giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente 8 CONTROLLO DEI RIFIUTI


CAPITOLO VIII
IL CONTROLLO DEI RIFIUTI.

SOMMARIO: 1. La definizione del rifiuto nel d. lg. 5.2.1997, n. 22.
1.1. Le fattispecie controversie: a) Le terre da scavo.
1.2. b) Il petcoke della raffineria di Gela.
1.3. La legislazione regionale.
2. La gestione dei rifiuti. L’autorizzazione allo smaltimento.
2.1. La valutazione di impatto ambientale.
2.2. I piani regionali di gestione dei rifiuti.
3. La programmazione provinciale.

4. La funzione dei comuni.

5. Le forme speciali di gestione dei rifiuti.
6. La bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati.
7. L’autorizzazione regionale per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento.
8. L’istruttoria del progetto a mezzo della conferenza di servizi.
9. L’approvazione del progetto.
10. Le sanzioni amministrative.
10.1. La giurisdizione amministrativa. L’interesse all’impugnazione.
10.2. Il potere cautelare del sindaco.
11. I reati previsti d. lg. 22/1997.



1. La definizione del rifiuto nel d. lg. 5.2.1997, n. 22.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 6.
Bibliografia Amendola 2004.

Il legislatore dà una definizione oggettiva di rifiuto a prescindere dalla volontà del soggetto che lo produce di disfarsene o di utilizzarlo nel ciclo produttivo; la norma rimanda la definizione di rifiuto ad una espressa elencazione portata dalla legge (d. lg. 5.2.1997, n. 22, all. a).

1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi.
(art. 6, d. lg. 5.2.1997, n. 22).

La giurisprudenza ha affermato sostanza o l'oggetto rientranti nelle categorie indicate dal legislatore divengono oggettivamente "rifiuti", allorché il detentore decida - volontariamente o per obbligo di legge - di "disfarsene": tale essendo la definizione di rifiuto fornita dall'art. 6, 1° co., lett. a) d.lg. 22/1997 (Amendola 2004, 370).
Chiunque acquisti e gestisca beni qualificabili normativamente come rifiuti deve necessariamente sottostare agli obblighi di legge.
La definizione di "rifiuto", fornita dalla norma in corrispondenza alle direttive comunitarie, consta necessariamente di due elementi: uno oggettivo tabellare, costituito dal fatto di essere l'oggetto o sostanza dismessi, inclusi nell'elenco allegato alla legge; ed uno soggettivo, rappresentato dall'intenzione o dall'obbligo del detentore di disfarsi di tali oggetti o sostanze.
Né può condurre a diverse conclusioni in merito la sopravvenuta "interpretazione autentica" del citato art. 6, d.lg. 22/1997, ad opera dell'
art. 14, l. 8.8.2002, n. 178.

1. Le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: "decreto legislativo n. 22", si interpretano come segue:
a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;
b) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;
c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.
2. Non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lettera b) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.
(
art. 14, l. 8.8.2002, n. 178).

La giurisprudenza accoglie l’interpretazione più restrittiva.

L'interpretazione della definizione legale di rifiuto, condotta alla luce del terzo "considerando" della direttiva CE n. 75/442, trasfusa nel d.lg. n. 22 del 1997, non porta ad escludere da essa "l'insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo".

Tale interpretazione è in linea con quella fornita dalla giurisprudenza della Corte di Gustizia CE.

Costituisce "rifiuto" ai sensi del diritto comunitario qualsiasi sostanza o materiale anche non soggetto a obbligo di smaltimento o di recupero di cui il detentore voglia semplicemente disfarsi mediante abbandono. La definizione di rifiuto contenuta nella direttiva 75/442 non può essere interpretata nel senso che essa ricomprenderebbe soltanto le sostanze o i materiali destinati o soggetti alle operazioni di smaltimento o di recupero.

1.1. Le fattispecie controversie: a) Le terre da scavo.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 7, 3° co., 8, 2° co. - l. 21.21.2001, n. 443, art. 1, 17°, 18° e 19° co.
Bibliografia Amendola 2004.

La normativa sui rifiuti, ampliando a dismisura le eccezioni della direttiva CEE in recepimento, escludeva dal suo campo di applicazione "i materiali non pericolosi che derivano dall'attività di scavo" (art. 8, 2° co., lett. c), d.lg. 22/1997, classificando invece quali "rifiuti speciali" i "rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo" art. 7, 3° co., lett. b), d.lg. 22/1997.
In tale frangente la Cassazione ribadiva che i materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali (Cass. pen., Sez. III, 11.2.1998, CP, 1999, 268).
Il Ministero dell'ambiente emanava una nota 28.7.2000 con cui, affermava che non debbano essere qualificate rifiuto e, di conseguenza, non rientrino nel campo di applicazione del d.lg. 22/1997 le terre da scavo che presentino concentrazioni di inquinanti inferiori ai limiti accettabili stabiliti dal d.m. 471/1999 per i siti a uso residenziale, verde privato e pubblico e che siano destinate al normale ciclo di utilizzo della terra, quali, a mero titolo esemplificativo, sottofondi e rilevati stradali, rimodellamenti morfologici, usi agricoli, riempimenti (Amendola 2004, 372).
L’indirizzo restrittivo della giurisprudenza veniva però riconfermato.

Rientra nella nozione di rifiuto di cui all'art. 6, d.lg. 2.5.1997 n. 22, ove il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, il materiale di risulta dello scavo di un traforo, in quanto riconducibile alla categoria residuale di cui al punto Q 16 dell'allegato A al predetto decreto.
(Cass. Pen., sez. III, 13.6.2000, n. 2419, CP, 2001, 2477).
L'art. 1, 17° co., l. 21.21.2001, n. 443, per il rilancio delle attività produttive, sanciva che il 3° co., lett. b), dell'art. 7 ed il comma 1, lett. f-bis) dell'art. 8 del d.lg. n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempre che la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti; aggiungendo che "il rispetto dei limiti di cui al 17° co., è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo.
I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore, art. 1, 18° co., l. 21.21.2001, n. 443.
Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato, art. 1, 19° co., l. 21.21.2001, n. 443.
La carenza di controllo “a monte” è evidenziata dalla dottrina.

In sostanza, adesso in Italia non costituiscono più rifiuti tutti quelli da scavo, perforazione e costruzione, anche se contaminati con un limite puramente formale in quanto l'accertamento dovrebbe essere effettuato sulla "composizione media dell'intera massa", e non nel sito di provenienza bensì "sui siti di destinazione"), destinati a reinterri, riempimenti di depressioni, tombamenti di cave, "ricollocazione in altro sito" (purché in qualche modo autorizzata) ecc., o, comunque, ad un qualsiasi "ciclo di produzione industriale". Insomma, per l'Italia oggi sono rifiuti solo le terre da scavo che vengono abbandonate brutalmente dove capita.
(Amendola 2004, 373).



1.2. b) Il petcoke della raffineria di Gela.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 7, 3° co., 8, 2° co. - d.l. 7.3.2002, n. 22, artt. 1, 2 - l. 6.5.2002, n. 82, art. 1.
Bibliografia Amendola 2002 - Amendola 2004.

Per sottrarre la raffineria di Gela al sequestro preventivo disposto dal Tribunale per massiccia violazione delle normative vigenti a tutela della salute e dell'ambiente è stato emanato dal governo italiano il d.l. 7.3.2002, n. 22, conv. con l. 6.5.2002, n. 82.
Il problema di fondo riguardava lo smaltimento del coke da petrolio, e cioè il residuo di produzione della raffineria che a Gela, dopo trattamento e stoccaggio, è inviato alla centrale termica per la produzione di energia.
La magistratura penale di Gela, infatti, riteneva che il coke fosse un rifiuto e, quindi, come tale assoggettato alla normativa sui rifiuti, per cui la centrale termica collegata alla raffineria doveva essere assoggettata ai severi vincoli previsti per il funzionamento e le emissioni degli inceneritori, mentre la proprietà sosteneva trattarsi di un combustibile normale, con la applicazione della ben più blanda normativa prevista per le centrali elettriche alimentate con combustibili tradizionali (Amendola 2004, 376).
Dare al residuo di lavorazione del petcoke la definizione di combustibile fa venire meno i sistemi di garanzia obbligatori per gli impianti di incenerimento con conseguenze negative per l'ambiente e la salute.
L'art. 31, 3° co., lett. b), del d.lg. 22/1997 prevede espressamente che, per accedere alle procedure semplificate, le attività di trattamento termico e di recupero energetico dei rifiuti debbano contenere le emissioni entro i limiti previsti per gli impianti di incenerimento dei rifiuti.
Il decreto l. 22/2002 dispone per legge, nell'art. 1, che il coke da petrolio non è soggetto alla normativa sui rifiuti (Amendola G. 2002, 17).
Esso la stessa strada già utilizzata per liberalizzare le terre da scavo, intervenendo sugli artt. 7 ed 8 del d.lg. 22/1997, e quindi, liberalizza senza limiti l'uso del coke da petrolio direttamente impiegato nel processo di raffinazione da cui è prodotto.

1. Negli impianti di combustione con potenza termica nominale, per singolo focolare, uguale o superiore a 50 MW, è consentito l'uso di coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3 per cento in massa.
2. L'uso del coke da petrolio nel luogo di produzione è consentito in deroga a quanto previsto all'allegato 3 parte B, punto B4, del decreto del Ministro dell'ambiente in data 12 luglio 1990, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 30 luglio 1990.
3. Negli impianti in cui durante il processo produttivo i composti dello zolfo siano fissati o combinati in percentuale non inferiore al 60 per cento con il prodotto ottenuto è consentito l'uso del coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 6 per cento in massa.
(art. 2, l. 22/2002).

Il legislatore risolve con una norma espressa il problema della qualifica del coke da petrolio asserendo che non si tratta di rifiuto.
La dottrina ha assunto una posizione diametralmente opposta.
Di certo, basta leggere le definizioni e gli allegati della normativa europea e del d.lg. 22/1997 per verificare che esso è un rifiuto, in quanto sottoprodotto non desiderato della lavorazione, contemplato nel Catalogo europeo dei rifiuti, di cui ci si disfa attraverso un'attività di recupero energetico espressamente prevista nell'allegato B.
E, del resto, questo dato emerge con chiarezza cristallina se solo, rinviando ad altre opere per un approfondimento, si leggono le sentenze già emesse (quasi tutte contro l'Italia) dalla Corte europea di Giustizia sulla interpretazione di "rifiuto"
(Amendola 2004, 378).

