorizzazioni (concessione edilizia, nulla osta dell’Ente parco, l’autorizzazione paesistica regionale e l’autorizzazione della Sovrintendenza ai beni architettonici o archeologici)
(D’Angelo 1997, 169).



8. Il contenuto. Gli effetti.

LEGISLAZIONE: l. urb. 1150/1942, art. 5.

Il piano territoriale di coordinamento nasce colla legge urbanistica, essendo previsto dall'art. 5 della l. 1150/ 1942, allo scopo di inquadrare la programmazione urbanistica comunale nelle scelte strategiche operate su un più vasto ambito territoriale (Breganze 1996, 242).
Il contenuto del piano è determinato dalla l. urb.

Allo scopo di orientare o coordinare l'attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, il ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere del consiglio superiore dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano.
Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in rapporto principalmente:
a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge;
b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di particolare natura ed importanza;
c) alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma.
I piani, elaborati d'intesa con le altre amministrazioni interessate e previo parere del consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto reale su proposta del ministro per i lavori pubblici, di concerto col ministro per le comunicazioni, quando interessino impianti ferroviari, e col ministro per le corporazioni, ai fini della sistemazione delle zone industriali nel territorio nazionale.
Il decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del regno, e, allo scopo di dare ordine e disciplina anche all'attività privata, un esemplare del piano approvato deve essere depositato, a libera visione del pubblico, presso ogni comune il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nell'ambito del piano medesimo
(art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150).

Nel piano devono stabilirsi le direttive da seguire nella programmazione territoriale, principalmente in rapporto alle zone da riservare a speciali destinazioni o soggette a vincoli o a limitazioni di legge; alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o di impianti di particolare natura o importanza; alla rete delle principali linee di comunicazione, stradali, ferroviarie, elettriche (Morbidelli 1991, 9).
La l. urb. non ha previsto alcun effetto in ordine all’approvazione del piano, esprimendo ai comuni un generico invito al recepimento non sanzionato, in sede di approvazione dei piani:

Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può essere variato con decreto reale previa la osservanza della procedura che sarà stabilita dal regolamento di esecuzione della presente legge.
I comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell'ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale
(art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150).

Effetti sostanzialmente diversi derivano dalla legislazione regionale, che impone agli strumenti urbanistici comunali di adeguarsi alle disposizioni di piano e, quindi, vieta il rilascio di permessi di costruire in contrasto con tali disposizioni.

Le disposizioni del piano territoriale regionale di coordinamento prevalgono su quelle del piano regolatore generale, essendo quindi del tutto irrilevante in senso contrario che il piano regolatore generale di un comune sia successivo al piano territoriale regionale di coordinamento
(T.A.R. Veneto, sez. II, 29.5.1995, n. 876, FA, 1996, 194).

Da tali funzioni scaturiscono effetti diversi.
La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, ad adeguarsi alle sue disposizioni.
Le indicazioni, aventi carattere precettivo, comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire per due anni dalla data di approvazione del progetto di piano regionale (l.r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, art. 7).
La giurisprudenza ha ravvisato un limite alla apposizione dei vincoli di piano.
Non è, infatti, possibile vietare la manutenzione sugli immobili già edificati perché si concreterebbe una limitazione del diritto del proprietario, che il provvedimento amministrativo, in carenza di una apposita disposizione di legge, non può porre.

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 17, 3° co., l. r. Campania 35 del 1987, di approvazione del piano urbanistico-territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, nella parte in cui vieta interventi edilizi anche di manutenzione ordinaria e straordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/a, realizzati successivamente al 1955, e consente solo interventi di manutenzione ordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/b realizzati successivamente al 1955.
Detta norma, infatti, introducendo un divieto generalizzato, assoluto e indiscriminato di interventi di conservazione e manutenzione delle costruzioni legittimamente esistenti, non si uniforma ai principi generali in tema di generale ammissibilità delle opere edilizie di manutenzione degli edifici esistenti in zone paesisticamente protette, desumibili dagli artt. 1, 1 ter e 1 quinquies della l. 431 del 1985
(Corte cost., 29.12.1995, n. 529, RGE, 1996, I, 3).

Alcune regioni hanno disposto la sospensione del rilascio del permesso di costruire in attesa dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali, assegnando ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale.
In via sostitutiva è previsto l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.

E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 117, 3 e 43 cost., degli artt. 5 e 35 della l.r. Campania che hanno disposto la sospensione del rilascio di concessioni edilizie assegnando ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale e prevedendo in mancanza l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Questi articoli, né violano l'art. 117 sotto il profilo del contrasto con il principio desumibile dalle leggi statali di principio, nel senso della non vincolatività nei confronti dei cittadini delle prescrizioni contenute nel piano territoriale, né violano gli artt. 3 e 42 cost., sotto il profilo di una ingiusta compressione del diritto di proprietà, in quanto il divieto di rilascio di concessione ha durata limitata nel tempo
(T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 26.4.1995, n. 181, GM, 1996, 112).

Se il legislatore regionale ha fissato termini perentori per l’adozione del piano territoriale di coordinamento le attività che rimangono in salvaguardia fino a detto termine possono legittimamente esercitarsi in caso di inadempimento nell’approvazione dello strumento urbanistico richiesto.

Ove il legislatore regionale abbia consentito determinate attività edilizie, subordinando parte di esse all'esecutività di un Piano territoriale di coordinamento da adottarsi entro un certo termine, tale termine deve ritenersi perentorio
(T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 3.7.2001, n. 1315).


9. Le funzioni regionali in materia.

LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, artt. 6, 7.

Il trasferimento alle regioni delle funzioni in materia di urbanistica e di opere pubbliche di interesse regionale, ai sensi dell'art. 117 della costituzione, inizia col d.p.r. 8/1972.
Questo è completato dal d.p.r. 616/1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative riguardanti l'approvazione degli strumenti urbanistici sovracomunali e di quelli generali ed attuativi, il rilascio di concessioni urbanistiche ed in deroga ed i provvedimenti repressivi, le competenze in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Con le funzioni sono trasferiti gli uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici: il Genio civile, il Provveditorato opere pubbliche, comprese le sezioni urbanistiche istituite presso i provveditorati.
Allo Stato è riservata la funzione di indirizzare e di coordinare nelle linee fondamentali l'assetto del territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Le regioni hanno regolato i contenuti del piano, dando nuovi effetti alla programmazione territoriale ed imponendo un diverso ruolo alle amministrazioni che operano sul territorio.
La l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, all’art. 6 prevede che il piano abbia come contenuto obbligatorio: l’indicazione delle opere pubbliche e degli impianti necessari per servizi di interesse regionale, l’indicazione degli ambiti territoriali da destinare a indirizzi speciali e di quelli da riservare a parchi naturali (Pagano 1975, 21).
Da tali funzioni scaturiscono effetti diversi.
La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, ad adeguarsi alle sue disposizioni.
Le prescrizioni aventi carattere esecutivo comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 7 della l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51 e mod.
I piani attuativi delle aree individuate di interesse regionale nei piani territoriali sono soggetti alla approvazione regionale, non applicandosi le semplificazioni procedurali previste dall'art. 24 della l. 47/1985.


10. Il piano territoriale regionale.

LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, artt. 4, 7, 8.

Il piano territoriale costituisce atto di indirizzo e coordinamento proprio della regione, che ne è responsabile dal punto di vista formale e sostanziale, in quanto esso viene prima adottato dal consiglio regionale, su proposta della giunta, e, dopo la pubblicazione e l'esame delle osservazioni, esso viene emanato con legge regionale, ai sensi degli artt. 4 e 8, 1° co., l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51. (T.A.R. Lombardia, sez. II, Milano, 21.12.1992, n. 792, T.A.R., 1993, I, 469).
Il potere regionale di adottare ed approvare i piani territoriali regionali ed i relativi stralci è riaffermato dalla legislazione regionale anche dopo l’ulteriore trasferimento delle funzioni urbanistiche alle province, ex art. 3, 2° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Effetti sostanzialmente diversi derivano dalla legislazione regionale che impone agli strumenti urbanistici comunali di adeguarsi alle disposizioni di piano e, quindi, vieta il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con tali disposizioni.

Le disposizioni del piano territoriale regionale di coordinamento prevalgono su quelle del piano regolatore generale, essendo quindi del tutto irrilevante in senso contrario che il piano regolatore generale di un comune sia successivo al piano territoriale regionale di coordinamento
(T.A.R. Veneto, sez. II, 29.5.1995, n. 876, FA, 1996, 194).

La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che devono recepire le sue disposizioni.
Le indicazioni, aventi carattere precettivo, comportano l’adozione delle misure di salvaguardia.
Tale carattere è stato ribadito dalla legge Galasso.

L'art. 1 bis della l. 8.8.1985, n. 431, ha reso i piani territoriali paesistici di cui all'art. 5, l. 29.6.1939, n. 1497, assolutamente equivalenti ai piani territoriali urbanistici; di conseguenza è possibile che i piani territoriali di coordinamento, di cui all'art. 5 della Legge urbanistica, si facciano carico anche di esigenze di tutela paesaggistica, imponendo vincoli di inedificabilità assoluta
(T.A.R. Marche, 22.3.1991, n. 134, FA, 1991, 3045).

Il piano ha una disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici. In tal caso, a tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione sulle domande di concessione edilizia, ai sensi dell’art. 7 della l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51 (Pagano 1975, 21).
Il piano urbanistico territoriale non esplica direttamente la sua efficacia nei confronti delle singole proprietà fondiarie, ma esso è esclusivamente rivolto alle amministrazioni pubbliche territoriali che sono tenute all'adeguamento dei rispettivi strumenti urbanistici a detto piano territoriale.

