giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente. 9 CONTROLLO DEL RUMORE.


CAPITOLO IX
IL CONTROLLO DEL RUMORE.

SOMMARIO: 1. Le competenze statali, regionali e provinciali.
2. I piani comunali per il risanamento acustico previsti dalla l. 447/1995.
3. Il rumore aeroportuale.
3.1. Il rumore stradale.
4. Il potere di ordinanza.
5. Le azioni civili.
5.1. Il danno derivante dall’esecuzione di un’opera pubblica.
6. La tutela cautelare. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
7. I reati previsti dall’art. 659, c.p.
7.1. I reati previsti dall’art. 674, c.p.
8. I rapporti col sistema sanzionatorio previsto dalla l. 447/1995. L’indirizzo giurisprudenziale contrario all’abrogazione del reato.
9. L’abrogazione del reato di cui all’art. 659,1° co., c.p.

1. Le competenze statali, regionali e provinciali.

Legislazione l. 447/1995, artt. 3, 7, 9, 14.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Nel quadro dell’assetto delle competenze fissate dalla l. 447/1995 il complesso delle funzioni statali appare piuttosto ampio e restringe, conseguentemente, le competenze regionali (Dell’Anno P. 2000, 592).
Allo Stato compete la determinazione del valore limite di emissione - che rappresenta il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa - e del valore limite di immissione - che rappresenta il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori.

La l. 26.10.1995, n. 447, agli artt. 11 e 15 ha conservato allo Stato la disciplina delle emissioni ed immissioni sonore prodotte nello svolgimento di servizi pubblici essenziali e in particolare quello ferroviario, nel quale rientra l'attività di uno scalo ferroviario
Ne consegue che le emissioni ed immissioni sonore prodotte da quest'ultima attività non possono essere disciplinate dagli enti locali.
(T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 25.8.1998, n. 1008, GM, 1999, 875).

Compete, inoltre, allo Stato l'adozione di piani pluriennali per il contenimento delle emissioni sonore prodotte per lo svolgimento di servizi pubblici essenziali, quali linee ferroviarie, metropolitane, autostrade e strade statali, entro i limiti stabiliti per ogni specifico sistema di trasporto, ex art. 3, l. 447/1995.
Le regioni devono definire con legge i criteri in base ai quali i comuni procedono alla classificazione del proprio territorio in zone per l'applicazione dei valori di qualità.
Devono essere fissate le modalità di controllo del rispetto della normativa per la tutela dall'inquinamento acustico all'atto del rilascio delle concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive e i poteri sostitutivi in caso di inerzia dei comuni.

Ai sensi dell'art. 4, 1° co., lett. a), l. 26.10.1995, n. 447, in sede di ripartizione del territorio secondo i piani di zonizzazione acustica, occorre tenere conto delle preesistenti destinazioni d'uso del territorio, vietando in prosieguo il contatto diretto fra aree che abbiano valori di rilievo sonoro, accertati ex d.p.c.m. 1.3.1991, discostanti tra loro in misura superiore a 5 dB(A), salvo l'adozione, nel caso di superamento di tale limite, dei piani di risanamento previsti dal successivo art. 7.
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 24.11.1998, n. 950, RGSan, 1999, f. 178-9, 172).

Qualora nell'individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d'uso, si prevede l'adozione dei piani di risanamento di acustico.
Sono di competenza delle province, oltre alle funzioni assegnate dalle leggi regionali, le funzioni di controllo e di vigilanza, ex art. 14, l. 447/1995.
Per l’esercizio delle funzioni di controllo le province devono utilizzare le strutture delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.
Fino alla concreta applicazione della l. 447/1995, che è rimessa all’espletamento dei numerosi adempimenti affidati allo Stato, si applicano le disposizioni contenute nel d.p.c.m. 1.3.1991.
Il provvedimento, contestato sotto il profilo di una fonte normativa che lo legittimasse, è stato ritenuto legittimo per la parte che prevede la fissazione di limiti numerici di accettabilità delle emissioni sonore, in quanto è fondato sul potere conferito da disposizioni legislative

Il d.p.c.m. 1.3.1991, nelle parti tuttora vigenti dopo la sentenza Corte cost. 30.12.1991, n. 517, non viola il principio di legalità in quanto si fonda sul potere attribuito alla presidenza del consiglio ministri dall'art. 4, 2° co., l. 23.12.1978, n. 833, che ha ad oggetto non solo la fissazione in termini numerici dei limiti di accettabilità delle emissioni sonore, ma implica anche la possibilità di introdurre un nucleo minimo di prescrizioni idonee a garantire la razionale ed organica applicazione e l'effettività delle misure adottate.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 17.10.1992, n. 2029, RGA, 1993, 320).


2. I piani comunali per il risanamento acustico previsti dalla l. 447/1995.

Legislazione l. 447/1995, artt. 3, 7.
Bibliografia Salvia Teresi 1998 - Tescaroli 2000.

Sono di competenza dei comuni il coordinamento degli strumenti urbanistici già adottati con la identificazione delle varie zone soggette a tutela - zone particolarmente protette, zone prevalentemente residenziali, zone miste, zone di intensa attività umana, zone prevalentemente industriali e zone esclusivamente industriali, d.p.c.m. 1.3.1991, tab. 1 - ; l'adozione dei piani di risanamento; il rispetto della normativa per la tutela dall'inquinamento acustico all'atto del rilascio delle concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali; l'adozione di regolamenti per l'attuazione della disciplina statale e regionale per la tutela dall'inquinamento acustico; la rilevazione e il controllo delle emissioni sonore prodotte dai veicoli.
I comuni provvedono all'adozione di piani di risanamento acustico nel caso di superamento dei valori di attenzione, assicurando il coordinamento con il piano urbano del traffico e con i piani previsti dalla vigente legislazione in materia ambientale.
I piani di risanamento sono approvati dal consiglio comunale.
Essi devono contenere: a) l'individuazione della tipologia ed entità dei rumori presenti; b) l'individuazione dei soggetti a cui compete l'intervento; c) l'indicazione delle priorità, delle modalità e dei tempi per il risanamento; d) la stima degli oneri finanziari e dei mezzi necessari; e) le eventuali misure cautelari a carattere d'urgenza per la tutela dell'ambiente e della salute pubblica, ex art. 7, l. 447/1995 (Tescaroli N. 2000, 183).
Nel controllo dell’inquinamento acustico, a differenza della legislazione in materia di inquinamento atmosferico e degli scarichi, si nota uno stretto collegamento cogli strumenti urbanistici comunali anche attraverso il rilascio della concessione edilizia (Salvia F. Teresi F., 1998, 341).






3. Il rumore aeroportuale

Legislazione d.p.r. 11.12.1997, n. 496, artt. 2, 2° co., 3, 1° co., 5 - l. 447/1995, art. 10.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La disciplina delle sorgenti specifiche sonore è demandata a mirati atti amministrativi.
La riduzione e il controllo dell’inquinamento acustico provocato dagli aeromobili sono affidati a due provvedimenti: il d.m. 31.10.1997 che disciplina i criteri di misura del rumore aeroportuale, e il d.p.r. 11.12.1997, n. 496, che detta il regolamento per la riduzione dell’inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili civili (Dell’Anno P. 2000, 601).
Il regolamento è stato dichiarato illegittimo per il divieto in esso contenuto di volo notturno, poiché non è supportato da una disposizione normativa, mentre è stata ritenuta ammissibile la competenza di accertamento del rumore affidata agli stessi enti aeroportuali.

