mercoledì 10 ottobre 2012

Vincoli piano. 1 Fonti.


1.1         PARTE PRIMA LA PIANIFICAZIONE


CAPITOLO I Le fonti.

SOMMARIO: 1. Le fonti normative dei vincoli di piano. Dalla legge urbanistica ai tt.uu. in materia di edilizia e di espropriazioni.
2. Le fonti normative dei vincoli ex lege alla proprietà privata. Caratteristiche.
3. La disciplina del procedimento amministrativo. Il legittimato all’accesso al procedimento.
4. La comunicazione dell’avvio del procedimento.
5. L’illegittimità del provvedimento finale.
6. L’accesso al procedimento pianificatorio.


1. Le fonti normative dei vincoli di piano. Dalla legge urbanistica ai tt.uu. in materia di edilizia e di espropriazioni.

LEGISLAZIONE: l. urb. 1150/1942, artt. 5, 7 - l. 167/1962, art. 9 - l. 5.8.1975, n. 412, art. 10 - d.p.r. n. 218/1978, art. 51 - d.lg. 18.8.2000, n. 267. art. 20 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 9.

Il vincolo è un obbligo che ci costringe a realizzare un determinato comportamento.
Il concetto legato alla proprietà fondiaria realizza una costrizione e una limitazione all’esplicarsi del diritto del proprietario.
Ad esso, infatti, è riconosciuto dall’ordinamento un diritto di disporre in maniera esclusiva del proprio bene.
La legislazione ha regolato l’utilizzo della proprietà, ponendo al proprietario degli schemi preordinati di utilizzo del suo diritto, che deve essere esplicato in conformità alle leggi di pianificazione urbanistica e delle altre leggi speciali che ne regolano le modalità di realizzazione.
La dottrina evidenzia il progressivo svuotamento delle funzioni originariamente attribuite alla proprietà.

E’ divenuto quasi un luogo comune ricordare come il contenuto e la posizione istituzionale della proprietà immobiliare siano alquanto mutate a partire da un mitico tempo in cui il proprietario poteva dirsi despota, più realizzato, mentre appaiono molto concrete le liste di restrizioni che la disciplina urbanistica ambientale, ovvero di carattere sociale, rovesciano sul capo del singolo proprietario teorico
(Gambaro 1995, 242).