Il piano urbanistico territoriale approvato con l. r. Campania 27.6.1987, n. 35 va considerato, a tutti gli effetti, come un piano territoriale di coordinamento - previsto dagli artt. 5 e 6 della l. 17.8.1942, n. 1150 - e si configura, quindi, come strumento di indirizzo nonché di controllo inerente all'utilizzazione del territorio, in grado di vincolare esclusivamente i comuni; di conseguenza le prescrizioni urbanistiche del piano territoriale stesso non possono ritenersi direttamente operative nei confronti dei privati ed esse non impongono sui beni di questi ultimi vincoli immediati se non, attraverso il recepimento del piano, quelli previsti dalla normativa urbanistica di grado inferiore e di livello comunale
(T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 6.8.1991, n. 248, FA, 1992, 1195. T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 6.9.1993, n. 284, RGE, 1994, I, 362).

L’effetto precipuo dell’approvazione consiste nella sospensione del rilascio del permesso di costruire in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.
Alcune leggi regionali, ad esempio la l. r. Campania 27.6.1987, n. 35, hanno assegnato ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale.
In via sostitutiva è previsto l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.
L'obbligo della temporaneità dei vincoli urbanistici è, infatti, da considerare assolto quando la legge stabilisce misure di salvaguardia, in attesa dell'emanazione di piani regolatori comunali, prevedendo misure sostitutive nei confronti di enti inadempienti.
La natura temporanea di tale misura di salvaguardia è assicurata dal fatto che, in caso di inadempienza dei comuni, entro un ragionevole limite temporale, è previsto il potere sostitutivo delle comunità montane e delle province, salva l'ulteriore possibilità di intervento del prefetto competente, mediante la nomina di un commissario.

E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 117, 3 e 43 cost., degli artt. 5 e 35 della l. r. Campania 27.6.1987, n. 35, che hanno disposto la sospensione del rilascio di concessioni edilizie assegnando ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale e prevedendo in mancanza l'intervento della provincia, ente delegato competente. Questi articoli né violano l'art. 117 sotto il profilo del contrasto con il principio desumibile dalle leggi statali di principio, nel senso della non vincolatività nei confronti dei cittadini delle prescrizioni contenute nel piano territoriale, né violano gli artt. 3 e 42 cost., sotto il profilo di una ingiusta compressione del diritto di proprietà, in quanto il divieto di rilascio di concessione ha durata limitata nel tempo
(T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 26.4.1995, n. 181, GM, 1996, 112. Corte cost., 7.11.1994, n. 379, CS, 1994, II, 1622).

Il piano, inoltre, può legittimamente imporre vincoli di inedificabilità assoluta in presenza di particolari e definite situazioni ambientali che si intendono tutelare.

Il divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all'art. 519, lett. f) della l. r. Puglia, 31.5.1980, n. 56 non rappresenta una misura di salvaguardia, ma un vincolo d'inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia fino all'adozione del piano territoriale
(Cons. St., sez. V, 28.2.1995, n. 300, FA, 1995, 360).

La giurisprudenza ha ravvisato un limite alla apposizione dei vincoli di piano considerando illegittimo il divieto di manutenzione degli immobili già edificati.

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 17, 3° co., l. r. Campania 35 del 1987, di approvazione del piano urbanistico-territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, nella parte in cui vieta interventi edilizi anche di manutenzione ordinaria e straordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/a, realizzati successivamente al 1955, e consente solo interventi di manutenzione ordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/b realizzati successivamente al 1955. Detta norma, infatti, introducendo un divieto generalizzato, assoluto e indiscriminato di interventi di conservazione e manutenzione delle costruzioni legittimamente esistenti, non si uniforma ai principi generali in tema di generale ammissibilità delle opere edilizie di manutenzione degli edifici esistenti in zone paesisticamente protette, desumibili dagli artt. 1, 1 ter e 1 quinquies della l. 431 del 1985
(Corte cost., 29.12.1995, n. 529, RGE, 1996, I, 3).

La legislazione regionale ha unificato nel piano urbanistico territoriale le funzioni pianificatorie dei piani territoriali di coordinamento e dei piani territoriali paesistici riguardanti la salvaguardia ambientale che la giurisprudenza ha ritenuto compatibili con i principi guida della legislazione statale.
L'art. 51, l. r. Puglia 31.5.1980, n. 56 - in estrinsecazione della competenza legislativa diretta e concorrente di cui all'art. 177, 1° co., cost. in materia di competenze pianificatorie trasferite alle regioni dall'art. 1, 4° co., d.p.r. 15.1.1972, n. 8, ha unificato nel c.d. piano urbanistico territoriale-p.u.t., le funzioni pianificatorie dei piani territoriali di coordinamento, ex art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150, e dei piani territoriali paesistici di cui all'art. 5, l. 29.6.1939, n. 1497 - ha introdotto, quale normativa transitoria, veri e propri vincoli urbanistici aventi funzione sia di misura di salvaguardia (intesa ad assicurare la immodificabilità delle zone ivi contemplate) sia di temporanea inedificabilità assoluta di natura e carattere urbanistico ancorché ad effetti (indiretti) di tutela paesistica e, lato sensu, ambientale.
E’ da escludere, pertanto, che detta disposizione normativa regionale possa considerarsi incompatibile - e, quindi, abrogata per effetto dell'art 10, l. 10.2.1953, n. 62 - con la successiva legislazione statale, ex art. 1, l. 8.8.1985 n. 431.
Essa, infatti, riguarda un oggetto diverso (vincoli urbanistici e non già paesistici); essa è conforme, inoltre, ab origine alle finalità di salvaguardia perseguite dall'art. 1 ter, l. 8.8.1985 n. 431.; essa, infine, non introduce a regime un vincolo assoluto bensì temporaneo di inedificabilità, quale misura di salvaguardia
(T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 15.3.1999, n. 111, FA, 1999, 1890).



11. La procedura di formazione.

LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, art. 6 - l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, art. 3, 25° co.

Nella procedura di formazione del piano territoriale di coordinamento regionale il comune ha un ruolo di incisiva partecipazione alle scelte programmatorie attraverso lo strumento delle osservazioni, al fine di contemperare gli interessi programmatori regionali con quelli comunali, ex art. 6, l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51.
La legislazione successiva introducendo il piano territoriale di coordinamento provinciale attribuisce, di fatto, il piano regionale un ruolo di programmazione di massima.
Le scelte regionali trovano concreta attuazione nello strumento pianificatorio provinciale più vicino alle esigenze dei comuni, ex art. 3, 25° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Gli strumenti attuativi inerenti alle aree individuate di interesse regionale nell’ambito dei piani territoriali sono soggetti alla approvazione regionale, poiché non si possono applicare le semplificazioni procedurali previste dall'art. 24 della l. 47/1985.



12. La difformità delle disposizioni di piano regolatore rispetto al piano territoriale regionale.

LEGISLAZIONE: l. r. Veneto 27.6.1985, n. 61,, artt. 4, 5.

La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che devono recepire le sue disposizioni, legittimando la regione ad intervenire per modificare gli strumenti urbanistici che non vi si adeguino.
Tale potere si manifesta soprattutto nella fase di approvazione delle varianti di piano.
In tale fase la regione può intervenire con modifiche di ufficio per adeguare il piano ai suoi indirizzi.

La regione, in sede di approvazione di piano regolatore generale o di una sua variante, ha la facoltà di introdurre modificazioni finalizzate all'adeguamento del piano agli standard, alla pianificazione territoriale di coordinamento ovvero alle esigenze della programmazione di opere pubbliche di rilievo ultracomunale, purché tali modifiche non alterino sostanzialmente l'impostazione del piano così come adottato dal comune
(T.A.R. Liguria, sez. I, 13.7.1994, n. 312, FA, 1994, 2474).

Assolutamente più complicato si presenta l’intervento regionale per adeguare i piani prima approvati.
La giurisprudenza ha valutato gli effetti delle disposizioni del piano territoriale di coordinamento regionale in rapporto alla diversa pianificazione territoriale.
In tal caso è stato affermato che la disposizione del piano territoriale non è vincolante e può essere disattesa qualora l’opera pubblica oggetto dell’intervento abbia ottenuto il parere positivo della conferenza di servizio che ha approvato l’intervento.
Sotto il profilo procedurale è possibile censurare la difformità delle disposizioni del piano regionale solo nel caso che sia stato impugnato prima il piano regolatore comunale, che si ritiene difforme dai contenuti del piano ad esso sovraordinato.

Nella regione Veneto, ai sensi degli art. 4 e 5 l. r. 27.6.1985, n. 61, il piano territoriale regionale di coordinamento (p.t.r.c.) costituisce sì un piano urbanistico, ma essenzialmente di direttiva ai comuni per la redazione dei loro piani regolatori generali - ai fini, tra l'altro, dell'indicazione del sistema delle infrastrutture -, onde esso non ha di per sé immediata rilevanza all'esterno, in assenza di suo recepimento da parte dei comuni destinatari.
E’ legittima l'approvazione di un lotto autostradale il cui tracciato sia conforme ai piani regolatori dei comuni interessati e difforme dal piano regionale territoriale di coordinamento, le cui prescrizioni in materia hanno natura programmatica e non vincolante.
Nella specie, è inammissibile la deduzione in giudizio del difetto d'attuazione del p.t.r.c., relativamente all'erronea localizzazione di un'autostrada, se non è contestualmente impugnata la relativa statuizione del p.r.g. in contrasto con il piano regionale
(Cons. St., sez. VI, 4.1.2002, n. 34, RGE, 2002, I, 713)



13. Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia.

LEGISLAZIONE: l. 142/1990, artt. 14, 15 - d.lg. 18.8.2000, n. 267, art. 20.

Gli artt. 19 e 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, che mod. gli artt. 14 e 15, l. 142/1990, attribuiscono alla provincia il ruolo di ente intermedio tra regione e comune, con funzioni di coordinamento e di programmazione economica e territoriale ambientale.
Vengono attribuite alla provincia le funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, dei rifiuti e degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche, dei servizi sanitari.
In particolare l’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, conferma alla provincia i compiti di programmazione territoriale.