L'art. 3, 1° co., d.p.r. 11.12.1997, n. 496, non introduce alcuna novità rispetto al contenuto del precetto di cui all'art. 10, l. n. 447/1995. L'obbligo per gli enti gestori dei servizi aeroportuali di predisporre il piano di abbattimento e contenimento del rumore prodotto dalle attività aeroportuali continua a valere soltanto nel caso di superamento dei valori limite di emissione e d'immissione.
E' legittimo l'art. 2, 2° co., d.p.r. 11.12.1997, n. 496, che affida agli enti gestori dei servizi aeroportuali il sistema di monitoraggio per la misurazione del rumore prodotto dagli aeromobili, trattandosi della sola fase tecnico accertativa del procedimento per l'irrogazione delle sanzioni amministrative, che non comporta sottrazione di competenze ai danni degli enti locali, di cui all'art. 10, l. n. 447/1995.
E' illegittimo il divieto di volo notturno, posto dall'art. 5, d.p.r. 11.12.1997, n. 496, regolamento attuativo-integrativo della l. quadro 26.10.1995, n. 447, poiché non è previsto da alcuna norma della legge sopraordinata.
(T.A.R. Veneto, sez. I, 4.5.1999, n. 535, FA, 2000).



Nel regolamento per la fissazione delle modalità per il contenimento e l'abbattimento del rumore prodotto dagli aeromobili civili (d.P.R. 11 dicembre 1997 n. 496, art. 1 e 3) legittimamente l'Amministrazione definisce le attività aeroportuali mediante rinvio all'art. 3 comma 1 lett. m) punto 3, l. 26 ottobre 1995 n. 447, benché tale definizione sia usata nella legge al limitato scopo di individuare le zone di rispetto per le aree e le attività aeroportuali, trattandosi di definizione in linea con le disposizioni legislative, senza alcuna valore discordante o innovativo; pertanto è corretto il riferimento non solo al rumore prodotto dalla struttura aeroportuale ma anche a quello prodotto dagli aeromobili, attenendo entrambi alla fonte rumorosa " traffico aereo " di cui all'art. 11 comma 1, l. n. 447 cit.
Soc. Aeroporti Roma c. Pres. Cons. e altro
Foro amm. TAR 2002, 2087 (s.m.)



3.1. Il rumore stradale.

Legislazione d.p.r. 30.3.2004, n. 142
Bibliografia Narducci 2006.

Per prevenitere e contenre l’imquinamento da ru,eore avente origine dall’esercizio di infrastrutture stradali come autorstade, strade extraurbaneed urbane nonché strade locali esistentie di nuova realizzazione sosnos tatis tabilitia ppositir equisiti e limiti di immissione col d.p.r. 30.3.2004, n. 142.
Il tale ambito sonos tate individuate misure rivolta alla riduizone dell’inquinamento acustico prodotto dall’esercizio della infrastruttura a carico del titolare del eprmesso di costruire, nonché appositi sistemi di monitoraggio (Narducci R. 2006, 2008).

4. Il potere di ordinanza.

Legislazione c.p., art. 650 - r.d. 4.2.1915, n. 148, art. 153 - l. 8.6.1990, n. 142, art. 38 - l. 447/1995, art. 9.
Bibliografia Tescaroli 2000 - Dell’Anno 2000.

Permangono i poteri del sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità, già attribuiti dall'art. 153 del r.d. 4.2.1915, n. 148, ribaditi dall'art. 38 della l. 8.6.1990, n. 142 e specificatamente indicati dall’art. 9 della l. 447/1995.
L’art. 9, l. 447/1995, consente, con provvedimento motivato, l’adozione di speciali forme di contenimento o di abbattimento delle immissioni sonore, compresa l’inibizione totale o parziale di determinate attività.
Nell’ambito delle rispettive competenze territoriali e funzionali sono
legittimati ad emanare tali provvedimenti il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della regione, il prefetto, il ministro dell’ambiente (Tescaroli N. 2000, 1814).

Legittimamente il sindaco intima all’ANAS di provvedere all’installazione di barriere fonoassorbenti in zone del territorio comunale in relazione al superamento dei limiti massimi dei livelli sonori di cui al d.p.c.m. 1.3.1991, accertato dall’azienda USL.
Gli interventi di bonifica richiesti dal sindaco rappresentano il necessario adeguamento delle strutture alla recente evoluzione del quadro normativo connesso all'imprescindibile tutela del diritto alla salute primario ed irrinunciabile - delle popolazioni.
Pertanto, non appare significativo che l'ordinanza sia stata emanata poco prima dell'entrata in vigore dell'art. 9, l. 26.10.1995, n. 447, considerato che il sindaco aveva il potere di emanare l'ordinanza contingibile ed urgente sulla base di quanto disposto dall'art. 32, l. n. 833 del 1978 e degli artt. 36 e 38, 2° co., l. n. 142 del 1990.
(T.A.R., sez. II, 17.12.1997, n. 817, T.A.R., 1998, 605).

Il superamento dei limiti massimi consente l’emanazione dell’ordinanza del sindaco, che, se disattesa, può comportare anche le sanzioni penali di cui all’art. 650 del c.p.
Il provvedimento è impugnabile presso la giustizia amministrativa.

In base all'art. 8, d.p.c.m. 14.11.1997, attuativo della l. 26.10.1995, n. 447, in materia di accertamento dei limiti per le immissioni sonore, non può più trovare applicazione, dopo l'entrata in vigore del suddetto d.p.c.m. del 1997, e, in assenza della classificazione delle zone del territorio comunale, il criterio c.d. differenziale di cui all'art. 6, 2° co., d.p.c.m. 1.3.1991.
Ne consegue l'illegittimità del provvedimento di un comune che, sulla scorta di tale criterio differenziale, inibisca al titolare di un esercizio commerciale la prosecuzione dell'attività ordinando la cessazione del rumore proveniente dal locale.
(T.A.R. Toscana, sez. II, 2.4.1999, n. 327, FA, 2000, 184).


5. Le azioni civili.

Legislazione c.c., art. 844, 2043.
Bibliografia Gambaro 1995 - Dell’Anno 2000.

L’art. 844, c.c., pone limiti e criteri perché i suoni prodotti dagli impianti e/o dalle attività in esercizio nel fondo vicino possano essere ritenuti legittimi e siano da considerarsi tollerabili.
Qualora venga superato il limite della normale tollerabilità, con riferimento alla tutela costituzionale assicurata al diritto alla salute, si crea il presupposto per qualificare come illegittima l’attività rumorosa e per richiedere il risarcimento dei danni, ex art. 2043, c.c.
La giurisprudenza nel determinare la normale tollerabilità ha escluso il riferimento a rigidi parametri fissati dalla legislazione speciale
Per determinare il pregiudizio si deve avere riguardo alle condizioni dei luoghi al contesto sociale e produttivo nel quale si svolge l’attività che si assume lesiva e all'entità degli interessi in conflitto.
Il rispetto delle limitazioni sancite dai regolamenti governativi lascia impregiudicate le azioni civili di tutela, qualora sia dimostrato il danno alla salute.