La legge urbanistica 1150/1942 definisce i vincoli che la pianificazione territoriale può imporre alla proprietà privata.
La legislazione individua tre tipi di vincolo.
Essi sono imposti dalla programmazione sovraterritoriale, da quella generale e da quella attuativa, artt. 5 ss., l. urb. 1150/1942.
Sotto il profilo delle competenze sono coinvolte tre diverse autorità: quella regionale e provinciale che hanno la funzione di approvare i piani territoriali di coordinamento e quella comunale che ha la funzione di approvare i piani generali e quelli attuativi.
La subordinazione del potere pianificatorio a diverse autorità determina l’effetto di non rendere direttamente applicabili i vincoli relativi alla pianificazione territoriale sovracomunale ai soggetti direttamente interessati.
Sono, infatti, i comuni che devono adeguare la loro programmazione agli indirizzi del piano territoriale.
L’autorità comunale, di fatto, diviene arbitra dei destini del suo territorio.
Il comune ha, infatti, il potere di dotarsi di piano, ha il potere di adeguarlo ai dettami della pianificazione territoriale, ha, infine, il potere di reprimere l’abusivismo edilizio senza che la regione sia garante dell’attuazione del processo pianificatorio conformemente agli indirizzi da essa imposti.
Le regioni non hanno fatto grande utilizzo degli strumenti di pianificazione, poiché le risorse e la pianificazione delle grandi opere infrastrutturali competono ad altri soggetti.
Con l’introduzione del potere programmatorio alle province sicuramente vi è stato un maggiore coinvolgimento degli enti locali nella pianificazione sovracomunale con una maggiore rispondenza dei livelli pianificatori, art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267.
Le grandi opere infrastrutturali sono in ogni caso realizzate attraverso programmi speciali legati a finanziamenti statali che necessariamente derogano alle scansioni procedurali della pianificazione urbanistica comunale.
Il potere pianificatorio sovracomunale incide comunque sulle posizioni giuridiche dei destinatari in maniera sostanzialmente diversa da quello comunale.
Il piano sovraordinato si dirige verso l’ente subordinato imponendogli di recepire il piano.
Le disposizioni del piano sovraordinato incidono solo indirettamente sulle posizioni dei terzi.
Il comune deve opporre alle richieste contrarie alle disposizioni di piano sovracomunale presentate dai proprietari - che sono comunque terzi rispetto alle disposizioni dello stesso piano - l’applicazione delle misure di salvaguardia disposte dalla normativa regionale.
La pianificazione comunale generale, invece, vincola direttamente le aree imponendo ai destinatari prima le misure di salvaguardia e poi i vincoli di piano.
La normativa dei vincoli di piano, redatti in primo momento a tempo indeterminato, è stata successivamente verificata alla luce dei principi costituzionali che tutelano la proprietà privata, Vedi Cap. III.
Il vincolo di piano generale ha la durata quinquennale come riafferma l’art. 9, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Se l’amministrazione non procede all’attuazione di quella porzione di piano soggetta al vincolo, le ipotesi che si possono verificare sono le seguenti.
L’amministrazione non attua il piano e deve reiterare i vincoli stessi pagando il relativo indennizzo oppure può giungere ad una pianificazione attuativa.
La pianificazione attuativa, di fatto, proroga i vincoli di piano.
Il legislatore, infatti, attribuisce all’amministrazione un ulteriore termine per giungere ad attuare il piano secondo una pianificazione di dettaglio che presenta forme diverse di intervento, Vedi Cap. V.
Il piano particolareggiato che è lo strumento principale di attuazione ha una durata decennale.
Altre forme attuative, come, ad esempio, il comparto edificatorio, impongono ai proprietari l’esecuzione unitaria degli interventi che riguardano una determinata zona.
Vincoli particolari sono posti dai piani di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente che limitano l’attività edificatoria in attesa della individuazione delle aree di recupero comunale.
La stessa lottizzazione del territorio, che è piano esecutivo di iniziativa privata comporta la obbligatorietà per i lottizzanti ed i loro aventi causa ad eseguire gli interventi previsti dal piano.
L’amministrazione per contro è tenuta a valutare la convenzione di lottizzazione nel provvedere successivamente alla modifica della pianificazione urbanistica comunale.
L’imposizione dei vincoli di piano attraverso una pianificazione attuativa a gestione pubblica comporta effetti diversi essendo prodromica all’espropriazione delle arre soggette al vincolo, Vedi Cap. VI.
Il piano di zona è lo strumento esecutivo che dà un particolare vincolo alle aree da esse comprese che sono destinate solo all’esecuzione di interventi di edilizia residenziale pubblica, imponendo l’obbligatorietà dell’intervento ablatorio nella sua attuazione, ex art. 9, l. 167/1962.
Altri interventi a contenuto speciale sono il provvedimento di individuazione delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica, l. 5.8.1975, n. 412, art. 10, e il piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, d.p.r. n. 218/1978, art. 51.
Le posizioni giuridiche dei privati si espandono legittimamente solo dopo che viene a scadere il termine dato dal legislatore all’amministrazione comunale per tradurre in interventi sul territorio la pianificazione attuativa.






2. Le fonti normative dei vincoli ex lege alla proprietà privata. Caratteristiche.

LEGISLAZIONE: cost. art. 23 - ex t.u. 25.7.1904, n. 523, art. 96, lett. f) - r.d. 27.7.1934, n. 1265, art. 338 - r.d. 30.3.1942, n. 327, artt. 28, 55, 715 - l. 1150/1942, art. 40 - l. 4.2.1963, n. 58, art. 1 - l. 475/1968, art. 1 - d.p.r. 11.7.1980, n. 753, art. 49 - d.p.r. 24.5.1988, n. 236, art. 6 - d.p.c.m. 23.4.1992 - d.p.r. 16.12.1992, n. 495, artt. 26, 28 - d.lg. 29.10.1999, n. 490, artt. 49, 146 - l. 22.11.2000, n. 353, art. 10 - l. 21.2.2001, n. 36 - d.lg. 22.1.2004, n. 41, artt. 45, 142.