E’ evidente che, con questa modifica legislativa, la raffineria di Gela è stata sottratta alla regolamentazione comunitaria ed al sindacato del giudice penale italiano in materia di rifiuti.


1.3. La legislazione regionale.

Legislazione cost., art. 117, 2° co. 2, lett. s) - d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 5, 3° co., lett. a).

La legislazione regionale non può discostarsi dai principi fondamentali della legislazione statale contenuti nel d.lg. n. 22 del 1997.
Lo Stato ha, infatti, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema competenza esclusiva attribuitagli dall'art. 117, 2° co. 2, lett. s), cost.
I divieti contenuti nella legislazione regionale che impediscono la realizzazione di impianti di stoccaggio dei rifiuti sono, pertanto, da considerarsi illegittimi e contrari alla costituzione.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 1 l. reg. Basilicata 31.8.1995, n. 59, nella parte in cui fa divieto a chiunque conduca sul territorio della regione Basilicata impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti, diversi da quelli urbani non pericolosi, provenienti da altre regioni o nazioni. Premesso che il principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali vale, ai sensi dell'art. 5, 3° co., lett. a), d.lg. 5.2.1997, n. 22, solo per i rifiuti urbani non pericolosi e non anche per altri tipi di rifiuti, per i quali vige invece il diverso criterio della vicinanza di impianti di smaltimento appropriati, per ridurre il movimento dei rifiuti stessi, correlato a quello della necessità di impianti specializzati per il loro smaltimento, il divieto posto dalla disposizione censurata, se è legittimo per quanto riguarda i rifiuti urbani non pericolosi, si pone, invece, in contrasto con la Costituzione nella parte in cui si applica a tutti gli altri tipi di rifiuti di provenienza extraregionale, perché invade la competenza esclusiva attribuita allo Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema dall'art. 117, 2° co. 2, lett. s), cost., in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale contenuti nel d.lg. n. 22 del 1997, e perché viola il vincolo generale imposto alle regioni dall'art. 120 comma 1 cost., che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le regioni. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
(Corte cost., 21.4.2005, n. 161, FACDS, 2005, f. 4, 984).

E’ illegittimo limitare la possibilità di trattare rifiuti di provenienza extraregionale.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 33 commi 3 e 4 l. reg. Veneto 21 gennaio 2000 n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), nella parte in cui dispone che i rifiuti speciali di provenienza extraregionale possano essere conferiti in discariche ubicate nel Veneto già in servizio all'entrata in vigore della legge regionale, solo entro il limite del quindici per cento della loro capacità recettiva residua a quella data esistente.
(Corte cost., 4.12.2002, n. 505, RGE, 2003, I, 30).

E’ stata ritenuta, invece, costituzionalmente legittima la normativa predisposta dalla legislazione regionale in ordine alla disciplina dei poteri sostitutivi in caso di mancata l'approvazione dei piani provinciali di gestione dei rifiuti.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 6, 9° co., e 24, 3° co., l. r. Toscana 26.7.2002, n. 29, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli art. 114, 117 e 120 cost., nella parte in cui prevedono poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti locali. Premesso che l'art. 120, 2° co., cost., non preclude la possibilità di poteri sostitutivi delle regioni nei confronti degli enti locali, le disposizioni censurate si attengono ai criteri che debbono essere osservati per l'esercizio di tali poteri, in quanto l'art. 6, 3° co., prevede la sostituzione per attività prive di discrezionalità nell'"an" per l'ente ordinariamente competente, facendo esplicito riferimento alla l. reg. 31.10.2001, n. 53, che disciplina analiticamente la nomina dei commissari e l'esercizio dei loro poteri nei casi in cui la Regione debba per legge sostituirsi ad enti che risultino inadempienti con riferimento ad attività previste come obbligatorie; l'art. 9 stabilisce che i poteri sostitutivi riconosciuti alla Regione per l'approvazione dei piani provinciali di gestione dei rifiuti siano quelli dell'art. 6, l. reg. 1.12.1998, n. 88, che ne affida l'esercizio alla Giunta regionale dopo che il presidente della Regione - preso atto dell'inadempienza - abbia diffidato l'ente ordinariamente competente a provvedere entro un congruo termine.
(Corte cost., 2.3.2004, n. 70, FACDS, 2004, 644).


2. La gestione dei rifiuti. L’autorizzazione allo smaltimento.

Legislazione c.p., 321, 1°, 2° co. – l. 241/1990, art. 21, 1° co. - d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 6, lett. d), 7, 10.
Bibliografia Maglia e Medugno 1999 - Fimiani 2000.

Il d. lg. 5.2.1997, n. 22 - approvato in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio - introduce, nel disciplinare il controllo sullo smaltimento dei rifiuti, nuove operazioni di riciclaggio e di recupero passando dal concetto di smaltimento al concetto di gestione dei rifiuti (Fimiani P. 2000, 287).
L’art. 6, lett. d), del d. lg. n. 22/1997 definisce la gestione dei rifiuti disciplinando la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni e il controllo delle discariche e degli impianti dopo la loro chiusura.
Lo smaltimento, ai sensi dello stesso art. 6, lett. g), con rinvio all’allegato B, viene definito come il trattamento, il deposito sul suolo e nel suolo, l’incenerimento, il deposito permanente e quello preliminare alle operazioni sopra indicate, con esclusione del deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo in cui essi sono prodotti, effettuato prima della raccolta.
Spetta al comune la gestione dei rifiuti urbani e di quelli speciali assimilati agli urbani, esercitata in regime di privativa nelle forme indicate dalla l. 8.6.1990, n. 241, art. 21, 1° co.
Entro sei mesi dalla delimitazione dell’ambito territoriale ottimale i comuni devono organizzare, all’interno di questo ambito, la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità.
I produttori dei rifiuti urbani devono assumersi l’onere economico della loro gestione; essi, a partire dall’1.1.1999, devono versare al comune una tariffa, determinata in parte in base alla quantità dei rifiuti conferiti e, in parte, in base alle componenti essenziali del costo del servizio comprendenti anche gli investimenti per opere ed i relativi ammortamenti.
La tariffa deve coprire i costi di investimento e quelli di esercizio (Maglia S. e Medugno M. 1999, 73).
I produttori di rifiuti speciali devono assumersi, invece, l’obbligo e l’onere della loro gestione; essi, a loro spese, devono consegnare tali rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad uno smaltitore, ai sensi dell’art. 10, d. lg. 22/1997, salvo che essi provvedano all’autosmaltimento, art. 32, d. lg. 22/1997.

L’esercizio degli impianti di smaltimento e di recupero, ai sensi dell’art. 28, d. lg. 22/1997, è subordinato ad apposita autorizzazione, rilasciata dalla Regione competente - o dalla Provincia da essa delegata - entro 90 giorni dalla data di presentazione della richiesta da parte dell’interessato.

Gli autoveicoli fuori uso costituiscono rifiuti speciali ai sensi dell'art. 7, d. lg. 22/1997, sicché è necessaria la preventiva autorizzazione per l'esercizio delle operazioni di smaltimento, la cui mancanza costituisce reato di natura permanente. Sotto il profilo soggettivo è sufficiente la colpa, ovvero la negligenza nel munirsi di una specifica ed espressa autorizzazione preventiva regionale.
(Cass. pen., sez. III, 25.5.1998, n. 8572, RTDPE, 1998, 1086).
Per l'attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti speciali prodotti da terzi, sia nel caso di rifiuti destinati allo smaltimento che in quelli di rifiuti finalizzati al recupero, è necessaria l'autorizzazione regionale, in assenza della quale si configura il reato di cui all'art. 51 comma 1 lett. a) del suddetto decreto legislativo (Pret. Udine, 21.7.1997, RP, 1998, 180).
E’ esente da autorizzazione solo il deposito temporaneo di rifiuti che deve rispettare le condizioni imposte dalla legge.
Per deposito temporaneo s'intende il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, a condizione che, trattandosi - come nel caso in specie - di rifiuti speciali non pericolosi, cui siano raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero - in alternativa - annuale se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i venti metri cubi.
Qualora non sussistano dette condizioni il deposito incontrollato è parimenti sanzionato.

Nel caso di specie, quindi, si potrà configurare tutt'al più "deposito temporaneo" di rifiuti, di cui alla successiva lett. m) del menzionato art. 6, così essendo, infatti, definito il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, purché ricorrano le specifiche condizioni, solo nel rispetto delle quali il deposito temporaneo di rifiuti, ai sensi dell'art. 28, 5° co., non è soggetto ad autorizzazione.
La S.C., osservato che i rifiuti "stoccati provvisoriamente" dall'imputato rientrano - ai sensi del menzionato art. 7, cit. d.lg. - tra quelli pericolosi e che le condizioni di cui sopra non sono state tutte rispettate nel caso in esame, con la conseguenza che non potrà considerarsi deposito temporaneo, esente da autorizzazione, lo stoccaggio provvisorio effettuato, ha ritenuto che lo stesso dovrà allora essere considerato deposito incontrollato dei propri rifiuti pericolosi, sanzionato - dall'art. 51, 2° Co., d.lg. n. 22 del 1997 - ben più gravemente di quanto previsto dall'art. 26, d.p.r. n. 915 del 1982, che, in quanto lex mitior, deve applicarsi ai sensi dell'art. 2, 3° co., c.p.
(Cass. pen., sez. III, 15.7.1997, n. 9168, RTDPE, 1998, 273).

L’autorizzazione è provvedimento amministrativo impugnabile dai terzi che ne abbiano interesse.

Sono legittimati ad impugnare il rinnovo di un'autorizzazione all'esercizio di un impianto di smaltimento di rifiuti pericolosi i cittadini residenti nelle vicinanze dell'impianto stesso a tutela del proprio diritto alla salute.


2.1. La valutazione di impatto ambientale.

Legislazione d.p.r. 12.4.1996, art. 7, 1° co..

Per la giurisprudenza la procedura di valutazione d'impatto ambientale per realizzare un nuovo impianto di smaltimento o di recupero di rifiuti deve concludersi con un giudizio motivato prima del rilascio del permesso di costruire, ex art. 7, 1° co., d.p.r. 12.4.1996 (T.A.R. Abruzzo Pescara, 1.9.2004, n. 772, FATAR, 2004, 2600).
La giurisprudenza ha precisato che il previo esperimento della valutazione di impatto ambientale, ove non effettuato in sede di prima autorizzazione all'esercizio degli impianti di smaltimento dei rifiuti, deve necessariamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore del d.lg. 5.2.1997, n. 22, potendo trovare piena applicazione il regime ivi previsto solo per le successive autorizzazioni, sul presupposto che sia intervenuta una prima verifica di impatto ambientale ai sensi del decreto medesimo (Cons. St., sez. IV, 31.8.2004, n. 5715, FACDS, 2004, 2181).