I regolamenti limitativi delle attività rumorose, essendo rivolti alla tutela della quiete pubblica, riguardano soltanto i rapporti fra l'esercente di una delle suddette attività e la collettività in cui esso opera, creando a carico del primo precisi obblighi verso gli enti preposti alla vigilanza.
Tali disposizioni, però, non escludono l'applicabilità né dell'art. 844, c.c., né degli altri principi che tutelano la salute nei rapporti interprivati che richiedono l'accertamento caso per caso della tollerabilità o meno delle immissioni di rumori e della loro concreta lesività per il riposo e la quiete di ogni soggetto interessato.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1999, n. 915, GI, 2000, 510).

Le norme che disciplinano in via generale i livelli di accettabilità delle immissioni sonore, in quanto mirano ad assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete, perseguono finalità di interesse pubblico e sono, quindi, destinate a regolare i rapporti fra i privati e la p.a., e non già i rapporti di natura patrimoniale tra i privati, alla cui disciplina è destinato l'art. 844, c.c.
Anche se le immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio sulla loro tollerabilità ai sensi dell'art. 844, c.c., va effettuato ugualmente e con riferimento alla situazione concreta.
(Cass. civ., sez. II, 2.6.1999, n. 5398, RGE, 1999, I, 960. Conf. Cass. civ., sez. II, 11.11.1997, n. 1118, GI, 19989, 1810).

In materia di immissioni rumorose, la circostanza che tali immissioni siano di livello inferiore a quello minimo previsto dai regolamenti locali non esclude l'applicabilità dell'art. 844, c.c., o delle altre norme poste a tutela della salute, ove in concreto sia accertata la nocività delle suddette immissioni per la salute dell'individuo.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1999, n. 915, GC, 1999, I, 2358).

Il criterio di contemperare le ragioni della proprietà con le esigenze della produzione e quello della priorità dell’uso, secondo una parte della giurisprudenza, si pongono come alternativi al criterio della normale tollerabilità, potendo essere applicati solo qualora essa non venga superata.

In tema di immissioni in alienum, il criterio del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, posto dall'art. 844, 2° co., c.c., non implica che nelle zone a prevalente vocazione industriale debbano necessariamente considerarsi lecite e tollerabili, per il solo fatto della destinazione urbanistica data dalla competente p.a. all'area interessata dal fenomeno, le immissioni di qualsiasi natura ed entità determinate dall'attività produttiva.
Detto criterio implica solo che, nella riconosciuta preminenza dell'interesse collettivo, in termini di prodotto e di occupazione, alla prosecuzione dell'attività immissiva, possa essere effettuata una valutazione comparativa degli interessi dedotti in giudizio ai fini della determinazione del contenuto della sanzione da applicare.
Ciò si realizza con l'attribuire al giudice, una volta che abbia riconosciuto l'esigenza del mantenimento dell'attività produttiva, il potere di astenersi dall'adozione di misure inibitorie, e di far luogo, invece, a statuizioni che, pur con il sacrificio della piena tutela della proprietà individuale, consentano la prosecuzione dell'attività immissiva dietro pagamento di un congruo indennizzo.
Detta attività deve rimanere nei limiti della normale tollerabilità, configurandosi come dannosa, ma lecita.
Ove, invece, tali limiti siano superati, si è in presenza di un'attività illegittima, traducentesi in fatti illeciti generatori di danno risarcibile ex art. 2043 c.c.
(Cass. civ., sez. II, 29.11.1999, n. 13334, GCM, 1999, 2394).

L'azione diretta a far cessare le immissioni rumorose intollerabili e nocive alla salute rientra nello schema delle azioni negatorie di natura reale e può cumularsi con l'azione diretta a conseguire il risarcimento del danno subito, anche in forma specifica.
(Cass. civ., Sez. U., 15.10.1998, n. 10186, FI, 1999, I, 922).

La disposizione normativa del secondo comma dell’art. 844, c.c., viene, tuttavia, prevalentemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che i suoni eccedenti la normale tollerabilità, se sono provocati da un’attività per la quale sono invocabili le cosiddette “esigenze della produzione” comportano per il proprietario del fondo danneggiato il potere di ottenere un’indennità che sostituisca la tutela inibitoria.
Ciò si verifica quando il contenuto del diritto reale abbia subito una sensibile diminuzione tale da incidere apprezzabilmente sul suo valore (Dell’Anno 2000, 617).
Il c.c. esclude che vi sia una gerarchia fra il rimedio risarcitorio e quello inibitorio e la giurisprudenza non ha elaborato alcun criterio di scelta, oltre a quello della ragionevolezza e del prudente apprezzamento del giudice (Gambaro A. 1995, 515).

L'azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l'eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale, a tutela della proprietà.
Essa è volta a far accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare.
L'azione inibitoria ex art. 844, c.c. può essere esperita dal soggetto leso per consentire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l'azione per la responsabilità aquiliana prevista dall'art. 2043, c.c., nonché con la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058, c.c.
(Cass. civ., Sez. U., 15.10.1998, n. 10186, RGA, 1999, 500).
La previsione dell'art. 844, c.c., è tesa non tanto a proteggere la proprietà in senso difensivo, quanto a tutelarne il diritto di piena utilizzazione e di massima espansione.
Ai fini dell'individuazione della normale tollerabilità non può essere utilizzato il quadro normativo rappresentato dalla l. 26.10.1995, n. 447, e dal d.p.c.m. 1 .3.1991.
Il criterio più idoneo è quello della "rumorosità di fondo", cioè del plafond di rumore costante sul quale si inseriscono quelli prodotti dalle fonti delle immissioni ritenute intollerabili.
(Trib. Perugia, 8.11.1997, RGU, 1998, 125).

In una controversia instaurata in ordine ai limiti di tollerabilità delle emissioni rumorose di un'impresa, non viene meno l'interesse di quest'ultima né per il fatto del mutamento del quadro normativo recato dalla l. 26.10. 1995, n. 447, in quanto quest'ultimo prevede una fase transitoria che lascia salvi gli eventuali provvedimenti precedentemente assunti dalle competenti amministrazioni, né per effetto dell'adozione del successivo piano di zonizzazione, in quanto oggetto di ricorso giurisdizionale.
(Cons. Stato, sez. V, 1.4.1996, n. 338, FA, 1996, 1196).

La giurisprudenza giunge ad ipotizzare il risarcimento come sostitutivo al danno prodotto dall’inquinamento acustico, legittimando così la condotta illecita.