Il principio costituzionale sancito dall'art. 23 afferma che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Da questo principio deriva l’impossibilità di comprimere l’esercizio del diritto di proprietà al di fuori di disposizioni di legge che, direttamente o attraverso l’esercizio dell’azione amministrativa, consentono la compressione dei diritti dei proprietari.
La proprietà di questi beni, pur rimanendo nominativamente rapportata alla disponibilità del privato, può essere limitata per la forte presenza d’interessi pubblici che li caratterizzano (Centofanti 2003, 116).
Caratteristica comune di questi vincoli e che essi comprimono il diritto di proprietà di quei beni che si trovano nella situazione prevista dalla legge, non consentendo al proprietario l’esercizio di quelle attività che normalmente egli può porre in essere.
Egli, infatti, non può edificare in via assoluta o deve tenere determinate distanze ovvero ristrutturare o modificare il bene o realizzare determinate cautele.
La ratio delle limitazioni è spesso la vicinanza delle proprietà private a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti pubblici.

La ragione di queste limitazioni alla proprietà privata consiste sempre in un rapporto tra bene privato e bene demaniale che svolge, per sua natura, una funzione di pubblica utilità, o bene privato che svolge parimenti una pubblica funzione
(Mengoli 2003, 528).

Tali vincoli devono trovare fondamento in una disposizione di legge che direttamente o attraverso l’instaurazione di un procedimento amministrativo consente le limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà.
La legislazione speciale regola questi limiti posti alla proprietà privata.
I vincoli ambientali sono sicuramente la tipologia più rilevante.
Essi sono stati introdotti con la l. l497/1939 e ribaditi dall’art. 146, d.lg. 29.10.1999, n. 490, mod. art. 142, d.lg. 22.1.2004, n. 41.
Tali vincoli comportano il divieto assoluto di edificabilità, che persiste fino all’approvazione formale del piano paesistico regionale.
A rafforzamento di tali vincoli si pone quello che allo scopo di combattere il fenomeno degli incendi dolosi finalizzati a trovare aree idonee all’attività edificatoria a fini speculativi; la norma sancisce il divieto di edificazione nei suoli interessati da incendi per almeno dieci anni dal verificarsi del fatto, ex art. 10, l. 22.11.2000, n. 353.

1.2         I vincoli di rispetto delle distanze nel patrimonio artistico fissano speciali distanze per le costruzioni da beni aventi particolare interesse storico od artistico, ma attribuiscono, in ogni modo, al Ministero per i beni e le attività culturali il potere di stabilire le distanze tese a proteggere l’immobile da interventi ritenuti dannosi, ex art. 49, d.lg. 29.10.1999, n. 490 art. 49, mod. art. 45, d.lg. 22.1.2004, n. 41.


