giovedì 4 ottobre 2012

Tutela ambiente. 12 Danno Ambientale


CAPITOLO XII
IL DANNO AMBIENTALE.
Verificare
SOMMARIO: 1. La fattispecie di danno ambientale prevista dall’art. 18, l. 349/1986.
1.1. La determinazione del danno.
1.2. Il diritto di informazione sullo stato dell'ambiente.
2. La giurisdizione ordinaria.
2.1. La giurisdizione della Corte dei Conti.
3. Le associazioni ambientaliste.
3.1. La legittimazione ad agire.
3.2. La costituzione di parte civile nel processo penale.
3.3. L’interesse ad agire.
4. L'azione di risarcimento. Soggetti attivi.
5. Condono edilizio e danno ambientale.
6. Il potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale.

1. La fattispecie di danno ambientale prevista dall’art. 18, l. 349/1986.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18.
Bibliografia Melchionna 1999.

Ai sensi dell’art. 18, l. 349/1986, si ha danno ambientale qualora si verifichi un qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte.
Secondo la dottrina si ha repsonsabilità per danno ambientale non solo quando si lede un vncolo ambientale in senso stretto, ma anche quando viene violata uno dei ter settori della legislazione ambientale in senso lato: la bellezza naturale; la difesa dell’ambiente; l’urbanistica. (Assini N. 2005, 2402).
Tale norma ribadisce i principi costituzionali e il principio dell’obbligo civilistico del risarcimento per fatto illecito.
Esso obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.

Nell'ordinamento giuridico italiano la protezione dell'ambiente, bene che assurge a valore primario e assoluto, è imposta dai precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 cost., mentre l'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, ha funzione solo ricognitiva.
La configurabilità dell'ambiente come bene giuridico e il diritto al pieno risarcimento per la sua lesione in capo agli enti pubblici territoriali non trova la sua fonte genetica in tale legge, bensì nella Carta costituzionale considerata come diritto vigente e vivente nonché nella norma generale dell'art. 2043 c.c.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n. 1087, UA, 1998, 721).

La giurisprudenza ha precisato le condizioni per l’esperimento dell’azione di risarcimento affermando la volontarietà dell’azione, sotto il profilo soggettivo, e la necessità che sussista, sotto il profilo oggettivo, un danno concreto all’ambiente. Esso si deve riflettere nella alterazione del modo di vivere dell’intera popolazione del luogo compromesso.

In tema di danno ambientale, sia per i fatti anteriori alla l. n. 349 del 1986, regolati dal solo art. 2043 c.c., sia per i fatti successivi, disciplinati dall'art. 18, l. 349/1986, non è sufficiente la modificazione, alterazione o distruzione dell'ambiente naturale considerata da un mero punto di vista obiettivo, nella sua materialità, ma occorre l'elemento soggettivo intenzionale, che cioè la condotta sia dolosa o colposa, e, per la legge speciale, qualificata dalla violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge.
Vige, altrimenti, la causa esimente dell'esercizio legittimo di un diritto.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n. 1087, RCP, 1999, 467).

In un primo tempo la giurisprudenza non ha ritenuto indennizzabile di per se stesso il danno all’immagine dell’ente locale, come rappresentante legittimo dell’ambiente in cui esso esercita le sue funzioni.

L'azione di risarcimento del danno può essere promossa soltanto quando sussista un pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente.
Non danno luogo a risarcimento, di regola, violazioni meramente formali.
La lesione dell'immagine dell'ente territoriale, nella specie Comune e Provincia, il quale, dalla commissione di reati ambientali veda compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di compiti di controllo o gestione, costituisce danno non risarcibile autonomamente.
In tale caso il risarcimento deve essere riconosciuto soltanto quando sia stato concretamente accertato il detto danno ambientale, al quale sia collegata, come aspetto non patrimoniale, la menomazione del rilievo istituzionale dell'ente.
(Cass. pen., sez. III, 19.3.1992, CP, 1993, 1532).

Successivamente la giurisprudenza ha cambiato indirizzo.

Anche il discredito all'immagine di un ente può configurarsi come danno erariale e, come tale, da risarcire da parte del dipendente che, con la propria, distorta attività, lo ha provocato nell'esercizio di pubblici uffici, per raggiungere suoi esclusivi interessi.
Bisogna, infatti, considerare che, se pure a tale comportamento non corrisponde in maniera diretta una riduzione del patrimonio dell'amministrazione, è però vero che questa stessa si dovrà poi far carico della spesa utile al ripristino del bene giuridico leso.
Il danno all'immagine dell'ente, quindi, che comporti poi, come detto, una necessità di spesa per il suo ripristino, arreca conseguenze negative ancora maggiori di quante non ne produca la mancata attività lavorativa del dipendente e, come queste, può ben essere quantificato.
(Corte Conti reg. Umbria, sez. giurisd., 28.5.1998, n. 501, FP, 1999, f. 1, 426).

La dottrina ritiene, oramai, insufficiente una dimensione nazionale della tutela auspicando l’istituzione di un tribunale internazionale dell'ambiente e di una Alta autorità di controllo e gestione ambientale (Melchionna B. 1999, 192).


1.1. La determinazione del danno.

Legislazione c.p., art. 734 - l. 8.7.1986, n. 349, art. 18 - d.p.r. 28.1.1988, n. 63, art. 69.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La dottrina ha sottolineato che l’ambiente, pur non essendo un bene appropriabile, si presta ad essere valutato in termini economici e , quindi, può essere ad esso un prezzo, in relazione al valore di scambio e d’uso che esso assume (Dell’Anno P. 2000, 168).
Qualora non sia possibile una precisa quantificazione del danno, il giudice ne determina l’ammontare in via equitativa.
Il giudice deve comunque tenere conto della gravità della colpa individuale, delle spese necessarie per il ripristino e del profitto derivato al trasgressore dal suo comportamento di danneggiamento dei beni ambientali.
Qualora più persone abbiano concorso nel compiere lo stesso danno, ciascuno deve rispondere secondo la propria responsabilità individuale.
La giurisprudenza ha ravvisato l’ipotesi di danno ambientale nelle seguenti fattispecie.

E' legittima la condanna generica, in sede penale, al risarcimento del danno ambientale, ai sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, in caso di accertata violazione di norme anti-inquinamento, penalmente sanzionate, senza che, al fine predetto, occorra che il titolare del diritto al risarcimento dia la prova dell'an debeatur, bastando che il fatto illecito accertato sia potenzialmente idoneo a produrre danno.
Nella specie trattavasi di violazione dell'art. 21, 1° co., e 3 della l. 10.5.1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, consistente nello sversamento, nelle acque del torrente Bormida, di reflui di lavorazioni industriali contenenti valori di pH superiori al consentito.
(Cass. pen., sez. III, 31.3.1994, CP, 1995, 1610).