In tema di immissioni, con riferimento alle zone a prevalente vocazione industriale, il giudice, una volta che abbia riconosciuto l'esigenza del mantenimento dell'attività produttiva, può astenersi dall'adozione di misure inibitorie, e far luogo, invece, a statuizioni che, pur con il sacrificio della piena tutela della proprietà individuale, consentano la prosecuzione dell'attività immissiva dietro il pagamento di un congruo indennizzo, sempre che detta attività rimanga nei limiti della normale tollerabilità, configurandosi come dannosa, ma lecita.
Ove, invece, tali limiti siano stati superati, si è in presenza di illegittima attività, che si traduce in fatti illeciti generatori di danno risarcibile ex art. 2043, c.c.
(Cass. civ., sez. II, 29.11.1999, n. 13334, GC, 2000, I, 339).

La determinazione del danno può essere ridotta qualora il danneggiato ricavi un utile dall’azione dannosa del danneggiante, purché quest’ultimo dimostri che dalla sua condotta derivi l’incremento patrimoniale del danneggiato.

La cosiddetta compensatio lucri cum damno opera solo allorché a favore della parte danneggiata si verifichi, oltre al pregiudizio, anche un incremento patrimoniale che costituisca conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che ha causato il pregiudizio stesso, e non quando, invece, il vantaggio, del cui valore economico si chieda l'imputazione in conto al valore economico del pregiudizio, derivi non da detto comportamento illecito, ma da circostanze oggettive ad esso del tutto estranee.
E’ da escludere, pertanto, che possa prendersi in considerazione, ai fini di una sua detrazione dalla entità economica del danno prodotto da immissioni industriali, l'eventuale maggior valore che l'immobile da queste interessato possa aver acquisito per essersi venuto a trovare in zona di sviluppo industriale a seguito dell'approvazione del locale piano regolatore.
(Cass. civ., sez. II, 29.11.1999, n. 13334, GCM, 1999, 2394).

Il trasferimento dell’immobile il cui utilizzo ha causato il danno non determina alcun effetto all'azione di danni causati fino al momento della cessione.

Nel caso di immissioni moleste eccedenti la normale tollerabilità, di cui all'art. 844, c.c., l'alienazione del fondo, verificatasi nel corso del giudizio diretto ad ottenere il risarcimento dei danni, non spiega alcuna influenza sulla legittimazione dell'originario proprietario a proseguire tale giudizio, almeno limitatamente ai danni prodotti all'immobile prima del suo trasferimento, sempre che non risulti che sia stato ceduto all'acquirente anche il diritto di credito al ristoro dei danni stessi.
(Cass. civ., sez. II, 29.11.1999, n. 13334, GCM, 1999, 2393).

La giurisprudenza riconosce la determinazione del danno a prescindere dal sorgere di patologie cliniche.

La sottoposizione ad immissioni acustiche eccedenti la normale tollerabilità determina - a carico dei soggetti che le subiscono - una lesione della salute, in quanto il fenomeno immissivo appare idoneo come tale, a provocare stress, fastidio, esasperazione e tensione psicologica.
Il danno biologico sarà risarcibile a prescindere dalla prova dell'esistenza di patologie e dalla dimostrazione dell'avvenuto impedimento delle manifestazioni e delle attività extralavorative non retribuite ordinarie che esprimono la salute in senso fisio-psichico.
(Trib. Milano, 25.6.1998, RCP, 1999, 179).

Non sussistono immissioni intollerabili nell'abbaiare di due cani qualora il fatto, accertato mediante consulenza tecnica, sia stato preceduto da opportune stimolazioni degli animali che - malgrado la presenza di estranei in ora notturna nei pressi della proprietà a cui erano stati preposti come custodi - non abbiano ritenuto di dover mostrare alcun inequivoco segno di disapprovazione - ivi compresi quelli "rumorosi" - considerato che l'eccessiva intensità dei rumori rilevata deve essere considerata, avuto riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persone, come un fatto normale, prevedibile e, tutto sommato, pienamente giustificato.
La normativa in tema di immissioni è applicabile anche per la protezione dei valori personali, allorché si verifichi la lesione di talune forme di proprietà come quella del luogo di abitazione, che comprendono anche il valore della salute come benessere psicofisico, fermo restando che grava su chi agisce l'onere di provare il danno subito.
(Trib. Perugia, 7.2.1998, RGU, 1999, 373).



5.1. Il danno derivante dall’esecuzione di un’opera pubblica.

Legislazione l. n. 2359/1865, art. 46.
Bibliografia Dell’Anno 2000 - Centofanti N. 1999 (2).

Le immissioni determinano il risarcimento del danno anche con riferimento alla realizzazione di un’opera pubblica trovando apposita fonte normativa nell’art. 46, l. n. 2359/1865 (Dell’Anno P. 2000, 617).
Per la dottrina il diritto all'indennizzo postula, per il suo sorgere, tre condizioni:
a) una attività lecita della pubblica amministrazione consistente nella esecuzione di un'opera di pubblica utilità;
b) la produzione di un danno che si concreti nella perdita di un diritto;
c) il nesso di causalità tra l'esecuzione dell'opera pubblica ed il danno (Centofanti N. 1999 (2), 273).

Le immissioni provenienti da un'opera pubblica possono costituire ragioni di danno indennizzabile ai sensi dell'art. 46, l. n. 2359 del 1865 a condizione che nei confronti della proprietà che le subisce costituiscano fattore di danno particolare permanente superiore alla normale tollerabilità.
(Cass. civ., sez. I, 19.11.1999, n. 12853, GCM, 1999, 2302).

La competenza rimane del giudice ordinario, anche se si discute di una danno relativo ad una attività posta in essere dalla pubblica amministrazione.

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, perché proposta a tutela di un diritto soggettivo senza investire un provvedimento amministrativo, la domanda diretta a far cessare il fatto illecito configurato da immissioni intollerabili nonché ad ottenere l'esecuzione di opere idonee a eliminare le immissioni e il risarcimento del danno.
Spetta al giudice ordinario la cognizione della domanda diretta a far cessare il fatto illecito, configurato dalle immissioni intollerabili, ed a conseguire il risarcimento del danno in quanto con essa si deduce la lesione di diritti soggettivi, senza investire alcun provvedimento amministrativo
Nella specie, la S.C. ha ritenuto irrilevante la circostanza che l'autorità amministrativa competente, nell'effettuare i controlli richiesti al fine del rinnovo della licenza, non avesse ritenuto di imporre opere o vincoli al proprietario immittente.
(Cass. civ., Sez. Un., 15.10.1998, n. 10186, GC, 1999, I, 2411).



6. La tutela cautelare. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Legislazione c.p., artt. 388, 2° co., 650 - c.p.c., art. 700 - l. 447/1995, art. 10.
Bibliografia Pacifico 2000.

La giurisprudenza non è stata uniforme sul problema del raccordo tra la giurisdizione cautelare ex art. 700, c.p.c. e le materie la cui cognizione piena è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e sulla necessità di ricorre alla tutela d’urgenza, con riferimento alla lesione da parte della pubblica amministrazione di diritti dei cittadini al fine di garantirne la effettiva e puntuale tutela (Pacifico M. 2000, 679).
La stessa Corte Costituzionale ha negato la giurisdizione del giudice ordinario ove il provvedimento d’urgenza sia richiesto con riferimento ad atti amministrativi.