A tale categoria di vincoli si possono comprendere anche quelli imposti dall’art. 338, r.d. 27.7.1934, n. 1265, per la realizzazione di cimiteri.
La categoria principale dei vincoli riguarda quelli che impongono, generalmente per ragioni di sicurezza, di tenere una certa distanza nell’eseguire delle costruzioni, qualora le stesse confinino con determinate opere.
I vincoli aeronautici impediscono la realizzazione di costruzioni in prossimità di impianti aeronautici, ex art. 715, r.d. 30.3.1942, n. 327, mod. art. 1, l. 4.2.1963, n. 58.
I vincoli stradali, disposti dal d.p.r. 16.12.1992, n. 495, artt. 26, 28, non consentono la realizzazione di opere in vicinanza delle strade variando i limiti di rispetto in rapporto alla classificazione delle strade.
I vincoli ferroviari tutelano le distanze dalle ferrovie onde garantire la sicurezza dei trasporti via treno, ex d.p.r. 11.7.1980, n. 753, art. 49.
I vincoli di rispetto delle distanze dalle acque pubbliche garantiscono la tutela delle acque, escludendo che interventi edificatori o di compromissione del terreno circostante ne riducano la efficienza, ex t.u. 25.7.1904, n. 523, art. 96, lett. f).
I vincoli di rispetto delle distanze dalle acque per consumo umano, garantiscono l’igiene e tutelano la salute degli utenti impedendo interventi che ne compromettano la sicurezza, ex d.p.r. 24.5.1988, n. 236, art. 6.
I vincoli di rispetto delle distanze dal demanio marittimo vietano - senza autorizzazione dell’autorità competente - l’esecuzione di nuove opere entro una determinata zona di rispetto, ex r.d. 30.3.1942, n. 327, artt. 28, 55.
Altri vincoli sono disposti per garantire l’esercizio di attività economiche che potrebbero essere compromesse dal sovraffollamento delle stesse ove esse sono già presenti.
Così è regolamentato il numero delle autorizzazioni per le farmacie in rapporto al numero degli abitanti del comune, ex art. 1, l. n. 475 del 1968.
Altri vincoli sono posti per garantire la sicurezza degli abitati rispetto ad impianti od attività che possono causare danni alla salute degli abitanti.
In tal caso gli elementi forniti dalla scienza contribuiscono in maniera sempre più frequente a stabilire nuove tutele fra le attività svolte e gli insediamenti residenziali.
La l. 21.2.2001, n. 36 - attuata con il d.p.c.m 8.7.2002, GU, 29.8.2003 n. 199, e il d.p.c.m 8.7.2002, GU, 29.8.2003 n. 200 - definisce i limiti di esposizione, i valori di attenzione, gli obiettivi di qualità e i parametri per la previsione di fasce di rispetto per gi elettrodotti a tutela della salute, ponendo un limite alla concessione dell’autorizzazione ad opere realizzate nelle loro vicinanze.
Tali vincoli imposti direttamente dalla legge differiscono da quelli che trovano fonte nelle norme urbanistiche, ai sensi dell’art. 40, l. 1150/1942.
Il privato soggetto al vincolo ha un interesse legittimo alla legalità dell’azione amministrativa essendo la sua posizione giuridica soggettiva compressa dalle norme che la regolano.
E’ la norma stessa che determina la situazione di limitazione dell’espandersi del diritto soggettivo, che permane finché si protrae la fattispecie configurata.
La generalità della disposizione fa sì che i beni ad essa soggetti siano compresi in una unica categoria che trova uniforme disciplina; ciò giustifica il regime di appartenenza e il mancato pagamento di un indennizzo per la compressione.
Per tale ragione, di regola, non si prevede il pagamento di una indennità per queste limitazioni.

Le limitazioni in oggetto si riferiscono come previsione generale, a tutti gli immobili e non comportano alcun sacrificio particolare delle proprietà private, le quali, potenzialmente, vi sono tutte soggette: non possono essere qualificare, pertanto, come vincoli di inedificabilità preordinati all’edificazione, soggetti a decadenza quinquennale non comportano l’obbligo dell’indennizzo
(Assini e Mantini 1997, 523).

Le limitazioni alla proprietà privata portate da provvedimenti legislativi di carattere generale, in realtà, non determinano alcun sacrificio particolare per i beni soggetti.
Non vi è un atto della pubblica amministrazione che diminuisca ex novo la facoltà connessa al diritto di proprietà, ma una disciplina generale preventiva dello stesso tipo di quella disposta dal codice civile (Mengoli 2003, 528).




3. La disciplina del procedimento amministrativo. Il legittimato all’accesso al procedimento.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, artt. 2, 9, 22.