1. La provincia:
a) raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione;
b) concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;
c) formula e adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove il coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.
2. La provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, indica:
a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;
b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.
3. I programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regione ai fini di accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale
(art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267).

E’ sancita la competenza programmatoria della provincia (Fiale 1997, 71).
Le funzioni della provincia si esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio provinciale.

Il quadro che ne risulta è quello di un piccolo (al ridotto livello provinciale) piano regionale territoriale di coordinamento, con una più attenta considerazione delle tematiche ambientali e della tutela del suolo ed uno stringersi dei rapporti tra pianificazione economica e territoriale
(Breganze 1996, 251).

Nel piano territoriale di coordinamento provinciale vi è la presenza di prescrizioni e vincoli operativi, che sono prevalenti sul piano regolatore comunale.
Questi attengono alla cura degli interessi sovra comunali o di cui sia titolare comunque altra autorità: ad esempio, i vincoli paesaggistici e ambientali.

I limiti posti dall'art. 10, 2° co., l. 17.8.1942, n. 1150, alle modifiche atte a mutare le caratteristiche essenziali del piano regolatore comunale adottato e i suoi criteri d'impostazione, non riguardano le modifiche apportate per tutelare il paesaggio e l'ambiente, che la regione è autorizzata ad imporre anche se incidono in maniera determinante sul piano in questione
(Cons. St., sez. IV, 9.10.1997, n. 1101, UA, 1998, 408, nota DAMONTE).

Il piano regolatore comunale, così come ogni altro strumento urbanistico, è frutto della concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quali il comune e la regione, preposte, di norma, alla tutela di interessi non confliggenti, ma coordinabili anche in relazione alle particolari attribuzioni che sono loro assegnate.
Sotto questo profilo, la possibilità che intervengano modifiche d'ufficio, ai sensi dell'art. 10, 2° co., lett. a), l. 17.8.1942, n. 1150, è indubbiamente correlata al rispetto delle direttive riguardanti i contenuti principali del piano territoriale di coordinamento, cioè alle previsioni dell’ art. 5, 2° co., lett. a), b), e c), l. 17.8.1942, n. 1150.
Queste ultime riguardano le zone da riservare a speciali destinazioni e quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge, le località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o impianti di particolare importanza, la rete delle principali linee di comunicazione.

Il piano regolatore comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico è frutto, di regola, della concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quale il comune e la regione, (e per essa, secondo la maggioranza degli ordinamenti regionali, la giunta regionale); nell'ambito del relativo procedimento, il ruolo del comune è preponderante, in quanto ad esso spetta l'iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l'adozione del progetto di piano; alla regione, invece, spetta non solo di negare l'approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi limiti e condizioni, modifiche non accettate dal comune, così come prevede l'art. 10, l. 17.8.1942 n. 1150
(Cons. St., sez. IV, 28.11.1994, n. 970, CS, 1994, I, 1520).

La natura di mera direttiva del piano territoriale provinciale ha trovato conferma nell'art. 57, d.lg. 31.3.1998, n. 112.

La regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale di cui all'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142, assume il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti
(art. 57, d.lg. 31.3.1998, n. 112).

Dalla disposizione emerge con chiarezza quali siano gli ambiti nei quali, sulla base della legge regionale e previa intesa forte con le amministrazioni interessate, il piano in esame può assumere valore e effetti di piano di tutela.
I settori indicati concernono, in linea di larga massima, la funzione di protezione dell'ecosistema che la nuova legge sulle autonomie locali tende a conferire alla provincia e non riguardano affatto la precisa conformazione delle linee viarie all'interno dei diversi comuni.
L'art. 15, 2° co., lett. b), l. 8.6.1990, n. 142, sost. art. 20, d.lg. 267/2000 si limita a indicare, come oggetto proprio del piano territoriale di coordinamento, la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione.
Esula, evidentemente, dai contenuti della disposizione appena trascritta un interesse pubblico diverso da quello della configurazione di massima - assolutamente non precettiva per i singoli tracciati stradali all'interno dei comuni - della rete viaria, in perfetta sintonia con quanto prevede l'art. 5, 2° co., lett. c), della legge urbanistica generale.
Il piano trova un limite programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di coordinamento cui deve adeguarsi.
Si profila un’evidente necessaria sovraordinazione fra la programmazione urbanistica predisposta a livello provinciale e quella dei singoli comuni.
Ad esempio, se la provincia indica nel suo territorio delle aree a vocazione industriale o artigianale il comune deve prenderne atto e ridimensionare le sua autonomia pianificatoria.

4. La legge regionale detta le procedure di approvazione, nonché norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.
5. Ai fini del coordinamento e dell'approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti dai comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla regione ed ha, in ogni caso, il compito di accertare la compatibilità di detti strumenti con le previsioni del piano territoriale di coordinamento.
6. Gli enti e le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle province e tengono conto dei loro programmi pluriennali
(art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267).

Il conferimento alle province di competenze in materia di pianificazione territoriale non comporta alcuna diminuzione delle funzioni demandate alle regioni.
Le prerogative provinciali, infatti, devono essere esercitate nel rispetto delle indicazioni programmatiche provenienti da atti o provvedimenti regionali.
L’attibuzione alla regione del potere di approvazione o quanto meno di presa d’atto dei piani subordianti delimita gli ordinamenti programmatori.
La norma riafferma come principale il potere regionale cui deve conformarsi il pianificatore provinciale e quello comunale.
La giurisprudenza ha ribadito che il livello di programmazione territoriale provinciale è subordinato a quello regionale.

L'art. 15 della l. 8.6.1990, n. 142, nella parte in cui prevede che ogni provincia debba adottare un piano territoriale di coordinamento, non esclude la subordinazione del piano provinciale alla pianificazione regionale; l’art. 15 della l. 142/1990, pertanto, non è in contrasto con l'art. 117 cost., perché i piani urbanistici provinciali debbono comunque sottostare allo strumento di coordinamento costituito dal piano regionale
(Corte cost., 15.7.1991, n. 343, GI, 1992, I, 1, 206).




14. Gli effetti. La tutela.

LEGISLAZIONE: l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6, art. 5.

Per garantire gli effetti derivanti dalle disposizioni di piano territoriale di coordinamento provinciale, eventualmente contrastanti con le disposizioni della pianificazione comunale, il legislatore regionale è ricorso allo strumento delle misure di salvaguardia.
L’adozione del piano comporta la sospensione di ogni attività che si ponga in contrasto collo stesso fino all’approvazione della regione, art. 5, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6, o fino al termine di due anni dalla pubblicazione del progetto di piano nel B.U.R., ex art. 3, 37° co., l.r. Lombardia 1/2000.
Il comune è obbligato alla sospensione di ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che siano in contrasto con le previsioni del piano provinciale.
Sorge il problema della necessità che il provvedimento regionale trovi recepimento nella pianificazione comunale entro un termine normalmente prefissato, pena la decadenza delle stesse misure.
Successivamente all’entrata in vigore del piano, dopo l’approvazione regionale, vi è l’obbligo relativo per il comune di adeguare allo stesso il proprio strumento urbanistico.
In linea con gli insegnamenti della Corte costituzionale si pone il problema della durata dei vincoli imposti dal piano territoriale provinciale, che la legislazione regionale supera con l’introduzione di misure temporali di salvaguardia che garantiscono il rispetto delle previsioni fino all’entrata in vigore del piano.
La possibilità diretta di impugnazione è collegata alla efficacia del piano territoriale.
Secondo la legislazione regionale che disciplina l’istituto il piano non è un mero programma di iniziative economiche che non incide direttamente sulle posizioni giuridiche, ma esso, al contrario, è destinato a condizionare le disposizioni di piano tuttora vigenti attraverso le misure di salvaguardia.
In tal senso non sembra da condividere l’orientamento della dottrina che esclude l’impugnabilità diretta del piano.

In quanto e se il piano territoriale provinciale non ha effetti immediati e diretti, essendo qui essa ammessa soltanto in via incidentale in sede di impugnazione del piano regolatore che recepisca i dettami e le previsioni del piano territoriale
(Mengoli 2003, 86).

I comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale, ai sensi dell’art. 6, 2° co., l. urb.
Per attribuire all’area la qualità giuridica della destinazione ad uso industriale è necessario un provvedimento espresso del comune.
La mancanza della delibera comunale legittima il diniego sulla richiesta di permesso di costruire per una destinazione non ancora recepita dallo strumento urbanistico comunale.

L’art. 6 della l. urb. impone all’amministrazione comunale solo l’obbligo giuridico di provvedere alle necessarie modifiche, senza prevedere la sostituzione automatica delle disposizioni dei piani territoriali di coordinamento - e, quindi, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei industriali - a quelle, in contrasto, dei piani regolatori generali. Non essendo, quindi, ancora approvato il piano comunale alla data della domanda, l’immobile in questione, come giustamente osservato dalla Corte d’appello, non poteva considerarsi incluso in zona industriale
(Cass., sez. II, 13.11. 1996, n. 941, RGE, 197, 467).

Per contro il cambiamento della destinazione di un’area, prima idonea ad una determinata attività, portato dalla pubblicazione del piano territoriale di coordinamento provinciale, legittima il diniego da parte dell’amministrazione.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale non si pone quale mero strumento urbanistico, ma come elemento pianificatorio atto a rimuovere o ad impedire che in talune aree possano essere svolte attività non consentite in quanto pericolose per l'ambiente.
La mancata comunicazione all'amministrazione, in contrasto a quanto previsto dall'art. 28, 7° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22, della campagna di attività costituisce elemento utile al fine di escludere la natura di impianto mobile per il trattamento dei rifiuti
(Cons. St., sez. V, 13.3.2002, n. 1501, RGE, 2002, I, 1096).



15. I limiti alle disposizioni del piano provinciale.

LEGISLAZIONE: cost. artt. 5, 114, 115, 128 - l. 8.6.1990, n. 142, art. 15 - d.lg. 18.8.2000, n. 267, art. 20.