E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 700, c.p.c., nella parte in cui non consente al giudice ordinario di tutelare in via d'urgenza diritti soggettivi derivanti da comportamenti omissivi della p.a. e devoluti in via di merito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 21, comma ultimo, l. 6.12.1971, n. 1034, nella parte in cui non consente al giudice amministrativo di adottare, nelle controversie in materia di p.i., oggetto di giurisdizione esclusiva, provvedimenti d'urgenza che appaiono secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.
(Corte cost., 28.6.1985, n. 190, FA, 1988, 1274).

All’opposto altre decisioni ammettono la giurisdizione del giudice ordinario in merito alle richieste, ex art. 700, c.p.c., di provvedimenti destinati ad incidere su atti amministrativi a tutela di situazioni di diritto soggettivo.
La giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto accordare la tutela di cui all’art. 700, c.p.c., nel caso di insussistenza di un potere ablatorio o solo compressivo da parte della pubblica amministrazione di fronte alla protezione di tipo garantistico dei diritti fondamentali, nonché di quello più specifico della tutela del diritto alla salute.

Nel contrapposto bilanciamento di interessi tutti meritevoli di tutela, quali quello pubblico all'esercizio dei trasporti aerei e quello privato alla salvaguardia della salute, quest'ultimo deve necessariamente prevalere.
Ne consegue che, una volta accertata l'intollerabilità dell'inquinamento acustico causato dagli aeromobili in decollo da un aeroporto, gli abitanti della zona interessata hanno diritto di pretendere nei confronti delle amministrazioni interessate, anche in via d'urgenza, ex art. 700, c.p.c., i necessari provvedimenti volti a ridurre, con immediatezza, l'inquinamento.
(Trib. Roma, 20.12.1999, GRom, 2000, 103).

E' ammissibile la richiesta in via cautelare di inibitoria dell'attività produttiva di rumori molesti qualora la violazione lamentata sia attuale, dovendosi tutelare l'esigenza di un immediato venire meno delle fonti di disturbo.
(Trib. Perugia, 15.6.1999, RGU, 1999, 751).

La mancata ottemperanza al provvedimento del giudice è sanzionata mediante il richiamo espresso all’art. 650, c.p., che punisce chi non ottempera ad un ordine dell’autorità, e mediante le sanzioni amministrative comminate dall’art. 10, l. 447/1995.
La giurisprudenza, peraltro, ritiene che il mancato adempimento a quanto disposto dall’ordinanza del giudice civile concretizza il reato previsto dall'art. 388, 2° co., c.p.,.

Il provvedimento, adottato ai sensi dell'art. 700, c.p.p., di inibizione a un circolo ricreativo allo svolgimento di attività comportanti una rumorosità superiore a una determinata soglia - nella specie tre decibel - è da ritenere dato sia per la tutela del diritto alla salute della parte istante, sia per la tutela del suo diritto, in qualità di proprietario e possessore di appartamento contiguo, a escludere o limitare le immissioni provenienti dal circolo medesimo, a norma dell'art. 844 c.c.
Ne consegue che il comportamento diretto a eluderne l'esecuzione, mediante il superamento della soglia di rumore fissata nell'ordinanza, integra il delitto previsto dall'art. 388, 2° co., c.p., e non la contravvenzione di cui all'art. 650, c.p.
(Cass. pen., sez. I, 5.3.1998, n. 3769, CP, 1999, 2843).


7. I reati previsti dall’art. 659, c.p.

Legislazione c.p., art. 659, 1° co. - l. 447/1995, artt. 3, 7, 9, 14.
Bibliografia Grillo 1989 - Dell’Anno 2000.

La protezione penale del rumore ha trovato la sua disciplina nell’art. 659, c.p., che configura due distinte ed autonome ipotesi di reato contravvenzionale: la prima si manifesta mediante una condotta tipica rappresentata da schiamazzi o rumori, abuso di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, strepiti di animali, che può essere commessa da chiunque, ex art. 659, c.p., 1° co.
Secondo la dottrina, la fattispecie prevista dal primo comma mira ad impedire i rumori ingiustificati e, comunque, evitabili (Grillo C.M. 1989, 201).
Il reato si configura quando il rumore prodotto con le attività tassativamente indicate superi la normale tollerabilità arrecando così disturbo alle persone (Dell’Anno P. 2000, 608).

Integra l'ipotesi di cui all'art. 659, 1° co., c.p. l'abuso di strumenti sonori imputabile al gestore di una discoteca costituito dalla diffusione della musica all'esterno della stessa a mezzo di altoparlanti ubicati in luogo sopraelevato, tale da favorire il propagarsi delle emissioni verso le località abitate circostanti.
(Cass. pen., sez. I, 23.4.1998, n. 6507, RP, 1998, 771).

In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, qualora le immissioni sonore superino di non molto la normale tollerabilità e siano oggettivamente inidonee a disturbare un numero indeterminato di persone, arrecando disturbo solo ai soggetti che si trovano in luogo contiguo a quello da cui provengono i rumori, non è configurabile la contravvenzione di cui all'art. 659 c.p.
(Pret. Siracusa, 24.3.1998, RP, 1998, 901).

Il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, per le attività ludiche, anche se svolte sistematicamente e ispirate a principi di cooperazione o di volontariato, non sussiste alcuna esigenza di tutela del lavoro, intellettuale o materiale, e non vi è, perciò, motivo per differenziarle da tutte le altre attività rumorose svolte per libera scelta e non per poter esercitare una professione o un mestiere che per loro natura siano rumorosi.
Ne consegue che integra la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 659, 1° co., c.p., l'ipotesi di disturbo arrecato da un circolo ricreativo privato alle occupazioni e al riposo delle persone abitanti nelle vicinanze, mediante abuso di strumenti sonori, urla e schiamazzi anche in ore notturne.
(Cass. pen., sez. I, 5.3.1998, n. 3769, RP, 1998, 580).

La seconda ipotesi integra una forma di reato proprio che consiste nell’esercizio di professione o mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni dell’autorità, ex art. 659, c.p., 2° co.
Secondo la dottrina la fattispecie prevista dal secondo comma tende a colpire quelle attività lavorative, che sono per loro natura rumorose, tutte le volte che non siano state effettuate nel rispetto della normativa che le disciplina (Grillo C.M. 1989, 201).

Nell'ipotesi di esercizio di un'attività rumorosa contro le disposizioni di legge, prevista dall'art. 659, 2° co., c.p., l'evento perturbante è presunto iuris et de iure, sulla base del solo esercizio irregolare della professione o del mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni dell'autorità, per cui non è richiesta, come nella diversa ipotesi del comma 1, la prova dell'idoneità del rumore a turbare la quiete pubblica.
(Cass. pen., sez. I, 23.2.1998, n. 9728, GP, 1999, II, 439).