E' legittima la condanna generica, in sede penale, al risarcimento del danno ambientale, ai sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, in caso di accertata violazione di norme anti - inquinamento, penalmente sanzionate, senza che, al fine predetto, occorra che il titolare del diritto al risarcimento dia la prova dell'an debeatur, bastando che il fatto illecito accertato sia potenzialmente idoneo a produrre danno.
Il risarcimento del danno ambientale è dovuto per avere realizzato una costruzione senza concessione ed in violazione dell'art. 734, c.p., e della l. 8.8.1985, n. 431 e una discarica abusiva per lavori appaltati dal Ministero delle poste e telecomunicazioni, concernenti la realizzazione di una stazione radio con traliccio metallico e posa in opera di cavo coassiale in zona di alto valore paesaggistico e storico.
(Cass. pen., sez. III, 18.4.1994, CP, 1995, 1932).
Solo lo sversamento di reflui inquinanti oltre i limiti può comportare un danno all'equilibrio ambientale risarcibile, ex art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, nel senso di una compromissione, di una alterazione, di un deterioramento o, nei casi più gravi, di una distruzione totale o parziale del sistema naturale interessato; tale danno è sicuramente riscontrabile in caso di immissione di un corpo ricettore di inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla legge.
(Cass. pen, sez. III, 10.11.1993, RGA, 1995, 91).

Ai fini della esistenza di un danno ambientale, la l. 8.7.1986, n. 349, contempla anche l'ipotesi della semplice alterazione di una delle componenti ambientali, sicuramente riscontrabile nel caso di immissione in un corpo ricettore di inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla legge, tale da giustificare addirittura la sanzione penale.
Nella specie la suprema Corte ha osservato che per i ripetuti scarichi, alcuni contenenti perfino mercurio, un danno ambientale era stato accertato e giustamente ne erano stati considerati destinatari lo Stato e gli enti territoriali.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1993, CP, 1995, 1351).

E’ danno ambientale anche la realizzazione di opere in contrasto con gli strumenti urbanistici.

Risultando esteso il concetto di ambiente a problemi di conservazione del paesaggio urbano e rurale nonché del carattere ambientale della città in rapporto al grande sviluppo attuale degli insediamenti edilizi, le associazioni ambientaliste sono legittimate, ex art. 18, 5° co., l. 8.7.1986, n. 349, a ricorrere avverso il rilascio di concessioni edilizie.
(T.A.R. Toscana, sez. I, 18.3.1994, n. 246, FA, 1994, 1523).

La prova del danno ambientale deve riguardare il bene leso nel suo complesso a prescindere delle posizioni giuridiche dei singoli danneggiati che sono valutate in maniera diversa ed in separato giudizio.

Con riguardo ad azione di risarcimento del danno ambientale, promossa da un comune a norma dell'art. 18, l. 319 del 1986, nella prova dell'indicato danno bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato un senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento, che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente.
Deve essere provata la lesione in sé del bene ambientale, la cui sussistenza è valutabile solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in presenza dei quali non può fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato di consulenza tecnica di ufficio, non sussistendo in ottemperanza di questi all'onere della prova ed essendo la consulenza finalizzata alla verifica di fatti essenziali per la decisione, rispetto ai quali essa si presenta come strumento tecnicamente più funzionale ed efficace d'indagine.
Nella specie si tratta di azione risarcitoria nei confronti di imprese che si assumono responsabili di produzione, circolazione e sversamento di rifiuti speciali industriali, senza l'adozione di idonee cautele.
(Cass. civ., sez. I, 1.9.1995, n. 9211, DGA, 1998, 40).


1.1.1. Il ripristino dello stato dei luoghi.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 14.
Bibliografia Cassese 2000 (2).

Nella sentenza di condanna, ove possibile, il giudice ordina il ripristino dei beni ambientali, a spese del responsabile.


1.2. Il diritto di informazione sullo stato dell'ambiente.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 14.
Bibliografia Cassese 2000 (2).
Il diritto all’informazione ambientale è sancito dall’art. 14, l. 8.7.1986, n. 349, che consente a chi ne abbia interesse di acquisire ogni informazione propedeutica ad una successiva fase di tutela.
Tale facoltà trova fondamento nel più generale riconoscimento all’accesso al procedimento amministrativo sancito dalla l. 241/1990 (Cassese S. 2000 (2), 1567).

Il particolare diritto di informazione sullo stato dell'ambiente di cui all'art. 14, l. 8.7.1986 n. 349, costituisce un'ipotesi particolare del generale diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui alla l. 7.8.1990 n. 241.
Poiché contro le determinazioni amministrative concernenti detto generale diritto di accesso è prevista la giurisdizione del giudice amministrativo questa non può che assorbire anche la cognizione delle particolari controversie aventi ad oggetto determinazioni concernenti il diritto di informazione sullo stato dell'ambiente.
In materia di inquinamento atmosferico i dati che rilevano ai fini della tutela ambientale sono esclusivamente quelli relativi a ciò che viene concretamente disperso nell'atmosfera dall'impresa, in quanto soltanto tali dati attengono, in base all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 espressamente richiamato dall'art. 18, d.p.r. 24.5.1988 n. 203, allo stato dell'ambiente e sono, pertanto, non solo giuridicamente ma tecnicamente rilevanti rispetto all'oggetto del diritto di accesso garantito dalle citate disposizioni; viceversa non altrettanto rilevanti sono gli altri dati che stanno a monte della fase di emissione e che riguardano il ciclo produttivo nonché le sostanze e le materie impiegate.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 20.2.1992, n. 78, RGA, 1992, 888).

La norma di cui all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 si trova in rapporto di specialità rispetto all'art. 22, l. 7.8.1990, n. 241 che estende il diritto di accesso a ogni settore dell'attività amministrativa: in materia di informazione ambientale non è perciò operante il rinvio alle disposizioni attuative della legge sul procedimento amministrativo di cui agli art. 22, 3°, co., 24, 4° co., e 31.
(T.A.R. Sicilia sez. II, Catania, 9.4.1991 n. 118, RGA 1992, 407).

La posizione giuridica attribuita a tutti i cittadini dalla norma di cui all'art. 14, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349 in ordine all'acquisizione delle informazioni relative all'ambiente costituisce diritto soggettivo pubblico, che può farsi valere nel termine prescrizionale ordinario di 10 anni e indipendentemente dall'impugnazione di un provvedimento.
(T.A.R. Sicilia sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, RAm, 1992, 492).
L'art. 14, 3° co., l. 8.7.1986 n. 349, il quale prevede e disciplina il diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale, è da considerare norma speciale e, come tale, non risulta assorbito dalle disposizioni di cui agli artt. 22 ss. della successiva l. 7.8.1990, n. 241.
Anche se non sono stati ancora emanati i regolamenti necessari per la disciplina dell'esercizio e per la limitazione del diritto generale di accesso ai documenti amministrativi, è ammissibile il ricorso previsto dall'art. 25, l. 241 del 1990, contro il diniego dell'amministrazione di fornire le informazioni in materia ambientale.
Nella specie, i risultati delle analisi di potabilità delle acque erogate dall'acquedotto comunale, sono state richieste dal ricorrente in base a diritto assicurato da disposizione sostanziale di legge diversa e speciale.
(Cons. giust. amm. Sicilia, 21.11.1991 n. 476, FI, 1992, III, 354).