I principi cui deve necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
E’ mancata, infatti, in Italia, fino all’adozione della l. 241/1990, una legge generale sul procedimento amministrativo (Galli, 1996, 360).
La l. 7.8.1990, n. 241 rivoluziona il procedimento amministrativo, istituendo la possibilità di accedere allo stesso fin dalla fase preparatoria, che, in precedenza, era riservata esclusivamente alla amministrazione (Centofanti 2002 (3), 13).
Tale legge, inoltre, conferma i principi generali che disciplinano dei procedimenti amministrativi già introdotti dalla giurisprudenza: l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione di un termine per provvedere ed, infine, l’obbligo di nominare il responsabile del procedimento (Franco 1995, 60).
La l. 7.8.1990, n. 241 sul procedimento amministrativo introduce l’obbligo per la pubblica amministrazione della conclusione dell’atto, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, come sancisce l’art. 2, e l’obbligo della motivazione (Cerulli Irelli 1997, 477).
In carenza di termini già previsti per legge o in carenza di scadenze fissate da regolamenti adottati dall’amministrazione, le pubbliche amministrazioni devono precisare il termine entro cui i singoli procedimenti devono concludersi.
Nel caso di carenza di dizione espressa nelle fonti normative o regolamentari il termine è di 30 giorni.
Legittimato all'esercizio del diritto d'accesso è chiunque abbia un interesse, l. 7.8.1990, n. 241, art. 9.
La legittimazione comprende sicuramente una categoria di soggetti superiori a coloro cui l’amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, vedi par. 3, ma sicuramente non comprende la generalità dei cittadini (Cerulli Irelli 1997, 454).
Il richiedente deve avere un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, come precisa l’art. 22, l. 241/1990:

1. Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge
(art. 22, l. 7.8.1990, n. 241).

La necessità di possedere dei requisiti soggettivi per fare la richiesta induce a ritenere che tale azione non può considerarsi esperibile dal quisque de populo.

L'accesso ai documenti dell'amministrazione non si atteggia come un'azione popolare diretta a consentire un controllo generalizzato sull'amministrazione, essendo tale accesso attribuito a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti
(Cons. Stato, sez. IV, 26.11.1993, n. 1036, CS, 1993, I, 1418. T.A.R. Lazio, sez. II, 17.3.1993, n. 311, T.A.R., 1993, I, 1187).

La dottrina classifica tre categorie di portatori di interessi nell’ambito del procedimento.

Enti e organismi pubblici, centri organizzativi esponenziali di interessi collettivi, soggetti privati. E così interessi pubblici, interessi collettivi, interessi privati
(Cerulli Irelli 1997, 457).

La giurisprudenza riconosce l’accesso a gruppi o ad associazioni, purché queste possano documentare il loro interesse.

Le associazioni di categoria sono legittimate ad esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi a tutela degli interessi della collettività di cui esse sono centri di riferimento, nella specie si tratta di atti riguardanti l'organizzazione del personale e degli uffici
(T.A.R. Lazio, sez. III, 15.3.1993, n. 344, T.A.R., 1993, I, 1225).



4. La comunicazione dell’avvio del procedimento.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.

L'amministrazione è tenuta, ai sensi dell'art. 7 della l. 241/1990, a dare comunicazione dell’avvio del procedimento, poiché essa fissa un obbligo procedimentale non previsto in termini generali (Cerulli Irelli 1997, 432).
La dizione legislativa, prescrivendo l’obbligo dell’avvio per i procedimenti che l’amministrazione di sua iniziativa, sanziona direttamente il silenzio nella fase preparatoria che ha effetti sostanziali sul provvedimento finale.

L'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo, di cui all'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, sussiste soltanto per i procedimenti promossi autonomamente dalla pubblica amministrazione, mentre non è configurabile per quelli in cui l'amministrazione provvede su domanda del privato.
Quest'ultimo, infatti, con la presentazione della domanda, dimostra di essere a conoscenza dell'inizio del procedimento, nonché del responsabile dello stesso, al quale la domanda è stata presentata, ed è quindi nella condizione di parteciparvi pienamente
(T.A.R. Lazio Latina, 17.4.2003, n. 360).

L’obbligo all’avvio può essere evitato solo in presenza di particolari motivazioni da parte dell’amministrazione e rafforza implicitamente anche l’obbligo al provvedimento espresso.

1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari
(art. 7, l. 7.8.1990, n. 241).