La giurisprudenza si è posta il problema se il piano provinciale possa imporre soluzioni in ambiti di esclusiva spettanza comunale o sostituire con scelte della Provincia quelle già formalizzate in modo puntuale dai Comuni con proprie determinazioni.
L’orientamento prevalente riconosce la natura di strumento di coordinamento e di indirizzo del piano territoriale provinciale, non ammettendo la capacità di introdurre, per forza propria, modificazioni nella pianificazione comunale.

Il piano territoriale di coordinamento adottato dalla Provincia, ex art. 15, l. 8.6.1990, n. 142, sost. art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, ha natura di atto di coordinamento e di indirizzo tipico della programmazione intermedia: pertanto, con esso non possono introdursi nel piano regolatore generale comunale, con forza innovativa e cogente, prescrizioni e vincoli privi di specifica causale legislativa o non riferibili ad un'attribuzione riservata della provincia.
Ai sensi dell'art. 57, d.lg. 31.3.31998, n. 112, il piano provinciale di coordinamento ha un valore di direttiva in funzione della tutela dell'ecosistema e dunque non può dettare prescrizioni concernenti la precisa conformazione di linee viarie all'interno dei diversi comuni
(Cons. St., sez. IV, 20.3.2000, n. 1493, RGE, 2000, I, 1104).

Altra teoria ritiene che l'articolazione della pianificazione territoriale urbanistica su più livelli - quanto meno regionale, provinciale e comunale - determina, in ogni caso, una sicura priorità dei contenuti dell'atto pianificatorio adottato dall'autorità preposta al coordinamento su quelli previsti dall'ente pubblico collegato.
Per la legislazione regionale il Piano territoriale regionale di coordinamento e il Piano territoriale provinciale costituiscono il complesso di direttive, nonché di prescrizioni e vincoli, da utilizzare per la redazione dei piani regolatori generali, ex art. 4, 3° co., l. r. Veneto n. 61/1985.
La teoria gradualistica della pianificazione urbanistica - che si articola su più livelli - determina una specie di predominio necessario, nella gestione del territorio, degli enti di bacino più ampio rispetto al comune.
La teoria prevalente riconosce che la pianificazione sovracomunale non può sottrarsi ai canoni costituzionali e alle enunciazioni fondamentali della legge sulle autonomie locali.

È costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 128 cost. e in relazione all'art. 2, d.p.r. n. 616 del 1977, la legge della regione Piemonte riapprovata il 5.10.1989 - recante norme a sostegno della promozione ed incentivazione della ricettività turistica in occasione dei mondiali di calcio 1990.
Detta legge lede la sfera dell'autonomia comunale, sottraendo indebitamente competenze affidate ai comuni dalla normativa statale in materia urbanistica ed edilizia
(Corte cost., 4.4.1990, n. 157, RGE, 1990, I, 833).

Il principio della ripartizione della Repubblica in Regioni, Comuni e Province, stabilito dall'art. 114 cost., trova, invero, logica corrispondenza nell'affermazione dell'autonomia di quegli enti, secondo quanto ripetono sia l'art. 115 per le Regioni sia l'art. 128 per Comuni e Province.
Si tratta cioè di enti il cui riconoscimento da parte dell'ordinamento originario dello Stato trova ragione nella comune inerenza con quest'ultimo, ex art. 5 cost., tale da determinare la loro indiscussa natura di enti a fini generali.
Il governo del territorio è, in definitiva, articolato su una pluralità di poteri, di sicura valenza politica, insediati nelle rispettive comunità di riferimento e caratterizzati, peraltro, dal principio di sussidiarietà che stabilisce la sostanziale riconducibilità dell'intero complesso di scelte e di compiti relativi a una dimensione territoriale all'ente preposto alla relativa comunità, art. 4, 3° co., lett. a), l. 1.3.1997, n. 59.
Questo principio è ribadito dalla disposizione contenuta nell'art. 13, d.lg. 267/2000, ai sensi della quale spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale.
Le norme legislative assegnano da sempre come compito primario al comune la regolamentazione e la cura del relativo territorio, ex art. 4, l. 28.2.1985, n. 47.



16. La procedura di formazione nella legislazione regionale dell’Emilia Romagna.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 9 - d. lg. 30.3.1999, n. 96, art. 17 - l. 267/2000, art. 20, 4° co.

La dottrina rileva come il potere attribuito alle province sia sottoposto al limite della partecipazione obbligatoria dei comuni alla stesura del piano.

Sotto un profilo generale, il piano territoriale di coordinamento della provincia incontra due limiti: a monte della necessaria conformità dei piani agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale; a valle, della necessaria partecipazione dei comuni alla formulazione del piano partecipazione obbligatoria dei comuni alle stesura del piano
(Assini e Mantini 1997, 168).

La legislazione regionale deve definire minuziosamente il procedimento di approvazione del piano.
Per le regioni che non hanno legiferato è scattato l’intervento sostitutivo del governo che ha demandato alle province le funzioni relative ai piani territoriali di coordinamento, ex art. 17, d. lg. 30.3.1999, n. 96.
L’art. 20, 4° co., l. 267/2000, che abroga l’art. 15, 4° co., l. 142/1990, prevede che la Provincia, nel redigere il piano territoriale di coordinamento provinciale, chieda la cooperazione dei Comuni e delle Comunità montane e la partecipazione delle organizzazioni sindacali ed economiche e delle differenti realtà professionali, sociali e culturali. Alla provincia è demandato, inoltre, il compito di specificare le forme di consultazione e di verifica proponibili nei confronti delle elaborazioni, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
La fase preparatoria acquista una valenza fondamentale poiché, se si realizza un reale coinvolgimento delle amministrazioni comunali, si ottiene una maggiore attenzione delle stesse alla successiva fase di adozione e di recepimento.
I meccanismi che si accontentano del silenzio assenso delle amministrazioni comunali senza il loro coinvolgimento scontano, in effetti, la troppo veloce elaborazione iniziale.
La fase del deposito del piano e della sua pubblicità acquista la valenza di permettere alle amministrazioni interessate, soprattutto in riferimento alle varianti proposte, di formulare eventuali osservazioni.
La legislazione regionale ha previsto che il piano sia adottato dalla Provincia che lo deposita presso la propria sede e, inoltre, presso le sedi dei Comuni e delle Comunità montane della provincia. Il deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale della regione ed almeno su un quotidiano locale. Qualora il piano proponga la variante ad uno strumento regionale di programmazione e di pianificazione territoriale, esso deve essere depositato anche presso l’ufficio della Presidenza del Consiglio regionale e presso le sedi delle altre amministrazioni provinciali. L’avvenuto deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale della regione e su un quotidiano locale, specificando lo strumento regionale di cui si propone variante. La dottrina ha ritenuto che, in carenza di disposizioni legislative espresse, la partecipazione dei privati sia estranea ai contenuti del piano, che sono infatti diretti alle amministrazioni comunali, pur essendo la stessa considerata ammissibile dalla legislazione regionale (Mengoli 2003, 76).
La legislazione regionale appare, invece, orientata ad ammettere la partecipazione dei privati, consentendo che le amministrazioni pubbliche nonché i soggetti portatori degli interessi pubblici e privati di cui all’art. 9, l. 7.8.1990, n. 241, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, possano presentare alla Provincia osservazioni, entro il termine di sessanta giorni dalla data dell’avviso dell’avvenuto deposito, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
Il piano, contemporaneamente al deposito, viene trasmesso alla giunta regionale, che può sollevare obiezioni sulla sua conformità al piano territoriale regionale e agli altri strumenti della programmazione regionale entro centoventi giorni dalla data del ricevimento, art. 3 l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
Trascorso tale termine perentorio per la presentazione delle osservazioni, il piano si considera approvato dalla giunta regionale ed eventuali riserve, presentate successivamente, non vengono prese in considerazione.
La fase di approvazione si sdoppia poiché le osservazioni presentate dalla giunta non chiudono il procedimento, ma devono essere recepite dalla provincia per poi essere nuovamente trasmesse alla regione per l’approvazione definitiva.
L’amministrazione provinciale prende in esame, nei sessanta giorni successivi, le osservazioni presentate e le riserve eventualmente sollevate dalla Giunta regionale.
L’amministrazione provinciale, entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione di osservazioni, deve decidere sulle stesse e sulle riserve eventualmente espresse dalla Giunta regionale.
Il piano deve poi essere inviato alla Giunta regionale per l’approvazione.
La Giunta regionale ha novanta giorni di tempo, dal momento del ricevimento del piano, per approvarlo.
Essa ha la possibilità di apportare d’ufficio le modifiche necessarie a renderlo conforme agli strumenti regionali di programmazione e di pianificazione territoriale. Il piano, una volta trascorso tale termine, si ritiene approvato secondo quanto deciso dalla Provincia.
La giunta regionale, prima di procedere all’approvazione, deve interpellare la competente commissione consiliare, che deve pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento della proposta di delibera. Trascorso inutilmente tale termine, la giunta fa a meno di tale parere.
Nel caso le province abbiano proposto, motivatamente, varianti agli strumenti di programmazione territoriale regionali, la giunta approva sia il piano provinciale sia le modifiche apportate dopo aver ricevuto, per queste ultime, il parere conforme della commissione competente.
Una volta approvato, il piano è depositato presso la sede della amministrazione provinciale; esso è, quindi, comunicato alle comunità montane ed ai comuni della provincia e successivamente viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione.
Il piano diviene efficace dalla data di pubblicazione, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.



17. La procedura di formazione nella legislazione regionale della Lombardia.

LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, art. 3.