La posizione giuridica attribuita a tutti i cittadini dalla norma di cui all'art. 14, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349, in ordine all'acquisizione delle informazioni relative all'ambiente costituisce diritto soggettivo pubblico, che può farsi valere nel termine prescrizionale ordinario di 10 anni e indipendentemente dall'impugnazione di un provvedimento.
(T.A.R. Sicilia sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, T.A.R., 1991, I, 2056).
Il diritto di informazione sullo stato dell'ambiente si configura attualmente come un'ipotesi particolare del diritto di accesso ai documenti, diritto peraltro finalizzato non solo a dare attuazione al più generale diritto all'informazione, ma anche al diritto di partecipazione al procedimento e al diritto di difesa in giudizio.
La norma di cui all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 si trova in rapporto di specialità rispetto all'art. 22, l. 7.8.1990, n. 241, che introduce il diritto di accesso in via generale con riferimento ad ogni settore dell'attività amministrativa, con la conseguenza dell'immediata operatività ed esercitabilità dell'anzidetto diritto di informazione sullo stato dell'ambiente, essendo al riguardo inoperante il rinvio alle disposizioni attuative, di cui agli art. 22, 3° co., 24, 4° co. e 31 della stessa legge n. 241, che dovranno disciplinarne le modalità di esercizio.
(T.A.R. Sicilia sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, T.A.R., 1991, I, 2056).

Il diritto all’informazione trova supporto nelle Direttive Cee e ulteriore regolamentazione nel d.lg. 24.2.1997, n. 39, che individua le possibili situazioni che legittimano l’esclusione dalla possibilità di accesso.

La nozione di "azione investigativa preliminare" di cui all'art. 3, n. 2 terzo trattino della direttiva del Consiglio Cee 7 6.1990 n. 313, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente, dev'essere interpretata nel senso che comprende una procedura amministrativa come quella di cui all'art. 7 n. 1 sub 2) dell'Umweltinformationgesetz - legge sulle informazioni in materia di ambiente, dell'8.7.1994 - meramente preparatoria di una misura amministrativa, solo nell'ipotesi in cui essa preceda immediatamente un procedimento contenzioso o quasi contenzioso e nasca dall'esigenza di acquisire prove o di istruire un procedimento prima che si apra la fase processuale vera e propria.
L'art. 2, lett. a), della direttiva del Consiglio Cee 7.6.1990, n. 313, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente dev'essere interpretato nel senso che esso si applica ad una presa di posizione adottata da un'Autorità amministrativa competente in materia di conservazione del paesaggio nell'ambito della sua partecipazione ad una procedura di approvazione di progetti di costruzione, se la detta presa di posizione è tale da incidere, relativamente agli interessi alla tutela dell'ambiente, sulla decisione di approvazione di tali progetti.
(Corte giustizia CE, 17.6.1998, n. 321, CS, 1999, II, 92).
2. La giurisdizione ordinaria.

Legislazione cost., artt. 5, 9, 25, 32, 103, 2° co., - l. 8.7.1986, n. 349, art. 18.
Bibliografia Centofanti 2005 (2).

La giurisdizione in materia di danno ambientale è attribuita dalla l. 349/1986 al giudice ordinario (Centofanti N. 2005 (2), 1207).

2. Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all'art. 22 del d.p.r. 10.1.1957, n. 3.
3. L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo”
(art. 18, l. 349/1986).

Il compimento del fatto dannoso obbliga l’autore al risarcimento nei confronti dello Stato.
Qualora non sia possibile una precisa quantificazione del danno, il giudice ne determina l’ammontare in via equitativa.

6. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
(art. 18, l. 349/1986).

Il giudice deve comunque tenere conto della gravità della colpa individuale, delle spese necessarie per il ripristino e del profitto derivato al trasgressore dal comportamento con il quale ha danneggiato i beni ambientali.
Qualora più persone abbiano concorso nel compiere lo stesso danno, ciascuno deve rispondere secondo la propria responsabilità individuale. Ove possibile, il giudice ordina il ripristino dei beni ambientali, a spese del responsabile, nella sentenza di condanna.
Si applicano le disposizioni dell’art. 69 del d.p.r. 28.1.1988, n. 63 per riscuotere i crediti in favore dello Stato risultanti dalle sentenze di condanna.

2.1. La giurisdizione della Corte dei Conti.

La Corte dei Conti è stata tradizionalmente competente all’accertamento della responsabilità contabile per danno erariale comprendendo anche il danno all’ambiente.

Appartiene alla cognizione della Corte dei conti quale giudice contabile - per l'affermazione della conseguente responsabilità amministrativa - l'accertamento del danno provocato dall'inquinamento delle acque del mare (nella specie, del Mar Tirreno: inquinamento derivante dagli scarichi dei residui di biossido di titanio prodotto dagli stabilimenti di Scarlino della " Montedison s.p.a. ").
Corte Conti, sez. riun., 16 giugno 1984, n. 378
Foro amm. 1985, 613
Il legislatore con la l. 8.7.1986, n. 349, ha escluso che la fattispecie di danno ambientale sia emanazione dell’istituto del danno erariale, eliminando, quindi, la relativa competenza della Corte dei conti e attribuendola al giudice ordinario.

Non è fondata, in relazione agli artt. 5, 25, e 103, 2° co., cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario l'intera materia del risarcimento del danno ambientale, facendo salva la giurisdizione della Corte dei conti solo in alcune limitate ipotesi di responsabilità amministrativa.
Nel nostro ordinamento giuridico la protezione dell'ambiente è imposta da precetti costituzionali, ex artt. 9 e 32, ed assurge a valore primario ed assoluto.
L'ambiente è un bene immateriale unitario, ancorché costituito da una pluralità di componenti.
La protezione ambientale è preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo vive.
Il danno all'ambiente è correttamente inserito nell'ambito e nello schema della tutela aquiliana.
La materia della contabilità pubblica appare sufficientemente individuata nell'elemento soggettivo che attiene alla natura pubblica dell'ente e nell'elemento oggettivo che riguarda la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione.
Peraltro, anche in tale materia, la giurisdizione della Corte dei conti è solo tendenzialmente generale e sono sempre possibili deroghe mediante apposite disposizioni legislative.
La Corte dei conti è titolare di giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica, comprendente sia i giudizi di conto sia quelli di responsabilità a carico degli impiegati e degli agenti contabili dello Stato e degli enti pubblici economici.
La materia della contabilità pubblica è sufficientemente individuata nell'elemento soggettivo - amministrazione pubblica soggetto passivo del danno - e nell'elemento oggettivo - qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione.
Comunque l'attribuzione di giurisdizione alla Corte dei conti postula puntuali disposizioni legislative, tenuto conto che, in difetto di tali disposizioni, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, che normalmente conosce le controversie in materia di diritti soggettivi.
L'art. 2043 c.c., a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione ha assunto una nuova valenza come strumento per la protezione dei valori che essa prevede ed assicura, tra cui ha rilievo precipuo il principio della solidarietà.
Non è fondata, in riferimento agli artt. 5, 25, 103, 2° co., cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, 2° co., l. 8.7.1986, n. 349 che ha attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario l'intera materia del risarcimento del danno ambientale, facendo salva la giurisdizione della corte dei conti solo in alcune limitate ipotesi di responsabilità amministrativa.
(Corte cost., 30.12.1987, n. 641, CS, 1987, II, 1925).