Un progetto relativo all'ampliamento di una discarica per una superficie doppia rispetto alla discarica in funzione, deve essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, a norma della l. reg. 3.12.1998, n. 79.La suindicata l. reg. 3 novembre 1998 n. 79 (Norme per l'applicazione della valutazione di impatto ambientale) all'art. 7, nell'indicare le autorità competenti alla procedura di V.I.A., procedura che trova la propria disciplina degli art. 11 e 12 della stessa legge, al comma 2 lett. a, fa rientrare, per quanto qui interessa, tra le competenze delle province tutte le procedure di valutazione di impatto ambientale relative ai progetti compresi nelle tipologia di cui all'allegato A2, e tale allegato alla lett. f) indica le "discariche di rifiuti urbani ed assimilati con una capacità complessiva superiore a 100.000 mc. (attività prevista dal d.lg. n. 22 del 1997, allegato B punti D1 e D5)".
È quindi, evidente, che attese le delineate caratteristiche di capacità della nuova discarica, il relativo progetto deve, ai sensi del combinato disposto delle sopraindicate norme della l. reg. 3 novembre 1998 n. 79, essere assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale.
(T.A.R. Toscana, sez. II, 20.12.2004, n. 6461, RAmRT, 2004, 138).

Se, infatti, è razionale sottrarre alla procedura v.i.a. quei rinnovi di autorizzazione all'esercizio relativi a impianti autorizzati sulla base di una previa valutazione di impatto ambientale, non altrettanto può dirsi per il rinnovo di autorizzazioni la cui compatibilità ambientale, in sede di realizzazione dell'impianto e di autorizzazione all'esercizio degli stessi, non sia stata previamente accertata.
In questi casi, infatti, occorre necessariamente individuare un momento in cui, entrata in vigore la disciplina di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, si proceda per una prima volta all'assoggettamento alla v.i.a. dell'attività di smaltimento dei rifiuti.
In altri termini, quella verifica dell'impatto ambientale non effettuata in sede di prima autorizzazione deve necessariamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore del decreto legislativo, potendo trovare piena applicazione il regime ivi previsto solo per le successive autorizzazioni, sul presupposto che sia intervenuta una prima verifica di impatto ambientale ai sensi del decreto medesimo.
La giurisprudenza distingue il procedimento oggetto di approvazione del progetto e quello di autorizzazione all’esercizio della discarica.
Solo il primo è soggetto alla v.i.a.

La valutazione di impatto ambientale inerisce esclusivamente al procedimento disciplinato dall'art. 27, d.lg. 5.2.1997, n. 22, relativo all'approvazione del progetto di realizzazione della discarica e, dunque, alla localizzazione della stessa, e non anche a quello, disciplinato dall'art. 28 d.lg. 5.2.1997, n. 22 e dell'art. 17, 4° co., d.lg. 13.1.2003, n. 36, di autorizzazione all'esercizio o alla prosecuzione dell'esercizio dell'impianto di smaltimento dei rifiuti.





2.2. I piani regionali di gestione dei rifiuti.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 22, 23.
Bibliografia Dell’Anno 2000 - Gratani 2004.

La pianificazione regionale stabilisce criteri finalizzati alla gestione dei rifiuti e non più, come in precedenza, agli impianti di smaltimento e alle loro localizzazioni, ai sensi del d. lg. 22/1997.
La disposizione trova origine nell'art. 7 della dir. n. 75/442/CEE che impone alle autorità competenti di cui all'articolo 6 devono elaborare quanto prima uno o più piani di gestione dei rifiuti
La Corte di Giustizia ha dato un'interpretazione elastica della norma osservando che i piani di gestione se non contengono una cartografia dettagliata dei luoghi di smaltimento, devono contenere almeno criteri sufficientemente precisi per identificare l'ubicazione dei medesimi luoghi.
Ne consegue che in mancanza di una cartografia precisa dei luoghi di smaltimento dei rifiuti questi possano essere individuati anche successivamente all'elaborazione del piano di gestione, ma tenuto conto dei criteri ivi stabiliti prima del rilascio dell'autorizzazione individuale (Gratani A. 2004, 666).

L'art. 7 della direttiva n. 75/442/Cee e successive modifiche deve essere interpretato nel senso che il piano di gestione deve contenere una carta geografica in cui sia riportata l'esatta ubicazione dei luoghi di smaltimento dei rifiuti ovvero criteri di ubicazione sufficientemente precisi affinché l'autorità competente possa procedere al rilascio dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 9 della direttiva.
(Corte giust. CE, sez. VI, 1.4.2004, n. 53, RGA, 2004, 665).

Sono, poi, le amministrazioni provinciali che, sulla base di tali criteri, devono fare le scelte concrete.
I piani regionali di gestione dei rifiuti, infatti, ai sensi dell’art. 22, d. lg. 22 del 1997, devono promuovere la riduzione delle quantità, dei volumi e della pericolosità dei rifiuti; essi, inoltre, prevedono:
a) le condizioni ed i criteri tecnici in base ai quali, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, gli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione delle discariche, possono essere localizzati nelle aree destinate ad insediamenti produttivi;
b) la tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella regione, tenendo conto dell'obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'art. 23, d. lg. 22 del 1997, nonché dell'offerta di smaltimento e di recupero da parte del sistema industriale;
c) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di economicità, e l'autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi, all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'art. 23, d. lg. 22 del 1997, nonché adatti ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione dello spostamento di rifiuti;
d) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento; e) i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;
f) le iniziative dirette a limitare la produzione dei rifiuti ed a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il loro recupero;
g) le iniziative dirette a favorire il recupero dai rifiuti di materiali e di energia;
h) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani (Dell’Anno P. 2000, 529).
La deliberazione regionale deve limitarsi a localizzare gli impianti senza delimitare le aree interessate.

E' illegittima la delibera del Consiglio regionale di approvazione del piano dei servizi di smaltimento rifiuti, 2.5.1986 n. 18, nella parte in cui, oltre ad individuare le zone idonee alla localizzazione d’impianti di smaltimento - ambiti territoriali prescelti per le loro caratteristiche naturali allo scopo di delimitare successivamente al loro interno i siti su cui realizzare gli impianti - individui altresì contestualmente tali specifici siti.
La delibera, infatti, produce come effetto la variante degli strumenti urbanistici generali, pur non essendovi alcuna precisa delimitazione delle aree interessate mediante i relativi dati catastali.
L’esatta identificazione degli immobili è presupposto necessario alla variante agli strumenti urbanistici collegato a quella individuazione.
(Cons. Stato, sez. VI, 21.10.1996, n. 1379, RGA, 1997, 573).

Già prima della entrata in vigore della l. 22/1997, la localizzazione degli impianti fissi per lo smaltimento o il recupero dei rifiuti urbani è attribuito alla competenza della regione, che approva le direttive nel piano regionale.

Il potere di localizzazione dei nuovi impianti di trattamento e stoccaggio di rifiuti, sia urbani speciali che tossici e nocivi, è attribuito alla Regione, dalla l. 29.10.1987, n. 441, sulla base di un procedimento necessariamente rapido e caratterizzato dalla partecipazione degli Enti interessati, che può essere attivato in relazione a qualsiasi area che si ritenga idonea.
(Cons. Stato, sez. V, 2.3.1999, n. 217, RGA, 1999, 891).

La Regione ha la potestà di localizzare qualsiasi impianto di smaltimento e stoccaggio di rifiuti non ancora realizzato, nonché di modificare i progetti di localizzazione già approvati - che, sol per questo, non acquisiscono alcun carattere d'immutabilità o intangibilità -.
(Cons. Stato, sez. V, 2.3.1999, n. 212, FA, 1999, 678).

La legislazione regionale ha successivamente disciplinato il procedimento, indicando gli accertamenti tecnici e la documentazione necessaria per addivenire alla localizzazione.

Nella regione Lazio, l'art. 12, l. reg. 11.12.1986, n. 53, subordina la scelta del sito per la localizzazione di una discarica di rifiuti ad un ampio e circostanziato apprezzamento, da parte della p.a., delle possibili conseguenze di danno o di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente, all'uopo non bastando il mero rapporto tecnico che accompagna il progetto dell'impianto, ma occorrendo che la p.a. procedente svolga tutte le attività istruttorie necessarie ad acquisire una seria ed esauriente conoscenza dell'impatto ambientale della discarica.
(Cons. Stato, sez. V, 12.10.1999, n. 1445, FA, 1999, 2083).

La giurisprudenza ha affermato che il termine entro il quale la regione deve approvare o adeguare il Piano regionale di gestione dei rifiuti ha natura ordinatoria, con la conseguenza che la sua scadenza non comporta alcuna decadenza ma la proroga di efficacia dei piani vigenti già approvati (Cons. St., sez. IV, 18.12.2001, n. 6292, Ragiusan, 2002, f. 215-6, 159).
Il piano regionale condiziona la realizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti urbani.

Ai sensi dell'art. 22, 11° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22, la procedura semplificata per la costruzione e l'esercizio o il solo esercizio di un impianto di smaltimento di rifiuti urbani non previsto dal piano regionale di gestione dei rifiuti, sulla base di apposito accordo di programma tra i ministeri interessati e la regione e con conseguente possibilità di attivazione dell'esercizio mediante mera denuncia di inizio di attività, non può trovare applicazione nel caso in cui l'impianto non sia previsto dal piano provinciale di gestione dei rifiuti e non sia intervenuto il detto accordo di programma.
(T.A.R. Toscana, sez. II, 21.3.2001, n. 602, Ragiusan, 2001, f. 211-2, 167).

Il piano è stato considerato immediatamente lesivo e, quindi, soggetto a gravami giurisdizionali.

Poiché il piano regionale di smaltimento dei rifiuti individua, pur in via potenziale e secondo criteri di larga massima, precisi ambiti territoriali per la localizzazione degli impianti con l'effetto, per taluni di essi, di variante agli strumenti urbanistici, il ricorso per l'annullamento del piano non può considerarsi inammissibile per carenza d'interesse.
(Cons. Stato, sez. VI, 18.2.1997, n. 284, GI, 1997, III, 1, 371).