Il cittadino ha un interesse qualificato, in relazione al suo diritto alla difesa, a prendere visione di tutti gli atti di un procedimento che lo riguarda, anche se rientranti nell'attività meramente preparatoria, anche non necessaria, che generalmente precede l'inizio del procedimento amministrativo e pur se essi non assumano un'autonoma rilevanza funzionale ai fini del procedimento.

La finalità della regola procedimentale, stabilita dall'art. 7 della l. 241 del 1990, va individuata nell'esigenza di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire, al contempo, la partecipazione del destinatario dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione.
La verifica circa la violazione delle garanzie partecipative non va compiuta con esclusivo riferimento all'adempimento formale della notifica all'interessato dell'avviso di avvio del procedimento, ma con riguardo alla realizzazione sostanziale degli interessi sottesi alla disposizione della cui osservanza si discute.
(Cons. St., sez. V, 17.4.2003, n. 2062).

La giurisprudenza estende l’obbligo di comunicazione ai terzi che possono avere pregiudizio dall’accesso.

In presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell'art. 22 della l. 241/1990, l’amministrazione è obbligata a dare notizia dell'avvio del procedimento al soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio
(Cons. St., sez. IV, 26.11. 1993, n. 1036, CS, 1993, I, 1418).

La notizia dell'avvio del procedimento amministrativo dev'essere data ogni volta che una amministrazione intenda emanare un provvedimento cosiddetto di secondo grado: di annullamento, di revoca, di decadenza, ecc.
E’ possibile omettere tale formalità solo quando sussistano ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso, ovvero quando all'interessato sia stato comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a suo favore.
Le disposizioni del capo III, l. 7.8.1990, n. 241, concernenti la partecipazione al procedimento amministrativo - che consente all'interessato di far valere le proprie ragioni già nel corso della fase istruttoria, all'evidente scopo di ottenere provvedimenti basati su una più adeguata attuazione del principio di buona amministrazione, nonché la deflazione del contenzioso giurisdizionale - hanno una portata generalissima e si applicano, come precisa la giurisprudenza, anche quando l'autorità procedente sia un ente locale, senza alcuna limitazione d'ordine oggettivo o soggettivo, non rilevando la natura del provvedimento finale, né della amministrazione che lo emana.

La l. 241 del 1990 non è contraddetta dalle norme contenute nel capo III, l. 8.6.1990, n. 142, anch'esso recante gli istituti di partecipazione nell'ambito delle autonomie locali, ma il rapporto tra le due fonti si risolve secondo gli ordinari principi della prevalenza della legge entrata successivamente in vigore, nel senso che, stante la natura delle norme della l. 241/1990, che costituiscono principi generali dell'ordinamento, quest'ultima non ha abrogato in parte qua la l. 142/1990, ma ha solo fissato le regole essenziali e indefettibili, ferma restando la facoltà per gli statuti degli enti locali di fissare ulteriori regole partecipative nel loro specifico ambito. Nella specie si tratta di revoca di una concessione amministrativa per la costruzione della rete di distribuzione del gas e per la gestione del relativo servizio
(Cons. St., sez. V, 2.2.1996, n. 132, FA, 1996, 506).


5. L’illegittimità del provvedimento finale.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.

Un filone giurisprudenziale ammette la possibilità di fare dichiarare illegittimo l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.

L'omissione, da parte della amministrazione, della comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo nei confronti dei soggetti relativamente ai quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, costituisce vizio di violazione di legge rilevabile, ai sensi dell’art. 8 della l. 241/1990 citata, dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista, con conseguente illegittimità del provvedimento finale adottato
(T.A.R. Veneto, sez. II, 13.5.1992, n. 442, GC, 1993, I, 828).

Un altro indirizzo giurisprudenziale ritiene che la legittimità dell’intero procedimento debba valutarsi in rapporto alla gravità della lesione dell’interesse leso; è necessario verificare che la mancanza dell’accesso abbia influito sostanzialmente sul contenuto del provvedimento finale.