Nulla è innovato circa la giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale, in altre parole per quanto riguarda gli esborsi indebitamente sostenuti dagli enti medesimi.

L'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e funzionari degli enti territoriali rientra nella giurisdizione contabile della Corte dei conti soltanto per ciò che attiene al cosiddetto danno erariale, mentre, con riferimento al danno urbanistico–ambientale, l'azione stessa è devoluta alla cognizione del giudice ordinario, ex art. 18, l. 349 del 1986.
Nella specie si tratta del danno ambientale addebitato al sindaco di un comune derivante da lottizzazione abusiva della quale il Sindaco era stato riconosciuto responsabile in sede penale.
(Cass. civ., Sez. U., 28.10.1998, n. 10733, DR, 1999, 313).


3. Le associazioni ambientaliste.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, artt. 12, 13, 18, 4°, 5° co.
Bibliografia Mantini Dell’Anno Verardi Giampietro 1990.

L’art. 13, l. 8.7.1986, n. 349, riconosce le associazioni ambientaliste che possiedano i requisiti da esso previsti.
Esse devono essere presenti in almeno cinque regioni ed avere finalità ambientali.

L'associazione italiana per il W.W.F. è legittimata ex lege a stare in giudizio per la tutela di interessi ambientali, in quanto essa è compresa nell'elenco delle associazioni protezionistiche di cui agli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986 n. 349.
(T.A.R. Trentino Alto Adige, sez. Bolzano, 22.6.1999, n. 194, T.A.R., 1999, I, 3279).

L'accertamento della rappresentatività delle associazioni ambientalistiche ai fini della liquidazione processuale delle stesse si basa su un duplice sistema, derivante rispettivamente dagli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, il secondo dei quali affida al giudice l'accertamento, caso per caso, della legittimazione.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 12.8.1998, n. 1414, RGA, 1999, 364).

Gli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, hanno introdotto un duplice sistema di accertamento del grado di rappresentatività delle associazioni ambientaliste, nel senso che l'esistenza del potere di individuazione del Ministro non esclude il concorrente potere del giudice di accertare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione dell'associazione che abbia proposto l'impugnativa
Sussiste alla stregua del criterio individuato, la legittimazione ad agire del comitato popolare per la verifica della compatibilità ambientale dell'International Foam Italia nel giudizio concernente la realizzazione di impianto di deodorizzazione, tenuto conto della finalità che tale comitato persegue e del particolare favore che l'attuale momento storico-politico riserva alle associazioni di tutela ambientale, intesa come tutela delle condizioni di vita della collettività nell'ambiente.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 4.6.1998, n. 858, DRe, 1998, 873).

Il Codacons e la Lega ambiente rientrano tra le associazioni di protezione individuate dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'art. 18, 5° co., l. 8.7.1986, n. 349 e sono, pertanto, legittimati a proporre gravame giurisdizionale a tutela dell'ambiente dinanzi al giudice amministrativo.
(T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 20.11.1996, n. 598, T.A.R., 1997, I, 217).

Va riconosciuta alla Lega per l'abolizione della caccia la natura di Associazione ambientalistica, ai sensi ed agli effetti dell'art. 13, l. 8.7.1986 n. 349, in relazione agli artt. 12, n. 1, lett. c), e 18, nn. 4 e 5, della stessa legge, atteso che, con riferimento agli elementi necessari per il richiesto riconoscimento, quali individuati nei criteri applicativi dell'art. 13 cit., fissati nella delibera del Ministero dell'ambiente 25.1.1988, sono presenti nella Lega medesima
Tale associazione ha una struttura territoriale di livello nazionale, un ordinamento interno tale da assicurare democraticità agli organi propri dell'associazione e una concezione globalistica dell'ambiente, posto che il campo di interesse della Lega, volto all'abolizione della caccia, alla difesa della fauna nonché alla conservazione ed al ripristino, costituisce un unicum senz'altro esteso e di interesse per la protezione dell'ambiente nella sua globalità.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 27.2.1996, n. 409, T.A.R., 1996, I, 804).

Le associazioni di protezione ambientale hanno le seguenti facoltà, ai sensi dell’art. 18, 4°, 5° co.:
1) il potere di denunciare, assieme ai cittadini, i fatti che danneggino i beni ambientali di cui siano a conoscenza, con lo scopo di sollecitare l’intervento da parte dei soggetti pubblici autorizzati;
2) il potere d’intervenire nei giudizi per danno ambientale e di ricorrere al tribunale amministrativo per l’annullamento di atti illegittimi (Mantini P. Dell’Anno P. Verardi C. Giampietro F. 1990, 18).
Le seguenti associazioni di protezione ambientale sono state individuate con decreti del Ministero dell’ambiente: Agriturist; Amici della terra; Associazione Greenpeace; Associazione Kronos 1991; Club Alpino Italiano; Federnatura; Fondo ambiente italiano; Gruppi ricerca ecologica; Italia nostra; Lega ambiente; Lega italiana per i diritti dell’animale; Lega italiana protezione uccelli; Mare vivo; Touring Club Italiano; World Wildelife Fund.

Le associazioni ambientalistiche riconosciute con decreto del Ministro dell'ambiente sono legittimate ad agire in giudizio, in forza dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, per far valere interessi diffusi solo in quanto l'interesse all'ambiente assume qualificazione normativa con riferimento e nei limiti tracciati positivamente dalla l. 349 del 1986, ovvero da altre fonti legislative intese a identificare beni ambientali in senso giuridico, con esclusione quindi degli atti che abbiano una valenza meramente urbanistica, in quanto diretti esclusivamente alla gestione del territorio, senza ricaduta alcuna su valori ambientali.
(T.A.R. Marche, 29.7.1999, n. 917, T.A.R. 1999, I, 3990).
Alla luce del combinato disposto degli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, la legittimazione a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti che si assumano illegittimi, spetta alle associazioni di protezione ambientale che siano individuate con decreto del Ministro dell'ambiente, nonché alle associazioni che, in base al grado di rappresentatività di interessi collettivi connessi alla tutela ambientale, il giudice accerti, caso per caso, il possesso dei requisiti predetti, con riferimento alla rilevanza esterna, da cui è caratterizzata l'azione dell'associazione ed alla continuità dell'attività di tutela ambientale svolta.
(Cons. Stato, sez. VI, 7.2.1996, n. 182, FA, 1996, 589).

L'art. 18, 5° co., l. 349 del 1986 riconosce alle associazioni di protezione ambientale espressamente individuate, con atto di accertamento avente effetti costitutivi, nel decreto ministeriale emanato ai sensi dell'art. 13, 1° co., l. 8.7.1986, n. 349, un interesse individuale a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti amministrativi illegittimi, puntualizzandosi in esse la tutela di interessi diffusi e connettendosi a tali interessi, per forza normativa, la garanzia propria degli interessi legittimi.
(T.A.R. Lazio, sez. I, 21.9.1989, n. 1272, GI, 1992, III, 1, 516).