3. La programmazione provinciale.

Legislazione d.lg. 267/2000, artt. 20, 30 - d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 22, 23.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Le Province devono provvedere ad attuare concretamente il piano regionale di gestione dei rifiuti, attenendosi ai criteri in esso stabiliti (Dell’Anno 2000, 496).Esse non hanno, pertanto, competenze in materia di programmazione, ma meramente attuative.

La competenza in ordine alla formazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti è affidata dagli art. 19 e 22 d.lg. 5.2.1997, n. 22, alle regioni, le quali li redigono dopo avere sentito le province e i Comuni; pertanto, la Provincia non detiene nessuna competenza in materia di programmazione - e meno ancora in tema di disciplina sostanziale, con la connessa facoltà di disporre divieti in via generalizzata di autorizzazione - in materia di rifiuti contenenti amianto, nemmeno se riguardati come rifiuti speciali o pericolosi.
(T.A.R. Veneto, sez. III, 26.7.2001, n. 2228, Ragiusan, 2002, f. 219, 156).

Esse devono, quindi, individuare zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani, dando indicazioni plurime per ogni tipo di impianto, rispettando le indicazioni del piano territoriale di coordinamento - di cui all’art. 20, d.lg. 267/2000 - qualora sia stato adottato, avendo interpellato prima i comuni.
Le Province, inoltre, devono individuare le zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e l’organizzazione dei rifiuti a livello provinciale.

Spettano alle province le funzioni relative all'individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero, nonché le funzioni di controllo sulla complessiva attività di gestione, di intermediazione e commercio dei rifiuti, essendo state definite le stesse province, ai sensi dell'art. 23, d.p.r. n. 22 del 1997, come "ambiti territoriali ottimali" (A.t.o.) per la gestione dei rifiuti urbani.
(Corte cost., 28.3.2003, n. 96, Ragiusan, 2003, f. 229-0, 198).

Gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti all’interno delle province sono individuati dal d. lg. 22/1997, salvaguardando disposizioni diverse stabilite da leggi regionali.
Le Province, in tale ambito, devono assicurare una unitaria gestione dei rifiuti - in attuazione del piano regionale - avvalendosi, a tale scopo, degli strumenti gestionali previsti dall'art. 30, d.lg. 267/2000.
La provincia ha il compito di localizzare materialmente le aree anche se non ha compiti costitutivi in ordine all’approvazione del progetto; pertanto, la giurisprudenza non ha ritenuto essenziale al procedimento l’intervento di un suo rappresentante.

L'art. 3 bis, l. 29.10.1987, n. 441, e ribadito dalle norme regionali, nella specie dall'art. 12, l. r. Veneto 16.4.1985, n. 33, nel disporre l'obbligo di esame dei predetti progetti in un'apposita conferenza di servizi cui partecipano anche i responsabili degli uffici regionali ed i rappresentanti degli enti locali interessati, va inteso nel senso che nella sede conferenziale possono essere esaminati non solo i progetti di nuovi impianti, ma anche quelli già esaminati meritevoli di una complessiva rimeditazione.
Nella specie, la provincia, formalmente invitata alla conferenza di servizi, non può legittimamente contestare alla Regione l'indizione per la rivalutazione di una localizzazione già esaminata e bisognevole di approfondimenti istruttori né, tampoco, impedirne il riesame.
E’ irrilevante, pertanto, che il rappresentante della Provincia, presente alla prevista conferenza di servizi, non abbia votato a favore di un determinato progetto, posto che tale rappresentante pur potendo fornire ogni apporto utile in chiave di collaborazione non può impedire alla Regione di decidere la localizzazione dell'impianto.
(Cons. St., sez. V, 2.3.1999, n. 212, CS, 1999, I, 381).

Tali obblighi devono essere soddisfatti entro il 2 marzo 1998; qualora le Province non vi abbiano provveduto le loro funzioni sono svolte, in via di surroga, dalle Regioni.
L’amministrazione provinciale può fare ricorso all’istituto dell'accordo di programma, ex art. 34, d.lg. 18.8.2000, n. 267, che rappresenta un modulo procedimentale ispirato ad esigenze di celerità e concentrazione, attivabile ogni qualvolta la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di Comuni, di Province e Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o, comunque, di due o più tra i soggetti predetti.
La giurisprudenza non ha ritenuto condizionare la localizzazione dei siti di ubicazione della discarica dal perfezionamento degli accordi di programma, per questo il legislatore legittimamente ha assegnato un termine entro il quale le amministrazioni provinciali devono, comunque, provvedere alla individuazione delle zone anche in assenza di accordo (T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 1.2.1996, n. 62, FA, 1996, 3044).
La legislazione regionale ha previsto l’intervento sostitutivo nel caso in cui la provincia non preveda alla localizzazione nei termini perentori assegnati.

La competenza istituzionale all'emanazione dei provvedimenti di localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi urbani spetta alle province - che vi provvedono promuovendo accordi di programma ex art. 27, l. 8.6.1990 n. 142 e, comunque, anche in mancanza di accordo, entro il termine "perentorio" di sessanta giorni dall'entrata in vigore l. reg. Puglia 13.8.1993, n. 17
Decorso detto termine la giunta regionale deve nominare un commissario ad acta tenuto a provvedere in via sostitutiva.
Nell'assenza di indicazioni normative, la competenza sostitutiva è, a sua volta, assoggettata ad analogo termine perentorio, che, in ipotesi di mancata emanazione degli atti localizzativi a cura del commissario ad acta nel termine assegnatogli, la competenza deve ricondursi all'amministrazione cui essa spetta in via "istituzionale" e "ordinaria", sembra evidente che l'inutile spirare del termine assegnato all'amministrazione provinciale comporta mero spostamento di competenza - se del caso temporaneo - e non già una incompetenza assoluta ovvero una radicale carenza di potere.
(T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 13.2.1996, n. 98, FA, 1996, 3045).


4. La funzione dei comuni.


Legislazione l. l. 7.8.1990, n. 241,, art. 7.

I Comuni devono organizzare la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficacia, di efficienza e di economicità.
Il servizio può espletarsi anche a mezzo di società partecipate purché con procedure pubbliche di appalto.

È illegittimo l'affidamento diretto da parte del Comune del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani ad una società partecipata dal Comune medesimo, in quanto ai sensi dell'art. 113, 5° co., d.lg. n. 267 del 2000, deve sempre esperirsi procedura ed evidenza pubblica per il conferimento della titolarità del servizio a società di capitali. Né tantomeno può ritenersi inapplicabile la predetta norma per la mancanza dell'ulteriore intervento regolamentare del governo finalizzato ad individuare i servizi pubblici a rilevanza industriale, posto che tale intervento assolve solo una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa.
I comuni non hanno funzioni in merito alla localizzazione, ma devono essere ascoltati.
La mancata consultazione ancorché la legge non configuri il loro parere come vincolante, rende illegittima la localizzazione dell’impianto.

I comuni, ancorché appartenenti ad altra regione, il cui territorio sia limitrofo all'area prescelta per la realizzazione di una discarica di smaltimenti di rifiuti, sono portatori di interesse oppositivo alla localizzazione dell'impianto e, pertanto, debbono ricevere l'avviso di avvio del relativo procedimento, come previsto dall'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, affinché possano intervenire nello stesso per prendere visione degli atti e presentare memorie scritte e documenti.
(T.A.R. Abruzzo sez. L'Aquila, 12.12.1997, n. 633 RGSan, 1998,f. 170-1, 145).

Parimenti è illegittima la limitazione dell’intervento di consultazione escludendo uno o più comuni interessati.

La deliberazione di giunta provinciale, nell'ammettere l'intervento alla conferenza di servizi solo del rappresentante del Comune nel cui territorio è prevista la localizzazione di impianto di smaltimento di rifiuti, introduce una irragionevole ed illegittima limitazione alla partecipazione dei rappresentanti di Comuni limitrofi che, in ragione della relativa prossimità spaziale dell'impianto stesso - e, quindi, della potenziale ricaduta dei suoi effetti negativi - siano portatori di un qualificato interesse esponenziale ad interloquire, nella fase procedimentale acquisitiva di tutti gli elementi conoscitivi utili sull'impatto ambientale e territoriale di esso.
(T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 23.9.1995, n. 950, FA, 1996, 2055).



5. Le forme speciali di gestione dei rifiuti.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 13 – d.lg. 267/2000, art. 54.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, purché non vi siano conseguenze di danno o di pericolo per la salute e per l'ambiente (Dell’Anno P. 2000, 498).
Dette ordinanze sono comunicate al Ministro dell'ambiente ed al Ministro della sanità entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi.
Le ordinanze di necessità nella materia della gestione di rifiuti sono attualmente disciplinate dall'art.
13 del d. lg. n. 22/1997 e si inseriscono nel genus dei provvedimenti contingibili ed urgenti disciplinati dall'art. 54 del d. lg. 18.8.2000, n. 267, adottabili al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini.
La giurisprudenza afferma che l'ordinanza contingibile ed urgente che il sindaco può emanare, in materia di smaltimento dei rifiuti, ha come presupposti:
a) una necessità eccezionale ed urgente di tutelare la salute pubblica o l'ambiente, non riducibile solo a calamità naturali e non fronteggiabile altrimenti;
b) la limitazione nel tempo (efficacia non superiore a sei mesi, con possibilità di due reiterazioni);
c) la inevitabilità del ricorso a forme di smaltimento straordinario dei rifiuti.
La giurisprudenza ha riconosciuto la legittimità di ordinanze siffatte anche nel caso in cui la situazione di pericolo perduri da tempo e, addirittura, quando debba imputarsi ad inerzia colpevole dell'Amministrazione (Cass. Pen., Sez. III, 16.10.1998, n. 3143).
L'adozione delle stesse è discrezionale, ma la discrezionalità si affievolisce con l'aumentare della gravità dell'emergenza da affrontare, fino a diventare un vero e proprio potere - dovere.
La eccezionalità del provvedimento impone comunque una durata complessiva pur sempre temporanea e razionalmente correlata alla eccezionalità della situazione che si è reso necessario fronteggiare.
La giurisprudenza riconosce al giudice penale il sindacato di legittimità sul potere del sindaco di emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti ex art. 13, d.lg. 5.2.1997 n. 22, atteso che l'ordinanza di necessità non costituisce un titolo di legittimazione sostitutivo dell'autorizzazione regionale, bensì una causa speciale di giustificazione per quelle attività di smaltimento di rifiuti non autorizzate che diversamente integrerebbero un'ipotesi di reato (
Cass. Pen., sez. III, 20.1.2005, n. 17414).