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 659, c.p., nel concetto di mestiere rumoroso rientra solo l'attività professionale o imprenditoriale in senso stretto, non anche qualsiasi esplicazione di attività ludiche o fondate sulla cooperazione o sul volontariato, in quanto nel significato lessicale di professione o mestiere non rientra quello di gioco o divertimento.
E invero, la minore sanzione penale per il disturbo causato dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, rispetto a quello causato nello svolgimento delle altre attività umane, trova giustificazione nella ritenuta minore gravità del comportamento di chi deve produrre rumori per poter svolgere la sua normale attività lavorativa.
Per le attività ludiche, invece, anche se svolte sistematicamente e ispirate a principi di cooperazione o di volontariato, non sussiste alcuna esigenza di tutela del lavoro, intellettuale o materiale, e non vi è, perciò, motivo per differenziarle da tutte le altre attività rumorose svolte per libera scelta e non per poter esercitare un mestiere o una professione che per loro natura siano rumorosi.
(Cass. pen., sez. I, 5.3.1998, n. 3769, CP, 1999, 2143).

In tema di disturbo del riposo o delle occupazioni delle persone, la contravvenzione di cui all'art. 659, 1° co., c.p. è ipotizzabile non solo quando nell'ambito di un'attività lavorativa siano prodotti rumori estranei o, comunque, esorbitanti dalla stessa, ma anche quando i rumori - inerenti all'attività - siano eliminabili col ricorso ad opportuni accorgimenti tecnici, elaborati dalla più progredita scienza.
La Suprema corte, così qualificando il reato con l'affermare che, per potersi configurare la contravvenzione di cui all'art. 659, 2° co., c.p., non è sufficiente l'esercizio di un mestiere rumoroso, essendo altresì richiesta la violazione di disposizioni di legge o di prescrizioni dell'autorità, nella specie non ancora vigenti all'epoca della commissione del fatto, ha ritenuto indubbio che l'impianto dell'imputato fosse idoneo a disturbare il riposo delle persone e che a detta situazione di fatto potesse ovviarsi con opportuni ed adeguati accorgimenti.
(Cass. pen., sez. III, 15.7.1997, n. 9172, GP, 1999, II, 44).

La giurisprudenza ammette la più ampia facoltà in materia di prova delle sorgenti sonore che si ritengono nocive.
Allorché sia possibile desumerli aliunde, gli elementi della potenzialità diffusiva delle emissioni sonore e del pregiudizio per la tranquillità delle persone non debbono obbligatoriamente accertarsi con rilievi fonometrici.
(Cassa. pen., sez. I, 23.4.1998, n. 6507, SI, 1998, 1393).
7.1. I reati previsti dall’art. 674, c.p.

Legislazione c.c., art. 844 - c.p., art. 674.
Bibliografia Conti 1997.

Il reato di getto pericoloso di cose prevede due distinte ipotesi punite con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila.
La prima ipotesi punisce il gettare o versare in luogo di pubblico transito o in luogo privato, ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone (Conti L. 1997, 43).

In tema di getto pericoloso di cose i criteri della normale tollerabilità e della priorità d'uso non possono essere utilizzati, poiché attengono ai rapporti di natura civilistica.
In materia penale l'osservanza del precetto non può essere piegata alle esigenze individuali, ma va considerata in riferimento al rigoroso adempimento del dettato normativo.
La fattispecie tipica configura un'ipotesi di reato di pericolo, rappresentato dall'idoneità potenziale della cosa versata a molestare o imbrattare le persone in modo percepibile anche se minimo.
Nella specie la Corte ha ritenuto configurarsi il reato in caso di dilavamento di materie oleose, diluenti in un laghetto, in modo da alterare le condizioni delle sponde, determinandosi in tale modo una difficoltà di accesso e la concreta impossibilità di un qualsiasi uso delle acque del lago).
(Cass. pen., sez. III, 26.1.1998, n. 3531, CP, 1999, 2158).

La fattispecie tipica del reato di getto pericoloso di cose di cui all'art. 674, c.p., configura un'ipotesi di reato di pericolo rappresentato dall'idoneità potenziale della cosa versata a molestare o imbrattare le persone in modo percepibile anche se minimo.
Ne consegue che integra il suddetto reato il dilavamento di materie oleose, defluenti in un laghetto, che alterino le condizioni delle sponde, divenute melmose, e determinino la presenza di sostanze grasse in acqua, rendendo impraticabili i luoghi proprio per la possibilità d'imbrattamento e di modestia nell'uso della res comune.
(Cass. pen., sez. III, 26.1.1998, n. 3531, CP, 1998, 461).

La seconda ipotesi punisce il provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare le conseguenze anzidette (Conti L. 1997, 44).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 674, c.p., l'attitudine delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare le persone non deve essere accertata necessariamente mediante perizia, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento, secondo le regole generali, su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle emissioni, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti.
(Cass. pen., sez. III, 30.1.1998, n. 6141, CP, 1999,2158).

Per la sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 674, c.p., - getto pericoloso di cose - non è necessario che le emissioni siano vietate da speciali norme giuridiche, essendo sufficiente che esse superino il limite della normale tollerabilità, valicato il quale le emissioni stesse diventano moleste con conseguente pericolo per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la ratio della norma incriminatrice.
Ed invero il discrimine tra una condotta lecita ed una illecita, ai fini della configurabilità del reato in esame, è il superamento di tale limite, in riferimento al disposto dell'art. 844, c.c.
Il superamento sarebbe penalmente rilevante anche in presenza di una specifica autorizzazione all'impiego di sostanze esalanti.
Nel caso di specie si trattava di emissioni provocate da sostanze, quali oli minerali, solventi e benzine, usate dall'imputato, senza che peraltro esistesse alcuna autorizzazione, per l'attività di meccanico - svolta nel suo garage condominiale, trasformato in una officina per riparazioni meccaniche e messe a punto - ed idonee a molestare, secondo la contestazione, le persone residenti nelle unità abitative dello stesso edificio.
La S.C. ha ritenuto legittima la configurabilità della contravvenzione in questione, in relazione a tale concreta fattispecie, ed ha enunciato il principio di cui in massima.
(Cass. pen., sez. I, 4.12.1997, n. 739, CP, 1999, 155).

L’emissione deve essere comunque determinata dalla condotta incriminata.
Qualora essa non si produca non può ravvisarsi il reato.
Le immissioni devono, poi, superare i valori consentiti dalla normativa.

La condotta che si realizza mediante lo scarico di carbone combustibile contenente zolfo in misura superiore ai limiti consentiti, non integra il reato di cui all'art. 674, c.p., in quanto il mero scarico di un materiale solido allo stato inerte non può provocare, senza combustione, alcuna emissione di fumo, vapore o gas.
Fattispecie nella quale la S.C., dopo aver sottolineato che l'inquinamento da polvere, astrattamente ipotizzabile, non poteva essere ravvisato in quanto non contestato, ha escluso la sussistenza del reato, giacché nel provvedimento impugnato non vi era alcun cenno in ordine all'effettivo impiego del materiale, ma vi erano, anzi, elementi dai quali desumere che il giudice di merito aveva ritenuto responsabili gli imputati per la sola ragione di aver ricevuto in deposito il combustibile irregolare.
(Cass. pen., sez. I, 20.10.1999, n. 649).