3.1. La legittimazione ad agire.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, artt. 12, 13, 18, 4°, 5° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La sfera di legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste è stata via via estesa sia alle azione dinanzi al giudice amministrativo contro gli atti adottati da regioni, province e comuni sia in sede civile, consentendo la proposizione in via autonoma delle azioni risarcitorie . in sostituzione delle province e dei comuni (Dell’Anno P. 2000, 178).
Per contro le associazioni, che non presentino le caratteristiche definite dalla legge e che non siano conseguentemente state riconosciute, non hanno alcuna legittimazione processuale.

L'Associazione Pavia Monumentale non è legittimata ad agire avverso la concessione edilizia che non leda direttamente situazioni giuridicamente rilevanti facenti capo all'associazione stessa; inoltre, essa non soddisfa le due condizioni richieste dagli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, secondo i quali l'eccezionale legittimazione ad agire riconosciuta ex lege alle associazioni ambientalistiche postula che le stesse agiscano a tutela di interessi ambientali - e non storico artistici, come nel caso di specie - e che siano riconosciute con apposito decreto del ministero dell'ambiente.
(T.A.R. Lombardia, sez. II, Milano, 9.4.1998, n. 728, FA, 1998).

Ai sensi degli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, alle associazioni ambientaliste riconosciute è attribuita una legittimazione processuale, di natura eccezionale e di stretta interpretazione, a tutela di un interesse ambientale rilevante in base ad una norma specifica, onde tale legittimazione è esclusa quando l'impugnazione o l'azione giurisdizionale promossa abbia per oggetto non già un interesse ambientale o la protezione di beni ambientali in senso giuridico, bensì atti a contenuto meramente urbanistico, diretti, cioè, all'esclusiva gestione del territorio, senza alcun'incidenza sui valori ambientali.
In questo contesto, dunque, la nozione di "ambiente" va desunta non dall'art. 82, d.p.r. 24.7.1977, n. 616 - norma, questa, precedente alla l. 349 del 1986 e concernente soltanto il riparto delle competenze tra Stato e regioni in soggetta materia, senza dar disciplina alcuna ai poteri processuali delle associazioni ambientalistiche - né tampoco dall'art. 130 R, trattato Ce, nel testo introdotto dall'art.438, trattato Maastricht - disposizione comunitaria che regola le nuove competenze dell'Unione europea in materia di ambiente - né, ancora, dall'art. 17, 46° co., l. 15.5.1997, n. 127, che si limita a ribadire la possibilità per dette associazioni, nei soli limiti già stabiliti dall'art. 18, l. 349 del 1986, di adire il giudice amministrativo anche contro gli atti di regioni, province e comuni.
(Cons. Stato., sez. V, 10.3.1998, n. 278, FA, 1998, 708).

L'articolazione territoriale di un'associazione ambientalista nazionale non ha autonoma legittimazione processuale, neppure per l'impugnazione di un atto ad efficacia territorialmente delimitata o per intervenire in un giudizio siffatto, in quanto non è possibile applicarle l'art. 18, l. 8.7.1986 n. 349 - perché tale disposizione riguarda l'associazione nazionale e non le sue articolazioni - né il principio per cui si prescinde dall'art. 18 stesso se l'associazione si connota per il suo concreto collegamento con il territorio.
Un'associazione nazionale, come formalizzata dagli artt. 13 e 18, l. 349 del 1986, è portatrice di interessi metaindividuali ben più ampi di quelli meramente locali ed è vietata la sostituzione processuale fuori dai casi espressamente previsti.
(Cons. Stato, sez. V, 29.7.1997, n. 854, FA, 1997, 1986).

Le associazioni ambientaliste individuate con le modalità previste dall'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, sono legittimate a ricorrere avverso atti amministrativi adottati in violazione di norme urbanistiche ed edilizie, in quanto queste abbiano valenza ambientale.
Detta ipotesi non ricorre nel caso di richiesta di annullamento di concessione edilizia in centro storico fondata su esclusivi profili edilizi.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. Parma, 3.4.1996, n. 109, RGA, 1997, 140).

Il Movimento Federativo Democratico Regione Umbria non risulta essere associazione di protezione ambientale individuata con d.m. e come tale legittimata a intervenire nei giudizi per danno ambientale e a ricorrere in sede giurisdizionale amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi. (T.A.R. Umbria, 19.8.1996, n. 304, RGU, 1997, 285).

E' priva della legittimazione ad agire l'associazione ambientalista che non presenti le caratteristiche definite dagli artt. 13 e 18, 5° co., l. 8.7.1986, n. 349, consistenti nell'essere un'associazione nazionale, riconosciuta con decreto del ministro per l'ambiente, presente in almeno cinque regioni.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 9.6.1992, n. 475, FA, 1993, 179).


3.2. La costituzione di parte civile nel processo penale.

Legislazione c.p., artt. 185, 734 - c.p.p., artt. 74, 91, 666 - l. 8.8.1985, n. 431, art. 1, sexies - l. 8.7.1986, n. 349, artt. 13, 18, 3° co., n. 3.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La giurisprudenza non è stata unanime nell’affermare la possibilità che le associazioni ambientaliste possano costituirsi parti civili nel giudizio penale.
Alcune sentenze lo hanno escluso.

In carenza di dimostrazione di un concreto collegamento con l'area interessata dall'edificazione del manufatto edilizio e dalla variante urbanistica, tale da rendere localizzabile l'interesse esponenziale dell'associazione, non può essere riconosciuta la legittimazione all'impugnativa al Codacons, associazione non riconosciuta, dal Ministero dell'ambiente, ex artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349 quale legittimata ad agire in giudizio a difesa degli interessi diffusi correlati ai beni ambientali.
(T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 14.11.1994, n. 780, RGA, 1996, 101).

Le associazioni ambientalistiche, anche se riconosciute ai sensi dell’art. 13 della l. 349 del 1986, non sono legittimate a costituirsi parti civili solo per la tutela del loro interesse astratto e diffuso all'integrità dell'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, FI, 1993, II, 475).
Altre hanno ammesso tale possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale anche se è stata limitata la loro azione nel senso che il loro è considerato come intervento ad adiuvandum.

In materia di danno ambientale, posto che questo non consiste solo in una "compromissione dell'ambiente", in violazione delle leggi ambientali, giusta quanto previsto dall'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, ma anche in una "offesa della persona umana nella sua dimensione individuale e sociale", come ritenuto dalla Corte cost. nelle sentenze n. 210 e 641 del 1987.
Ne deriva che la legittimazione processuale non spetta solo ai soggetti pubblici, come Stato, regioni, province, comuni, enti autonomi parchi nazionali, etc. - in nome dell'ambiente come interesse pubblico - ma anche alla persona singola o associata - in nome dell'ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).