Premesso che anche le discariche comunali devono essere autorizzate dalla regione e che l'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti per lo smaltimento temporaneo dei rifiuti, in assenza di detta autorizzazione, è subordinato ad una serie di precisi presupposti che ne condizionano la legittimità, è da ritenersi configurato il reato di cui all'art. 51 comma 3 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 (gestione di discarica abusiva) a carico del sindaco il quale abbia utilizzato tale potere non per fronteggiare una situazione d'emergenza ma per risolvere il problema della normale gestione dei rifiuti in attesa della costruzione ed approvazione di una discarica consorziale.


6. La bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.


Legislazione c.c., art. 2748, 2° co. - d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 17, 3°, 10°, 11°co.

L’art. 17, d.lg. 5.2.1997, n. 22, ha introdotto il principio che afferma che un sito è considerato inquinato quando determinate sostanze presenti nel suolo superano, o rischiano di superare, i valori di concentrazione fissati in apposite tabelle.
La norma ha carattere di generalità, pertanto, in mancanza di diversa legge speciale, è applicabile anche nel caso di inquinamento del suolo causato da attività diverse da quelle della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
La normativa di cui all'art. 17, d.lg. n. 22 del 1997, appare conforme al diritto comunitario, in quanto il concetto di azione preventiva, connesso alle primarie esigenze di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, va inteso in termini di natura prioritaria della bonifica, anche con l'adozione di misure specifiche tra cui quelle a carico del mero detentore, come desumibili espressamente dalla stessa normativa comunitaria vigente (T.A.R. Liguria, sez. I, 12.10.2005, n. 1348).
La competenza ad adottare i provvedimenti di bonifica spetta ai dirigenti comunali

La peculiarità degli atti amministrativi adottati ai sensi dell'art. 17, d.lg. n. 22 del 1997 li rende non sono assimilabili a quelli previsti all'art. 14, d.lg. n. 22 del 1997, specificamente rimessi fra le attribuzioni del sindaco, cosicché rientrano nella competenza generale dei dirigenti.

La procedura prevede la emanazione di una apposita autorizzazione su richiesta del comune da parte della regione.

3. I soggetti e gli organi pubblici che nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell'inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla provincia ed alla Regione.
4. Il Comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione. L'autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa i tempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica medesimo. Se l'intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un'area compresa nel territorio di più Comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla Regione.
5. Entro sessanta giorni dalla data di presentazione del progetto di bonifica la Regione può richiedere al Comune che siano apportate modifiche ed integrazioni ovvero stabilite specifiche prescrizioni al progetto di bonifica.
omissis
7. L'autorizzazione di cui al comma 4 costituisce variante urbanistica, comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità dei lavori, e sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente per la realizzazione e l'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all'attuazione del progetto di bonifica.
(art. 17 d.lg. n. 22/1997).

Il provvedimento amministrativo è censurabile presso la giustizia amministrativa sia sotto il profilo oggettivo dell’entità dell’inquinamento sia sotto il profilo soggettivo della responsabilità dell’autore dell’illecito.

E’ illegittima l'ordinanza di bonifica di un sito inquinato adottata ai sensi l'art. 17, d.lg. 5.2.1997, n. 22, che non sia stata preceduta da opportuni accertamenti, volti a verificare il profilo soggettivo dell'evento rilevato, e non fornisca piena e particolareggiata contezza dell'attività istruttoria e della motivazione a sostegno dell'individuazione del responsabile del superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione del suolo e delle acque.

Gli interventi di bonifica sono a carico dei proprietari o dei soggetti che hanno effettuato l’inquinamento.

La norma di cui all'art. 17, d.lg. 22 del 1997, che individua espressamente il responsabile, non lascia alcun margine di valutazione alternativa in capo all'amministrazione: per legge il responsabile dell'inquinamento deve bonificare il sito inquinato, anche se nel frattempo sia venuta meno la disponibilità giuridica e/o materiale del sito inquinato.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 12.10.2005, n. 1348).

L'art. 17, 10° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22, accolla anche al proprietario dell'area, in solido con l'eventuale responsabile diretto, la rimozione, l'avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi, precisando che gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale costituiscono "onere reale sulle aree inquinate" ; in termini di conseguenzialità.

Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate da rifiuti tossici si configurano come onere reale sulle aree medesime, e le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale delle aree inquinate da rifiuti tossici sono assistite da privilegio speciale immobiliare inscrivibile sulle aree medesime, a norma e per gli effetti dell'art. 2748, 2° co., c.c., indipendentemente dall'accertamento della responsabilità del proprietario.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 12.10. ottobre 2005, n. 1348).

Altra giurisprudenza afferma invece che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e di ripristino ambientale, devono essere posti a carico dei "responsabili", cioè di coloro che, con la loro condotta commissiva od omissiva, abbiano causato, o concorso a causare, il superamento dei limiti (di cui al comma 1, lett. a), del citato articolo) di accettabilità della contaminazione ambientale, in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti. L'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che sono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 25.5.2005, n. 2174, FATAR, 2005, f. 6, 1911, nota Chinello).

Il proprietario del sito, ove non sia responsabile della violazione, non ha l'obbligo di provvedere, direttamente alla bonifica, ma solo l'onere di provvedervi se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area di onere reale e di privilegio speciale immobiliare, ex art. 17, 10° e 11° co., d.lg. 22/1997.
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 8.10.2004, n. 5473, RGE, 2005, I, 183)

Altra giurisprudenza afferma che detti obblighi di bonifica e ripristino previsti - nel caso in cui i responsabili del degrado non siano individuati - vanno addossati al comune territorialmente competente ed in subordine alla Regione, non anche all'amministrazione provinciale.

7. L’autorizzazione regionale per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 27, 28, 30, 4° co., 44, 45, 46.
Bibliografia Amendola 1998 - Dell’Anno 2000.

L’obbligo della preventiva autorizzazione regionale per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e per l’esercizio delle operazioni di smaltimento è sancito dagli artt. 27, 28, d. lg. 5.2.1997, n. 22 (Amendola G. 1998, 54).
L’obbligo è generale per ogni attività connessa con lo smaltimento sia essa industriale o agricola.

Ogni attività di smaltimento, recupero o riutilizzo di rifiuti, anche per fini di lombrichicoltura, è subordinata all'autorizzazione regionale ed alle attività di controllo di cui agli art. 28 e 33 d.lg. 5.2.1997 n. 22.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 15.10.2004, n. 11122, DAG, 2005, 257, nota Orlando).

L’autorizzazione, come conferma la giurisprudenza, è necessaria solo per i nuovi impianti.

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 bis, l. 29.10.1987, n. 441, per nuovo impianto di smaltimento deve intendersi o un impianto creato ex novo, o un impianto che, a seguito di ristrutturazione, si riferisca ad una diversa fase di smaltimento ovvero ad una diversa tipologia di rifiuti rispetto alla fase e alla tipologia precedenti.
Nel caso, invece, di modifiche del processo tecnologico di trattamento dei rifiuti, ferma restando la quantità e tipologia generale dei rifiuti, non può parlarsi di impianto nuovo.
Ciò trova conferma nell'art. 27, d.lg. 5.2.1997, n. 22, dal quale si evince che non ogni modifica dell'impianto costituisce nuovo impianto, ma solo le varianti di carattere sostanziale che rendono gli impianti non più conformi all'autorizzazione rilasciata.
(Cons. Stato, sez. IV, 6.11.1998, n. 1440, RGA, 1999, 528).

La determinazione di volontà conclusiva del procedimento volto all'approvazione del progetto ed all'autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti - immediatamente incidente sugli interessi pubblici e privati coinvolti - è riferibile esclusivamente all'organo provinciale, qualora delegato dalla legislazione regionale.

La provincia secondo la previsione di cui all'art. 6, l. r. Veneto 21.1.2000, n. 3, non è neppure strettamente vincolata dal parere reso dalla Conferenza di servizi di cui all'art. 27, d.lg. n. 22 del 1997. Quest'ultima, infatti, in detta materia, non costituisce un organo collegiale con funzioni decisorie, dove le singole manifestazioni di scienza e volontà si fondono, ma soltanto uno strumento procedimentale di emersione e comparazione di interessi pubblici, quale strumento di collaborazione e di accelerazione del procedimento. Conseguentemente, la parte resistente nei giudizi proposti avverso la decisione di consentire l'impianto, o di negare l'autorizzazione, è soltanto la Provincia e non le autorità intervenute alla Conferenza di servizi, le quali vi svolgono una funzione meramente consultiva, sicché non è possibile imputare loro l'atto finale del procedimento.

L’autorizzazione ha una durata di 5 anni ed è rinnovabile (Dell’Anno 2000, 541).
Qualora il recupero e lo smaltimento siano attuati in difformità dall’autorizzazione, la stessa può essere sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di 12 mesi.
Il titolare dell’autorizzazione, nel periodo della sospensione, deve provvedere ad uniformarsi alle prescrizioni dell’atto di sospensione; qualora egli non si adegui l’autorizzazione deve essere revocata.
La provincia esercita i poteri di autotutela sul provvedimento autorizzativo.

È legittimo l'annullamento d'ufficio da parte della Provincia dell'autorizzazione allo smaltimento, rilasciata ex art. 28, d.lg. 5.2.1997, n. 22, alla società che gestisce una centrale termoelettrica a carbone e provvede al recupero di reflui dal proprio impianto di trattamento delle acque di processo, in quanto assentita in mancanza dell'approvazione del progetto dell'impianto, di cui al precedente art. 27, non potendosi applicare al caso in esame la procedura autorizzatoria semplificata, di cui agli art. 31, 32 e 33, predetta l. delegata, non essendo il rifiuto direttamente recuperabile per attività economiche, ai sensi del d.m. 5.2.1998, in quanto necessita di ulteriore trattamento (miscelazione dei fanghi con il carbone) con operazioni da esso non contemplate, e non essendo individuato dai codici in detto decreto elencati, onde si dovranno richiedere le autorizzazioni previste in via ordinaria.
(T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 23.3.2004, n. 104, FATAR, 2004, 637).



8. L’istruttoria del progetto a mezzo della conferenza di servizi.

Legislazione l. 241/1990, art. 14 ter - d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 27 - l. 205/2000, ex art. 2 - l. 340/2000, artt. 10, 3°, 4° co., 12.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Il regime autorizzatorio al quale è assoggettato l’impianto di smaltimento o di recupero dei rifiuti urbani speciali e pericolosi, richiede un fase intermedia di approvazione del progetto di competenza della regione (Dell’Anno P. 2000, 536).
L’istruttoria si raccorda con quella relativa alla valutazione di impatto ambientale, che è richiesta come obbligatoria.