Nel disciplinare il procedimento di approvazione del piano territoriale di coordinamento provinciale la regione Lombardia afferma il principio della concertazione, che è realizzato attraverso l’istituzione della Conferenza dei comuni.
Essa ha funzioni consultive e propositive nell’ambito delle materie trasferite alle province attinenti il territorio e l’urbanistica, ex art. 3, 7° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Tale principio di concertazione è ripreso dalla legislazione regionale nella fase della predisposizione dello strumento urbanistico.
La provincia, infatti, deve assicurare in tale fase la partecipazione attiva dei comuni, delle comunità montane, degli altri enti locali e delle autonomie funzionali.
Essa deve accertare la coerenza degli obiettivi di piano con le esigenze e le proposte formulate dagli enti locali acquisite in via preventiva.
Sotto il profilo formale il piano territoriale di coordinamento provinciale è adottato dalla provincia previo parere obbligatorio della conferenza dei comuni, dal quale la provincia può discostarsi in base a puntuale motivazione; il parere deve essere espresso entro novanta giorni dalla richiesta, decorsi i quali si intende favorevole, ex art. 3, 31° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Il piano è depositato per trenta giorni consecutivi presso la segreteria della provincia; contestualmente all'inizio del deposito, il provvedimento di adozione, con l'indicazione della sede presso la quale chiunque può prendere visione dei relativi elaborati, è pubblicato per trenta giorni consecutivi nell'albo dei comuni e degli altri enti locali interessati, nonché, a cura della provincia, sul BURL.
Entro trenta giorni dalla data di pubblicazione sul BURL, chiunque vi abbia interesse può presentare alla provincia le proprie osservazioni al piano.
Sotto il profilo procedurale il provvedimento è censurabile presso la giustizia amministrativa da parte dei privati poiché è immediatamente lesivo.
La provincia, contestualmente al deposito del piano territoriale di coordinamento o sue varianti, lo trasmette alla Giunta regionale che, entro centottanta giorni dal ricevimento degli atti, ne verifica, garantendo in ogni modo il confronto con la provincia interessata, la conformità alle disposizioni della l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, la coerenza con le linee generali di assetto del territorio regionale nonché con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali.
Decorso tale termine la provincia, sentita la conferenza dei comuni, che si esprime entro sessanta giorni dalla richiesta - all'infruttuosa scadenza dei quali il parere si intende favorevole - decide sulle osservazioni presentate e procede all'approvazione definitiva.
Nel caso in cui la Regione ravvisi elementi di incoerenza con le linee generali di assetto del territorio nonché con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali, essa redige osservazioni al piano.
La provincia provvede ai conseguenti adeguamenti in sede di decisione sulle osservazioni e di approvazione definitiva.
Il piano territoriale di coordinamento provinciale acquista efficacia dalla data della sua pubblicazione sul BURL, da effettuarsi a cura della provincia.
Il piano incide sulle posizioni giuridiche dei proprietari delle aree in esso comprese a partire dalla data di pubblicazione sul BURL della deliberazione di adozione del piano territoriale di coordinamento provinciale fino all'approvazione del piano stesso.
Per due anni dalla medesima data di pubblicazione, è vietata la realizzazione di interventi in contrasto con specifiche previsioni del piano adottato inerenti agli aspetti di carattere sovracomunale, salva espressa deroga da parte della provincia, ex art. 3, 37° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Qualora sia necessario, al fine di conseguire gli obiettivi del piano territoriale di coordinamento provinciale, i comuni interessati adeguano il proprio strumento urbanistico generale entro due anni dalla data di approvazione del piano territoriale di coordinamento provinciale secondo le procedure semplificate di cui all'art. 3 della l.r. Lombardia 23/1997.
24. I parchi nazionali.

LEGISLAZIONE: cost. art. 9 - l. 6.12.1991, n. 394, artt. 9, 12 - l. 23.3.2001, n. 93, art. 8, 3° co.

I parchi nazionali, individuati dal programma triennale Con decreto del Presidente della Repubblica, sono istituiti e delimitati su proposta del Ministro dell’ambiente, sentita la Regione.
In tale fase non è, quindi, richiesta la partecipazione degli enti locali

Il rapporto ente - territorio non consente di configurare il parco quale ente territoriale.
A differenza degli enti tradizionalmente ricondotti a tale categoria (regioni, province, comuni) il territorio soggetto alla potestà dell’ente parco non individua una collettività dei cui interessi l’ente fosse esponenziale, al limite con il carattere della generalità.
Al contrario, l’ente - privo di reali collegamenti con le collettività residenti – appariva piuttosto titolare d interessi di rilievo nazionale, spesso contrapposti agli interessi delle collettività locali
(Desideri e Fonderico 1998, 27).
La fase iniziale del procedimento non prevede neppure la preventiva intesa con la regione interessata come ribadisce la Corte cost. con riferimento alle disposizioni in materia ambientale dettate dalla l. 23.3.2001, n. 93.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, 3° co., l. 23.3.2001, n. 93, sollevata, in riferimento agli art. 5, 117 e 118 cost. (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla l. cost. 18.10.2001, n. 3), laddove promuove il procedimento per la costituzione del Parco nazionale Costa teatina senza prevedere l'assenso o l'intesa con la reg. Abruzzo.
La competenza in ordine alla decisione iniziale per l'attivazione delle procedure in vista della istituzione di Parchi nazionali appartiene allo Stato, attenendo alla cura di un interesse non frazionabile e finalizzato alla tutela dei valori di cui all'art. 9 cost.
Solo le successive fasi procedurali richiedono modalità attuative che consentano l'espressione di tutte le istanze costituzionalmente rilevanti, sia dello Stato sia delle regioni, secondo il principio di leale cooperazione.
Il rigetto della questione di costituzionalità rende superflua ogni pronuncia, di ammissibilità e di merito, circa la richiesta sospensione dell'efficacia del provvedimento legislativo denunciato
(Corte cost., 18.10.2002, n. 422, GC, 2002, 3196

L’imposizione del vincolo a parco tutela i valori del paesaggio riconosciuti dall’art. 9 cost., comprimendo in maniera determinante le facoltà della proprietà, che trovano compensazione con la valorizzazione dell’ambiente.
L’Ente Parco, la cui istituzione è regolamentata dall'art. 9, l. 394/1991, rientra nel diritto pubblico, ha sede legale ed amministrativa nel territorio del parco ed è sotto la vigilanza del Ministero dell’ambiente.
Organi dell’Ente sono: il Presidente; il Consiglio direttivo; la Giunta esecutiva, che può essere eletta su decisione del Consiglio direttivo; il vice Presidente, il quale viene compreso, assieme al Presidente, fra i membri che formano la Giunta; il Collegio dei Revisori dei conti.
L'obbligo di stabilire la sede legale e amministrativa dell'ente Parco nel territorio del parco stesso è introdotto dall'art. 9, 1° co. l. 6.12.1991, n. 394.

L'obbligo deve ritenersi operante non soltanto per gli enti Parco di nuova istituzione, ma anche per gli enti Parco già istituiti, nel rispetto del principio fondamentale di territorialità stabilito in via generale dalla legge stessa
(T.A.R. Lazio sez. II, 3.5.1995, n. 766, FA, 1996, 210).

L’Ente Parco tutela i valori naturali ed ambientali mediante il piano per il Parco:

1. La tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato “piano”, che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:
a) organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;
d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agro-turistiche;
e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere.
2. Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457;
c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori
(art. 12, l. 394/1991).

La scelta dei territori da includere nella perimetrazione provvisoria del Parco nazionale, che l'art. 34, l. 6.12.1991, n. 394 demanda al Ministero dell'ambiente, concreta un'attività tecnico discrezionale insindacabile in sede di giudizio di legittimità se non per palese illogicità o arbitrarietà della scelta operata dall'amministrazione, di per sé inidonea a ricostruire l'iter logico seguito dalla stessa (T.A.R. Lazio sez. II, 22.6.1995, n. 1093, FA, 1996, 218).
L’Ente Parco, entro sei mesi dalla sua istituzione, deve predisporre il piano che deve essere adottato entro i successivi quattro mesi, sentiti gli enti locali.
Il piano è depositato presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni per 40 giorni.

E' illegittimo il provvedimento di perimetrazione di un parco nazionale, ove non sia stato acquisito, ai sensi dell'art. 34, 3° co. della l. 6.12.1991, n. 394, il parere delle regioni interessate
(T.A.R. Lazio, sez. II, 22.6.1995, n. 1092, DGA, 1996, 342)

Chiunque può inviare osservazioni scritte entro i successivi 40 giorni e ad esse l’Ente deve rispondere, esprimendo il proprio parere, entro i successivi 30 giorni.
La Regione, in accordo con l’Ente Parco ed i Comuni, per quanto riguarda le disposizioni del piano relative alle attrezzature e ai servizi che consentono la gestione sociale del parco stesso, emana il provvedimento di approvazione entro 120 giorni dal ricevimento del piano e del parere sulle osservazioni presentate.
L’impugnazione va proposta dal momento di pubblicazione nel BUR.
Il piano territoriale di coordinamento del Parco nazionale del Mincio va impugnato nel prescritto termine di decadenza, decorrenti dalla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione dell'avviso di deposito del detto piano presso la segreteria del consorzio del parco, anche da parte dell'utente di acqua pubblica, tenuto ad osservare i vincoli stabiliti dal piano stesso
(Trib. sup. acque, 2.10.1992, n. 64, CS, 1992, II, 1535).

Il piano, ogni 10 anni, è modificato con la stessa procedura ed è aggiornato.
Esso equivale ad una dichiarazione di interesse pubblico generale e gli interventi in esso previsti assumono il carattere di indifferibilità ed urgenza.
Esso sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali od urbanistici ed ogni altro strumento di pianificazione.
Dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul B.U.R. il piano è immediatamente vincolante sia per le amministrazioni che per i privati, ex art. 12, l. 6.12.1991, n. 394.

La protezione si estende anche alle aree contigue.