In tema di legittimazione degli enti e delle associazioni ecologistiche a costituirsi parte civile, deve ritenersi che, quando l'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente non è astrattamente connotato, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, diventando la ragione e, perciò, elemento costitutivo di esso, è ammissibile la costituzione di parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito.
E', in primis, configurabile, in capo alle associazioni ecologiste, la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile nella salubrità dell'ambiente, sempre che una articolazione territoriale colleghi le associazioni medesime ai beni lesi, sicché esse sono legittimate all'azione aquiliana per la difesa del proprio diritto soggettivo alla tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente.
E', inoltre, ipotizzabile la lesione del diritto della personalità dell'ente e la conseguente facoltà delle associazioni di protezione ambientale di agire per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all'offesa, diretta ed immediata, dello scopo sociale, che costituisce la finalità propria del sodalizio.
Nella specie la Corte ha ritenuto che l'associazione Lega ambiente - ente esponenziale della comunità in cui si trova il bene collettivo oggetto di lesione ed avente a scopo la salvaguardia degli interessi lesi dal reato – fosse legittimata a costituirsi parte civile, ai sensi dell'art. 185 c.p. e 74 c.p.p., sia per la tutela del diritto collettivo all'ambiente salubre, sia per la protezione del diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita.
(Cass. pen., sez. III, 26.9.1996, n. 8699, GP, 1998, III, 590).

Il disposto dell'art. 18, 3° co., n. 3, l. 8 .7.1986, n. 349, in base al quale "l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo", e le associazioni ambientaliste individuate ai sensi del precedente art. 13 "possono intervenire nei giudizi per danno ambientale", non impedisce che le associazioni suddette, in base alla disciplina dettata dagli artt. 91, ss. c.p.p., possano ugualmente costituirsi parte civile.
L'interesse da esse perseguito deve essere quello, genericamente inteso, all'ambiente, o comunque un interesse che, in quanto caratterizzato da un mero collegamento con l'interesse pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile, ma sia invece un interesse che si concretizzi in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, cessando così di essere comune alla generalità dei cittadini.
Il diritto di costituirsi parte civile, onde ottenere il risarcimento del danno costituito dalla lesione del diritto soggettivo inerente allo scopo da esse perseguito, deve quindi riconoscersi alle associazioni ecologiste rispondenti alle suddette caratteristiche e dotate di un'articolazione territoriale che li colleghi ai beni lesi, quali, nella specie, la Lega ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 9.7.1996, n. 8699, ANPP, 1996, 871).

Le associazioni di protezione dell'ambiente, ivi comprese quelle a carattere locale non riconosciute ex art. 13, l. 349/1986, possono intervenire nel processo e costituirsi parti civili, in quanto abbiano dato prova di continuità della loro azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro contributo, ma soprattutto perché formazioni sociali nelle quali si svolge dinamicamente la personalità di ogni uomo, titolare del diritto umano all'ambiente.
Nella specie, in applicazione di tali principi, è stata riconosciuta la legittimazione processuale dell'associazione WWF in un procedimento penale per violazione dell'art. 734, c.p., e dell'art. 1, sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in relazione ad attività di coltivazione di una cava).
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).

L'associazione Lega ambiente, quale ente esponenziale dell'interesse diffuso all'integrità dell'ambiente, è legittimata a costituirsi parte civile e a richiedere il risarcimento dei danni in un procedimento penale per inquinamento da rumore.
(Pret. Castiglione Lago, 16.5.1996, RGU, 1996, 810).

L'art. 666, c.p.p., attribuisce all'interessato la legittimazione ad instaurare il procedimento di esecuzione.
Il termine volutamente generico ed indeterminato si riferisce a qualsiasi soggetto, che abbia partecipato o meno al giudizio di cognizione e sia titolare di situazioni giuridiche soggettive alle quali potrebbe derivare un vantaggio o un pregiudizio in seguito al consolidamento o alla rimozione di un determinato deliberato.
Logicamente il vantaggio alla propria sfera giuridica soggettiva non deve essere necessariamente patrimoniale, ma può consistere in un qualsiasi risultato positivo, sicché, trattandosi di enti esponenziali di interessi diffusi, occorre considerare la disposizione dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349 ed i presupposti su cui si fonda la legittimazione delle associazioni ambientaliste a costituirsi parte civile quali il diritto soggettivo della personalità per un ente radicato sul territorio.
(Cassazione penale sez. III, 23.1.1996, n. 225, CP, 1997, 1418).

Le associazioni individuate a norma dell'art. 13 della l. 349 del 1986 sono legittimate a costituirsi parte civile nei confronti di imputati di reati produttivi di danno ambientale, in quanto titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione e alla integrità dell'ambiente.
Ne è conferma il carattere "concorrente" dell'identica legittimazione spettante, per espressa previsione di legge, allo Stato e agli altri enti territoriali.
(Pret. Velletri, 9.10.1992, GP, 1993, III, 490).

Le associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parte civile nei procedimenti penali a carico dei soggetti che abbiano arrecato un danno ambientale, a nulla rilevando lo schema processuale di correlazione tra costituzione di parte civile e danno risarcibile, dato che è la legge stessa a consentire la partecipazione ai giudizi per danno ambientale dei soggetti in parola.
(Cass. pen., sez. III, 17.3.1992, GI, 1992, II, 465).

Alle associazioni ambientaliste, in base all'art. 18, l. 349 del 1986, nei giudizi per i danni patrimoniali è consentito solo un intervento ad adiuvandum, giacchè i giudizi per l'ordinaria azione di danni possono essere promossi solo dallo Stato e dagli enti territoriali.
(Pret. Catania, 22.11.1991, RGE, 1992, I, 530).

La dottrina appare sicuramente sulla posizione di riconoscere la legittimazione alle associazioni ambientaliste di costituirsi parte civile nel processo penale.
Essa tende a riconoscere ai privati anche funzioni aventi una obiettiva connotazione pubblicistica (Dell’Anno 2000, 180).

La giurisprudenza presume acquisito ex lege il consenso dello Stato alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste.

L'esercizio del diritto e delle facoltà spettanti agli enti ed alle associazioni senza scopo di lucro, aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, è subordinata al consenso della persona offesa, che va acquisito nelle forme di cui all'art. 92, c.p.p.
La l. 8.7.1986, n. 349, ha riconosciuto alle suddette associazioni, che perseguono il fine di assecondare l'attività dello Stato nella salvaguardia dell'ambiente, la facoltà di intervenire in giudizio tutte le volte in cui è in gioco il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni conseguenti al pregiudizio reale o potenziale che una certa condotta può arrecare all'ambiente, ovvero ad un suo componente essenziale, qual è il territorio.
Lo stesso ordinamento positivo offre un generalizzato e preventivo consenso dello Stato a quelle associazioni che, come "Italia Nostra", possono far valere dinanzi al giudice ordinario le loro istanze.
Fattispecie relativa ai reati ex art. 20, l. 28.2.1985, n. 47 e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, nella quale il ricorrente aveva lamentato che la costituzione di parte civile dell'associazione "Italia Nostra" era avvenuta senza il consenso della persona offesa dal reato.
(Cass. pen., sez. V, 12.1.1996, n. 2361, CP, 1997, 499).