Il procedimento di localizzazione e di autorizzazione per la gestione di un impianto di smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi deve essere sottoposto al procedimento di valutazione di impatto ambientale in quanto le opere inerenti ai suddetti tipi di rifiuti non sono sottratte, in modo anticipato, alla V.I.A.
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 21.4.1999, n. 1311, RGA, 1999, 934).

L’autorizzazione è rilasciata dalla Regione.
L’amministrazione deve esaminare ed approvare i progetti riguardanti i nuovi impianti di smaltimento compresi nel piano regionale di gestione dei rifiuti.
Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda il responsabile del procedimento deve essere designato dalla Regione, che deve anche convocare una conferenza cui sono invitati a partecipare i responsabili degli uffici regionali competenti, i rappresentanti degli enti locali interessati e il richiedente l’approvazione.
Entro 90 giorni la conferenza deve pronunciarsi in merito e, successivamente, nel termine di 30 giorni, la Regione deve concedere l’approvazione o deliberare la non approvazione del progetto.
I progetti di autosmaltimento - se riguarda rifiuti pericolosi - e quelli che concretizzano varianti sostanziali agli impianti esistenti - nel caso tali varianti facciano risultare l’impianto non conforme all’autorizzazione - si devono pure sottoporre a tali procedure.
L’istruttoria è svolta mediante una conferenza di servizi composta dai responsabili regionali competenti e dai rappresentanti degli enti locali, pema l’illegittimità della procedura.

È illegittima, per violazione dell'art. 27, d.lg. n. 22 del 1997, una conferenza di servizi, indetta ai sensi della norma predetta per l'autorizzazione e la gestione di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali, nel caso in cui non siano stati convocati tutti i comuni limitrofi e confinanti con il territorio del comune sede della discarica.
(Cons. St., sez. V, 28.5.2004, n. 3451, GI, 2004, 1950.

La composizione della conferenza deve essere tassativamente rispettata a pena di illegittimità dell’intera procedura.

Illegittimamente il Commissario delegato per l'attuazione degli interventi di emergenza consistenti nella localizzazione dell'impianto di selezione e compostaggio di rifiuti solidi urbani nell'area "ex Maserati" in territorio del Comune di Milano si è avvalso di comitati tecnici di propria istituzione, e non di un comitato tecnico nominato d'intesa con il Ministero dell'ambiente, come previsto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri.
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 11.6.1997, n. 918, RGA, 1998, 105).

La procedura è ora da raccordarsi con l’innovazione contenuta dall’art. 10, l. 340/2000.
Essa prevede che l’interessato all’esecuzione dei lavori possa richiedere la convocazione della conferenza prima della presentazione del progetto definitivo al fine di verificare le condizioni per ottenere il consenso alla realizzazione dell’opera.
Analogamente, sulla scorta della presentazione del progetto preliminare, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale devono indicare le eventuali condizioni per ottenere il consenso entro il termine di quarantacinque giorni dalla domanda.
L’art. 10, 3° co., l. 340/2000, cerca di dipanare i rapporti tra conferenza e autorità preposta alla approvazione della valutazione di impatto ambientale, imponendo alla conferenza di esprimersi entro trenta giorni alla conclusione della fase preliminare di definizione dello studio di impatto ambientale.
Le indicazioni fornite dalla conferenza possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, ex art. 10, 4° co., l. 340/2000.
Queste norme, avendo natura di norme quadro generali, si applicano alle altre conferenze di servizi disciplinate dalla legislazione speciale.
Viene regolamentata la modalità di convocazione, riducendo la possibilità di assenze attraverso un meccanismo in contraddittorio con le amministrazioni interessate, che devono concordare la data di convocazione in caso di impedimento.
Al fine di rendere più spedita la procedura che può proseguire anche con approvazione a maggioranza si richiede che i pareri contrari siano motivati.
Il dissenso per essere legittimo deve essere espresso direttamente nell’ambito delle riunioni della conferenza, deve essere congruamente motivato e deve esprimere le indicazioni richieste perché il progetto sia oggetto di approvazione, ex art. 12, l. 340/2000, mod. art. 14 ter, l. 241/1990.
Nel caso in cui una amministrazione abbia dichiarato, anche nel corso della conferenza, il proprio motivato dissenso, l’amministrazione procedente può assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento.
Analogamente l’amministrazione procedente può adottare la propria decisione se la conferenza non si è espressa nei tempi indicati.
La determinazione è immediatamente esecutiva.
Nel caso di dissenso motivato – è da ritenere che il dissenso non motivato equivalga ad assenso – di una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, paesaggistico ambientale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute la decisione deve essere rimessa al Presidente del Consiglio dei ministri, ove amministrazione procedente o quella dissenziente sia una amministrazione statale, negli altri casi la decisione è presa dal Presidente della regione, dal Presidente della provincia o dal sindaco.
L’autorità di controllo deve esercitare il suo potere nel termine tassativo di trenta giorni, salva la possibilità di prorogare l’istruttoria di sessanta giorni, dopo di che l’autorità procedente o il richiedente può adire la giustizia amministrativa per fare dichiarare la illegittimità del silenzio, ex art. 2, l. 205/2000.
La l. 340/2000 conferma la tendenza, consolidata dalla legislazione precedente, che sancisce la prevalenza degli interessi pubblici affidati alla regione su quelli urbanistici del comune sul cui territorio è destinato ad essere insediato l’impianto, limitandosi a contemperare tale predominio a livello di istruttoria procedimentale mediante lo strumento partecipativo alla conferenza secondo l’insegna mento della suprema corte.

E' illegittimo, per violazione dell'art. 117, Cost., e per contrasto con il principio fondamentale espresso dall'art. 3-bis del d.l. 31.8.1987, n. 361, in forza del quale ogni Ente locale coinvolto nelle determinazioni relative all'approvazione dei progetti di nuovi impianti di trattamento e di stoccaggio dei rifiuti deve essere posto in grado di presentare tutti gli elementi relativi alla compatibilità con le esigenze ambientali e territoriali, secondo il metodo del raccordo, del reciproco coordinamento e della comune valutazione, l'art. 3, 8° e 9° co., l. r. Lombardia 9.9.1989, n. 42.
La illegittimità è limitata alla parte in cui, disciplinando il procedimento di autorizzazione alla costruzione e gestione di discariche di rifiuti solidi urbani, stabilisce che la Giunta regionale si avvale, per gli adempimenti istruttori, di un apposito "gruppo di valutazione" composto dai responsabili dei servizi regionali interessati, trattandosi non di apposita Conferenza di servizi, finalizzata alla raccolta, valutazione e espressione dei diversi interessi coinvolti - come previsto dalla normativa statale di principio - bensì di organismo interno all'Amministrazione regionale, alle cui riunioni la partecipazione dei Comuni interessati è resa possibile e non necessaria.
(Corte cost., 19 marzo 1996, n. 79, RP, 1996, 692).


9. L’approvazione del progetto.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 27, 5° co.
Bibliografia Centofanti 1999 (2).

La conferenza deve sempre muoversi nel rispetto della normativa vigente non essendo ad essa conferito alcun potere di deroga rispetto ad atti amministrativi generali efficaci.

Lo spazio all'interno del quale si muove la conferenza non è quello della deroga, ma quello della composizione delle discrezionalità amministrative e dei poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà delle singole amministrazioni, nel rispetto dell'ordinamento normativo e amministrativo vigente.
(Cons. Stato, sez. I, 5.11.1997, n. 1622, RGE, 1998, I, 435).

L’approvazione del progetto costituisce variante dello strumento urbanistico e ha natura di piano attuativo, a cui la legge riconosce l’effetto della dichiarazione di pubblica urgenza ed indifferibilità dei lavori (Centofanti N. 1999 (2), 79).
Viene conferita, in tal modo, all’immobile una qualità giuridica, che è condizione essenziale perché esso possa essere oggetto di un futuro provvedimento di esproprio.
Trattandosi di una scelta discrezionale propria della pianificazione urbanistica non necessità di particolari motivazioni oltre alla valutazione urbanistica dell’intervento.

L'approvazione del progetto esecutivo per la realizzazione di una stazione di trasferimento e di un impianto per la selezione di rifiuti solidi urbani e ad essi assimilati costituisce, ai sensi dell'art. 27, 5° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22, variante al piano regolatore generale per consentire la localizzazione dell'opera, e come tale non necessita di specifica motivazione in ordine alla comparazione tra l'interesse pubblico da realizzare e il sacrificio imposto al privato, oltre a quella insita nella natura della opera pubblica da realizzare.
Il progetto per la realizzazione di una stazione di trasferimento e di un impianto per la selezione di rifiuti solidi urbani e rifiuti ad essi assimilati non tossici né nocivi richiede, ai sensi del d.p.r. 12.4.1996, GU 7.9.1996, n. 210, da ritenersi provvedimento di immediata precettività, la valutazione di impatto ambientale, adempimento al quale è tuttavia equiparabile il preventivo studio di impatto ambientale dell'opera cui il committente abbia provveduto e che sia stato oggetto di valutazione da parte dell'ente territoriale competente.
(T.A.R. Toscana sez. II, 28.4.1999, n. 430, UA, 2000, 176).

Il piano di localizzazione delle discariche, nonostante la sua valenza di strumento di individuazione delle zone parzialmente idonee per l'insediamento degli impianti di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell'art. 6, lett. b), d.p.r. 10.9.1982, n. 915, può avere anche il carattere d'individuazione dei relativi siti con il connesso effetto conformativo sul piano urbanistico ai sensi della l. 29.10.1987, n. 441, purché venga osservata la precisa delimitazione delle zone e l'identificazione delle aree interessate mediante i relativi dati catastali, come necessariamente presupposto dall'effetto di variante agli strumenti urbanistici con efficacia espropriativa collegato a quella individuazione.
(Cons. Stato, sez. IV, 24.6.1999, n. 1046, FA, 1999, 1221).

10. Le sanzioni amministrative.

Legislazione d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 14, 50, 51, 52, 55.
Bibliografia Maglia Medugno 1999 - Fimiani 2000.

Le infrazioni più lievi alle disposizioni del d. lg. 22/1997 sono punite con sanzioni amministrative
L’art. 50, d. lg. 22/1997, punisce l’abbandono di rifiuti con la sanzione amministrativa pecuniaria che può variare da lire duecentomila a lire un milioneduecentomila (Fimiani P. 2000, 348).
Tale infrazione differisce dalla attività di gestione di rifiuti – punita come contravvenzione dal successivo art. 51, d. lg. 22 del 1997, - per il fatto che il deposito deve essere occasionale e non deve esistere una azione continuativa nello smaltimento.
Se il divieto in questione è violato dai titolari di imprese ed enti scatta una sanzione penale in base all’art. 51, 2° co., vedi Cap. VIII, n. 11 (Maglia S. Medugno M. 1999, 235).