La nozione di zona contigua di cui all'art. 32 della l. 6.12.1991, n. 394, sostituisce quella di zona limitrofa, di cui all'art. 2 della l. 12.7.1923, n. 1511, istitutiva del Parco nazionale d'Abruzzo, pur restando comune la funzione di entrambe di assicurare tutela alle specie protette, garantendo la permanenza di una disciplina controllata e limitata della caccia immediatamente al di fuori del parco
(T.A.R. Molise, 10.1.1996, n. 1, T.A.R., 1996, I, 999).


25. I parchi regionali.

LEGISLAZIONE: l. 6.12.1991, n. 394, art. 22.

La legge quadro sulle aree protette fissa, all’art. 22, le norme quadro cui deve riferirsi la legislazione regionale, che deve definire la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, nonché il soggetto gestore e deve poi indicare gli elementi del piano del parco e i principi del regolamento (Assini e Mantini 1997, 881).
La normativa regionale, pena la sua incostituzionalità, deve prevedere la partecipazione degli enti locali al procedimento pianificatorio (Desideri e Fonderico 1998, 43).

E’ manifestamente illegittimo l'art. 6, l. r. Campania 1.9.1993, n. 33 in riferimento all'art. 22, l. 6.12.1991, n. 394, evocato come parametro interposto, sia per l'omessa previsione di forme di partecipazione degli enti locali territorialmente coinvolti nel procedimento di istituzione delle aree naturali protette, sia per l'omessa previsione dello strumento della conferenza specificamente incluso dal legislatore statale tra i principi fondamentali della materia
(Corte cost., 14.7.2000, n. 282, DGA, 2000, 584, nota Masini).

La giurisprudenza richiede, comunque, l’attuazione del procedimento di approvazione per ogni provvedimento che identifichi un’area soggetta a tale normativa.

L'approvazione del piano territoriale di ogni stazione di parco regionale, ai sensi dell'art. 9, l. r. Emilia Romagna, 2.4.1988, n. 11, deve essere preceduta, oltre che dalla relativa delibera di adozione, da talune fasi procedimentali dirette in particolare ad assicurare a chiunque, mediante il deposito per sessanta giorni del piano adottato, la possibilità di presentare osservazioni e proposte scritte
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 5.10.1991, n. 480, FA, 1992, 2764).

La dottrina nota che la legislazione regionale nell’istituzione dei parchi prescinde da un documento programmatico pianificatorio anche se individua le aree protette - come ad esempio la l.r. Abruzzo 38/1996 - e difficilmente essa si inserisce nella pianificazione territoriale, come fa, invece, la l.r. Toscana 49/1995 (Desideri e Fonderico 1998, 47).



26. La legislazione regionale della Lombardia. Il piano territoriale di coordinamento del parco.

LEGISLAZIONE: l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 16. - l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32, art. 6 - l.r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, art. 1.

L’art. 16, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, mod. art. 6, l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32, classifica i parchi regionali in relazione alle specifiche finalità, conseguenti ai rispettivi caratteri ambientali e territoriali.
La legge individua le seguenti categorie:
a) parchi fluviali, istituiti per tutelare gli ambienti rivieraschi dei principali corsi d'acqua della regione nei loro tratti planiziali e pedemontani;
b) parchi montani, istituiti per tutelare ambienti naturali ed antropici della montagna lombarda;
c) parchi agricoli, destinati al mantenimento ed alla valorizzazione dei tipici caratteri ambientali e paesaggistici delle aree rurali;
d) parchi forestali, finalizzati alla tutela, al miglioramento ed al potenziamento dei boschi;
e) parchi di cintura metropolitana, intesi quali zone di importanza strategica per l'equilibrio ecologico dell'area metropolitana.
L’art. 10, l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32, afferma che i parchi regionali possono essere istituiti solo dopo una previa consultazione dei comuni, delle comunità montane e delle province interessate, nelle forme previste dall'art. 22, comma 1, lett. a) della legge 394/ 91, con legge regionale.
La legge regionale istitutiva deve stabilire quelli che sono i vincoli di piano che per finalità stesse perseguite dal parco sono molto stretti nel garantire il rispetto del territorio.
I contenuti della legge regionale devono definire:
a) la delimitazione dell'area finalizzata all'applicazione delle misure di salvaguardia;
b) l'ente cui è affidata la gestione;
c) le modalità e i termini per l'elaborazione delle proposte di piano del parco;
d) le norme di salvaguardia da applicarsi fino alla pubblicazione della proposta di piano territoriale;
e) le strutture di direzione tecnica e le forme di partecipazione delle associazioni e categorie economiche interessate alla vita del parco.
Gli strumenti di pianificazione del parco naturale sono il piano territoriale di coordinamento del parco, e il piano di gestione.
Il piano territoriale di coordinamento del parco ha effetti di piano paesistico coordinato, ex art. 57 del d. lg. 31.3.1998, n. 112, con i contenuti paesistici del piano territoriale di coordinamento provinciale.
Il piano territoriale deve essere elaborato con riferimento all'intero territorio dei comuni interessati; in esso sono enunciati gli indirizzi a cui deve coordinarsi la pianificazione territoriale delle parti di detto territorio esterne all'area del parco.
I contenuti del piano sono definiti dalla legge regionale.

4. Il piano territoriale di coordinamento definisce:
a) l'articolazione del relativo territorio in aree differenziate in base all'utilizzo previsto dal relativo regime di tutela - ivi comprese eventuali aree di riserva e monumenti naturali -, nonché l'eventuale individuazione delle aree da destinare ad attrezzature di uso pubblico, anche ai sensi degli artt. 3 , lettera c), 4 e 5 del DM 2 aprile 1968, n. 1444;
b) l'indicazione dei soggetti e delle procedure per la pianificazione territoriale esecutiva e di dettaglio;
c) l'individuazione delle aree e dei beni da acquisire in proprietà pubblica, anche mediante espropriazione, per gli usi necessari al conseguimento delle finalità del parco, nonché degli interventi di cui al secondo comma del precedente art. 5;
d) i criteri per la difesa e la gestione faunistica; nell'ambito delle riserve naturali e delle aree a parco naturale identificate ai sensi del precedente art. 16 ter, l'esercizio della caccia è vietato (omissis)
e) i tempi e le modalità di cessazione delle attività esercitate nel parco, incompatibili con l'assetto ambientale.
5. Il piano territoriale del parco contiene in particolare le indicazioni di cui all'art. 8, terzo comma, lett. c), f), g), h), i), l), m), n) della l.r. 15 aprile 1975, n. 51.
(Art. 17, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).


27. La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase amministrativa.

LEGISLAZIONE: l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 16. - l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32, art. 6 - l.r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, art. 1.

La l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, ha previsto un dettagliato speciale procedimento per la formazione, l'adozione, la verifica e l'approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco naturale, suddiviso in due fasi autonome, aventi natura e finalità diverse: la prima è amministrativa, la seconda è legislativa.
La fase legislativa è solo eventuale poiché con modifiche introdotte con l’art. 1, l. r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, essa trova applicazione solo nel caso in cui il piano territoriale di coordinamento rechi individuazione nell’ambito del parco regionale delle zone costituenti parco naturale.
La prima fase è esclusivamente amministrativa, con tutte le caratteristiche di giusto procedimento, tendente a realizzare la partecipazione ed il concorso attivo di molteplici interessi coinvolti, come apporto non solo meramente collaborativo, ma con funzione anche garantistica del ruolo proprio dei comuni nella pianificazione territoriale, in altre parole con il concorso attivo degli enti locali, nonché con la facoltà di intervento di altri soggetti privati interessati, ex artt. 16, 17, 18, 19 e 20, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86.
Per ogni parco è formato un piano territoriale di coordinamento avente natura ed effetti anche di piano territoriale regionale, ai sensi degli artt. 4 e 7 della l.r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, con la conseguenza della applicabilità, a decorrere dalla data di pubblicazione del semplice progetto di piano, delle misure di salvaguardia.
Da sottolineare che il piano di coordinamento del parco sostituisce il piano territoriale paesistico nei territori compresi nei parchi naturali e non ha funzione di solo coordinamento per indirizzare le successive pianificazioni sottordinate delle amministrazioni che hanno ulteriore competenza nella materia.
Il piano del parco non crea vincoli nei soli confronti delle amministrazioni come esercizio di potere di indirizzo.
Esso comporta immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati, ex art. 18 l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, senza che si verifichi l'esigenza di intermediazione di strumenti sottordinati al piano approvati con atto amministrativo suscettibile di tutela giurisdizionale.
La proposta di piano viene adottata con delibera dell'ente gestore.
Essa viene pubblicata con le forme tipiche delle pianificazioni territoriali, al fine di consentire la presentazione di osservazioni da parte di chiunque vi abbia interesse ed è destinata ad essere trasmessa alla Giunta regionale insieme alle osservazioni presentate e alle controdeduzioni dell'ente proponente, ex art. 19 l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.
La Giunta regionale della Lombardia, a sua volta, deve verificare la proposta di piano in relazione alla coerenza con gli indirizzi di politica ambientale della Regione ed ha il potere di deliberare le modifiche necessarie.
Essa procede all'approvazione del piano territoriale di coordinamento o della relativa variante con propria deliberazione soggetta a pubblicazione.
Qualora il piano territoriale di coordinamento rechi l'individuazione, nell'ambito del parco regionale, delle zone costituenti parco naturale di cui all'articolo 1, 1° co., lett. a) l.r. 30.11.1983, n. 86,, la Giunta regionale, completata la verifica e a seguito dell'approvazione del piano territoriale di coordinamento, trasmette al Consiglio regionale gli atti relativi all'individuazione all'interno del parco regionale delle zone di parco naturale, nonché gli elaborati recanti la disciplina delle medesime.
Il Consiglio regionale provvede ad approvare con legge l'individuazione delle zone suddette ed inoltre, con propria delibera, approva definitivamente, agli effetti dell'art. 25, l. 394/1991, la disciplina di parco naturale di cui all'art. 16-ter, comma 2, l.r. 86/1983. avente valenza di piano territoriale regionale, ex art. 19, 2° bis co., l.r. 86/1983, mod art. 1, l. r. 1/2000.
Sia la delibera di adozione della proposta di piano del parco, formulata dall'ente gestore - una volta pubblicata negli albi dei comuni e province interessate e con avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione, pubblicazione anteriore alla trasmissione alla Giunta regionale - sia la delibera della Giunta regionale - contenente le eventuali modifiche del piano - sono configurate come atti adottati da organi amministrativi e nell'esercizio di attività amministrativa.
E’ qualificabile come provvedimento amministrativo sia quello della Giunta regionale che approva il piano territoriale di coordinamento del parco sia quello di trasmissione al Consiglio di individuazione del parco naturale.
Tali provvedimenti sono soggetti secondo le regole generali i al sindacato del giudice amministrativo che ha giurisdizione esclusiva in materia urbanistica.
Detti atti, inoltre, sono suscettibili di ledere immediatamente, attraverso l'automatica cogenza della salvaguardia, le posizioni dei soggetti interessati, che soggiacciono alle previsioni del progetto di piano per gli effetti impeditivi rispetto ad ogni intervento in contrasto.
Pertanto, dette delibere non possono ritenersi sottratte al generale sindacato di legittimità del giudice amministrativo.