3.3. L’interesse ad agire.

Legislazione l. 29.10.1987, n. 441, artt. 1 ter, 2° co. e 3, 2° co.
Bibliografia Cassese 2000 (2).

Il ricorrente che voglia impugnare gli atti amministrativi riguardanti provvedimenti che riguardano l’ambiente, ad esempio la localizzazione di impianti industriali o di smaltimento dei rifiuti deve documentare l’interesse sostanziale ad agire in giudizio e la prova del danno ricevuto nella sfera dei propri interessi (Cassese S. 2000 (2), 1570).

Nel processo amministrativo il soggetto che agisce in giudizio deve sempre specificare l’interesse sostanziale di cui asserisce essere titolare e che assume essere stato illegittimamente leso dal provvedimento impugnato, affinché il giudice adito possa preliminarmente verificare se si tratta di un interesse tutelato, e in quale misura, dal diritto vigente.
La legittimazione ad insorgere contro la localizzazione di una discarica presuppone che l’interessato precisi il suo concreto pregiudizio che ne deriva alla propria sfera giuridica, pregiudizio che non è evincibile dalla mera appartenenza al territorio comunale, dovendo, invece, ricollegarsi a situazioni ben determinate, quale, ad esempio, la circostanza che la localizzazione dell’impianto riduca il valore economico del fondo o dell’abitazione ubicati nelle immediate vicinanze della discarica oppure la circostanza che le prescrizioni dettate dall’autorità competente –per quanto attiene alle modo di gestione dell’impianto – siano inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze della discarica, sì da potere riconoscere al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero a chi vive o lavora in prossimità della discarica, in interesse qualificato e differenziato a ricorrere per denunciare l’illegittimità dell’atto di localizzazione dell’impianto.
(T.A.R. Piemonte, sez. II, 23.6.1997, n. 355, T.A.R., 1997, 3021).

Un preteso interesse legittimo diffuso alla tutela dell'ambiente non è sufficiente a radicare un interesse all'impugnazione di una concessione edilizia, in assenza di un concreto collegamento con l'area interessata all'edificazione.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 16.3.1993, n. 303, RGA, 1994, 275).

L'interesse all'impugnazione in materia edilizia sussiste ogniqualvolta i provvedimenti che consentono l'edificazione provochino una degradazione urbanistica, arrecando quindi pregiudizio all'ambiente e non solo nei limiti in cui possa verificarsi una sottrazione di area o di luce o di visuale panoramica; pertanto, nel caso di provvedimento lesivo dell'integrità ambientale della zona, l'interesse va riconosciuto non soltanto ai titolari del diritto reale di proprietà o di altri diritti reali limitati o di diritti di credito (locazione, comodato) sugli immobili confinanti con l'area interessata dall'illegittimo permesso di costruzione, o comunque almeno su di essa prospicienti, bensì anche a tutti coloro che siano residenti o domiciliati o comunque abitino nella zona in cui è compresa tale area.
(T.A.R. Sicilia, sez. II, Catania, 26.7.1991 n. 629, T.A.R., 1991, I, 3669).

La giurisprudenza riconosce, parimenti, la qualifica di controinteressato solo a coloro che dall’atto traggono un vantaggio personale e diretto.

Il Ministro dell'ambiente non riveste la posizione di controinteressato in sede di impugnazione giudiziale del piano regionale dei servizi di smaltimento dei rifiuti, nonostante le funzioni di indirizzo e coordinamento nonché di gestione dei fondi demandategli in materia dagli artt. 1 ter, 2° co. e 3, 2° co., l. 29.10.1987, n. 441, in quanto controinteressati sono solo i soggetti a cui l'atto impugnato direttamente si riferisce e che, traendo da esso un vantaggio personale e diretto giuridicamente rilevante, siano portatori di un interesse sostanziale analogo e di segno contrario a quello del ricorrente.
(Cons. Stato, sez. VI, 21.10.1996, n. 1379, RGA, 1997, 573).

Sebbene il Coordinamento associazioni difesa ambiente e diritti utenti e consumatori - Co.Da.Cons. abbia un interesse ad intervenire nei procedimenti di competenza dell'Autorità garante per la concorrenza e per il mercato, ciò, tuttavia, esclude che, al contempo, possa riconoscersi ad esso la qualità di controinteressato e parte necessaria cui debba essere notificata l'impugnazione degli atti dell'Autorità.
La posizione fatta valere da questa associazione, invero, in nulla si differenzia da quella comune a tutti i consumatori - in particolare a tutti gli utenti dei servizi assicurativi - consistente nell'interesse al buon funzionamento del mercato assicurativo in rigorosa applicazione di regole concorrenziali, per i quali il pregiudizio derivante dall'annullamento dell'atto impugnato è eventuale e indifferenziato.
(T.A.R. Lazio, sez. I, 1.8.1995, n. 1474, FA, 1996, 1017).

Le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività nonché di gestione dei fondi per la realizzazione dei piani regionali di smaltimento rifiuti, demandate al ministro dell'ambiente dagli art. 1-ter, e 3, l. 29.10.1987, n. 441, non valgono a conferire al predetto ministro la posizione di controinteressato in sede di impugnazione giudiziale del suddetto piano, dovendosi intendere per controinteressati solo quei soggetti ai quali l'atto impugnato direttamente si riferisce, e che, traendo da esso un vantaggio personale e diretto giuridicamente rilevante, siano portatori di un interesse analogo e di senso contrario a quello del ricorrente.
(Cons. Stato, sez. IV, 16.1.1993, n. 40, FA, 1993, 74).



4. L'azione di risarcimento. Soggetti attivi.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18, 3° co
Bibliografia Dell’Anno 2000.

E’ lo Stato, nonché gli enti territoriali sui quali incidono i beni fatti oggetto del danno, che promuove l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale.
Nel caso di costituzione delle associazioni ambientaliste deve essere espresso il consenso dello Stato come parte lesa dal reato (Dell’Anno P. 2000, 182).
Allo Stato va liquidato il danno ambientale, mentre alle associazioni ambientaliste va liquidate solo le spese sostenute nel giudizio.

La difficoltà di differenziazione della componente individuale di ogni danno ambientale è superabile in termini giuridici non solo allorché la domanda abbia per oggetto una misura cautelare oppure il ripristino, ove possibile, dello stato dei luoghi, sanzione che ha portata generale, ma anche quando si debba valutare e quantificare in termini monetari il danno ambientale,
Il "risarcimento" va attribuito ai soli soggetti pubblici, mentre i singoli e le associazioni possono solo domandare la liquidazione delle spese e degli onorari di difesa per l'attività promozionale svolta nel processo.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).