La questione della legittimità degli atti amministrativi adottati in mancanza di una rituale comunicazione dell'avvio del procedimento non deve essere intesa in termini puramente formali, nel senso che occorre annullare ogni procedimento in cui sia mancato il prescritto avviso, ma richiede, caso per caso, una valutazione concreta delle ragioni addotte dall'amministrazione a giustificazione del suo agire al fine di verificare se, effettivamente, la mancata partecipazione del privato al procedimento possa avere in qualche modo influito sul contenuto dell'atto finale.
Laddove il presupposto di un atto amministrativo sia costituito da un fatto singolo agevolmente accertabile ed insuscettibile di vario apprezzamento, dal quale la conseguente azione amministrativa è interamente vincolata, non vi è ragione, né sul piano della ratio dell'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, né sotto il profilo dell'economia dei mezzi giuridici, di annullare quell'atto per una omissione che in tal caso si connoterebbe, in sostanza, come mera irregolarità
(T.A.R. Sardegna, 27.3.2003, n. 371).




6. L’accesso al procedimento pianificatorio.

LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, artt. 13, 24, 6° co.

La l. 7.8.1990, n. 241, sull'accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità di partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici.
I privati possono intervenire dopo l'adozione dello strumento da parte del consiglio comunale.

Il principio di partecipazione di cui agli art. 7 e 8, l. n. 241 del 1990, diversamente da quando accade nei procedimenti di adozione di strumenti urbanistici trova piana applicazione per le varianti c.d di utilità pubblica, previste dall'art. 1, 5° co., l. n. 1 del 1978.
In riferimento ai procedimenti di adozione di strumenti urbanistici non trova applicazione ex art. 13, l. n. 241 del 1990, l’accesso al rpocediemnto, anche perché, sul piano ontologico, l'esigenza del contraddittorio tra le parti pubbliche e private risulta già salvaguardata nell'ambito della vigente disciplina legale di formazione degli strumenti urbanistici primari: pubblicazione, presentazione di osservazioni, esame, controdeduzioni, approvazione
(Cons. St., sez. IV, 17.4.2003, n. 2004).

Il d.p.r. 27.6.1992, n. 352 approva il Regolamento che disciplina le modalità di esercizio nei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 24, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241.
Questa normativa consente la attuazione del più generale diritto, sancito dagli artt. 7 e ss., l. 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo, che si attua nel prendere visione degli atti compiuti dall'amministrazione e nel poterne estrarre copia.
Il privato che vuole esercitare il diritto all’accesso, ad esempio per prendere visione della documentazione nella fase formativa di uno strumento urbanistico, deve prendere a fonte normativa la legislazione speciale.
L'art. 9 della l. urb. prevede la possibilità di prendere in visione, presso gli uffici comunali, del progetto di piano regolatore generale.
Negli altri procedimenti di vincolo si deve verificare le possibilità di accesso che la norma speciale consente.
Essi, comunque, non possono essere in contrasto con i principi fondamentali sanciti dalla l. 241/1990
Il comune non può sottrarsi all'obbligo di consentire la visione del progetto di piano, neppure nella fase di nuova ripubblicazione dovuta a modifiche richieste da parte della regione, in sede di approvazione.
L'art. 24, 6° co., l. 241/1990, che non consente l'accesso agli atti preparatori dei provvedimenti di pianificazione, non modifica, anzi lascia pienamente in vigore, le altre disposizioni di legge - quali appunto la legge urbanistica - che disciplinano già un procedimento di accesso.
La richiesta può essere evasa direttamente, in via informale, mediante l'esibizione del documento o la estrazione di copia, ovvero in via formale mediante un procedimento puntualmente previsto dal regolamento, che inizia con rituale domanda e finisce con un provvedimento di diniego nei casi di esclusione da tale diritto.
Essi sono tassativamente previsti, ad esempio, per la sicurezza e difesa nazionale, per ragioni di politica monetaria, per ragioni di ordine pubblico o sicurezza di terzi ovvero per salvaguardare esigenze di riservatezza dell'amministrazione.
Il procedimento di accesso è affidato al responsabile del procedimento amministrativo, individuato ai sensi dell'art. 4 della l. 241/1990.


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