Lo scarico sulla sponda di un fiume di materiale inerte, effettuato mediante un unico trasporto con automezzo e, dunque, avente natura occasionale, non integra il reato di discarica abusiva di cui all'art. 51, d. lg. 22 del 1997, ma configura la violazione del divieto di abbandono di rifiuti previsto dall'art. 14, d. lg. 22 del 1997, punita con sanzione amministrativa dall'art. 50, d. lg. 22 del 1997, trattandosi di illecito commesso da un privato.
Nella specie si è trattato di abbandono di blocchi di calcestruzzo provenienti dalla demolizione di un manufatto di proprietà del soggetto agente.
(Pret Udine, 1.7. 1998, RP, 1998, 899).

E’ punita, parimenti, con sanzione amministrativa la mancata denunzia dei rifiuti prodotti e smaltiti nell'anno precedente.
La condotta del titolare di un insediamento produttivo, che abbia omesso di presentare, nel termine previsto dalla legge, la denunzia dei rifiuti prodotti e smaltiti nell'anno precedente, era già punita dagli artt. 3 e 9 octies, l. 9.11.1988, n. 475.
L’inadempimento ora non costituisce più reato, ma illecito amministrativo, disciplinato dall'art. 52, 1° co., d. lg. 22/1997,.

Il giudice, una volta pronunziata sentenza di proscioglimento, deve trasmettere, in base al disposto dell'art. 55, 3° co., gli atti all'amministrazione provinciale competente, ai fini della applicazione delle sanzioni amministrative, anche se l'esercizio di siffatta potestà appare problematico in assenza di norme di contenuto identico a quelle degli artt. 38 e 41, l. 24.11.1981, n. 689.
(Pret. Pavia, 25.3.1997, GM, 1997, 807).

L’art. 55, d. lg. 22/1997, dispone che all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la provincia nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall'art. 50, per le quali è competente il comune.
Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative è esperibile il giudizio di opposizione di cui all'art. 23, l. 24.11.1981, n. 689.
La violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari è punita dall’art. 52, d. lg. 22/1997.



10.1. La giurisdizione amminsitrativa. L’interesse all’impugnazione.

Legislazione l. 441/1987, art. 3 bis.
Bibliografia Satta 1997 - Carosi 2003.

Gli atti di localizzazione di una discarica sono soggetti alla giurisdizione amminsitrativa.
La giurisprudenza ha precisato che sono impugnabili anche gli atti interni del procedimento.

Il principio della inoppugnabilità degli atti interni al procedimento deve ritenersi derogato nell'ipotesi in cui una determinazione amministrativa produca l'effetto di arrestare definitivamente un procedimento preordinato all'emanazione di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica degli interessati.
Ciò al fine di assicurare alle posizioni giuridiche in attesa di espansione - cosiddetti interessi pretensivi - la tutela giurisdizionale di cui altrimenti rimarrebbero prive.
Fattispecie relativa alla revoca di deliberazione di localizzazione di un impianto di smaltimento rifiuti.
(Cons. Stato sez. V, 30.3.1994, n. 214, FA, 1994, 485).

Sono legittimati al’impugnativa i Comuni, nel cui territorio deve essere insediata una discarica, sotto il duplice profilo sia di enti esponenziali dei residenti sia di amministrazioni titolari del potere pianificatorio in materia urbanistica, stante l'incidenza che la discarica ha, comunque, sul territorio.
Sul piano della individuazione dei soggetti privati legittimati, la giurisprudenza, soprattutto di primo grado, si è trovata a fronteggiare schiere di cittadini che, nei modi più svariati, hanno manifestato la volontà di opporsi alla realizzazione delle discariche invocando la propria legittimazione cui non sempre corrisponde un vero e proprio interesse legittimo che, nell'ambito della giustizia amministrativa, è l'altra faccia dell'interesse a ricorrere processualcivilisticamente inteso.
La dottrina evidenzia la tendenza della giurisprudenza amministrativa a riconoscere la legittimazione ad agire a fasce sempre più ampie di popolazione, con la conseguenza giuridica di una mitigazione dei criteri di verifica dell'esistenza dell'interesse legittimo a favore di uno sguardo globale alla posizione del cittadino (Carosi A. 2003, 200).
La dottrina esige che per potere accedere alla tutela giurisdizionale amministrativa il titolare abbia uno specifico interesse al ricorso che deve essere personale diretto ed attuale (Satta 1997, 160).
La giurisprudenza ha utilizzato un criterio per individuare i soggetti interessati all’impugnazione alla localizzazione del sito, limitando l’impugnazione ai soggetti confinanti o che, comunque, possano dimostrare un danno dall’esecuzione dell’opera. Non è sufficiente a tal fine il generico riferimento ai danni ambientali che deriverebbero dall'esercizio dell'impianto.

Avverso il provvedimento di localizzazione di una discarica, legittimati ad agire sono coloro i quali che dimostrino di essere proprietari o affittuari o coltivatori diretti dei fondi limitrofi alle aree su cui verrà realizzato l'impianto, essendo sufficiente la mera vicinitas di un fondo alla discarica stessa indipendentemente dalla prova del danno che, da questo, essi ricevono sia per la riduzione del valore economico del fondo sia per le modalità di gestione dell'impianto, prescritte dalla competente Autorità, inidonee a salvaguardare il diritto fondamentale alla salute di chi vive nelle sue vicinanze.

Una corrente più restrittiva ritiene che anche il proprietario confinante deve produrre la dimostrazione del danno per potere impugnare la localizzazione.

Il proprietario del fondo contiguo al terreno sul quale è prevista la localizzazione di una discarica di rifiuti non è legittimato ad impugnare il provvedimento autorizzatorio dell'opera.
La vicinanza del fondo non è da sola sufficiente a radicare nel proprietario una situazione di interesse legittimo differenziato, essendo necessaria la prova del danno che da questo egli riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del proprio fondo o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze.
La mera vicinanza di un fondo ad una discarica non è in grado ex se di legittimare il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questo egli riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto, sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze.
Da ciò consegue, pertanto, che il mero collegamento di un fondo con il territorio sul quale è localizzata una discarica non è da solo sufficiente a legittimare il proprietario a provocare uti singulus, il sindacato di legittimità su qualsiasi provvedimento amministrativo preordinato alla tutela di interessi generali che nel territorio comunale trovano la loro esplicazione.
(Cons. Stato, sez. IV, 13.7.1998, n. 1088, RGE, 1998, I, 1391).

L’interesse a ricorrere è stato riconosciuto anche ad un comune diverso da quello che ha ottenuto la localizzazione, purché lamenti eventuali danni riconducibili all’impianto collocato a ridosso dei suoi confini.

Un comune è legittimato ad impugnare gli atti di localizzazione di un impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti urbani speciali tossici e nocivi in area sita interamente in altro Comune, ma in luogo confinante con il proprio territorio, sicché l'impianto può comunque produrre un impatto su quest'ultimo.
L'impugnazione degli atti di localizzazione di un impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti urbani speciali tossici e nocivi non è preclusa né dalla finalità di interesse pubblico perseguita con la localizzazione, né dalla omessa dimostrazione in concreto di un pericolo derivante dall'impianto, essendo sufficiente prospettare possibili ripercussioni negative derivanti dall'impianto e l'intervenuta localizzazione nel sito prescelto attraverso atti ritenuti illegittimi.
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 11.6.1997, n. 918, RGA, 1998, 105).

Naturalmente le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizio possono impugnare i relativi provvedimenti qualora abbiano espresso il loro parere contrario.

Pur in presenza di conforme destinazione urbanistica del suolo, i provvedimenti che in concreto dispongono l'ubicazione su quel suolo di un impianto per smaltimento rifiuti, a conclusione di un procedimento più ampio
rispetto a quello concernente la destinazione urbanistica e che riguarda una pluralità di amministrazioni, caratterizzato da nuove e più ampie valutazioni, assumono una autonoma efficacia lesiva e radicano un interesse a ricorrere nuovo, che si ricollega anche alle caratteristiche concrete dell'impianto e alla sua portata sul territorio.
Nel caso in cui nel corso del procedimento conducente alla localizzazione di una discarica per lo smaltimento di rifiuti, alcuni soggetti partecipanti non abbiano espressamente fatto propria, appoggiandola, la soluzione prescelta, sia perché assenti in sede di conferenza prevista dall'art. 3 bis, l. 29.10.1987, n. 441, sia perché espressamente dichiaratisi contrari, gli stessi possono impugnare la decisione, atteso che proprio la partecipazione al procedimento comprova la esistenza di una posizione di interesse sostanziale che non può ritenersi priva della relativa protezione processuale.
(T.A.R. Molise, 17.9.1997, n. 162, RGSan, 1998, f. 172, 88).

La giurisprudenza esclude invece per gli enti locali la qualifica di controinteressato al provvedimento di localizzazione.

Nell'ambito di un procedimento di autorizzazione alla localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti, i comuni non assumono la posizione di controinteressati neppure se abbiano esposto un parere negativo, poiché la loro partecipazione è finalizzata alla miglior tutela dell'interesse pubblico di cui è portatrice l'autorità emanante - nella specie la regione - e non già alla tutela di un interesse diverso e personale degli stessi.
(Cons. Stato, sez. IV, 28.11.1994, n. 968, RGE, 1995,I, 451).



10.2. Il potere cautelare del sindaco.

L'ordinanza del sindaco contenente l'ordine di cessazione dell'attività di stoccaggio di rifiuti solidi e di smaltimento in discarica autorizzata, adottata sulla base del rilievo che in una conferenza di servizi tenutasi alcuni mesi prima dell'adozione del provvedimento era emersa la mancanza di autorizzazione antincendio, deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento. È evidente, infatti, che, in tal caso, non sussiste affatto la situazione d'urgenza tale da non preavvisare l'interessato dell'intento dell'amministrazione comunale; tanto più che il preavviso avrebbe consentito all'interessato di interloquire onde apportare, nell'interesse della stessa amministrazione comunale e della comunità amministrativa, utili chiarimenti in una materia che richiede alcune cognizioni scientifiche e che non può essere affrontata solo nella considerazione dell'allarme sociale creato dal "continuo stillicidio di notizie da parte degli organi d'informazione", così come invece è testualmente scritto nel provvedimento del sindaco.
P. c. Com. Statte
Comuni Italia 2004, f. 9, 93 (s.m.)