La regione e, più in generale, gli enti territoriali sono legittimati a costituirsi parte civile ai sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, perché il danno ambientale derivante dal reato incide sull'ambiente, come assetto qualificato del territorio, il quale è elemento costitutivo di tali enti e perciò oggetto di un loro diritto di personalità.
Non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni, ancorché abbiano ottenuto il riconoscimento governativo, ex art. 13, l. 349/1986, quando l'interesse perseguito sia quello all'ambiente genericamente inteso o comunque un interesse che, per essere caratterizzato da un mero collegamento ideologico con l'interesse pubblico, resta un interesse diffuso, come tale non proprio del sodalizio e perciò anche non risarcibile.
(Cass. pen., sez. III, 15.6.1993, CP, 1995, 1936).

Ai fini della esistenza di un danno ambientale, la l. 8.7.1986, n. 349 contempla anche l'ipotesi della semplice alterazione in una delle componenti ambientali, sicuramente riscontrabile nel caso di immissione in un corpo ricettore di inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla legge, tale da giustificare addirittura la sanzione penale.
La legittimazione delle associazioni di protezione dell'ambiente, ex art. 18 l. 8 luglio 1986 n. 349, in ordine al danno ambientale, ha fini meramente processuali di impulso e controllo sociale.
Tali associazioni possono domandare al giudice civile in sede autonoma o al giudice penale nel caso di costituzione di parte civile il ripristino della situazione dei luoghi a spese dell'obbligato, ove sia naturalmente possibile.
Le stesse associazioni, invece, non possono ottenere la liquidazione del danno ambientale in termini monetari, ex art. 18 l. n. 349 del 1986, in quanto tale liquidazione va operata a favore dello Stato e di altri enti pubblici territoriali e non è concepibile una corresponsione di un risarcimento di danni di natura pubblica a favore di organismi non pubblici, mentre il diritto al rimborso delle spese processuali è del tutto legittimo, in quanto l'intervento delle associazioni è previsto dalla legge e le spese seguono la soccombenza a favore di tutti i soggetti comunque legittimati a far valere la domanda.
(Cass. penale sez. III, 10.11.1993, RPE, 1995, 372).
E' legittimato al risarcimento del danno ambientale, ai sensi dell'art. 18, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349, il solo ente territoriale offeso nell'ambiente come assetto del territorio, che è, appunto elemento costitutivo dell'ente stesso.
(Cass. pen., sez. III, 13.11.1992, RGE, 1993, 275).

La regione può costituirsi parte civile nel procedimento penale contro gli autori di fatti produttivi di danno ambientale, per esercitare in quella sede l'azione di risarcimento; pertanto, l'art. 18, 1°, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349, non è in contrasto con gli artt. 5, 9, 24 e 117 della cost., in quanto la circostanza che spetti allo Stato il risarcimento del cosiddetto danno ambientale non preclude alla regione di costituirsi parte civile contro gli autori di un fatto delittuoso, che abbia inciso su beni siti in territorio regionale.
(Corte Cost., 12.4.1990, n. 195, CS, 1990, II, 675).



5. Condono edilizio e danno ambientale.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 32 - l. 23.12.1996, n. 662, art. 2, 46° co.
Bibliografia Centofanti 1998.

La concessione in sanatoria regolarizza ad ogni effetto la costruzione delle opere eseguite che devono perciò essere considerate conformi alla suddetta disciplina urbanistica ed edilizia.
Il rilascio del provvedimento concessorio esclude la applicabilità delle sanzioni amministrative, penali e fiscali previste per la violazione della normativa stessa, ma non impedisce in alcun modo la applicabilità delle sanzioni previste per lo stesso fatto - realizzazione del manufatto - da normative che tutelino interessi diversi.
La giurisprudenza ha escluso che la presentazione della domanda di sanatoria produca la sospensione del procedimento volto ad applicare l'indennità di cui all'art. 15, l. 25.6.1939, n. 1497 o del successivo processo di fronte al Tribunale amministrativo regionale in seguito all'impugnativa dell'atto di applicazione dell'indennità.
L'indennità di cui all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, è diretta a colpire la manomissione del territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso (Centofanti N. 1998, 72).
Essa differisce dall'oblazione di cui all'art. 34, l. 28.2.1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.

In base all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, e alla luce del carattere innovativo dell'art. 2, 46° co., l. 23.12.1996, n. 662, l'indennità risarcitoria per le opere abusive oggetto di condono è dovuta anche qualora sia intervenuto, da parte dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli paesaggistici, parere favorevole, ex art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, su un'opera dannosa per l'ambiente, ma ritenuta non assolutamente incompatibile con la tutela del vincolo sulla base di una valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti.
L'indennità suddetta non è invece dovuta e gli eventuali provvedimenti in tal senso assunti sono illegittimi, qualora il parere favorevole venga rilasciato per un'opera che non configuri alcun danno ambientale.
(T.A.R. Lazio sez. II, 21.6.1999, n. 1531, FA, 1999, 1856).

L’art. 2, 46° co., l. 23.12.1996, n. 662 espressamente dispone che il versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione della indennità di cui all'art. 15, l. n. 1497 del 1939.
La norma, inoltre, attribuisce al Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro per i lavori pubblici, la fissazione dei parametri e delle modalità per la determinazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15, l. 1497/1939, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto di vincolo.



6. Il potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale.

Il provvedimento adottato dal sindaco e dai Responsabili dei settori specifici, ai sensi dell'art. 14, d.lg. 5 febbraio 1997, n. 22, dell'art. 54 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, con il quale si ordina di provvedere alla rimozione, all'avvio, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti giacenti nel terreno, mediante anche la recinzione metallica, entro 30 giorni dalla notifica, decorsi i quali si procederà in danno dei proprietari con il recupero delle somme anticipate è una ordinanza sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale, la cui misura sanzionatoria è eventuale, ai sensi dell'art. 54 comma 4 d.lg. n. 267 del 2000.
Il regime delle impugnazioni avverso le ordinanze in parola è devoluto alla giurisdizione del g.a.
Le ordinanze sindacali in materia di igiene e sanità, di cui all'art. 54 del citato D.Lgs. 267 del 2000 (come quella in esame) devono essere precedute dalla comunicazione di avvio di cui al detto art.7 quando costituiscono l'atto conclusivo di un procedimento compatibile con tale comunicazione(cfr. Cons. Stato, Sez.V, 9 febbraio 2001,n.580), mentre la comunicazione non va data quando sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento atteso il grave pericolo e danno imminente (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 14 febbraio 2000, n.168; idem, Sez.III, 23 marzo 2001, n. 616).

Nel caso di specie, dallo stesso provvedimento impugnato non emerge il riferimento ad un pericolo imminente, ma risulta che il Comune ha già provveduto alla bonifica relativa alle aree interne del complesso IACP; l'ordine adottato dal Sindaco con l'atto impugnato è volto alla bonifica delle aree esterne di proprietà dei privati e rappresenta la parte conclusiva del più complesso procedimento di recupero delle aree (già avviato dal Comune) che, come tale, deve essere assistito dalle garanzie partecipative allo stesso da parte degli interessati.
(
T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 3.2.2005, n. 764, FATAR, 2005, f. 2, 467).

L'ordinanza-ingiunzione di pagamento avente le caratteristiche di cui all'art. 22 ss. l. n. 689 del 1981 è invece ricorribile al giudice oridnario.


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