28. La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase legislativa eventuale.

LEGISLAZIONE: l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 18.


La seconda fase, avente natura legislativa attiene alla procedura di approvazione del piano con legge regionale ed è solo eventuale nel caso si prevedano zone costituenti parco naturale.
Essa inizia dopo il compimento della verifica affidata alla Giunta, cui spetta in via esclusiva un correlato potere amministrativo correttivo con l’introduzione di modifiche al progetto di piano.
Solo con la presentazione al Consiglio regionale del progetto di legge della Giunta regionale, atto che assume il valore di formale iniziativa della legge di approvazione del piano.
Così configurate le due fasi, l'una amministrativa, con le garanzie proprie del giusto procedimento e l'altra legislativa di mera approvazione del piano, quale risultante a seguito delle modifiche adottate dalla Giunta regionale, ne consegue che gli eventuali vizi della fase amministrativa di formazione, adozione e modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque coperti dall'approvazione con legge regionale del piano stesso.
Tale approvazione attiene ad un esame ed ad una valutazione di politica territoriale-ambientale da parte dell'assemblea regionale.
Il legislatore regionale ha sottratto il solo atto finale di approvazione ai poteri amministrativi dell'ente gestore e della Giunta regionale.
In tal modo si giunge ad una delibera legislativa di mera approvazione essenzialmente politica con il connaturale concorso della volontà dell'intera rappresentanza regionale e non della sola Giunta espressione di maggioranza.
La legge regionale di mera approvazione del piano del parco non attribuisce al contenuto del piano valore di legge e non assume il significato di conversione dell'atto contenente la pianificazione del parco.
Pertanto, sulla base delle predette considerazioni, gli eventuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su situazioni giuridiche soggettive.
Per tali motivi è stata respinta la questione di legittimità costituzionale che, secondo le censure formulate, sono destinate a paralizzare l’impugnazione giurisdizionale degli atti amminsitrativi.

Non è fondata, con riferimento agli art. 3, 24, 42, 97, 101, 2° co., e 113 cost., la questione di legittimità costituzionale degli art. 15, 16, 17, 18, 19 e 20, l. r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, e della l. r. Lombardia 29.4.1995, n. 39, nella parte in cui prevedono l'approvazione con legge del piano territoriale di coordinamento (PTC), e ne disciplinano il procedimento e gli effetti, in quanto si basa su una interpretazione non esatta delle norme denunciate.
Queste, invece, suscettibili di essere interpretate in senso conforme a Costituzione, con conseguente esclusione di qualsiasi possibilità di violazione dei principi costituzionali invocati, ivi compreso quello attinente alla tutela giurisdizionale contro gli atti amministrativi relativi all'iter di formazione ed adozione di piano territoriale.
Le norme denunciate hanno previsto un dettagliato, speciale procedimento per la formazione, l'adozione, la verifica e l'approvazione del piano territoriale di coordinamento del parco naturale, suddiviso in due fasi autonome, aventi natura e finalità diverse.
L'una, amministrativa, con le garanzie proprie del giusto procedimento, e l'altra, legislativa, di mera approvazione del piano.
La l.r. di mera approvazione del piano del parco non attribuisce al contenuto del piano valore di legge e non assume il significato di conversione dell'atto contenente la pianificazione del parco.
Gli eventuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su situazioni giuridiche soggettive
(Corte cost., 11.6.1999, n. 225, RGE, 1999, I, 915).




29. I rapporti con gli strumenti di pianificazione territoriale.

LEGISLAZIONE: l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 18.

Il piano territoriale di coordinamento del parco deve rapportarsi con gli strumenti di pianificazione sovracomunale e con quelli di pianificazione comunale.
Le esigenze di rispetto delle finalità del parco sono prevalenti riguardo alle previsioni contenute in piani territoriali di coordinamento comprensoriale, ove formati, o in piani urbanistici delle Comunità montane.
La disciplina del territorio compreso nel parco è demandata al piano territoriale del parco, art. 17, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.
Il parere del parco è obbligatorio prima della adozione dei piani territoriali di coordinamento comprensoriale e sui piani urbanistici delle comunità montane.
Il vincolo contenuto nel piano territoriale del parco è prevalente rispetto alle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali.
La procedura di adeguamento è prevista dalla legge regionale e è tutelata dall’applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia.

4. Le previsioni urbanistiche del piano del parco sono immediatamente vincolanti per chiunque, sono recepite di diritto negli strumenti urbanistici generali dei comuni interessati e sostituiscono eventuali previsioni difformi che vi fossero contenute.
5. I comuni apportano al proprio strumento urbanistico generale, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del piano del parco, le correzioni conseguenti, relativamente alle aree comprese nel parco stesso; entro due anni dalla stessa data, i comuni procedono all'aggiornamento dello strumento urbanistico generale relativamente alle aree esterne al parco, tenendo conto degli indirizzi derivanti dal piano territoriale del parco, ai sensi del quinto comma del precedente art. 17.
(Art. 18, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).


30. Le misure di salvaguardia.

LEGISLAZIONE: l. 6.12.1991, n. 394, artt. 4, 22, 23 - l. r. Lombardia 30.11.1983 n. 86, art. 18.

Le misure di salvaguardia, che consistono nella sospensione di ogni attività di modifica del territorio in attesa della pianificazione disposta dal piano per il parco, sono previste in rapporto a fasi diverse (Desideri e Fonderico 1998, 45).
L’art. 4, 9° co. della l. 394/1991 prevede l’adozione delle misure di salvaguardia in rapporto all’adozione del programma delle aree protette.
Le misure di salvaguardia scattano ancora quando è individuata l’area da destinare a protezione e, successivamente, quando è realizzata la perimetrazione provvisoria del parco regionale, ai sensi degli artt. 22 e 23 della l. 394/1991.
Le misure di salvaguardia scattano in relazione alle fattispecie previste e non abbisognano dell’approvazione di ulteriori strumenti pianificatori.

Ai sensi dell'art. 6, 3° co. della L. reg. Toscana 13.12.1979, n. 61, istitutiva del Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, l'efficacia delle misure di salvaguardia relative alla cessazione delle attività di cava in corso non è subordinata all'approvazione del piano territoriale, essendo sufficiente la sola sua adozione. Le misure di salvaguardia hanno efficacia temporanea e perdono la forza vincolante se entro cinque anni dall'entrata in vigore del piano territoriale di recupero non siano approvati i relativi piani di gestione, quali atti secondari di pianificazione e programmazione
(Cons. St., sez. VI, 25.3.1996, n. 497, CS, 1996, I, 491).

La l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod., afferma che i piani territoriali di coordinamento dei parchi hanno valore di piano territoriale regionale, con la conseguente applicabilità delle misure di salvaguardia a far data dalla pubblicazione del progetto di piano elaborato dagli enti parco.

6. Dalla data di pubblicazione della proposta di piano o relativa variante cessano di applicarsi le norme di salvaguardia previste dalla legge istitutiva ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera d) e, sino alla data di pubblicazione della deliberazione della Giunta regionale di approvazione e comunque per il termine massimo non prorogabile di diciotto mesi, è vietato ogni intervento in contrasto con la proposta adottata dall'ente gestore; per le aree di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) si applica il medesimo regime di salvaguardia sino all'entrata in vigore della legge di approvazione di cui all'articolo 19 e comunque per il termine massimo non prorogabile di ventiquattro mesi.
6-bis 1. Qualora il piano territoriale di coordinamento del parco regionale non sia approvato nel termine di diciotto mesi previsto dal comma precedente, spetta all'ente gestore del parco stesso un indennizzo pari al venti per cento dell'importo dei finanziamenti regionali corrisposti all'ente nell'anno precedente, da corrispondersi a carico del bilancio regionale per la realizzazione di opere di riqualificazione ambientale e paesistica.
6 ter. La giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare e su conforme parere dell' ente gestore del parco, può autorizzare, in deroga al regime proprio del parco, la realizzazione di opere pubbliche previste dalla legislazione nazionale,che non possano essere diversamente localizzate, ferme restando le specifiche procedure di legge previste per le opere di interesse statale; la deliberazione di autorizzazione della giunta regionale stabilisce le opere di ripristino o di recupero ambientale eventualmente necessarie, nonché l'indennizzo per danni ambientali non ripristinabili o recuperabili
(Art. 18, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).