Il provvedimento adottato dal sindaco e dai Responsabili dei settori specifici, ai sensi dell'art. 14 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, dell'art. 54 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, con il quale si ordina di provvedere alla rimozione, all'avvio, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti giacenti nel terreno, mediante anche la recinzione metallica, entro 30 giorni dalla notifica, decorsi i quali si procederà in danno dei proprietari con il recupero delle somme anticipate è una ordinanza sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale, la cui misura sanzionatoria è eventuale, ai sensi dell'art. 54 comma 4 d.lg. n. 267 del 2000, e non un'ordinanza-ingiunzione di pagamento avente le caratteristiche di cui all'art. 22 ss. l. n. 689 del 1981, con la conseguenza naturale che il regime delle impugnazioni avverso le ordinanze in parola è devoluto alla giurisdizione del g.a..
Vacca e altro c. Com. Afragola
Foro amm. TAR 2005, f. 2, 467 (s.m.)

L'ordinanza del sindaco contenente l'ordine di cessazione dell'attività di stoccaggio di rifiuti solidi e di smaltimento in discarica autorizzata, adottata sulla base del rilievo che in una conferenza di servizi tenutasi alcuni mesi prima dell'adozione del provvedimento era emersa la mancanza di autorizzazione antincendio, deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento. È evidente, infatti, che, in tal caso, non sussiste affatto la situazione d'urgenza tale da non preavvisare l'interessato dell'intento dell'amministrazione comunale; tanto più che il preavviso avrebbe consentito all'interessato di interloquire onde apportare, nell'interesse della stessa amministrazione comunale e della comunità amministrativa, utili chiarimenti in una materia che richiede alcune cognizioni scientifiche e che non può essere affrontata solo nella considerazione dell'allarme sociale creato dal "continuo stillicidio di notizie da parte degli organi d'informazione", così come invece è testualmente scritto nel provvedimento del sindaco.
P. c. Com. Statte
Comuni Italia 2004, f. 9, 93 (s.m.)




11. I reati previsti d. lg. 22/1997.

Legislazione c.p.p., art. 444 - d. lg. 5.2.1997, n. 22, artt. 14, 3° co., 50, 51, 1° co., lett. a), lett. b), 3° co.
Bibliografia Maglia Medugno 1999 - De Amicis 1999 - Fimiani 2000 - Dell’Anno 2000.

La legge Ronchi prevede varie contravvenzioni (Dell’Anno P. 2000, 561).
E’ configurato come reato, ex art. 50, d. lg. 5.2.1997, n. 22, il comportamento di chi non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all'art. 14, 3° co., d. lg. 5.2.1997, n. 22, con la quale vengono fissate le operazioni necessarie al ripristino dello stato dei luoghi.
Il reato è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno.
Il giudice può subordinare con la sentenza di condanna o con la decisione emessa ai sensi dell'art. 444, c.p.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione di quanto stabilito nella ordinanza o nell'obbligo non eseguiti.
L’art. 51, d. lg. 5.2.1997, n. 22, sanziona l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (Fimiani P. 2000, 349).
La definizione formale di rifiuto è contenuta nell’art. 6, 1° co., lett. a), d. lg. 5.2.1997, n. 22, ove si stabilisce che per rifiuto deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie elencate nell’allegato A e di cui il detentore di disfi o abbia deciso o abbia l‘obbligo di disfarsi.
E’ necessaria, pertanto, la ricorrenza di due condizioni, l’una formale e l’altra sostanziale (De Amicis G. 1999, 311).
Lo stesso bene deve rientrare nell’ambito delle formali indicazioni specificatamente elencate dall’allegato A e, al contempo, deve essere un bene di cui il detentore si stia disfacendo o abbia deciso di disfarsi o abbia, comunque, l’obbligo di disfarsi.

Poiché ai sensi dell'art. 6, d.lg. 5.2.1997, n. 22, la nozione di "rifiuto" implica due requisiti - ossia che rientri nella tabella A all. al d.lg. n. 22 del 1997, e che si tratti di oggetto del quale il detentore intenda disfarsi o abbia l'obbligo di disfarsi - i pneumatici usati rinvenuti presso un'impresa che li metta in commercio non possono considerarsi di per se stessi "rifiuti" e pertanto a carico di chi li detiene non è ravvisabile il reato di cui all'art. 51, 1° co., d.lg. n. 22/1997.
Il semplice pneumatico usato, a differenza di quello usurato, non integra la nozione di "rifiuto", dovendo al contrario essere considerato come un semplice "prodotto" o "merce", come tale non rientrante nella disciplina di cui al d.l. n. 22 del 1997 e successive modifiche.
(Trib. Parma, 31.10.1998, GM, 1999, 308).

Il reato comprende l’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti prodotti da terzi in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 è punito con la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti non pericolosi, ex art. 51, 1° co., lett. b) d.lg. n. 22 del 1997.

Per l'attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti speciali prodotti da terzi, sia nel caso di rifiuti destinati allo smaltimento che in quelli di rifiuti finalizzati al recupero, è necessaria l'autorizzazione regionale di cui agli artt. 27 e 28 del d.lg. n. 22 del 1997, in assenza della quale si configura il reato di cui all'art. 51, 1° co., lett. a), del suddetto decreto legislativo.
(Pret. Udine, 21.7.1997, RP, 1998, 180).
L’art. 51, 1° co., lett. b) d.lg. n. 22 del 1997, punisce l’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti prodotti da terzi in mancanza della prescritta autorizzazione con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti pericolosi.

Le indicazioni dei rifiuti pericolosi offerte dagli elenchi ufficiali di cui al d.lg. n. 22 del 1997 non precludono la possibilità di ritenere, al di fuori di esse, la natura pericolosa dei residui, in quanto l'unica condizione richiesta è che questi presentino una o più caratteristiche tra quelle menzionate nell'all. 3 della direttiva 91/689/Cee
Nella specie, i giudici hanno compreso fra i rifiuti pericolosi, di cui all'all. D del succitato decreto, ottocento tonnellate di residui polverulenti derivati da rottamazione di autoveicoli, se pur non compresi letteralmente nell'elenco di cui al summenzionato all. D).
(App. Torino, 11.3.1997, RP, 1997, 317).

L’art. 51, 3° co., d. lg. 5.2.1997, n. 22 sanziona chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni.

La destinazione di un'area a centro di raccolta di materiali provenienti da demolizioni edilizie e lo scarico ripetuti di essi, senza la prescritta autorizzazione, integra il reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, di cui all'art. 51 comma 3 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, anche in difetto di una specifica organizzazione di persone e di mezzi e senza che sia necessario il dolo specifico del fine di lucro.

La norma prevede che in caso di condanna sia di patteggiamento consegue la confisca obbligatoria dell’area sulla quale si è realizzata la discarica abusiva, sia che essa sia proprietà dell’autore o del compartecipe del reato (Maglia S. e Medugno M. 1999, 243).
La giurisprudenza ammette il sequestro preventivo come misura cautelare.

In caso di gestione di una discarica di rifiuti in carenza delle prescritte autorizzazioni di cui agli artt. 27 e 28, d.lg. n. 22 del 1997, può essere disposto il sequestro preventivo dell'area soggetta a confisca su cui insiste la discarica, se di proprietà di uno degli indagati, ex art. 321, 2° co., c.p.p., a prescindere dai presupposti di cui all'art. 321, 1° co., c.p.p.
Nella specie si tratta della riapertura della gestione di una discarica mediante ripetuti ed ingenti scarichi di rifiuti durante un considerevole arco di tempo, in assenza delle menzionate autorizzazioni e, quindi, in violazione dell'art. 51, 3° co., d.lg. n. 22 del 1997,
(Pret. Udine, 17.12.1998, RGA, 1999, 720).

Per la configurazione dl reato si richiede un comportamento attivo dell’imputato.
La dottrina rileva la responsabilità di colui che opera l’abbandono- riversamento di rifiuti in solido con quella del proprietario o titolare di diritti reali o personali di godimento.
La violazione deve esser imputabile come dolo o come colpa (Maglia S. e Medugno M. 1999, 236).
L’onere della prova sul dolo e sulla colpa spetta all’organo accertatore.
Non è ritenuto necessario invece per la configurazione del reato il dolo specifico.

La destinazione di un'area a centro di raccolta di materiali provenienti da demolizioni edilizie e lo scarico ripetuto di questi, senza la prescritta autorizzazione, integrano il reato di cui all'art. 51, d.lg. 5.2.1997, n. 22, (realizzazione e gestione di discarica abusiva), anche in mancanza di una specifica organizzazione di persone e mezzi, nè è necessario il dolo specifico del fine di lucro.

Il proprietario dell’area non può esser imputabile se non ha compiuto l’attività incriminata.

Non dà luogo alla configurabilità del reato di realizzazione o esercizio di una discarica abusiva - già previsto dall'art. 25 dell'abrogato d.p.r. 10.9.1982, n. 915, ed ora dall'art. 51, 3° co., del d.dg. 5.2.1997, n. 22 - la condotta di chi, avendo la disponibilità di un'area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi perché questi ultimi vengano rimossi.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1997, n. 8944, CP, 1998, 2704).

Il nuovo dettato legislativo supera così l’indirizzo restrittivo della precedente giurisprudenza che richiedeva perché si configurasse la gestione di discarica abusiva una pluralità di elementi soggettivi, richiedendo un’organizzazione, e oggettivi presupponendo la disponibilità un’area che sia attrezzata per tale compito.

E' configurabile il reato di gestione di discarica abusiva di rifiuti speciali quando esista una rudimentale organizzazione di persone e cose, diretta al funzionamento della medesima.
Sussiste, invece, la contravvenzione di realizzazione di discarica, quando vi sia l'allestimento di un'area con effettuazione di opere a ciò occorrenti quali lo spianamento del terreno, l’apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione.
Il reato di gestione è caratterizzato dalla permanenza, che cessa con il rilascio dell'autorizzazione o con la chiusura o la disattivazione o con la sentenza di primo grado.
(Cass. pen., sez. III, 11.4.1997, n. 4013, RP, 1998, 264).

Il reato di realizzazione di discarica non autorizzata consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione delle opere a tal fine occorrenti.
Il reato permane fino all'ultimazione dell'opera, e poi diventa ad effetto permanente.
(Cass. pen., Sez. U., 5.10.1994, RP, 1995, 161).


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