Il fenomeno noto come inquinamento elettromagnetico è astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674, c.p.
Nella specie, la S.C. ha escluso la configurabilità del reato in oggetto, atteso che i valori del campo elettromagnetico, generato da quattro conduttori di corrente elettrica ad alta tensione situati nei pressi di una casa colonica, non avevano superato i limiti indicati dalla normativa vigente in materia.
(Cass. pen., sez. I, 14.10.1999, n. 5626, RP, 2000, 19).

In assenza di prova certa circa l'effettiva nocività - in senso omnicomprensivo rispetto alla previsione di legge - di campi elettromagnetici superiori a valori limite fissati dalla normativa regionale, deve escludersi la configurabilità del reato di cui all'art. 674, c.p., nel caso di impianto che dia luogo alla produzione dei campi anzidetti.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1999, n. 5592, RP, 2000, 239).



8. I rapporti col sistema sanzionatorio previsto dalla l. 447/1995. L’indirizzo giurisprudenziale contrario all’abrogazione del reato.

Legislazione c.p., art. 659, 1°, 2° co. - l. 447/1995, art. 10°, 2° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La dottrina si è pronunciata per l’abrogazione implicita da parte della l. 447/1995 delle disposizioni di cui all’art. 659, 1° co., c.p. (Dell’Anno P. 2000, 614).
Sul punto la giurisprudenza non appare unanime. Un indirizzo si dichiara contrario alla tesi dell’abrogazione

La normativa sull'inquinamento acustico di cui alla l. n. 447 del 1995 non ha abrogato la norma di cui all'art. 659, 1° co., c.p., in quanto la legge speciale ha inteso fissare un limite di rumorosità, al fine di tutelare la salute della collettività, la cui inosservanza integra la violazione amministrativa sanzionata dalla stessa legge, senza che con ciò automaticamente venga integrata l'ipotesi contravvenzionale prevista dal codice penale, per la cui sussistenza occorre che, nel concreto, l'uso di strumenti rumorosi sia tale da recare un effettivo disturbo al riposo o alle occupazioni delle persone, alla luce di tutte le circostanze del caso specifico.
Il rumore prodotto dal suono delle campane di una chiesa al di fuori del collegamento con funzioni liturgiche può dar luogo al reato previsto dall'art. 659, c.p., non diversamente da quello prodotto da qualsiasi altro strumento sonoro.
Nell'ambito delle funzioni liturgiche - la cui regolamentazione, nel vigente diritto concordatario, è riconosciuta alla Chiesa cattolica – il suono di campane integra il predetto reato solo in presenza di circostanze di fatto che comportino il superamento della soglia della normale tollerabilità e in assenza di specifiche disposizioni emanate dall'autorità ecclesiastica intese a recepire tradizioni e consuetudini atte a meglio identificare, in relazione alla non continuità del suono e al suo collegamento con particolari "momenti forti" della vita della Chiesa, il limite della normale tollerabilità.
Fattispecie relativa a sequestro preventivo delle campane, ritenuto legittimo dalla S.C. sul rilievo che detto provvedimento cautelare si basava sul semplice fumus del reato, supportato da indizi che non necessariamente devono essere gravi.
(Cass. pen., sez. I, 23.4.1998, n. 2316, RP, 1999, 87).

Con l'approvazione della l. n. 447 del 1995 non è stata depenalizzata la contravvenzione prevista dall'art. 659, 1° co., c.p., relativa al disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone mediante rumori o schiamazzi.
La suddetta disposizione, infatti, è ben distinta rispetto a quella prevista dall'art. 10, 2° co., l. n. 447 del 1995, che punisce con sanzione amministrativa chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente sonora fissa o mobile, supera i valori di emissioni o di immissione fissati dalla legge, riguardando la prima gli effetti negativi della rumorosità, mentre la seconda prende in considerazione solo il superamento di una certa soglia di rumorosità.
Inoltre, diverso è lo scopo delle due norme, mirando la prima a tutelare la tranquillità pubblica e, quindi, i diritti costituzionalmente garantiti come le occupazioni o il riposo delle persone, mentre la seconda prescinde dall'accertamento che sia stato arrecato un effettivo disturbo alle persone, essendo diretta unicamente a stabilire i limiti della rumorosità delle sorgenti sonore, oltre i quali deve ritenersi sussistente l'inquinamento acustico.
(Cass. pen., sez. I, 10.12.1997, n. 1405, RP, 1998, 248).
L'art. 659, c.p., e la l. 26.10.1995, n. 447, tutelano beni giuridici diversi e deve, pertanto, escludersi ogni implicita abrogazione dell'art. 659, c.p.
E' compito dell'interprete stabilire se nella fattispecie sottoposta al suo esame possa configurarsi una violazione amministrativa conseguente all'inosservanza dei limiti imposti dalla legge quadro ovvero una lesione o messa in pericolo della quiete pubblica penalmente sanzionata.
(Cass. pen., sez. I, 10.1.1997, n. 2343, RP, 1997, 371).


9. L’abrogazione del reato di cui all’art. 659,1° co., c.p.

Legislazione c.p., art. 659, 1°, 2° co. - l. 24.11.1981, n. 689, art. 9 - l. 447/1995, artt. 10, 2° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

L’indirizzo giurisprudenziale che riceve maggiori adesioni afferma che si tratti una abrogazione solo parziale.
Non incidendo l’abrogazione sui fatti posti in essere posizioni di coloro che provocano dei rumori che non dipendono da una attività professionale.

In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, il reato punito dall’art. 659, 2° co., c.p., consistente nell'esercizio di attività rumorosa con superamento dei limiti di tollerabilità, è stato depenalizzato con la l. n. 447 del 1995.
Invero, la norma di cui all'art. 10, 2° co., della citata legge, si presenta, rispetto all'art. 659, 2° co., c.p., limitatamente alle prescrizioni dell'autorità concernenti la regolamentazione dei valori limite in tema di inquinamento acustico, come disposizione speciale che, ai sensi dell'art. 9, l. n. 689 del 1981, in concorrenza con altra norma penale regolatrice del medesimo fatto, deve essere applicata a preferenza di quest'ultima.
Tuttavia, le norme speciali introdotte con l. n. 447 del 1995, non hanno abrogato quella generale contenuta nell'art. 659, 2° co., c.p., che conserva, comunque, un ambito di applicazione più ristretto, nel senso che rimane sottoposta alla sanzione penale prevista da quest'ultima disposizione ogni altra violazione, diversa da quella riguardante la regolamentazione dell'inquinamento acustico, posta in essere dagli esercenti una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o dell'autorità.
(Cass. pen., sez. I, 3.3.1998, n. 1295, RP, 1998, 434).