La salvaguardia per la proposta di piano del parco, tuttavia, non è limitata a determinate previsioni che siano dichiarate immediatamente prevalenti ed immediatamente vincolanti anche nei confronti dei privati, come previsto invece per i semplici piani territoriali regionali, ex art. 7, 5° co., in relazione alla lettera h), dell'art. 4, 1° co., Lombardia 15.4.1975, n. 51.
Essa si estende ad ogni intervento in contrasto con le previsioni della pubblicata proposta del piano del parco naturale, nonché con le eventuali modifiche semplicemente deliberate in sede di verifica del piano stesso da parte della Giunta regionale, ex art. 18, 6° co., seconda parte, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86.
L'anzidetta salvaguardia si collega temporalmente alle norme di salvaguardia anteriormente stabilite con la legge regionale istitutiva di parchi naturali, ex art. 18, 6° co., prima parte, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86.
La salvaguardia del piano si applica fino alla entrata in vigore della legge di approvazione del piano territoriale del parco, e comunque per non oltre due anni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale regionale dell'avviso di ricevimento da parte della Giunta regionale della proposta di piano.

Nella regione Lombardia, ex art. 16, 1° co., l. r. Lombardia 30.11.1983 n. 86, le misure di salvaguardia relative ai piani territoriali di coordinamento dei parchi hanno un'intensità maggiore di quelle previste per i semplici piani territoriali, estendendosi a mente del successivo art. 18, 6° co., l. r. Lombardia 30.11.1983 n. 86, ad ogni intervento contrastante con le previsioni della proposta di piano - parco o delle modifiche introdotte dalla giunta regionale
(Corte cost., 11.6.1999, n. 225, UA, 1999, 1184, nota Manfredi).

La giurisprudenza ha precisato che spetta allo Stato, e per esso al giudice amministrativo annullare le delibere della Giunta regionale della Lombardia relative alla verifica e alle modifiche del piano territoriale dei parchi naturali e dei parchi di cintura metropolitana, in accoglimento di ricorsi proposti dai soggetti immediatamente lesi dall'applicazione delle misure di salvaguardia.
I vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione, non sono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidano immediatamente su posizioni giuridiche soggettive (Corte cost., 11.6.1999, n. 226, UA, 1999, 839, nota Sempreviva).




31. La non indennizzabilità del vincolo di interesse storico o ambientale.

1.2         LEGISLAZIONE: - l. 1.6.1939, n. 1089, art. 20 - d.lg. 29.10.1999, n. 490, art. 49 - d.lg. 22.1.2004, n. 41, art. 45.


I beni immobili privati qualificati come bellezza naturale costituiscono, fin dall'origine, una categoria di interesse pubblico in virtù delle particolari qualità, previste dalla legge, che ad essi ineriscono.
Quando l'amministrazione impone vincoli paesaggistici a tali beni, non ne modifica la qualità.
I vincoli non determinano alcuna compressione del diritto sui beni colpiti, essendo connaturato a tali beni il limite di fruibilità che deriva dalla loro stessa essenza. Il vincolo imposto si è limitato solo ad evidenziare una loro naturale qualità.
Gli effetti del vincolo non sono costitutivi, infatti, non sorgono ex nunc in virtù del provvedimento amministrativo, ma sono tutelabili indipendentemente da questo.
I beni di interesse storico - artistico degli enti pubblici sono di per se stessi assoggettati, senza la necessità di alcun accertamento costitutivo di qualificazione, alla disciplina di tutela indiretta prevista dall’ art. 45, d.lg. 22.1.2004, n. 41, che mod. art. 49, d.lg. 29.10.1999, n. 490, che mod. l’art. 20, l. 1.6.1939, n. 1089.

I beni di interesse storico e artistico di proprietà degli enti pubblici territoriali sono di per sé stessi, e senza la necessità di alcun accertamento costitutivo della qualificazione, automaticamente assoggettati al regime proprio dei beni demaniali ed alla disciplina speciale di cui alla l. 1.6.1939, n. 1089.
Senza l'autorizzazione della competente soprintendenza, essi non possono essere demoliti o modificati, e che la sospensione dei lavori, ordinata ai sensi dell'art. 20, l. 1.6.1939, n. 1089, non è temporanea.
(T.A.R. Umbria, 22.6.1994, n. 409, FA, 1994, 2496. Cons. St., sez. VI, 10.5.1996, n. 663, RGA, 1997, 925, nota Di Jorio).
Il provvedimento amministrativo contribuisce ad accertare la natura stessa del bene senza diminuirne il suo valore.

La imposizione di vincoli da parte dell'Amministrazione non determina l'insorgenza di un diritto costituzionalmente garantito all'indennizzo, senza che, però, possa escludersi la legittimità di specifiche disposizioni prevedenti, caso per caso, l'adozione di misure intese a ristorare il pregiudizio patito dai titolari di diritti sui beni oggetto del vincolo
(Cass. 19.11.1998, n. 11713. Corte Cost. 29.5.1968, n. 56. Corte Cost. 4.7.1974, n. 202).

Conseguentemente la giurisprudenza ha negato che il regime della temporaneità quinquennale del vincolo sia applicabile ai beni di interesse storico o ambientale.

Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 della l. 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella decadenza nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine del quinquennio.
Il vincolo è, infatti, correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni, ad esso sottoposti, che sin dall’origine devono considerarsi naturalmente paesistici
(Cass. 12.6.1991, n. 6649).

Il sistema di tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimonio storico e artistico, giustificano l'affermazione di limitazioni all'uso della proprietà dei beni vincolati, senza limitarne, peraltro, la commerciabilità, o una redditività diversa da quella dello sfruttamento edilizio, alla luce dell'equilibrio costituzionale tra gli interessi in gioco, che vede alcune delle facoltà del diritto dominicale recessive di fronte alle esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali, ex art. 9 cost., in attuazione della funzione sociale della proprietà, ex art. 42, 2° co., cost.
Il vincolo paesaggistico ha generalmente l'effetto di determinare un regime di inedificabilità relativa, che comporta l'assoggettamento alla preventiva delibazione dell'autorità proposta alla tutela del bene protetto, di ogni progetto concernente la trasformazione e l'uso del bene, ex artt. 149 e 151, d. lg. 29.10.1999, n. 490.
La disciplina dell'uso del territorio che comporta vincoli di inedificabilità è conforme ai principi della Costituzione repubblicana.
La giurisprudenza costituzionale ha elaborato la teorizzazione di un tipo di vincoli che non sono suscettibili di indennizzo.
Sono quelli conformativi della proprietà, configurabili per via di imposizioni a carattere generale e con criteri predeterminati, che riguardano intere categorie di beni e che sono connaturati al diritto stesso su quel bene, che nasce limitato (Corte Cost.9.5.1968, nn. 55 e 56).
I beni immobili aventi valore paesistico costituiscono una categoria originariamente di interesse pubblico, la cui disciplina è estranea alla materia dell'espropriazione e dei relativi indennizzi, di cui all'art. 42, 3° co., cost., rientrando, invece, a pieno titolo nella disposizione di cui al precedente art. 42, 2° co., che affida alla legge la disciplina dei modi di godimento della proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale.

Il vincolo di inedificabilità contenuto in un piano territoriale paesistico, che rivela una qualità insita nel bene, sì che la proprietà su di esso è da intendere limitata fin dall'origine, è da considerare vincolo conformativo, non soggetto a decadenza, che incide sul valore del bene in sede di determinazione dell'indennizzo per un'eventuale espropriazione, tanto da rendere irrilevante la definizione, sempre ai fini della valutazione del bene, del regime imposto su di esso dalla disciplina urbanistica, che comunque è tenuta a uniformarsi alla pianificazione paesistica
(Cass. Civ., sez. I, 19.7.2002, n. 10542, GCM, 2002, 1280. Corte cost. 13.7.1990 n. 327. Corte cost. 9.5.1968 n. 55 e 56).

Per tali beni vincolati, il divieto di ogni modificazione del territorio e di ogni opera edilizia, può protrarsi senza indennizzo oltre il quinquennio sancito per la durata dei vincoli urbanistici dall'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, e comunque anche oltre il termine del 31.12.1986, assegnato, dall'art. 1 bis, l. n. 431 del 1985, alle regioni per redigere i piani paesistici o i piani urbanistico territoriali, qualora le regioni rimangano inerti.

L’art. 2 della l. 19.11.1968, n. 1187, propone la tra vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione, sempre comunque a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione
(Cons. St., sez. VI, 20.9.2002, n. 4777, FACDS, 2002, 2147. Cass. civ, Sez. U., 23.4.2001, n. 173. Cass. civ, Sez. U., 15.3.1999, n. 2272).




32. La conformità ai principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

LEGISLAZIONE: l. 4.8.1952, n. 848.

La giurisprudenza non ravvisa una violazione del diritto fondamentale della proprietà da parte della normativa urbanistica e di tutela del paesaggio neppure in rapporto alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, a parte il potere di espropriare per cause di pubblica utilità, fa salvo il diritto degli Stati di disciplinare l'uso dei beni posseduti, in modo conforme all'interesse generale, e non sembra che ciò precluda, ove lo impongano le esigenze connesse alla protezione dei beni paesaggistici e ambientali, oltre che all'interesse ad un ordinato sviluppo del territorio, una compressione dello ius aedificandi.
Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si coglie il principio di una necessaria proporzionalità tra l'interesse pubblico perseguito e la proprietà privata, ma di sicuro non si esclude che alla proprietà possa essere imposto un particolare sacrificio per la salvaguardia di interessi paesaggistici e ambientali.

Sussiste violazione del principio del rispetto della proprietà, secondo quanto previsto dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'uomo firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificata con l. 4.8.1952, n. 848, qualora vi sia una continua rinnovazione dei vincoli su aree.
Tale comportamento, pur non potendo essere assimilato ad una privazione della proprietà, può violare il giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi a salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo.
Nel caso di specie, un vincolo protrattosi per 33 anni, senza indennizzi e con la sola utilizzabilità agricola, con una completa incertezza sull'utilizzazione edilizia del bene, ha generato un peso speciale ed esorbitante, con violazione del principio del rispetto della proprietà
(Corte europea dir. uomo, 2.8.2001, GI, 2001, 387).

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