L'ipotesi di reato di cui all'art. 659, 2° co., c.p., riguardante l'esercizio di una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità, è da intendersi depenalizzata nel caso in cui la violazione consista nel superamento dei limiti di emissione del rumore stabiliti dal d.p.c.m. 1.3.1991, trovando applicazione, in tal caso, l'art. 10 2° co., l. 26.10.1995, n. 447, in base al quale il fatto è qualificabile come illecito amministrativo.
(Cass. pen., sez. I, 26.3.1998, n. 1789, CP, 1999, 1772).
In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, attesa l'identità dell'ipotesi considerata dall'art. 659, 2° co., c.p., che punisce chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità, e di quella sanzionata in via amministrativa dall'art. 10, 2° co., l. n. 447 del 1995, relativa a chi, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente sonora fissa o mobile, supera i valori di emissioni o di immissione fissati dalla legge, la prima disposizione deve ritenersi depenalizzata in forza del principio di specialità previsto dall'art. 9, l. n. 689 del 1981.
(Cass. pen., sez. I, 10.12.1997, n. 1405, RP, 1998, 248).
In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle presone, la fattispecie prevista dal capoverso dell'art. 659, c.p. - esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità - a differenza di quella prevista dal 1° co., dello stesso articolo, deve intendersi depenalizzata in virtù del principio di specialità di cui all'art. 9, l. 24.11.1981, n. 689, data la perfetta identità della situazione considerata dalla menzionata norma del codice penale e di quella di contenuto più ampio sanzionata solo in via amministrativa in forza dell'art. 10, 2° co., l. 26.10.1995, n. 447.
(Cass. pen., sez. I, 10.11.1997, n. 11113, GP, 1998, II, 502).

Poiché l'art. 10, 2° co., l. n. 447 del 1995, punisce con sanzione amministrativa "chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori di emissione e di immissione di cui all'art. 2 comma 1 lett. e) e f) -, fissati in conformità al disposto dell'art. 3, comma 1, lett. a)", stabilendo un limite, oltre il quale l'inquinamento acustico e' presunto, mentre l'art. 659, 2° co., c.p., punisce "chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità", data l'identità della situazione considerata dalla norma del codice penale e di quella sanzionata in via amministrativa - peraltro di contenuto più ampio, in quanto riferita a "chiunque", e non solo a chi eserciti professioni o mestieri per loro natura fonti di rumore - la fattispecie prevista da quest'ultima disposizione è depenalizzata.
In motivazione, la S.C. ha precisato che non può considerarsi depenalizzata la contravvenzione prevista dal 1° co., dello stesso art. 659, che, prendendo in considerazione non il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, bensì gli effetti negativi di quest'ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, ovvero sugli spettacoli, sui ritrovi o sui trattenimenti pubblici, descrive una condotta non assorbita dalla violazione amministrativa, a tutela di diritti costituzionalmente garantiti.
(Cass. pen., sez. I, 19.6.1997, n. 4199, GI, 1998, 1915).

In tema di reati concernenti le attività rumorose, la l. 26.10.1995, n. 447, è di immediata applicazione, in quanto l'emanazione dei regolamenti di esecuzione della stessa, di cui parla l'art. 11 della legge, non ne condiziona l'entrata in vigore.
Ne consegue che la violazione, amministrativamente sanzionata con il pagamento a carico del trasgressore di una somma da lire 1.000.000 a lire 10.000.000, di cui all'art. 10, 2° co., l. 26.10.1995, n. 447 - che punisce la condotta di "chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione e di immissione di cui all'art. 2, 1° co., lett. e) ed f), fissati in conformità al disposto dell'art. 3, 1° co., lett. a)" - è norma di immediata applicabilità, pur se, non essendo stati ancora adottati i provvedimenti ed i regolamenti da parte degli enti competenti, rimangono in vigore i valori limite dell'inquinamento acustico previsti dal d.p.c.m. del 1991 - limitatamente "alle prescrizioni dell'autorità" concernenti la regolamentazione dei valori limite in tema di inquinamento acustico - si presenta come disposizione speciale ai sensi dell'art. 9, l. 24.11.1981, n. 689, che, in concorrenza con norma penale regolatrice del medesimo fatto, deve essere applicata a preferenza di quella generale.
Nella fattispecie, il pretore aveva condannato l'imputato, ritenendolo responsabile del reato di cui all'art. 659, 2° co., c.p., per aver, quale amministratore unico di una società esercente l'attività di tiro a volo, disturbato il riposo e l'occupazione delle persone, mediante gli spari dei clienti dell'esercizio, la cui rumorosità superava i limiti previsti dal d.p.c.m. dell'1.3.1991.
La S.C., in accoglimento del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato, ed in applicazione del principio di cui in massima, ha annullato senza rinvio l'impugnata sentenza, trattandosi di fatto non previsto dalla legge come reato.
(Cass. pen., sez. I, 21.1.1997, n. 2359, CP, 1998, 88).

La norma di cui all'art. 10, l. 26.10.1995, n. 447, non può considerarsi abrogatrice dell'art. 659, 2° co., c.p., che conserva comunque un ambito di applicazione più ristretto, nel senso che rimane sottoposta alla sanzione penale prevista da quest'ultima disposizione ogni violazione, diversa da quella riguardante la regolamentazione dell'inquinamento acustico, posta in essere dagli esercenti una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o dell'autorità
Come quando, pur essendo rispettati i limiti di emissioni acustiche fissati dalla legge, l'attività si svolga in ora diversa da quella stabilita dai regolamenti vigenti in un determinato Comune.
(Cass. pen., sez. I, 4.7.1997, n. 8589, CP, 1998, 2006).

La disposizione di cui all'art. 659, 2° co., c.p. - che punisce colui il quale esercita una professione o un rumore rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità -è norma imperfetta o in bianco, il cui precetto deve essere integrato da altre leggi, regolamenti o atti amministrativi che concorrono a determinare l'ambito della condotta penalmente rilevante.
Tali norme integrative devono essere dirette a disciplinare e determinare specificamente le modalità spaziali e temporali dell'esercizio delle attività di lavoro rumoroso.
A questo fine sono irrilevanti le disposizioni dettate ad altri scopi, la cui violazione configurerà, qualora ne ricorrano le condizioni, altri reati o infrazioni amministrative.
Nella fattispecie, all'imputato, titolare di una ditta esercente attività commerciale rumorosa, era stato contestato il reato di cui all'art. 659, 2° co., c.p.
La S.C. ha ritenuto corretta detta contestazione, escludendo l'applicabilità, alla concreta fattispecie, della l. 26.10.1995, n. 447 relativa alla materia dell'inquinamento acustico.
(Cass. pen., sez. I, 29.11.1996, n. 2646, CP, 1998, 90).

Un altro indirizzo giurisprudenziale è, invece, favorevole all’abrogazione ritenendo che tutte le previsioni di illeciti in materia acustica sono state qualificate come illeciti amministrativi e sottoposte conseguentemente a sanzioni amministrative.

La condotta prevista dall'art. 659, 2° co., c.p., limitatamente a quella costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall'esercizio di professioni o mestieri rumorosi - e con salvezza, quindi, della inosservanza di altre disposizioni della legge o dell'autorità, come, ad esempio, quelle concernenti la limitazione degli orari - non costituisce più reato ma illecito amministrativo, ai sensi dell'art. 10, 2° co., l. 26.10.1995, n. 447.
(Cass. pen., sez. I, 3.3.1998, n. 1295, GP, 1999, II, 10).

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